Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per l'Abruzzo
Sentenza 30 aprile 2025, n. 49

Presidente: Tridico - Estensore: Grossi

FATTO

1. Con atto di citazione depositato il 7 ottobre 2024, la Procura regionale ha convenuto in giudizio il sig. Salvatore F., nella sua qualità di dipendente pubblico, davanti alla Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per l'Abruzzo, per essere condannato, in favore del Comune di Tocco da Casauria (PE), per la complessiva somma di euro 20.255,82 (euro ventimiladuecentocinquantacinque/82), a titolo doloso, in subordine, a titolo colposo, oltre al pagamento della miglior sorte tra rivalutazione monetaria e interessi legali da ciascuna diminuzione patrimoniale sofferta dal Comune, interessi legali dalla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo e spese di giudizio in favore dello Stato.

2. Di seguito una breve sintesi dei fatti.

2.1. La Procura ha riferito che, con nota del 24 maggio 2023, la Guardia di finanza (di seguito G.d.f.) trasmetteva una segnalazione di danno erariale relativa a plurime fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile riconducibili al conferimento degli incarichi di Responsabile del Servizio finanziario con assegnazione di funzioni dirigenziali, ex art. 107 d.lgs. n. 267/2000 (di seguito t.u.e.l.) e di Vicesegretario comunale al dott. Salvatore F., dipendente pubblico con profilo di Istruttore direttivo contabile - cat. D -, il quale ometteva di dichiarare l'esistenza della causa di inconferibilità prevista dall'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 (sentenza di condanna per reati contro la pubblica amministrazione, nella specie sentenza di condanna per peculato) e, per l'effetto, indebitamente percepiva gli emolumenti collegati agli incarichi ricoperti. La notitia damni faceva riferimento agli esiti delle indagini condotte dalla Tenenza di Popoli nel settore della spesa pubblica, avviate di iniziativa e integrate su delega della Procura della Repubblica di Pescara nell'ambito del proc. pen. n. 75/2023 R.G.N.R., e dava conto del danno erariale subito da differenti amministrazioni presso le quali il dott. F. aveva assunto gli incarichi inconferibili.

Il presente giudizio è relativo agli incarichi del Comune di Tocco da Casauria (PE) presso il quale Salvatore F., dipendente del Comune di Giuliano Teatino (CH) dall'1 luglio 2006, svolgeva attività lavorativa in posizione di "scavalco di eccedenza" e di "scavalco condiviso".

2.2. La Procura ha riferito che, nel corso dell'attività lavorativa svolta presso il Comune di Tocco da Casauria (PE), il dott. F., in forza di decreto sindacale n. 12 del 2 settembre 2019, aveva ricoperto l'incarico di Responsabile dell'Area economico-finanziaria con assegnazione di funzioni dirigenziali, ex art. 107 t.u.e.l. per il periodo compreso dal 3 settembre 2019 al 31 dicembre 2019. All'atto del conferimento dell'incarico, il dott. F., con nota assunta al prot. dell'ente del 2 settembre 2019, aveva reso la dichiarazione, ex art. 20 d.lgs. n. 39/2013, attestando di "non trovarsi in alcune delle condizioni di inconferibilità e incompatibilità di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39", assumendosi espressamente l'obbligo di procedere alla "comunicazione tempestiva in ordine all'insorgere di una delle cause di inconferibilità e di incompatibilità di cui al decreto legislativo 39/2013".

Con successivo decreto sindacale n. 3 del 10 febbraio 2020 il sindaco aveva affidato al dott. F. la responsabilità dell'Area economico-finanziaria, a far data dall'1 gennaio 2020 con scadenza indeterminata, assegnando allo stesso le funzioni dirigenziali di cui all'art. 107 t.u.e.l. con attribuzione dell'indennità di posizione connessa all'incarico.

La Responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza (di seguito RPCT) del Comune di Tocco da Casauria (PE), dott.ssa Germana S., aveva avviato il procedimento di c.d. verifica interna sulla dichiarazione resa dal dott. F. ai sensi dell'art. 20 cit.

In particolare, la RPCT, dopo aver acquisito il "certificato n. 21164/2021/R del casellario giudiziale emesso in data 30.12.2021 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pescara", aveva contestato al dipendente, con provvedimento prot. n. 1258 del 3 febbraio 2022, l'esistenza della causa di inconferibilità emersa dalle risultanze del casellario (sentenza irrevocabile di condanna a 2 anni per peculato). Successivamente, il dott. F., in data 5 febbraio 2022, aveva rassegnato le proprie dimissioni con effetto immediato rispetto ad ogni tipologia di rapporto di lavoro in essere con il Comune di Tocco da Casauria (PE).

La cessazione del rapporto di lavoro aveva determinato l'archiviazione del procedimento, ex art. 15 in data 28 febbraio 2022, con successiva comunicazione degli atti alla RPCT del Comune di Giuliano Teatino (CH), dott.ssa D., in data 8 marzo 2022 e segnalazione all'ANAC in data 31 maggio 2022.

La Procura, reputando necessario compiere un approfondimento istruttorio, dopo aver acquisito la sentenza n. 117/2018, ha chiesto all'ente locale, tra l'altro, di comunicare il nominativo del "Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza" (di seguito RPCT) in carica all'epoca del conferimento degli incarichi al F. e di fornire indicazioni sull'entità degli emolumenti corrisposti direttamente al convenuto e degli importi rimborsati al Comune di Giuliano Teatino (CH). L'amministrazione ha fornito la documentazione richiesta dalla quale sarebbe emerso il susseguirsi, in rapida successione, di diversi soggetti nell'incarico di RPCT ed ha specificato di aver provveduto al rimborso integrale di quanto dovuto al Comune di Giuliano Teatino (CH) per l'utilizzo del dott. F. in "scavalco condiviso" per l'ammontare complessivo di euro 72.719,78 (somma comprensiva sia delle somme versate a titolo di retribuzione e sia delle somme versate a titolo di indennità spettanti per incarico di Responsabile del Servizio finanziario), nonché di aver sostenuto il costo di euro 3.082,52 quale indennità di posizione per l'incarico conferito nel periodo di utilizzo del medesimo in "scavalco di eccedenza".

In riscontro ad ulteriore richiesta dell'attore pubblico, il Comune di Tocco da Casauria ha trasmesso copia dei mandati di pagamento attestanti l'avvenuto rimborso al Comune di Giuliano Teatino (CH) degli emolumenti corrisposti al F.

