Corte costituzionale
Sentenza 1° luglio 2025, n. 91

Presidente: Amoroso - Redattore: Buscema

[...] nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 259, comma 1, 261, comma 4, e 262, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione prima, nel procedimento vertente tra I. A. e altri e il Comune di Volla e altri, con ordinanza del 20 settembre 2024, iscritta al n. 213 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2024.

Visti gli atti di costituzione di I. A., G. P., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;

uditi gli avvocati Andrea Orefice e Angelo Caputo per I. A. e G. P., nonché l'avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2025.

RITENUTO IN FATTO

1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con ordinanza del 20 settembre 2024 (iscritta al reg. ord. n. 124 del 2024), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 259, comma 1, 261, comma 4, e 262, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), in riferimento agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 della Costituzione.

1.1.- Premette il rimettente di essere stato adito da I. A. e altri, in qualità di consiglieri comunali del Comune di Volla (Napoli), cittadini e proprietari di immobili nello stesso Comune, con ricorso per l'impugnazione della delibera del Consiglio comunale di Volla con la quale era stato dichiarato il dissesto finanziario del Comune stesso (delibera 4 ottobre 2023, n. 56) e degli atti a essa presupposti, connessi o conseguenti, inclusi il verbale del Collegio dei revisori dei conti contenente la relazione dell'organo di revisione sulle cause che hanno condotto al dissesto, il parere del Collegio dei revisori dei conti sul piano di rientro, nonché i pareri del responsabile del settore finanziario.

Con motivi aggiunti, depositati il 28 maggio 2024, i ricorrenti impugnavano anche ulteriori atti, segnatamente: la delibera della Giunta comunale 28 marzo 2024, n. 33, che approvava l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, per asserita incompetenza, poiché avrebbe dovuto provvedervi il Consiglio comunale; la successiva nota della Prefettura di Napoli 19 aprile 2024, n. 0147632, con la quale il Consiglio comunale è stato diffidato ad approvare entro 20 giorni l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato; la nota del Ministero dell'interno - Direzione centrale delle autonomie, 19 aprile 2024. n. 11647, citata dalla predetta nota della Prefettura, in cui il Ministero avrebbe evidenziato che, nel caso di specie, «l'inosservanza da parte del Consiglio comunale dei termini di approvazione dello schema di bilancio predisposto dalla Giunta, non ha come conseguenza automatica lo scioglimento dell'organo consiliare, ma comporta, a norma dell'art. 141 comma 1 lettera c) del TUEL, l'apertura di un procedimento sollecitatorio, che può anche condurre all'adozione della misura dello scioglimento, solo a seguito della constatata inadempienza da parte del Consiglio all'intimazione puntuale ed ultimativa del prefetto, qualora questi accerti l'impossibilità o la volontà del Consiglio di non approvare il bilancio (Cons. St., Sez. III 3.7.20 n. 4288)»; nonché la successiva delibera del Consiglio comunale di Volla, del 14 maggio 2024, all'epoca asseritamente non pubblicata, con la quale sarebbe stata approvata l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato - dopo la scadenza del termine perentorio di 3 mesi di cui all'art. 259 t. u. enti locali - e relativi allegati. I ricorrenti nel giudizio a quo sostenevano la doverosità dello scioglimento del Consiglio, ritenendo che non si possa far ricorso in via analogica (come invece inteso dal Prefetto, su parere del Ministero) all'art. 141, comma 1, lettera c), t. u. enti locali, disposizione che prevede l'assegnazione all'organo inadempiente di un termine per provvedere alla trasmissione del bilancio di previsione.

Con sentenza non definitiva 20 settembre 2024, n. 5039, il TAR rimettente ha respinto il ricorso relativamente ai motivi introduttivi mentre, con riferimento ai motivi aggiunti, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 259, comma 1, t. u. enti locali, limitatamente all'aggettivo «perentorio», la cui eventuale illegittimità costituzionale si riverbererebbe, in via consequenziale, sull'art. 261, comma 4, t. u. enti locali, sempre limitatamente all'aggettivo «perentorio», laddove stabilisce che all'istruttoria negativa della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali segua la prescrizione di presentare con deliberazione consiliare una nuova ipotesi di bilancio, entro il termine «perentorio» di 45 giorni dalla notifica del provvedimento di diniego; nonché dell'art. 262, comma 1, t. u. enti locali, limitatamente alla previsione secondo cui «[l]'inosservanza del termine per la presentazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all'articolo 261, comma 1, o del termine di cui all'articolo 261, comma 4, [...] integrano l'ipotesi di cui all'articolo 141, comma 1, lettera a)» (ossia lo scioglimento del consiglio comunale per atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico).

