Corte dei conti
Sezione II centrale d'appello
Sentenza 4 giugno 2025, n. 131
Presidente: Loreto - Estensore: Contino
FATTO
1. Con la sentenza n. 48/2024 la Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in parziale accoglimento dell'azione di responsabilità intentata dalla Procura contabile, condannava il sig. S. Cosimo al pagamento di euro 18.000, oltre interessi legali, in favore del Comune di Samatzai, nonché al pagamento di euro 3.000, oltre interessi legali, in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano, a titolo di risarcimento per una ipotesi di danno all'immagine.
2. L'azione erariale era scaturita da una segnalazione inoltrata dal Nucleo PEF della Guardia di finanza, con la quale si comunicava che il sig. S. era stato condannato per il reato di peculato continuato di cui all'art. 314 c.p., con sentenza n. 644 del 23 settembre 2020, emessa ex art. 447 c.p.p. dal Tribunale di Cagliari, passata in giudicato il 14 ottobre 2020.
Il giudice penale, infatti, aveva accertato che il sig. S., quale responsabile del Comune di Samatzai e dell'Unione dei Comuni del basso Campidano, nel periodo compreso tra giugno 2012 e ottobre 2016, attraverso l'emissione non giustificata di una pluralità di mandati di pagamento, aveva versato sul proprio conto corrente e su un conto cointestato alla moglie la complessiva somma di euro 208.374,43.
Secondo la Procura, tale condotta, perpetrata dal S. abusando della propria qualità, avrebbe avuto l'effetto di ledere gravemente il prestigio, l'onorabilità e l'affidabilità delle amministrazioni di appartenenza; sicché, ritenendo sussistenti i presupposti normativi per azionare il danno all'immagine, lo citava in giudizio per sentirlo condannare al pagamento di euro 179.625,71 in favore del Comune di Samatzai e di euro 28.748,72 in favore dell'Unione dei Comuni.
In citazione, con riferimento alla quantificazione del danno, evidenziava che, sebbene i fatti fossero stati posti in essere durante la vigenza dell'art. 1, comma 62, della l. n. 190/2012, disposizione che ha introdotto la regola del "doppio tangentizio" (e quindi la presunzione, salva prova contraria, che il danno all'immagine arrecato alla P.A. sia pari al doppio della somma di denaro illecitamente percepita), riteneva equo, in considerazione dell'avvenuta integrale restituzione delle somme sottratte, parametrare il vulnus all'immagine pubblica all'importo del danno patrimoniale e non al suo doppio.
3. Con la sentenza n. 48/2024, la Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, pur condividendo la prospettazione attorea sulla sussistenza del danno all'immagine, rideterminava il quantum debeatur nella complessiva somma di euro 21.000, di cui euro 18.000 in favore del Comune di Samatzai ed euro 3.000 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano. Ciò in base all'assunto secondo cui si dovesse considerare, ai fini della quantificazione, che erano trascorsi ormai molti anni dalla realizzazione dei fatti delittuosi, con una conseguente apprezzabile attenuazione della forza lesiva riveniente dagli illeciti perpetrati; che la divulgazione giornalistica della vicenda era stata minima (quattro articoli sul quotidiano regionale "L'Unione Sarda") e limitata nel tempo, considerato anche l'esercizio del c.d. diritto all'oblio, con un impatto mediatico negativo sostanzialmente ristretto all'ambito del Comune di Samatzai; che il convenuto aveva complessivamente già restituito la somma di euro 231.702,97, di molto superiore al danno patrimoniale oggetto della condanna.
Il Collegio territoriale, infine, non accoglieva la richiesta di esercizio del potere riduttivo trattandosi di condotta dolosa.
4. Con atto notificato in data 21 maggio 2024 e depositato il 22 maggio 2024, ha proposto appello il sig. S. Cosimo con il patrocinio degli avvocati Benedetto Ballero e Francesco Mele, formulando i seguenti motivi.