2.3. Ad avviso della Procura erariale, dalla vicenda così ricostruita, sarebbe scaturito un evidente danno a carico del Comune di Tocco da Casauria (PE) con riferimento agli emolumenti illecitamente percepiti dal dott. F. in seguito all'assegnazione delle funzioni dirigenziali di cui all'art. 107 t.u.e.l. nonostante la presenza della causa di inconferibilità rappresentata dalla sentenza di condanna a 2 anni di reclusione emessa dal G.I.P presso il Tribunale di Chieti il 18 luglio 2018 per il reato di peculato, la cui esistenza sarebbe stata taciuta da Salvatore F. il quale, di contro, avrebbe attestato nella dichiarazione resa ai sensi dell'art. 20 cit. la circostanza, non corrispondente al vero, di "non trovarsi in alcune delle condizioni di inconferibilità e incompatibilità di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39". L'ammontare del danno subito dal Comune di Tocco da Casauria (PE) è stato stimato nell'importo di euro 20.255,82 e causalmente ricondotto alla condotta illecita del dipendente il quale, venendo meno ai doveri connessi al rapporto di servizio, consapevolmente e volutamente, avrebbe omesso di dichiarare la sussistenza della causa di inconferibilità prevista dall'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 e dall'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001, al fine di ottenere la corresponsione delle connesse indennità.

3. Pertanto, l'Ufficio requirente ha emesso, in data 29 aprile 2024, invito a dedurre, ritualmente notificato. In data 22 giugno 2024, Salvatore F. ha depositato le proprie deduzioni.

Gli elementi di fatto e le argomentazioni giuridiche sviluppate dall'odierno convenuto nelle deduzioni non hanno consentito all'attore pubblico di superare le contestazioni formulate con l'invito a dedurre.

4. Preliminarmente, nel proprio atto introduttivo, la Procura richiama la disciplina in tema di inconferibilità degli incarichi. Riassunta la suddetta disciplina di riferimento, l'organo inquirente sostiene che il danno erariale contestato è riconducibile al contegno antigiuridico del convenuto F. il quale ha dolosamente taciuto al Comune di Tocco da Casauria l'esistenza della causa di inconferibilità costituita dalla condanna per un reato previsto nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (sentenza di condanna per peculato, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Chieti in data 18 luglio 2018) così ottenendo, in violazione dell'art. 35-bis t.u.p.i. e dell'art. 3 d.lgs. n. 39/2013, l'incarico di responsabile di un ufficio preposto alla gestione delle risorse finanziarie (Responsabile dell'Area economico-finanziaria) con assegnazione delle funzioni dirigenziali di cui all'art. 107 t.u.e.l. Ed invero, in sede di dichiarazione resa ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 39/2013, il dott. F. ha attestato di "non trovarsi in alcune delle condizioni di inconferibilità e incompatibilità di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39".

Tale dichiarazione, volutamente tesa a celare l'esistenza della causa ostativa al conferimento dell'incarico, ha causalmente determinato l'insorgere di un nocumento economico per l'ente locale le cui risorse sono state destinate al pagamento degli emolumenti corrisposti al convenuto per l'incarico assunto in violazione della disciplina posta dal d.lgs. n. 39/2023 e dall'art. 35-bis t.u.p.i.

A confutazione di quanto sostenuto dalla difesa in merito all'esistenza di uno stato di assoluta buona fede del dichiarante indotto a tacere la presenza della sentenza di condanna, ex art. 444 c.p., a due anni di reclusione per peculato in quanto il provvedimento suddetto non rientrerebbe tra quelli che devono essere indicati nelle dichiarazioni sostitutive riferite alle iscrizioni a proprio carico presenti nel casellario giudiziale, la Procura sostiene che la dichiarazione resa ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 39/2013 è ontologicamente differente rispetto alla dichiarazione sostitutiva di certificazioni resa con riferimento ai carichi giudiziali ai sensi del d.P.R. n. 445/2000.

La dichiarazione da rendere in base alla norma speciale prevista dall'art. 20 cit. riguarderebbe l'insussistenza di cause di inconferibilità degli incarichi e non l'esistenza di precedenti condanne iscritte nel casellario giudiziale, come anche dimostra il fatto che la dichiarazione, ex art. 20, si estende anche alle condanne inferte "con sentenza non passata in giudicato" (ritenute cause di inconferibilità dal precedente art. 3) le quali, come noto, non sono iscritte come precedenti nel casellario giudiziale.

L'attore pubblico, inoltre, sostiene che nessun rilievo avrebbe la sentenza della Corte costituzionale n. 364/1988 richiamata dalla difesa, non essendo ravvisabile un errore scusabile derivante dall'oscurità del testo legislativo a fronte del chiaro contenuto precettivo degli artt. 3 e 20 d.lgs. n. 39/2013 ed essendo il contrasto giurisprudenziale prospettato dalla difesa riferibile alla differente ipotesi di dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell'art. 46, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 445/2000 ("di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l'applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa") e non alla dichiarazione prevista della disposizione speciale di cui all'art. 20 cit.

Neppure l'avvenuta concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, secondo l'attore pubblico, vale ad eludere l'antigiuridicità della condotta ed è del tutto inconferente il richiamo all'art. 166, comma 2, c.p. nella parte in cui pone il divieto di assumere la condanna a pena sospesa quale motivo di impedimento all'accesso a posti di lavoro.

Rispetto all'eccezione incentrata sull'avvenuta modifica dell'art. 445 c.p.p. ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia) la quale, nell'introdurre il comma 1-bis, avrebbe precluso l'equiparazione della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna e che avrebbe abrogato implicitamente l'effetto extrapenale dell'inconferibilità con riferimento alle sentenze ex art. 444 c.p.p., la Procura richiama il principio di irretroattività della legge posto dall'art. 11 disp. prel. c.c. in base al quale "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo" con conseguente impossibilità di estendere gli effetti delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia ad epoca anteriore alla sua entrata in vigore avvenuta in data 30 dicembre 2022.

In ordine alla determinazione del quantum, la Procura, sulla scorta della documentazione agli atti, ritiene di poter stimare il danno subito dall'Amministrazione locale nell'importo complessivo di euro 20.255,82, pari alla spesa sostenuta dal Comune per la corresponsione degli emolumenti connessi allo svolgimento delle funzioni dirigenziali indicate in fatto.

Con tabella la Procura ha riassunto le somme indebitamente percepite: anno 2019 euro 3.082,52, anno 2020 euro 8.000,00, anno 2021 euro 8.639,97 e anno 2022 euro 533,33. Si tratterebbe di un danno erariale "certo" in quanto incontestabile nella sua realtà, "effettivo" in quanto la perdita non è ipotetica ma ha determinato una concreta deminutio patrimonii e "attuale" non avendo il convenuto restituito al Comune quanto ricevuto neppure in seguito alla notifica della richiesta di rinvio a giudizio relativa al proc. pen. n. 75/2023 R.G.N.R. per il "delitto p.p. dagli art.li 81 cpv cp. e 48 cp., 479 cp." e per il "delitto p.p. dagli art.li 81 cpv cp., 640 co. 2 cp." per avere "dichiarato falsamente nella dichiarazione fidefaciente di insussistenza di fattispecie di inconferibilità di incarichi dirigenziali interni", traendo in errore il Comune di Tocco da Casauria (PE).