1.2.- In punto di rilevanza, premette il rimettente che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 259, comma 1, e 262, comma 1, t. u. enti locali, la trasmissione del progetto di bilancio stabilmente riequilibrato da parte del Consiglio comunale di Volla oltre il termine perentorio di 3 mesi dovrebbe determinare automaticamente lo scioglimento del medesimo Consiglio. Tale ricostruzione, secondo il TAR, imporrebbe l'accoglimento dei motivi aggiunti.

L'orientamento seguito dal Ministero e le azioni intraprese dalla Prefettura non apparirebbero, infatti, coerenti né con il tenore dell'art. 259, comma 1, t. u. enti locali - ai sensi del quale l'organo competente ad approvare l'ipotesi di bilancio sarebbe esclusivamente il consiglio comunale, nel termine perentorio di 3 mesi - né con l'art. 262, comma 1, t. u. enti locali, ai sensi del quale l'inosservanza del predetto termine determinerebbe lo scioglimento immediato del consiglio stesso, stante il rinvio in esso contenuto all'art. 141, comma 1, lettera a), t. u. enti locali (per cui «[i] consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico»).

1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, rileva il rimettente che le fattispecie di scioglimento dei consigli comunali previste tassativamente dalla legge - ad esclusione dello scioglimento per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, nonché per la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco (art. 52, comma 2, t. u. enti locali) - sarebbero le quattro elencate all'art. 141, comma 1, t. u. enti locali, ossia: «a) il compimento di atti contrari alla Costituzione, le gravi e persistenti violazioni di legge o i gravi motivi di ordine pubblico; b) l'impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi, per le cause ivi elencate; c) la mancata approvazione nei termini del bilancio; c-bis) nei Comuni al di sopra dei mille abitanti, la mancata adozione dello strumento urbanistico entro 18 mesi dall'elezione degli organi» (ipotesi aggiunta dall'art. 32, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante « Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326).

Osserva il rimettente che, nei casi elencati sub c) e c-bis), al mancato rispetto dei termini di legge consegue l'apertura di un procedimento sollecitatorio e, solo in ipotesi di perdurante inadempimento, l'avvio della procedura per lo scioglimento (art. 141, commi 2 e 2-bis, t. u. enti locali). La stessa disciplina, invece, non sarebbe prevista per l'ente dissestato il cui consiglio non provveda, entro 3 mesi dalla nomina dell'organo straordinario di liquidazione, alla trasmissione al Ministero dell'interno dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, poiché, a fronte dell'inosservanza del termine qualificato «perentorio» (artt. 259, comma 1, e 261, comma 4), l'art. 262, comma 1, t. u. enti locali riconduce tali ipotesi nella fattispecie di cui all'art. 141, comma 1, lettera a, t. u. enti locali.

Tali disposizioni sarebbero irragionevoli perché, escludendo il potere sollecitatorio del prefetto, assimilerebbero la mancata approvazione del progetto di bilancio stabilmente riequilibrato da parte del consiglio nel termine perentorio di 3 mesi, a un'ipotesi di compimento di atti contrari alla Costituzione, di gravi e persistenti violazioni di legge ovvero di gravi motivi di ordine pubblico, tali da comportare lo scioglimento automatico del consiglio comunale, senza che necessariamente sussistano la gravità e la persistenza del comportamento negativo od omissivo da parte dell'ente locale.

Secondo il giudice rimettente dovrebbero qualificarsi «atti contrari a Costituzione» i casi di aperta contraddizione con l'ordinamento statuale o i comportamenti volti a sconfessarne i principi (è citata la circolare del Ministero dell'interno 7 giugno 1990, n. 17102/127/1).

Similmente, per quanto attiene ai gravi motivi di ordine pubblico, la nozione atterrebbe alla sicurezza e alla quiete pubblica e non potrebbe «confondersi, in un'accezione lata, con la tutela del buon funzionamento degli uffici» (è citata la sentenza di questa Corte, n. 40 del 1961).