4.1. Carenza motivazionale in ordine alla residua sussistenza del danno all'immagine.
L'appellante ha argomentato la censura rilevando di aver integralmente e spontaneamente risarcito il danno erariale per un totale di euro 208.374,43 e di avere, altresì, versato al Comune di Samatzai una ulteriore somma di euro 23.328,54 a titolo di danno da disservizio (come da precedente sentenza di condanna). Secondo l'assunto difensivo, dunque, in ragione di una valutazione globale della vicenda, nella somma risarcita per il disservizio sarebbe possibile ricomprendere anche il ripristino del danno all'immagine. In ogni caso, ha opposto di non aver mai concorso ad alimentare il clamore mediatico della vicenda, avendo peraltro esercitato il diritto all'oblio. Infine, ha escluso che la P.A. abbia patito un vulnus all'immagine nella vicenda, manifestando, al contrario, di avere prontamente reagito non solo licenziando immediatamente il dipendente infedele ma anche recuperando integralmente le somme sottratte e l'ulteriore e consistente somma (quale danno da disservizio) in favore delle casse pubbliche.
4.2. Carenza motivazionale in ordine ai criteri seguiti per quantificare il danno.
Con la seconda censura l'appellante sostiene che la Corte territoriale non avrebbe correttamente contemperato i criteri (oggettivo, soggettivo e sociale) utilizzati per la valutazione equitativa, "nell'ottica imposta dalle Corti sovranazionali, con il contestuale concorso del binario penale definito nel caso de quo con sentenza di applicazione della pena, e di quello disciplinare, culminato con il licenziamento del dipendente" (pag. 5 atto d'appello).
Inoltre, lamenta che nella quantificazione operata dal giudice di prime cure non è stato tenuto in alcuna considerazione il parametro soggettivo della propria capacità patrimoniale; sul punto ha precisato che per pagare la somma di euro 231.702,97 aveva dovuto fare ricorso non solo a tutto il suo patrimonio, ma a tutte le forme di indebitamento, sicché attualmente, vista la capacità reddituale di euro 1.000,00 mensili, pur volendo, non è in grado di poter affrontare l'ulteriore condanna a euro 21.000,00 a titolo di danno all'immagine, comminata con la sentenza impugnata.
4.3. Ha pertanto concluso chiedendo, in via principale e in accoglimento dei motivi di appello, la riforma della sentenza impugnata per essere stato già risarcito il danno all'immagine richiesto; in via subordinata, la rideterminazione ex art. 1226 c.c. della somma imputata a titolo di danno all'immagine.
5. In data 24 marzo 2025 la Procura generale ha rassegnato le proprie conclusioni controdeducendo puntualmente alle due censure opposte dall'appellante e chiedendo il rigetto dell'impugnazione.
6. In data 27 marzo 2025, l'appellante ha depositato note d'udienza ove ha ribadito le prospettazioni difensive articolate nell'atto di gravame e le conclusioni ivi rassegnate.
7. All'odierna udienza le parti presenti hanno esposto le loro difese concludendo come da verbale.
DIRITTO
I. L'appello in esame mira alla riforma della sentenza n. 48/2024 con la quale la Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna ha condannato l'appellante S. Cosimo al pagamento di euro 18.000 in favore del Comune di Samatzai e al pagamento di euro 3.000 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano a titolo di risarcimento del danno all'immagine per i fatti accertati con sentenza penale, divenuta irrevocabile in data 14 ottobre 2020.
L'appello è parzialmente fondato.
II. Con il primo motivo di gravame, l'appellante ha censurato la statuizione decisoria nella parte in cui non ha ritenuto che il danno all'immagine per cui è causa fosse stato già ripristinato in ragione del pagamento dell'ulteriore somma di euro 23.328,54 a titolo di ristoro del danno da disservizio. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, la vicenda avrebbe dovuto essere valutata al di là delle "formali catalogazioni delle voci di danno" (pag. 4 dell'atto d'appello).
La censura non è fondata.