Nel dettaglio, con riferimento all'annualità 2019, il Comune ha precisato di aver corrisposto direttamente al dipendente l'indennità legata all'incarico nella misura di euro 3.082,52. Per le successive annualità, la Procura assume a riferimento l'importo annuo dell'indennità corrisposta come risultante dagli atti (euro 16.000,00, di seguito maggiorata del 30%) riproporzionandolo alle ore di servizio (n. 18 ore) prestate dal dipendente presso il Comune di Tocco da Casauria.

Le suindicate somme, anticipate dal Comune di Giuliano Teatino (CH), sono state integralmente rimborsate dal Comune di Tocco da Casauria che risulta, pertanto, l'amministrazione effettivamente danneggiata.

A confutazione di quanto sostenuto dalla difesa in merito alla necessità di procedere ad una riduzione del quantum richiesto con l'azione risarcitoria in considerazione dell'attività comunque svolta dal F., la Procura sottolinea che è il legislatore che, preliminarmente, esprime un giudizio di inidoneità dei soggetti colpiti da sentenza penale di condanna per peculato a svolgere funzioni dirigenziali. Tutto ciò impone all'organo inquirente di recuperare tutti gli emolumenti connessi a una nomina illegittima per mancanza dei requisiti sostanziali a ricoprire l'ufficio, essendo l'inesistenza di cause di inconferibilità, per espressa previsione normativa, elemento essenziale della prestazione lavorativa e della connessa retribuzione.

La Procura, consapevole di un indirizzo giurisprudenziale che estende la pretesa risarcitoria all'intera retribuzione percepita dal dipendente, riferisce di aver agito soltanto per il recupero degli emolumenti direttamente connessi agli incarichi inconferibili, con esclusione della retribuzione collegata all'attività di istruttore direttivo - cat. D - e, pertanto, ritiene di non aderire a nessuna ulteriore richiesta di riduzione dell'addebito, proposta dal convenuto.

Per quanto concerne l'elemento soggettivo, l'Ufficio requirente reputa di poter rinvenire il dolo, quantomeno nella forma del dolo eventuale, nella condotta del F., attesa la piena consapevolezza e volontà dello stesso di violare i doveri imposti dal rapporto di servizio, omettendo di rappresentare all'amministrazione l'esistenza della sentenza di condanna per peculato n. 117/2018 nella dichiarazione ex art. 20 d.lgs. n. 39/2013. Coscienza e volontà che abbraccerebbero non solo la condotta ma anche la produzione dell'evento di danno.

Il sig. F. avrebbe volutamente ignorato gli obblighi previsti dalla normativa ratione temporis vigente al fine di produrre un danno all'amministrazione pari all'illecito arricchimento conseguito per l'effetto dell'intenzionale violazione di precetti chiari e inderogabili, compiuta con consapevolezza e prevedibilità del danno apprezzata anche alla luce della preparazione e della lunga esperienza professionale del convenuto.

In via meramente subordinata, la Procura ritiene di poter configurare una responsabilità gravemente colposa, essendo la contestata omissione connotata, quantomeno, da grossolana superficialità e mancato rispetto del minimo di diligenza esigibile dal funzionario pubblico, palesando quella rilevante trascuratezza e macroscopica negligenza che rappresentano l'essenza della colpa grave.

5. Con memoria depositata in data 30 gennaio 2025 si è costituito il dott. Salvatore F., rappresentato e difeso dagli avv.ti Amoroso e Battisti. Dopo aver ricostruito i fatti di causa, la difesa ha eccepito la nullità dell'atto di citazione per violazione e falsa applicazione di legge, artt. 51 e 86, comma 2, lett. c), c.g.c. sotto il profilo della mancanza di una notizia di danno specifica e concreta, di una insussistenza di una valutazione articolata e specifica in ordine alla presenza del nesso causale, al pregiudizio effettivo e all'eventuale utilità conseguita dall'amministrazione. L'atto di citazione sarebbe affetto da nullità risultando lo stesso carente di motivazione adeguata e conforme ai parametri richiesti dalla legge.

Passando all'esame del merito, la difesa ha sostenuto che l'azione risarcitoria è stata avviata sulla base dell'erroneo presupposto della sussistenza di una causa di inconferibilità relativamente agli incarichi ricoperti dal dott. Salvatore F. presso il Comune di Tocco da Casauria (PE).

Ha sostenuto, preliminarmente, che la sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., con la quale il dott. F. è stato condannato alla pena di due anni di reclusione con concessione della sospensione condizionale, non può essere equiparata a una sentenza di condanna ai fini dell'inconferibilità degli incarichi dirigenziali sulla base di un'interpretazione sistematica del comma 7 dell'art. 3 del d.lgs. 39/2013 alla luce dell'art. 166 c.p. che disciplina la sospensione condizionale della pena. Il dott. F., all'epoca della dichiarazione, ex art. 20 del d.lgs. 39/2013, non era tenuto a segnalare la sentenza di patteggiamento, in quanto, ai sensi dell'art. 28, comma 8, del d.P.R. 313/2002, l'interessato non era obbligato a dichiarare sentenze di patteggiamento con pena inferiore a due anni.

La difesa ha proseguito sostenendo che il certificato acquisito dal Segretario comunale di Tocco da Casauria sarebbe stato richiesto in violazione dell'art. 21 del d.P.R. n. 313/2002 che riserva esclusivamente all'Autorità giudiziaria il potere di ottenere certificati completi. Ne conseguirebbe che le informazioni così ottenute non possono essere utilizzate come base per la pretesa risarcitoria, in quanto acquisite in violazione della normativa vigente.

Ha ulteriormente sostenuto che l'art. 20 del d.lgs. n. 39/2013 deve essere interpretato in armonia con il d.P.R. n. 445/2000, che regola la forma e i contenuti delle dichiarazioni sostitutive. Sebbene l'art. 20 richieda un'attestazione più ampia, relativa anche a condanne non definitive, questa disposizione non può prescindere dalle regole generali stabilite dal d.P.R. n. 445/2000, che escludono l'obbligo di dichiarare sentenze di patteggiamento nei limiti sopra indicati.

La corretta interpretazione delle diverse disposizioni normative (art. 20 del d.lgs. n. 39/2013, art. 28 del d.P.R. n. 313/2002 e d.P.R. n. 445/2000) consentirebbe di escludere l'obbligo del dott. F. di ritenere la sentenza di patteggiamento quale causa di inconferibilità e di doverla indicare. Ha sostenuto che, al più, le norme applicabili potrebbero aver generato un'area di incertezza che può legittimamente portare a errori interpretativi. Tale ambiguità, unita alla complessità della disciplina, ad avviso della difesa del convenuto F., renderebbe del tutto scusabile l'eventuale omissione del F., il quale avrebbe fatto affidamento su un certificato ufficiale, rilasciato in conformità alla legge e agito senza alcuna intenzione di occultare informazioni rilevanti.