Il caso della mancata presentazione nei termini dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, invece, a parere del TAR Campania, rappresenterebbe una fattispecie del tutto analoga a quella della mancata approvazione del bilancio comunale, alla quale l'ordinamento annette l'attivazione del potere sollecitatorio del prefetto, ai sensi dell'art. 141, comma 2, t. u. enti locali, nel rispetto dell'autonomia dell'ente esponenziale della comunità amministrata.

Viceversa, la prefigurazione di un termine perentorio e l'assimilazione del suo mancato rispetto agli atti contrari alla Costituzione, alle gravi e persistenti violazioni di legge o a gravi motivi di ordine pubblico, oltre ad essere irragionevoli, sarebbero anche discriminatori, poiché verrebbero trattate in modo diverso situazioni analoghe.

Sarebbero pertanto violati il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nonché il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'art. 97 Cost., stante l'irragionevolezza delle disposizioni, che non troverebbero intrinseca giustificazione e divergerebbero dallo scopo che dovrebbero perseguire, nel rispetto dell'autonomia locale (è citata la sentenza di questa Corte n. 223 del 2022).

Rappresenta, infine, il rimettente che le disposizioni censurate, là dove impediscono la prosecuzione dello svolgimento delle funzioni del consiglio comunale e l'espletamento del mandato dei consiglieri, violerebbero i principi costituzionali volti alla tutela delle autonomie locali (artt. 5 e 114 Cost.) nonché il diritto di ogni cittadino di accedere alle cariche elettive e di conservarle (art. 51 Cost.).

2.- Con memoria depositata il 9 dicembre 2024 si sono costituiti in giudizio A. I. e P. G., sostenendo l'inammissibilità o, comunque, la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Campania.

Affermano le parti che il diverso regime previsto in caso di violazione del termine perentorio per l'approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato, rispetto al caso del mancato rispetto del termine per l'approvazione del bilancio ordinario, si giustificherebbe per la diversa ratio e per la differente funzione che hanno le singole disposizioni che regolano le due ipotesi.

Nell'ipotesi di ritardo nell'approvazione del bilancio ordinario (disciplinata dall'art. 141, comma 1, lettera c, t. u. enti locali) l'amministrazione sarebbe in carica pleno iure. Dunque, nel bilanciamento tra l'interesse alla rappresentatività dell'amministrazione e quello alla stabilità e alla trasparenza dei conti pubblici, il legislatore avrebbe trovato un punto di equilibrio prevedendo, dopo la scadenza del termine generale, il potere/dovere della prefettura competente di concedere un ulteriore termine per l'adempimento (non superiore a 20 giorni, ai sensi dell'art. 141, comma 2, t. u. enti locali), in tal modo riconoscendo un peso maggiore alla rappresentatività degli organi elettivi dell'ente locale.

Ontologicamente diversa sarebbe, invece, l'ipotesi della presentazione del progetto di bilancio stabilmente riequilibrato, in seguito alla dichiarazione del dissesto finanziario. In tale caso, la disposizione regolante il termine perentorio per l'approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato sarebbe strumentale a ripristinare tempestivamente la stabilità finanziaria dell'ente locale. Pertanto, sarebbe più che ragionevole provvedere allo scioglimento del consiglio comunale inadempiente, nel caso in cui l'amministrazione - già depotenziata nelle proprie prerogative gestorie per la nomina dell'organismo straordinario di liquidazione - si dimostri ulteriormente inaffidabile, non riuscendo ad approvare il bilancio riequilibrato entro il termine perentorio stabilito dall'art. 259 t. u. enti locali (o non rispettando gli altri termini previsti dal successivo art. 262).

Non sussisterebbe pertanto la dedotta violazione dell'art. 3 Cost. per disparità di trattamento, essendo evidenti le differenze tra le due seguenti fattispecie: i) il ritardo nell'approvazione del bilancio ordinario da parte del consiglio comunale di un ente che versa in gestione economico-finanziaria regolare (art. 141, comma 1, lettera c, t. u. enti locali); e ii) il ritardo nell'approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato da parte del consiglio di un ente versante in situazione di dissesto economico-finanziario (combinato disposto degli artt. 259, 261, 262 e 141, comma 1, lettera a, t. u. enti locali).