II.1. In linea generale si premette che la condotta contra legem realizzata da un dipendente o da un amministratore pubblico può causare più eventi lesivi, allorché sia intrinsecamente idonea a pregiudicare una pluralità di beni giuridici, ontologicamente differenti e tutti meritevoli di tutela. In questi casi, la condotta materiale reca con sé il carattere della plurioffensività. Peraltro, per quanto una simile condizione possa, in tesi, verificarsi in qualsiasi tipo di illecito amministrativo-contabile, dipendendo il suo realizzarsi solo dagli elementi che caratterizzano in concreto la vicenda specifica, di solito essa si realizza prevalentemente quando la condotta del dipendente e/o dell'amministratore pubblico integri uno dei delitti contro la Pubblica amministrazione. In questi casi, infatti, le condotte possono causare oltre al danno patrimoniale per il depauperamento causato all'erario, anche un danno all'immagine della P.A., oltreché un danno da disservizio per la collettività; si configura dunque una sorta di concorso formale di illeciti amministrativi contabili, con ciò volendo appunto significare che una sola condotta si mostra intrinsecamente idonea a pregiudicare una pluralità di beni giuridici.
II.2. Ciò chiarito, tornando alla fattispecie all'esame, è indubbio che la condotta posta in essere dall'odierno appellante rechi con sé il carattere della plurioffensività.
Il S., infatti, nella sua qualità di responsabile del Servizio finanziario sia del Comune di Samatzai che dell'Unione dei Comuni del basso Campidano, nel periodo contestato ha emesso una pluralità di mandati di pagamento attraverso i quali ha effettuato indebiti versamenti sul conto corrente personale e sul conto corrente cointestato a se medesimo e alla moglie per un totale di euro 208.374,43.
Oltre a causare un ingente depauperamento all'erario, e nello specifico al Comune di Samatzai per euro 179.625,71 e all'Unione dei Comuni per euro 28.748,72, ha altresì pregiudicato il diverso bene giuridico che la giurisprudenza configura come diritto della collettività alla qualità del servizio pubblico nei suoi intrinseci elementi della legalità, efficacia, efficienza ed economicità; il danno da disservizio (già risarcito dall'appellante) nella fattispecie è stato parametrato alla spesa che le amministrazioni danneggiate hanno sostenuto per provvedere all'attenta e minuziosa ricostruzione di tutte le scritture contabili con evidente aggravio per l'agere pubblico: al riguardo si veda la sentenza di condanna della Sezione Sardegna n. 19/2018, confermata dalla Seconda sezione centrale d'appello con sentenza n. 157/2022.
Non solo; con la medesima condotta illecita, l'appellante ha compromesso altresì l'immagine e il prestigio della pubblica amministrazione, oggetto dell'odierno giudizio. Si tratta di un bene-valore, ontologicamente differente da quelli tutelati con il danno patrimoniale o con il danno da disservizio, che è coessenziale all'esercizio delle pubbliche funzioni e la cui lesione determina la rottura degli intimi sentimenti di affidamento e di appartenenza alle istituzioni: sentimenti che, come chiarito dalla giurisprudenza, giustificano la stessa collocazione dello Stato-apparato e degli altri enti, e specialmente degli enti territoriali (quali enti "esponenziali" della collettività residente nel loro territorio), tra "le più rilevanti formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell'uomo", ex art. 2 Cost. (cfr. Sez. III centr. app., n. 143/2009; Sez. riun., n. 1/2011).
Ciò posto, deve ritenersi corretta e del tutto condivisibile la statuizione del giudice di prime cure che ha ritenuto non assorbito dal danno da disservizio il vulnus al prestigio e all'immagine dell'Amministrazione di appartenenza, per cui è causa.
II.3. L'appellante lamenta altresì che il giudice di prime cure, al fine di escludere il danno all'immagine, non ha tenuto in considerazione "il complessivo comportamento dell'odierno appellante che non ha mai concorso ad alimentare il clamore mediatico della vicenda e, anzi, si è attivato spontaneamente, attraverso l'esercizio del diritto all'oblio, a eliminare qualsiasi traccia della notizia, peraltro con scarsissima rilevanza giornalistica" (pag. 4 atto d'appello).
Ebbene, anche tale prospettazione argomentativa non è condivisa.