Quand'anche si volesse ritenere sussistente la causa di inconferibilità, l'azione erariale, comunque, risulterebbe carente dell'elemento soggettivo, sia sotto il profilo del dolo sia della colpa grave, richiesti dall'art. 1, comma 1, della l. 14 gennaio 1994, n. 20. La difesa del convenuto ha evidenziato, in primo luogo, che il principio fondamentale in materia di responsabilità amministrativa impone alla parte pubblica di fornire la prova rigorosa e concreta di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie illecita, incluso l'elemento soggettivo.

La Procura si sarebbe invece limitata ad affermare la mendacità della dichiarazione resa dal F. senza fornire alcun elemento probatorio in grado di dimostrare un comportamento doloso, né tantomeno di comprovare che l'asserita irregolarità abbia determinato un pregiudizio concreto per l'Amministrazione. Pertanto, la difesa ha affermato che, in assenza di una prova concreta e rigorosa dell'occultamento doloso o della colpa grave, la responsabilità del convenuto F. non può essere affermata in via presuntiva o automatica.

Nel caso sottoposto all'esame del Collegio non sarebbe rinvenibile traccia alcuna dell'elemento soggettivo richiesto dall'art. 1 l. n. 20/1994. Tutto ciò confermerebbe l'assoluta carenza della intenzionalità o della colpa grave del dott. F. a rendere dichiarazioni false nella dichiarazione, ex art. 20 d.lgs. n. 39/2013. Non vi sarebbe alcun elemento che possa far ritenere che il dott. F. abbia volontariamente taciuto la sentenza al fine di ottenere un incarico cui non aveva diritto. Al contrario, il convenuto avrebbe dimostrato di voler collaborare pienamente con l'amministrazione, fornendo la documentazione richiesta e agendo con trasparenza.

L'atto di citazione risulterebbe altresì carente dell'allegazione del dolo "erariale", come richiesto dalla recente modifica normativa introdotta dall'art. 21 della l. n. 120/2020. Nel caso del dott. F., non emergerebbe alcun elemento che dimostri la sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dall'art. 1 l. n. 20/1994, secondo i nuovi confini del dolo erariale, ovvero della volontà specifica di arrecare un danno all'erario. La condotta F. non era orientata a causare l'evento dannoso, né sembrano risultare elementi probatori idonei a sostenere una volontarietà dell'azione illecita accompagnata dalla consapevolezza delle conseguenze dannose. In assenza di tale dimostrazione, il dolo erariale non può essere configurato, escludendo così la responsabilità amministrativo-contabile.

Sulla contestazione del danno erariale, la difesa ha eccepito l'assenza di danno effettivo. La quantificazione del danno erariale operata dalla Procura, pari a euro 20.255,82, apparirebbe infondata sotto molteplici profili.

In particolare, la Procura ha erroneamente equiparato il danno erariale all'importo degli emolumenti corrisposti al dott. F., senza considerare che le prestazioni sono state effettivamente rese e che il dott. F. ha svolto con regolarità le funzioni di Responsabile dell'Area economico-finanziaria presso il Comune di Tocco da Casauria, garantendo la continuità e l'efficienza dell'azione amministrativa; l'ente avrebbe tratto un vantaggio concreto, le attività del dott. F. avrebbero assicurato il rispetto delle normative contabili, la regolarità degli adempimenti fiscali e il mantenimento dell'equilibrio di bilancio. Non vi sarebbe stata alcuna contestazione in merito alla qualità del servizio prestato, insistendo, pertanto, per l'applicazione del principio di compensatio lucri cum damno.

In caso di eventuale condanna, pertanto, si sarebbe in presenza di un arricchimento senza causa da parte del Comune di Tocco da Casauria. Nel caso di specie, emergerebbe in modo chiaro che le prestazioni rese dal dott. F. hanno generato un'utilità concreta per l'amministrazione, escludendo ogni ipotesi di arricchimento senza causa.

Nell'ambito di tutta la vicenda, la difesa ha ribadito che il Collegio deve considerare che, alla data del 4 settembre 2022, la causa di inconferibilità era cessata, in quanto, trascorsi quattro anni e che, pertanto, essa non produceva più effetti, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 39/2013.

Ha concluso chiedendo, in via preliminare di dichiarare la nullità dell'atto di citazione per violazione degli artt. 51 e 86, comma 2, lett. c), del codice di giustizia contabile; in via principale, di rigettare la domanda attrice per insussistenza della causa di inconferibilità, ex art. 3 del d.lgs. n. 39/2013; di rigettare la domanda per assenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave; di rigettare la domanda per inesistenza del danno erariale; in via subordinata, di rideterminare il danno applicando il principio della compensatio lucri cum damno, tenendo conto dell'utilità delle prestazioni effettivamente rese all'amministrazione; di ridurre l'ammontare del danno applicando il potere riduttivo, ex art. 52 r.d. n. 1214/1934, considerando l'assenza di dolo, la complessità delle circostanze e la qualità delle prestazioni rese dal convenuto. In via istruttoria, la difesa del convenuto ha chiesto di disporre una CTU al fine di: a) determinare il valore economico delle prestazioni effettivamente rese dal dott. F. a favore del Comune di Tocco da Casauria (PE) relativamente al periodo di svolgimento degli incarichi ritenuti inconferibili, b) di quantificare il risparmio di spesa ottenuto dall'amministrazione e c) di valutare il beneficio economico ottenuto dall'ente.

6. In data 20 febbraio 2025, l'avv. Amoroso ha depositato copia della sentenza del Tribunale di Pescara del 18 febbraio 2025 di assoluzione del convenuto F. dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.

7. All'udienza pubblica del 25 febbraio 2025, il Sostituto Procuratore generale, dopo aver brevemente ricostruito la vicenda fattuale, ha insistito per le conclusioni come contenute nell'atto introduttivo del giudizio. I difensori del convenuto, nel confutare le argomentazioni della Procura, si sono riportati alle conclusioni del proprio atto difensivo.

Così esaurita la discussione, la causa è stata trattenuta in camera di consiglio per la decisione.

DIRITTO

1. La fattispecie oggetto della contestazione in giudizio concerne l'accertamento della responsabilità del dott. Salvatore F. per il danno erariale a carico del Comune di Tocco da Casauria (PE) con riferimento agli emolumenti illecitamente percepiti dallo stesso in seguito all'assegnazione delle funzioni dirigenziali di cui all'art. 107 t.u.e.l., nonostante la presenza della causa di inconferibilità rappresentata dalla sentenza di condanna a 2 anni di reclusione emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Chieti il 18 luglio 2018 per il reato di peculato, la cui esistenza sarebbe stata taciuta dal F. il quale, di contro, avrebbe attestato nella dichiarazione, resa ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 39/2013, la circostanza, non corrispondente al vero, di "non trovarsi in alcune delle condizioni di inconferibilità e incompatibilità di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39".