La sanzione dello scioglimento, comminata a fronte di grave e persistente violazione delle norme che regolano la gestione contabile degli enti locali, idonea a compromettere la sana gestione dell'ente e a garantire i servizi essenziali alla collettività da esso rappresentata, sarebbe dunque proporzionata.

Né sarebbe condivisibile la tesi del TAR Campania secondo cui non si giustificherebbe la riconduzione della fattispecie considerata ai casi previsti dall'art. 141, comma 1, lettera a), t. u. enti locali, nei quali il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell'interno, è tenuto allo scioglimento del consiglio comunale.

In via generale, il legislatore ha previsto che siano il Ministero dell'interno e il Presidente della Repubblica a valutare discrezionalmente la riconducibilità di atti o comportamenti degli organi degli enti locali alle tre fattispecie contemplate nella previsione normativa de qua (compimento di atti contrari alla Costituzione, di gravi e persistenti violazioni di legge ovvero esistenza di gravi motivi di ordine pubblico).

Nel caso di specie, invece, con l'art. 262, comma 1, t. u. enti locali, il legislatore ha effettuato una valutazione in ordine alla riconducibilità dei comportamenti di cui agli artt. 259, comma 1, e 261, commi 1 e 4 (violazione dei termini perentori per la approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato, in prima e seconda istanza), alle suddette ipotesi, ritenendo che la violazione del termine perentorio di cui all'art. 259 t. u. enti locali costituisca il segnale che quella amministrazione - già privata di una parte delle prerogative finanziarie per effetto della nomina dell'organismo straordinario di liquidazione - non sia in grado di assicurare una adeguata gestione dell'ente locale e, per questo motivo, si renda necessario un ulteriore intervento dello Stato, al fine di scongiurare una irreversibile compromissione della corretta gestione e dunque del buon andamento della pubblica amministrazione, tutelato dall'art. 97 Cost., con conseguente pericolo di interruzione dei servizi essenziali alla cittadinanza.

La riconduzione della fattispecie di violazione del termine perentorio di cui all'art. 259, comma 1, t. u. enti locali alla grave violazione di legge, idonea a compromettere l'ordine pubblico - inteso quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali regge l'ordinata e civile convivenza della comunità» (sono citate, ex multis, le sentenze di questa Corte n. 285, n. 277 e n. 116 del 2019, n. 208 e n. 148 del 2018, n. 108 del 2017) - sarebbe pertanto giustificata perché la negligente gestione contabile dell'ente rappresenterebbe un ostacolo al pieno godimento dei servizi pubblici essenziali, nonché delle stesse libertà fondamentali, contravvenendo agli obblighi assunti con il mandato elettorale.

Le prerogative di cui agli artt. 5 e 51 Cost., peraltro, lungi dall'essere compromesse, sarebbero invero tutelate dalla normativa in esame, poiché in seguito allo scioglimento dell'ente inadempiente, lo svolgimento di nuove elezioni consentirebbe ai cittadini di scegliere democraticamente i nuovi amministratori locali, anche e soprattutto alla luce della situazione determinatasi per effetto della dichiarazione di dissesto.

3.- Con atto depositato il 10 dicembre 2024 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per plurimi motivi e comunque non fondate.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il giudice rimettente avrebbe svolto una insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza, argomentando in modo assertivo e apodittico; l'ordinanza sarebbe altresì inammissibile perché il TAR non avrebbe esplorato «l'esistenza di soluzioni interpretative costituzionalmente compatibili seguendo l'alveo così tracciato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale», ma avrebbe piuttosto reputato di non condividere l'interpretazione fatta propria dall'Amministrazione delle disposizioni censurate.

Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero in ogni caso non fondate perché - «anche a tacere dell'orientamento applicativo del Ministero dell'Interno, peraltro non condiviso dal TAR» - la diversa disciplina prevista dagli artt. 141 e 259, comma 1, t. u. enti locali sarebbe giustificata dalla differenza fra le fattispecie ivi indicate: quest'ultima relativa a casi di dissesto finanziario, dove l'urgenza e la gravità impongono procedure più stringenti; la prima, invece, relativa al bilancio ordinario, giustificherebbe termini e procedure più flessibili. La disparità di trattamento sarebbe pertanto ragionevole e proporzionata alle diverse situazioni (sono citate le sentenze di questa Corte n. 223 del 2022 e n. 264 del 1996).