Come chiarito dalla prevalente giurisprudenza e da questa stessa Sezione d'appello, «il clamor fori non può considerarsi elemento integrativo, né costitutivo del danno all'immagine, incidendo, al più, solo sulla sua quantificazione quale circostanza aggravante, sicché il danno è configurabile anche in assenza di clamor fori, atteso che "il clamore e la risonanza non integrano la lesione ma ne indicano la dimensione" (ex multis, Sez. riun., n. 10/2003/QM; Sez. II app., n. 178/2020, n. 183/2020, n. 290/2020, n. 563/2018, n. 271/2017; Sez. I app., n. 376/2023, n. 490/2019». I richiamati principi sono stati ribaditi anche dalla giurisprudenza contabile più recente (Sez. II app., n. 110/2025, n. 222/2024, n. 60/2024, n. 265/2023, n. 181/2019; Sez. III app., n. 210/2024, n. 259/2024).
Il danno all'immagine, dunque, scaturisce direttamente dal comportamento illecito del dipendente e non dalla diffusione dell'illecito stesso che ne dà la stampa. Come innanzi rilevato tale tipologia di danno «si atteggia quale lesione del buon andamento della P.A. che perde, in ragione della condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilità e affidabilità sia internamente, nei confronti dei dipendenti, che all'esterno della propria organizzazione, radicando la percezione che i comportamenti patologici e distorti possano essere una connotazione usuale nell'azione dell'amministrazione (ex plurimis Corte dei conti, Sez. III, sentenza n. 210/2024)» (Sez. II app., sent. n. 110/2025).
Il giudice di prime cure, dunque, proprio in coerenza con i principi testé richiamati, ha valutato l'entità del clamor fori ai soli fini del quantum debeatur e non per l'accertamento dell'an debeatur; a pag. 13 della sentenza appellata, infatti, nel riportare gli elementi di giudizio valutati equitativamente, ex art. 1226 c.c., per addivenire alla considerevole riduzione del danno all'immagine, il giudice richiama, tra gli altri, "... il fatto che la divulgazione giornalistica della vicenda è stata minima (quattro articoli sul quotidiano regionale L'Unione Sarda) e limitata nel tempo (considerato anche l'esercizio del c.d. diritto all'oblio), con un impatto mediatico negativo sostanzialmente ristretto all'ambito del Comune di Samatzai".
Chiarito che il danno all'immagine scaturisce direttamente dalla condotta criminosa del dipendente, nessun rilievo possono assumere, ai fini della configurabilità del pregiudizio erariale in esame, le ulteriori circostanze richiamate dall'appellante, quali il licenziamento del dipendente e il ripristino del danno. Anche l'esercizio del diritto all'oblio, come evidenziato dal Procuratore generale nelle proprie conclusioni, non costituisce strumento di riparazione del danno all'immagine della P.A. bensì una prerogativa esercitata dal soggetto autore della condotta illecita nel proprio personale interesse.
Conclusivamente non vi sono motivi per riformare la statuizione del primo giudice che ha ritenuto sussistente e attuale il danno all'immagine.
III. Con il secondo motivo di appello, il sig. S. ha censurato la sentenza di primo grado ritenendo eccessiva la quantificazione del danno.
In particolare, l'appellante ha criticato l'ammontare del danno quantificato dalla Sezione rilevando che i parametri di valutazione utilizzati non sarebbero stati "contemperati, nell'ottica imposta dalle Corti sovranazionali, con il contestuale concorso del binario penale, definito nel caso de quo con sentenza di applicazione della pena, e di quello disciplinare, culminato con il licenziamento del dipendente" (pag. 5 dell'appello).
Inoltre, ha lamentato che proprio nella valutazione equitativa ex [art.] 1226 c.c. il giudice non avrebbe tenuto conto del parametro soggettivo relativo alla sua bassa capacità patrimoniale.
Ebbene, in primo luogo si ricorda che il Collegio di prime cure, nella sua valutazione equitativa, ha già sensibilmente ridotto il danno erariale da euro 208.374,43 (di cui euro 179.625,71 in favore del Comune di Samatzai ed euro 28.748,72 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano) a euro 21.000 (rispettivamente, euro 18.000 in favore del Comune di Samatzai ed euro 3.000 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano).