L'ammontare del danno subito dal comune di Tocco da Casauria (PE) è stato stimato nell'importo di euro 20.255,82 e causalmente ricondotto alla condotta illecita del dipendente il quale, venendo meno ai doveri connessi al rapporto di servizio, consapevolmente e volutamente, avrebbe omesso di dichiarare la sussistenza della causa di inconferibilità prevista dall'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 e dall'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001, al fine di ottenere la corresponsione delle connesse indennità.

2. Ciò premesso, preliminarmente, il Collegio ritiene di dover esaminare l'eccezione di nullità dell'atto di citazione del convenuto F. per assenza di una specifica notizia di danno, ex art. 51 d.lgs. 174/2016.

Il convenuto F. sostiene che, ai sensi dell'art. 51 del codice di giustizia contabile, il Pubblico Ministero può iniziare l'attività istruttoria solo sulla base di una notizia di danno specifica e concreta, consistente in informazioni circostanziate e non riferibili a fatti ipotetici e che la mera nullità dell'incarico non può tradursi in una presunzione automatica di danno erariale.

Osserva il Collegio al riguardo che, con riferimento alla fattispecie in esame, esiste una notizia specifica e concreta di danno.

Con nota prot. n. 78514 del 24 maggio 2023, la Guardia di finanza ha, infatti, trasmesso alla Procura erariale la segnalazione di danno erariale relativa a plurime fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile riconducibili al conferimento dell'incarico di Vicesegretario comunale e dell'incarico di Responsabile del Servizio finanziario con assegnazione di funzioni dirigenziali, ex art. 107 d.lgs. n. 267/2000 (di seguito t.u.e.l.).

Alle pagg. 18-20 della segnalazione, il paragrafo 8 dedica uno specifico punto ai "Profili emergenti di danno erariale", con una specifica indicazione dei danni che sarebbero stati cagionati a ciascun ente.

Pertanto, l'eccezione di nullità sotto tale profilo è, quindi, infondata, impregiudicata ogni valutazione nel merito.

3. La difesa del F. ha eccepito, ancora, la nullità dell'atto di citazione per violazione dell'art. 86, comma 2, lett. c), del codice di giustizia contabile per l'insussistenza dei requisiti essenziali prescritti dall'art. 86, comma 2, lett. c), del codice di giustizia contabile.

In sintesi, ha sostenuto che l'atto di citazione si baserebbe su una presunzione automatica di danno erariale derivante dalla presunta illegittimità della nomina, senza fornire prove concrete del danno effettivo subito dall'amministrazione. La Procura avrebbe semplicemente presupposto il danno poiché l'incarico era potenzialmente nullo e, di conseguenza, qualsiasi compenso pagato costituirebbe automaticamente un nocumento per l'erario. Citando giurisprudenza in materia, la difesa ha affermato che tutti gli elementi di responsabilità, inclusi fatti e prove, devono essere presentati in modo chiaro e preciso. Ha sostenuto, inoltre, che l'atto di citazione non dimostra l'elemento soggettivo, in particolare il dolo (intenzionale) o la colpa grave, in violazione del diritto di difesa.

Anche tale eccezione, ad avviso del Collegio, non merita accoglimento, in quanto l'atto di citazione contiene l'individuazione e la quantificazione del danno, indicando anche i criteri utilizzati per la sua determinazione.

In particolare, il danno erariale subito dal Comune di Tocco da Casauria (PE) è stato individuato e quantificato dalla Procura regionale sulla base dei dati forniti dalla Guardia di finanza (G.d.f.) e dalla documentazione agli atti.

La quantificazione dello stesso è pari [a] euro 20.255,82, corrispondente alla spesa sostenuta dal Comune per la corresponsione degli emolumenti connessi allo svolgimento delle funzioni dirigenziali indicate.

Con una tabella, contenuta in citazione, la Procura ha riassunto le somme indebitamente percepite: anno 2019: euro 3.082,52, anno 2020: euro 8.000,00, anno 2021: euro 8.639,97 e anno 2022: euro 533,33.

Nello specifico, poi, la Procura ha stimato l'entità delle voci di danno in proporzione alle ore di lavoro svolte da Salvatore F. presso il Comune di Tocco da Casauria (PE). Inoltre, risulta in atti, che la Procura ha agito soltanto per il recupero degli emolumenti direttamente connessi agli incarichi inconferibili, escludendo la retribuzione collegata all'attività di Istruttore direttivo cat. D.

Pertanto, relativamente all'eccezione preliminare di nullità come sopra proposta, la ritenuta presunzione di danno non sussiste e non lede il diritto di difesa del convenuto, impedendogli di predisporre adeguate difese rispetto agli elementi costitutivi della responsabilità, riverberandosi eventuali lacune motivazionali dell'accusa nell'accertamento di merito.

4. Venendo al merito si evidenzia che, perché si possa parlare di responsabilità amministrativa, è necessario che ricorrano gli elementi tipici della stessa, e cioè che vi sia un danno patrimoniale, economicamente valutabile, attuale e concreto, sofferto dall'amministrazione pubblica, il nesso di causalità fra la condotta del convenuto e l'evento dannoso, che il comportamento omissivo o commissivo del soggetto a cui il danno è ricollegabile sia connotato dall'elemento psicologico del dolo o della colpa grave, e che sussista un rapporto di servizio fra l'agente che ha cagionato il danno e l'ente pubblico che lo ha sofferto, ovvero, che sia ravvisabile, nella fattispecie concreta dedotta in giudizio, la natura oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie in relazione alle quali il danno patrimoniale alle finanze pubbliche viene individuato e in relazione alle quali viene avanzata la pretesa risarcitoria di parte attrice.

Ciò premesso, il Collegio ritiene che la domanda risarcitoria della Procura non sia fondata e non meriti accoglimento per i motivi di seguito esposti.

In primo luogo, il Collegio ritiene di doversi soffermare sulla rilevanza della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., a seguito della c.d. riforma Cartabia.

Va rilevato che il convenuto ha eccepito l'inapplicabilità della causa di inconferibilità a seguito della modifica dell'istituto del patteggiamento con la riforma Cartabia.

L'art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 39/2013, prevede che "Agli effetti della presente disposizione, la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., è equiparata alla sentenza di condanna". La modifica dell'art. 445 c.p.p., ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), prevede che, se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall'art. 444, comma 2, c.p.p. alla sentenza di condanna. La Procura sostiene che questa modifica non abbia implicitamente annullato l'effetto extrapenale dell'inconferibilità per le sentenze ex art. 444 c.p.p. Secondo l'accusa, inoltre, in base al principio di irretroattività della legge stabilito dall'art. 11 disp. prel. c.c., dovrebbe affermarsi l'impossibilità di estendere gli effetti delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia a situazioni anteriori alla sua entrata in vigore, avvenuta il 30 dicembre 2022.