4.- Le parti hanno depositato memoria nei termini in cui insistono per l'inammissibilità ovvero il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione prima, con l'ordinanza indicata in epigrafe ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 259, comma 1, 261, comma 4, e 262, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, in riferimento agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 Cost.

1.1.- Premette il rimettente di essere stato adito da I. A. e altri in qualità di consiglieri comunali del Comune di Volla, con ricorso per l'impugnazione della delibera del Consiglio comunale con la quale era stato dichiarato il dissesto finanziario del Comune stesso (delibera 4 ottobre 2023, n. 56).

I ricorrenti impugnavano altresì con motivi aggiunti ulteriori atti, segnatamente: i) la delibera della Giunta comunale 28 marzo 2024, n. 33, che approvava allo scadere dei termini previsti dall'art. 259, comma 1, t. u. enti locali l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, per asserito difetto di competenza, poiché avrebbe dovuto provvedervi il Consiglio comunale; ii) la successiva nota della Prefettura di Napoli 19 aprile 2024, n. 0147632, con la quale il Consiglio comunale è stato diffidato ad approvare entro 20 giorni l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato; iii) la nota del Ministero dell'interno - Direzione centrale delle autonomie, 19 aprile 2024, n. 11647, nella quale il Ministero avrebbe evidenziato che, nel caso di specie, «l'inosservanza da parte del Consiglio comunale dei termini di approvazione dello schema di bilancio predisposto dalla Giunta non ha come conseguenza automatica lo scioglimento dell'organo consiliare, ma comporta, a norma dell'art. 141 comma 1 lettera c) del TUEL, l'apertura di un procedimento sollecitatorio, che può anche condurre all'adozione della misura dello scioglimento, solo a seguito della constatata inadempienza da parte del Consiglio all'intimazione puntuale ed ultimativa del prefetto, qualora questi accerti l'impossibilità o la volontà del Consiglio di non approvare il bilancio (Cons. St., Sez. III 3.7.20 n. 4288)»; iv) la successiva delibera del Consiglio comunale di Volla del 14 maggio 2024, con la quale è stata approvata l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato - dopo la scadenza del termine perentorio di 3 mesi di cui all'art. 259 t. u. enti locali - e i relativi allegati. I ricorrenti nel giudizio a quo sostengono la doverosità dello scioglimento del Consiglio comunale, ritenendo che non si possa far ricorso in via analogica (come invece inteso dal Prefetto, su parere del Ministero) all'art. 141, comma 1, lettera c), t. u. enti locali, disposizione che prevede l'assegnazione all'organo inadempiente di un ulteriore termine per provvedere alla trasmissione del bilancio di previsione.

1.2.- In punto di rilevanza, premette il rimettente che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 259, comma 1, e 262, comma 1, t. u. enti locali, la trasmissione del progetto di bilancio stabilmente riequilibrato da parte del Consiglio comunale di Volla oltre il termine perentorio di 3 mesi dovrebbe determinare automaticamente lo scioglimento del predetto Consiglio comunale. Tale ricostruzione, secondo il TAR, imporrebbe l'accoglimento dei motivi aggiunti, donde la rilevanza del dubbio di legittimità costituzionale delle richiamate disposizioni.

1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, rileva il rimettente che le fattispecie di scioglimento dei consigli comunali previste tassativamente dalla legge - ad esclusione dello scioglimento per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, nonché per la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco (art. 52, comma 2, t. u. enti locali) - sarebbero le quattro elencate all'art. 141 t. u. enti locali, ossia: «a) il compimento di atti contrari alla Costituzione, le gravi e persistenti violazioni di legge o i gravi motivi di ordine pubblico; b) l'impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi, per le cause ivi elencate; c) la mancata approvazione nei termini del bilancio; c-bis) nei comuni al di sopra dei mille abitanti, la mancata adozione dello strumento urbanistico entro 18 mesi dall'elezione degli organi» (ipotesi aggiunta dall'art. 32, comma 7, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito).