III.1. Passando all'esame delle prospettazioni difensive, non può essere accolta la richiesta di considerare, ai fini della quantificazione del danno all'immagine, il montante giurisprudenziale europeo genericamente evocato dall'appellante. Nonostante la genericità della richiesta, quasi ai limiti della comprensibilità, si ritiene che il S. verosimilmente abbia inteso fare riferimento alla giurisprudenza delle Corti sovranazionali europee (Corte di giustizia UE e Corte EDU) che si è formata sulla portata applicativa del principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e all'art. 50 della CDFUE.
Ebbene, in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte, si rileva che la responsabilità amministrativa ha una sua assoluta autonomia rispetto a quella civile e penale in ragione del carattere risarcitorio che la caratterizza e ciò in piena coerenza con l'art. 28 della Costituzione, a cagione del quale "i dipendenti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi civili, penali e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti...". In quanto responsabilità risarcitoria, essa non offre alcun elemento per essere attratta nella materia "sostanzialmente "o "convenzionalmente" penale, secondo i criteri fissati nella sentenza Grande Stevens. Di tanto, del resto, mette conto la sentenza Rigolio (ric. 20148/2009) della Corte EDU nel 2014 (decisione confermata con sentenza del 9 marzo 2023) ove, proprio con riferimento alla riparazione del danno all'immagine, è stato puntualizzato che il risarcimento erariale statuito dal giudice contabile è finalizzato unicamente a riparare un pregiudizio di natura pecuniaria e che quindi ha carattere di risarcimento e non di "punizione".
Ciò considerato, la richiamata giurisprudenza europea, e in particolare la decisione Rigolio, autorizza a ritenere non coinvolta dalle problematiche di diritto europeo in tema di ne bis in idem la responsabilità amministrativo-contabile nella sua dimensione risarcitoria, potendosene ritenere esclusa la sua riconducibilità alla materia penale convenzionalmente intesa.
III.2. Non fondato è l'assunto difensivo secondo cui il giudice di prime cure avrebbe dovuto considerare, per la quantificazione in via equitativa del danno, la bassa capacità reddituale del S., circostanza indicata dalla difesa quale "parametro soggettivo" di valutazione ai fini dell'art. 1226 c.c.
Si premette, in proposito, che non può trascurarsi il dato esegetico che si rinviene in merito alla portata [dell'art. 1, comma] 62, l. n. 190/2012, in considerazione del fatto che il criterio del duplum delle somme di denaro che il dipendente abbia illecitamente percepito è stato introdotto in via di presunzione semplice, valevole fino a prova del contrario (cfr. Sez. II app., n. 222/2024).
Pertanto, quando non si ritiene opportuno fare ricorso al criterio di cui all'art. 1, comma 62, della l. 190/2012, come è stato espressamente evidenziato dalla Procura regionale nella fattispecie in esame, il giudice procede a quantificare il danno all'immagine sulla scorta degli indicatori di lesività oggettiva, soggettiva e sociale che sono stati bene individuati dalle Sezioni riunite di questa Corte (in particolare sentenza n. 10/QM/2003) e richiamati nella giurisprudenza contabile successiva, nonché indicati dalla Corte di cassazione, Sezioni unite penali (sent. 15208/2010). Nello specifico, è tenuto a valutare ogni circostanza relativa alla natura del fatto, alla modalità di perpetrazione dell'evento pregiudizievole, alla eventuale reiterazione dello stesso (parametro oggettivo); ogni elemento legato al ruolo rivestito dal pubblico dipendente nell'ambito della Pubblica Amministrazione (parametro soggettivo); ogni indicatore della diffusione e dell'amplificazione del fatto nell'ambito dell'opinione pubblica locale e anche all'interno della stessa Amministrazione, e quindi il clamor fori che, come innanzi evidenziato, ne rileva esclusivamente la dimensione.