A questo riguardo, il Collegio ritiene di condividere l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato, che, nel suo parere del 29 aprile 2024, n. 524, ha aderito all'interpretazione secondo cui il nuovo art. 445, comma 1-bis, c.p.p. ha implicitamente abrogato l'art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 39/2013, nella parte in cui equiparava la sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna ai fini dell'inconferibilità.

Le ragioni di tale conclusione sono riconducibili alla successione delle leggi nel tempo, alla natura della disposizione sull'inconferibilità, agli orientamenti della giurisprudenza e della prassi amministrativa e all'inapplicabilità del principio di specialità, invero affermati in materia di incandidabilità, ma con principi pienamente riferibili alla fattispecie in esame.

Il comma 1-bis dell'art. 445 del codice penale, rubricato "Effetti dell'applicazione della pena su richiesta", come sostituito dall'art. 25, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 150 del 10 ottobre del 2022, è infatti successivo all'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013.

Inoltre, la disposizione sull'inconferibilità ha indubbio carattere di "legge diversa da quella penale": essa introduce una misura che non ha carattere sanzionatorio né di effetto penale della condanna, ma attiene piuttosto al venir meno di un requisito soggettivo alla possibilità di esercizio di determinate funzioni pubbliche.

La questione interpretativa sollevata è del resto già stata affrontata e definita dalla giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza n. 937/2023) e dal Ministero dell'interno (circolare n. 29/2023), con riferimento alla incidenza del nuovo comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. sulla misura della incandidabilità prevista dal d.lgs. n. 235/2012.

Infine, il principio di specialità, pur prospettato da ANAC a sostegno di una possibile diversa opzione interpretativa, non è utilmente invocabile. Infatti, la norma di cui al comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p., pur avendo una portata generale in relazione al suo ambito categoriale di riferimento, è diretta proprio a limitare l'efficacia di tutte quelle disposizioni extrapenali, e come tali speciali, che dispongono l'equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna, quali l'art. 3 del d.lgs. n. 39 del 2013.

Deve quindi ritenersi che l'art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 39/2013 è stato abrogato implicitamente dalla riforma Cartabia e che la sentenza di patteggiamento non comporta più l'inconferibilità degli incarichi, a meno che non siano state irrogate pene accessorie.

Pertanto, conclusivamente, essendo il comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. entrato in vigore il 30 dicembre 2022, deve ritenersi che, in ogni caso, la disciplina pregressa riguardo alla clausola di equiparazione della sentenza patteggiata ai fini dell'inconferibilità degli incarichi prevista dall'art. 3, comma 7, d.lgs. n. 39/2013, si applica fino al 30 dicembre 2022 e, quindi, ai fatti sottoposti all'esame del Collegio. Successivamente alla sua entrata in vigore, invece, si dovrebbe tenere conto della novella normativa quantomeno ai fini della valutazione dell'utilità di cui il Comune ha beneficiato.

5. Nel merito, la Procura contesta al dott. F. di aver falsamente attestato, in data 2 settembre 2019, l'inesistenza della condanna per peculato del 18 luglio 2018, circostanza che integrava una causa di inconferibilità per gli incarichi da ricoprire.

In particolare, in data 2 settembre 2019, all'atto dell'assunzione dell'incarico di Responsabile del Settore finanziario con assegnazione di funzioni dirigenziali, Salvatore F. ha presentato una "dichiarazione di insussistenza di cause di inconferibilità ed incompatibilità", in cui ha attestato "di non aver riportato condanna, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale [...] rilevante ai fini dell'inconferibilità e cioè: Peculato (art. 314) [...]", assumendosi espressamente l'obbligo di procedere alla " comunicazione tempestiva in ordine all'insorgere di una delle cause di inconferibilità e di incompatibilità di cui al decreto legislativo n. 39/2013".

In data 10 febbraio 2020, in seguito all'assegnazione, a far data dal 1° gennaio 2020, dell'incarico di Responsabile dell'Area economico-finanziaria del comune di Tocca da Casauria (PE) con scadenza indeterminata, il dott. F. ha reso la medesima dichiarazione attestante l'insussistenza di cause di inconferibilità.

La difesa di F. ha sostenuto nella memoria di costituzione che la causa di inconferibilità prevista dall'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 non si applicherebbe alla sua situazione e ha contestato l'assunto della Procura contabile circa il fatto che il convenuto abbia falsamente attestato l'assenza di tale condizione nelle sue dichiarazioni, affermando che il patteggiamento non dovrebbe essere considerata una condanna ai fini dell'inconferibilità.

La difesa ha interpretato, inoltre, l'art. 3, comma 7, del d.lgs. 39/2013 in combinato disposto con l'art. 166 del codice penale, che riguarda la sospensione condizionale della pena, sostenendo che una pena sospesa non dovrebbe impedire l'accesso alle cariche pubbliche, salvo quanto esplicitamente previsto dalla legge. Secondo la tesi difensiva l'art. 3, comma 7, d.lgs. n. 39/2013 dovrebbe applicarsi solo alle sentenze superiori a due anni di reclusione, garantendo così la coerenza e la sistematicità del quadro giuridico.

Il convenuto contesta, quindi, sotto un primo profilo, l'insussistenza di un divieto di inconferibilità degli incarichi in caso di pena sospesa ex art. 166 c.p.

Ad avviso del Collegio, l'inconferibilità, istituto che mira a prevenire la corruzione e garantire l'imparzialità della P.A., non rientra in nessuna delle ipotesi indicate dall'art. 166 c.p. e di per sé la sospensione condizionale della pena non è idonea ad escludere automaticamente la conferibilità.

La Cassazione ha precisato che il beneficio della sospensione condizionale della pena si applica solo alle pene principali e a quelle accessorie, ma non, ad esempio, alle sanzioni amministrative accessorie (Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 27297 del 10 maggio 2019).

L'ANAC ha inoltre evidenziato che l'inconferibilità non rientra nella categoria delle misure sanzionatorie (penali o amministrative), ma attiene ad uno status soggettivo in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati contro la pubblica amministrazione.

Con atto del Presidente ANAC del 7 dicembre 2022, è stata ribadita la piena operatività del divieto stabilito dall'art. 3 del d.lgs. 39/2013 anche nell'ipotesi in cui la sentenza di condanna che ne costituisce il presupposto sospenda la pena.

Anche il Consiglio di Stato ha confermato l'applicazione dell'art. 3 del d.lgs. 39/2013 per i dirigenti condannati con pena sospesa, come indicato nella sentenza n. 6538 del 25 luglio 2022.