Osserva il rimettente che nei casi indicati sub c) e c-bis), al mancato rispetto dei termini di legge consegue l'apertura di un procedimento sollecitatorio e, solo in ipotesi di perdurante inadempimento, l'avvio della procedura per lo scioglimento (art. 141, commi 2 e 2-bis, t. u. enti locali). La stessa disciplina, invece, non sarebbe prevista per l'ente dissestato il cui consiglio non provveda, entro 3 mesi dalla nomina dell'organo straordinario di liquidazione, alla trasmissione al Ministero dell'interno dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, poiché a fronte dell'inosservanza del termine qualificato «perentorio» (artt. 259, comma 1, e 261, comma 4), l'art. 262, comma 1, t. u. enti locali riconduce tali ipotesi alla fattispecie di cui all'art. 141, comma 1, lettera a), t. u. enti locali.

Le citate disposizioni sarebbero irragionevoli perché, escludendo il potere sollecitatorio del prefetto, assimilano la mancata approvazione del progetto di bilancio stabilmente riequilibrato da parte del consiglio comunale nel termine perentorio di 3 mesi a un'ipotesi di compimento di atti contrari alla Costituzione, di gravi e persistenti violazioni di legge ovvero di gravi motivi di ordine pubblico, idonei a determinare lo scioglimento automatico del consiglio comunale, senza che necessariamente sussistano la gravità e la persistenza del comportamento negativo od omissivo da parte dell'ente locale.

Sarebbero pertanto violati il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nonché il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'art. 97 Cost., stante l'irragionevolezza della normativa, che non troverebbe intrinseca giustificazione e divergerebbe dallo scopo che dovrebbe perseguire, nel rispetto dell'autonomia dell'ente locale.

Rappresenta, infine, il rimettente che le disposizioni censurate, là dove impediscono la prosecuzione dello svolgimento delle funzioni del consiglio comunale e l'espletamento del mandato dei consiglieri, violerebbero i principi costituzionali volti alla tutela delle autonomie locali (artt. 5 e 114 Cost.), nonché del diritto di ogni cittadino di accedere alle cariche elettive e di conservarle (art. 51 Cost.).

2.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce l'inammissibilità delle questioni per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza nonché per mancato esperimento di una interpretazione costituzionalmente orientata.

Le eccezioni non sono fondate.

Quanto alla prima eccezione, la parte motiva dell'ordinanza di rimessione illustra ampiamente le ragioni della ritenuta illegittimità costituzionale delle disposizioni che, a fronte della mancata approvazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato entro il termine perentorio di 3 mesi, prevedono lo scioglimento automatico dell'ente, senza possibilità di ricorrere alla messa in mora di ulteriori 20 giorni. Il rimettente si sofferma in modo sufficiente sulle censure riferite agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 Cost., spendendo argomentazioni adeguate in ordine a ogni parametro evocato.

Quanto all'asserito mancato esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme, il TAR Campania ritiene che il tenore letterale delle norme sia inequivocabile, poiché allo scadere dei termini perentori è previsto lo scioglimento inevitabile dell'ente locale, affermando peraltro come la scelta della prefettura di accordare un ulteriore termine sia avvenuta in aperta violazione di legge.

Tale valutazione, per costante giurisprudenza di questa Corte, è idonea a ritenere assolto l'onere spettante al rimettente.

3.- Sempre in via preliminare, devono invece rilevarsi d'ufficio altri profili di inammissibilità.

3.1.- Sono inammissibili, perché irrilevanti, le questioni aventi a oggetto l'art. 261, comma 4, t. u. enti locali, poiché tale disposizione - che riguarda l'ipotesi in cui il Ministero dell'interno, in caso di diniego dell'approvazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, diffida l'ente locale a presentare, entro l'ulteriore termine perentorio di 45 giorni, una nuova ipotesi di bilancio idonea a rimuovere le cause che hanno impedito l'adozione di un parere favorevole da parte della Commissione per la finanza degli enti locali - non trova applicazione nel giudizio a quo, che non attiene all'evenienza ora indicata.

3.2.- Sono altresì inammissibili, per erroneità del presupposto interpretativo, le questioni che investono l'art. 259, comma 1, t. u. enti locali.