Entrano dunque nella valutazione del giudice parametri che, per la loro stessa natura, condizionano l'entità del bene-valore che il legislatore intende tutelare con il risarcimento del danno all'immagine, sì da valorizzarne un maggiore o minore pregiudizio.
La circostanza invocata dalla difesa come parametro soggettivo per la quantificazione equitativa, e cioè la situazione patrimoniale del S., invece, oltre a non essere stata concretamente dimostrata, non appare idonea ad attenuare l'entità della lesione al prestigio e al decoro della Pubblica Amministrazione, trattandosi, come pure rilevato dal Procuratore generale, di un elemento di per sé privo di efficacia in tal senso.
Correttamente, dunque, il giudice di prime cure non ha inteso considerare la situazione economica personale del S.
III.3. Tuttavia, ritiene questo giudice che, tra gli indicatori correttamente valutati dal primo giudice per quantificare il danno, nella fattispecie debba assumere un maggiore rilievo la circostanza che l'appellante abbia spontaneamente versato tutti gli importi cui è stato condannato dal giudice contabile. Il dott. S., infatti, ha già restituito la complessiva somma di euro 231.702,97 a fronte di un danno patrimoniale pari a euro 208.374,43.
Tale elemento, a parere del Collegio, ha senz'altro avuto un'incidenza positiva sull'immagine pubblica, quantomeno sotto il profilo del parametro sociale. Il prestigio e il buon nome della P.A. che il S. ha indubbiamente compromesso con il proprio agere illecito può dirsi parzialmente neutralizzato dalla condotta successiva che lo ha visto, in un'ottica collaborativa e nel desiderio di porre rimedio alla propria condotta, risarcire integralmente il danno patrimoniale oltreché il danno da disservizio. La notizia che il dipendente ha assicurato all'Amministrazione di appartenenza l'equivalente di quanto a essa spettante qualora il dipendente avesse agito in osservanza degli obblighi e dei doveri di ufficio, dunque, non può non aver inciso positivamente, almeno in parte, sul rapporto di fiducia che intercorre tra lo Stato-apparato e i cittadini, rapporto precedentemente incrinato dal suo comportamento illecito.
Ciò posto, ritiene il Collegio che, oltre alle circostanze già adeguatamente considerate dal giudice di prime cure, e richiamate a pagina 13 della sentenza appellata, debba essere maggiormente valorizzata la condotta dell'appellante che ha cercato di rimediare all'errore commesso pagando tutto quanto da lui dovuto nella vicenda giudiziaria contabile.
Ciò considerato, si ritiene che il danno all'immagine per cui è giudizio vada rideterminato nel complessivo importo di euro 5.000,00 di cui euro 4.000,00 in favore del Comune di Samatzai ed euro 1.000,00 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano.
IV. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto, il presente appello merita parziale accoglimento e, per l'effetto, in riforma parziale della decisione gravata, l'odierno appellante va condannato al pagamento, a titolo di danno all'immagine, dell'importo di euro 4.000,00 in favore del Comune di Samatzai, e di euro 1.000,00 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano, entrambe le somme già comprensive di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi, nella misura legale, dalla data di pubblicazione della presente sentenza e sino all'effettivo soddisfo.
L'accoglimento parziale dell'appello, lasciando inalterata l'affermazione della responsabilità erariale, comporta l'addebito all'appellante delle spese del presente grado di giudizio, ex art. 31, comma 1, c.g.c., nei termini statuiti nella parte dispositiva della presente decisione (Corte conti, Sez. II, n. 509/2022).
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente il presente appello e, per l'effetto, in riforma parziale della sentenza n. 48/2024 della Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, condanna il sig. S. Cosimo al pagamento, a titolo di danno all'immagine, dell'importo di euro 4.000,00 in favore del Comune di Samatzai, e di euro 1.000,00 in favore dell'Unione dei Comuni del basso Campidano, entrambe le somme già comprensive di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi, nella misura legale, dalla data di pubblicazione della presente sentenza e sino all'effettivo soddisfo.
Le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 112,00 (centododici/00), sono poste a carico dell'appellante.