L'attribuzione o il mantenimento degli incarichi specificamente elencati all'art. 3, comma 1, del d.lgs. 39/2013, è vietata quindi per carenza di un requisito soggettivo, dovendosi rintracciare nella sentenza di condanna una prova dell'inidoneità alla spendita di poteri pubblici nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a.

Inoltre, come ha evidenziato la Procura, il convenuto ha attestato l'insussistenza della causa di inconferibilità prevista sia ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 che dell'art. 35-bis d.lgs. n. 165/2001.

Con riferimento ai rapporti tra l'art. 3 del d.lgs. 39/2013 e l'art. 35-bis del d.lgs. 165/2001, il Collegio osserva che l'art. 35-bis del d.lgs. n. 165/2001 rappresenta una diversa fattispecie di inconferibilità, atta a prevenire il discredito, altrimenti derivante all'Amministrazione, dovuto all'affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà: in questo senso, preclude il conferimento di alcuni uffici o lo svolgimento di specifiche attività ed incarichi particolarmente esposti al rischio corruzione.

Anche con riferimento all'art. 35-bis citato, che prevede che coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, tra gli altri, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, va ritenuto che è vietata l'assegnazione a un dipendente condannato per i reati menzionati, anche se la pena è sospesa.

Per tali ragioni, questo Collegio non condivide l'affermazione di parte convenuta che sostiene la rilevanza della sospensione condizionale della pena ai fini dell'inapplicabilità dell'inconferibilità.

6. Una rilevanza decisiva, invece, ai fini della decisione, assume la questione relativa alla sussistenza o meno di un obbligo dichiarativo nel caso di specie.

La difesa sostiene che F. non era obbligato a segnalare la sentenza quando ha rilasciato le diverse dichiarazioni ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 39/2013, facendo riferimento all'art. 28, comma 8, del d.P.R. 313/2002, il quale afferma che le persone non sono tenute a dichiarare le sentenze di patteggiamento con una pena inferiore a due anni.

Sottolinea anche che F. ha fornito un certificato del casellario giudiziale con la dicitura "nulla", dimostrando la sua diligenza e buona fede.

Afferma inoltre che il certificato ottenuto dal Segretario comunale di Tocco da Casauria è stato acquisito in violazione dell'art. 21 del d.P.R. n. 313/2002, sostenendo che solo le autorità giudiziarie possono ottenere certificati completi, mentre le pubbliche amministrazioni possono accedere solo a certificati selettivi.

La difesa evidenzia anche che i moduli standard per le dichiarazioni di cui all'art. 20 fanno riferimento al d.P.R. n. 445/2000, che disciplina la forma e il contenuto delle dichiarazioni sostitutive, e conclude che F. non poteva sapere che la sentenza di patteggiamento era causa di inconferibilità e che non era obbligato a indicarla.

Tanto premesso, va rilevato che, con nota del 20 febbraio 2025, la difesa del convenuto F. ha depositato la sentenza n. 81 del 18 febbraio 2025, emessa dal G.U.P. presso il tribunale di Pescara, che, giudicando sulle dichiarazioni rese anche al Comune in esame, ha assolto il convenuto dalle accuse di falso per aver omesso di dichiarare di non trovarsi in una situazione di inconferibilità ex artt. 3 e 5 del d.lgs. 39/2013, nonché per il reato di truffa a tale dichiarazione collegato, perché il fatto non sussiste.

Il giudice penale ha fondato la decisione in esame sulla sentenza della Cassazione penale, Sez. V, n. 38152/2023.

Detta ultima sentenza ripercorre l'iter della normativa in materia ed evidenzia che, in base all'art. 175 del codice penale, in caso di una prima condanna con pena detentiva non superiore a due anni o pena pecuniaria non superiore a 516 euro, il giudice può ordinare che non venga menzionata la condanna nel certificato del casellario giudiziale richiesto da privati.

La motivazione del suddetto provvedimento giurisdizionale specifica che, in passato, si riteneva che questa disposizione non si applicasse ai certificati richiesti dalla pubblica amministrazione, in base al testo dell'art. 688, comma 1, del codice di procedura penale, che garantiva a ogni organo con giurisdizione penale il diritto di ottenere certificati di tutte le iscrizioni a nome di una persona per ragioni di giustizia. Tale diritto era esteso anche alle amministrazioni pubbliche e agli enti incaricati di pubblici servizi, quando il certificato era necessario per le loro funzioni. Pertanto, si concludeva che le P.A. avevano il diritto di sapere se una persona avesse subito una condanna definitiva e la non menzione riguardava solo i certificati richiesti dai privati.

Tuttavia - prosegue la decisione in esame - questa normativa è cambiata con l'emanazione del d.P.R. n. 313/2002, che ha abrogato l'art. 688 del codice di procedura penale: la normativa di riferimento è oggi quella dell'art. 28 del citato decreto, che conferisce alle amministrazioni pubbliche e ai gestori di pubblici servizi il diritto di ottenere solo alcuni certificati relativi a persone maggiori di età solo quando tali certificati sono necessari per l'esercizio delle loro funzioni.

La decisione richiamata afferma quindi che con l'abrogazione dell'art. 688 è venuta meno l'equiparazione tra la pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi e gli organi con giurisdizione penale, gli unici che mantengono il diritto di acquisire certificati di tutte le iscrizioni esistenti senza i limiti della non menzione previsti dall'art. 175 del codice penale.

Afferma anche che la pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi possono ottenere solo i certificati previsti dagli artt. 23 e 27 del decreto e che sia l'art. 24 che l'art. 25 escludono esplicitamente che nei certificati siano riportate le condanne per le quali è stato ordinato che non si faccia menzione, purché il beneficio non sia stato revocato, così come quelle per le quali è stata dichiarata la riabilitazione.

L'evoluzione normativa, precisa ancora la decisione della Suprema Corte, è stata ulteriormente completata dall'art. 28, comma 8, del d.P.R. n. 313 del 2002, modificato dal d.lgs. n. 122 del 2018, che stabilisce che l'interessato non è tenuto a indicare nel casellario giudiziale le iscrizioni riguardanti sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, se la pena è contenuta nel limite di due anni di pena detentiva o se inflitte con decreto penale di condanna.

L'interrogativo relativo all'applicabilità dell'art. 28, comma 8, del d.P.R. n. 313/2002 - il quale esonera dal dichiarare sentenze di patteggiamento con pene inferiori a due anni - alle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 39/2013 è stato quindi risolto nella sentenza n. 81/2025 del G.I.P. di Pescara, conformemente alla Cassazione penale, Sez. V, n. 38152/2023, nel senso che l'interessato non era tenuto a indicare le iscrizioni riguardanti le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti.