Il giudice rimettente, infatti, benché individui esattamente nella perentorietà del termine la norma contenuta nell'art. 259, comma 1, t. u. enti locali che viene censurata, motiva l'intera ordinanza con riferimento alla diversa norma che disciplina le conseguenze del mancato rispetto del termine perentorio (contenuta nell'art. 262, comma 1, t. u. enti locali), e indica come soluzione costituzionalmente adeguata quella di consentire, in caso di mancato rispetto dei termini perentori per l'approvazione del bilancio di previsione, l'assegnazione al consiglio comunale inadempiente di un ulteriore termine non superiore a 20 giorni (art. 141, comma 2, t. u. enti locali).

4.- Ai fini dell'esame del merito delle questioni - aventi ad oggetto, dunque, solo l'art. 262, comma 1, t. u. enti locali - è necessaria una breve ricostruzione dell'istituto del dissesto finanziario dei comuni e delle province, la cui disciplina è contenuta negli artt. 244 e seguenti t. u. enti locali.

4.1.- La dichiarazione di dissesto finanziario è adottata dal consiglio dell'ente locale nei casi in cui questo non sia più in grado di svolgere le proprie funzioni e di erogare servizi indispensabili, ovvero non sia in grado di assolvere a debiti liquidi ed esigibili (art. 244 t. u. enti locali). Tale deliberazione è trasmessa, entro 5 giorni, al Ministero dell'interno e alla Procura regionale presso la Corte dei conti competente per territorio, unitamente alla relazione dell'organo di revisione (art. 246, comma 2, t. u. enti locali). A seguito della dichiarazione di dissesto si procede alla nomina dell'organo straordinario di liquidazione (d'ora in poi: OSL) ai sensi degli artt. da 252 a 256 t. u. enti locali.

Dichiarato il dissesto e nominato l'OSL, si determina una netta separazione di compiti e competenze tra la gestione passata e quella corrente, dal che la definizione di procedura "a doppia anima". In particolare, viene demandata all'OSL la competenza relativamente ai fatti verificatisi fino al 31 dicembre dell'anno precedente a quello della dichiarazione di dissesto. L'OSL provvede, in relazione a tali atti, alla rilevazione della massa passiva, all'acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento e alla liquidazione e pagamento della massa passiva.

Oltre all'OSL, nella procedura di dissesto intervengono anche gli organi istituzionali dell'ente, i quali sono chiamati ad assicurare condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria e a rimuovere le cause strutturali all'origine del dissesto. Per quanto riguarda le entrate, il consiglio dell'ente locale è tenuto ad aumentare le aliquote e le tariffe di base delle imposte e tasse di spettanza dell'ente dissestato nella misura massima consentita, con delibera da adottare nella prima seduta successiva alla dichiarazione di dissesto e comunque non oltre 30 giorni da essa, con efficacia per i 5 anni successivi a quello di approvazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato (art. 251 t. u. enti locali). Quanto alle spese, si applica un regime differenziato, a seconda che, al momento di deliberare la dichiarazione di dissesto, l'ente abbia o meno già adottato il bilancio relativo all'esercizio in corso. Comunque, il regime delle spese subisce una generale contrazione, poiché l'ente viene costretto a limitare la propria attività ai servizi ritenuti essenziali e indispensabili dallo Stato (art. 250 t. u. enti locali).

Anche il bilancio dell'ente, quindi, una volta dichiarato il dissesto, "si divide" in due parti, gestite dai due organi - OSL e amministrazione ordinaria -, spezzando l'unità e l'universalità del ciclo finanziario. In questo modo, la disciplina del dissesto è volta a realizzare al contempo la soddisfazione concorsuale dei creditori e la continuità di funzionamento dell'ente, separando la gestione di bilancio pro-futuro rispetto al passato.

4.2.- Dalla deliberazione del dissesto, mentre l'OSL si occupa dei debiti pregressi dell'ente locale, gli organi istituzionali dell'ente, che restano in carica, debbono occuparsi esclusivamente di risanare il bilancio, al fine di non incorrere in un nuovo dissesto (art. 245, comma 3, t. u. enti locali). A tal fine, i suoi organi istituzionali devono: gestire temporaneamente il bilancio durante la procedura di risanamento; elaborare l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato; avviare una nuova e diversa gestione finanziaria volta al raggiungimento e al mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario.

La seconda fase assume una portata potenzialmente decisiva perché è attraverso la redazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato che, ai sensi degli artt. 259 e 260 t. u. enti locali, si mira a realizzare l'equilibrio, rimuovendo le cause strutturali che hanno portato alla crisi e al dissesto.