7. Ai fini della configurabilità di una responsabilità amministrativa, le circostanze sopra esposte escludono, ad avviso del Collegio, la possibilità di configurare l'elemento soggettivo del dolo o della colpa a carico del convenuto F.

Il Collegio ritiene inoltre rilevante il fatto che il giudice penale, in relazione alle medesime dichiarazioni oggetto di contestazione, abbia statuito che l'omissione della sentenza di patteggiamento non costituiva reato di falso, in quanto correttamente escludeva una condanna con applicazione della pena su richiesta delle parti inferiore a due anni e con pena sospesa.

La decisione del G.U.P. di Pescara n. 81/2025 ha infatti stabilito che l'interessato non era tenuto a indicare la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti in quanto contenuta nel limite di due anni di pena detentiva. Questa disposizione, interpretata conformemente alla sentenza della Cassazione penale n. 38152/2023, ha portato il giudice penale di Pescara ad assolvere il dott. F. dalle accuse di falso per aver omesso di dichiarare di non trovarsi in una situazione di inconferibilità, poiché il fatto non sussisteva.

Il giudice penale ha quindi ritenuto che la dichiarazione sulle cause di inconferibilità andasse formulata ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, il quale, all'art. 46, comma 1, lett. aa), prevede la possibilità di comprovare con dichiarazioni sostitutive la circostanza di non aver riportato condanne penali iscritte nel casellario giudiziale secondo la normativa vigente. L'art. 24 del d.P.R. n. 313/2002, nel testo allora vigente, escludeva infatti l'inclusione nel casellario giudiziale dei provvedimenti previsti dall'art. 445 c.p.p.

Non ignora il Collegio che in base alla diversa ricostruzione ermeneutica proposta dalla Procura erariale si possa ritenere che la dichiarazione resa ex art. 20 del d.lgs. n. 39/2013 sia diversa dal punto di vista del contenuto di quella da rendere ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. 445/2000 in quanto la prima concerne l'insussistenza di cause di inconferibilità degli incarichi e si estende anche alle condanne inflitte con sentenza non passata in giudicato, mentre la dichiarazione sostitutiva di certificazioni resa ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, riguarda invece l'esistenza di precedenti condanne iscritte nel casellario giudiziale.

Il Collegio ritiene, tuttavia, che, nonostante la motivazione delle decisioni prodotte dal convenuto si riferisca all'originaria formulazione dell'art. 28 del d.P.R. n. 313/2002 che effettivamente precludeva un accesso più esteso rispetto a quello del privato alle pubbliche amministrazioni, a differenza delle successive formulazione del testo, la sentenza in esame riguarda le medesime dichiarazioni oggetto di contestazione relativamente ai Comuni di Giuliano Teatino, Torre de' Passeri e Tocco da Casauria.

Il giudice penale ha evidentemente ritenuto che la dichiarazione sulle cause di inconferibilità andasse formulata ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. 445/2000, il quale prevede, al comma 1, lett. aa), che possono essere comprovati con dichiarazioni sottoscritte dall'interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni, tra le altre, "la circostanza di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l'applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa", e ai sensi dell'art. 24 del d.P.R. 313/2002, nel testo allora vigente, che prevedeva al comma 1, lett. e), che i provvedimenti previsti dall'art. 445 c.p.p. non dovessero essere inclusi nel casellario giudiziale, mentre le formulazioni successive hanno previsto che non dovessero essere inclusi i medesimi provvedimenti solo laddove vi fosse una condanna inferiore a due anni con pena sospesa, ipotesi nella quale rientra comunque la pregressa condanna per peculato del convenuto F.

Del resto, anche l'ANAC ha pubblicato sul proprio sito un modello di dichiarazione delle cause di inconferibilità che fa espressamente riferimento al d.P.R. n. 445/2000, come anche tantissime altre amministrazioni pubbliche.

In considerazione di quanto sopra esposto il Collegio ritiene che, così ricostruita la fattispecie giuridica, venga meno la condotta contestata dalla Procura al convenuto F. di aver dichiarato falsamente la pregressa esistenza di una condanna con pena patteggiata inferiore a due anni o di aver omesso tale dichiarazione.

Con riferimento alle dichiarazioni annuali omesse va anche osservato che vi è distinzione tra cause di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, disciplinate rispettivamente dagli artt. 3-8 e 9-14 del d.lgs. 39/2013, e l'art. 20 che, solo per le cause di incompatibilità, prevede la presentazione da parte dell'interessato di una dichiarazione annuale.

Tanto rilevato, anche qualora si acceda alla diversa tesi prospettata dalla Procura, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, non possa ritenersi dimostrato che il convenuto abbia agito con dolo al fine di occultare la propria condanna, né che abbia agito con colpa grave, laddove anche il giudice penale - soggetto terzo, estraneo ed imparziale - in relazione alle medesime dichiarazioni oggetto del presente giudizio, ha ritenuto che le stesse non fossero false, in quanto correttamente escludevano una condanna con applicazione della pena su richiesta delle parti inferiore a due anni e con pena sospesa, e fossero state quindi correttamente rese, così come l'ANAC, più in generale, allorquando ha previsto nei propri modelli che la dichiarazione andasse resa ai sensi del d.P.R. 445/2000.

Risulta quindi condivisibile quanto affermato dalla difesa che non vi è prova dell'elemento soggettivo richiesto dall'art. 1 della l. n. 20/1994, necessario per dimostrare che F. ha intenzionalmente rilasciato false dichiarazioni, fornendo un certificato dell'autorità competente che riportava "nulla" e che, se c'è stato un errore, è stato scusabile a causa dell'ambiguità delle normative, con particolare riferimento all'art. 28 del d.P.R. 313/2002, che esclude l'obbligo di dichiarare le sentenze di patteggiamento con una pena inferiore a due anni se sono sospese condizionalmente.

La difesa afferma anche che l'atto di citazione non fornisce, quindi, alla luce della sentenza penale, adeguate prove che il convenuto abbia agito con l'intenzione di causare danni alla finanza pubblica, ai sensi della modifica introdotta dall'art. 21 della l. 120/2020, che ha ridefinito il dolo erariale, richiedendo una dimostrazione più rigorosa dell'elemento soggettivo, in linea con l'art. 43 del codice penale.

Risultano assorbiti gli ulteriori motivi.

8. Al mancato accoglimento della domanda di responsabilità amministrativa segue la liquidazione delle spese di lite sulla base dell'importo delle contestazioni della Procura, da riconoscersi nella misura di euro 1.200,00 oltre spese generali, IVA e CPA a favore del convenuto F.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, respinta ogni contraria istanza, deduzione o eccezione, con decisione definitiva:

- respinge la domanda di accertamento di responsabilità amministrativa nei confronti del convenuto dott. Salvatore F.;

- liquida le spese di lite nella misura di euro 1.200,00, oltre spese generali, IVA e CPA a favore del convenuto F.