La delibera consiliare di approvazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato deve essere trasmessa al Ministero dell'interno entro il termine perentorio di 3 mesi dalla data di nomina dell'OSL (art. 259, comma 1, t. u. enti locali). L'ipotesi di bilancio, quindi, viene istruita dalla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali che, entro 4 mesi, esprime il proprio parere sull'idoneità delle misure adottate. Nel caso in cui la Commissione esprima rilievi e formuli richieste istruttorie, il termine di 4 mesi resta sospeso e il consiglio comunale deve rispondere entro 60 giorni (art. 261, commi 1 e 2, t. u. enti locali). A seguito del parere favorevole dalla Commissione, l'ipotesi di bilancio riequilibrato viene approvata con decreto del Ministro dell'interno, che stabilisce prescrizioni per la corretta ed equilibrata gestione dell'ente (art. 261, comma 3, t. u. enti locali). Soltanto a seguito dell'approvazione ministeriale l'ente è tenuto, nei successivi 30 giorni, a deliberare il bilancio dell'esercizio cui l'ipotesi - integrata dalle indicazioni ministeriali - si riferisce (art. 264, t. u. enti locali).

In caso di esito negativo dell'esame da parte della Commissione, invece, il Ministero dell'interno emana un provvedimento di diniego dell'approvazione, prescrivendo all'ente locale di presentare, previa deliberazione consiliare, entro l'ulteriore termine perentorio di 45 giorni - dalla relativa notifica - una nuova ipotesi di bilancio idonea a rimuovere le cause che hanno impedito l'adozione di un parere favorevole. La mancata approvazione della nuova ipotesi di bilancio ha carattere definitivo (art. 261, comma 4, t. u. enti locali).

Dunque, è solo con il decreto ministeriale di approvazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato che prende effettivamente avvio il percorso di superamento della crisi e di risanamento dell'ente (ossia la terza fase).

Ciò spiega anche perché siano previsti, nell'ambito dell'iter preordinato alla sua approvazione, termini perentori per gli adempimenti a carico dell'ente, presidiati, ai sensi del richiamato art. 262, comma 1, t. u. enti locali, dalla costante "minaccia" della sanzione dello scioglimento del consiglio comunale.

5.- Così ricostruiti i tratti essenziali della disciplina del dissesto degli enti locali, le questioni relative all'art. 262, comma 1, t. u. enti locali, là dove prevede che l'inosservanza dei termini perentori integra l'ipotesi di cui all'art. 141, comma 1, lettera a), t. u. enti locali (scioglimento per atti contrari a Costituzione o gravi e persistenti violazioni di legge o gravi motivi di ordine pubblico) anziché dell'art. 141, comma 1, lettera c), t. u. enti locali (scioglimento per mancata approvazione del bilancio), sollevate in riferimento agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 Cost., non sono fondate.

5.1.- La scelta del legislatore di assimilare la mancata approvazione dell'ipotesi di bilancio in riequilibrio in un ente in dissesto alle fattispecie previste dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 141 t. u. enti locali non è irragionevole.

Anzitutto deve ricordarsi che la deliberazione di dissesto rappresenta la conseguenza di una lunga e persistente violazione di principi costituzionali e norme statali che impongono agli enti territoriali il mantenimento dei bilanci in equilibrio, attraverso una sana, responsabile e trasparente gestione delle finanze pubbliche, previsioni che, peraltro, valgono per tutti i soggetti che sono parte della finanza pubblica allargata (ex multis, sentenze n. 184 del 2022, n. 246 del 2021, n. 80 del 2021, n. 115 del 2020, n. 49 del 2018, n. 228 del 2017, n. 184 del 2016).

Come già affermato da questa Corte, il mandato elettorale, indipendentemente dalle scelte di cui è espressione, ha quale presupposto indefettibile la puntuale e corretta redazione e gestione del bilancio secondo i canoni dell'art. 97, primo comma, Cost., ai sensi del quale le pubbliche amministrazioni assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. In questo senso, lo scioglimento del consiglio comunale costituisce una «regola risalente e fondamentale del diritto del bilancio, in quanto strumentale all'effettività di adempimenti primari del mandato elettorale» (sentenza n. 218 del 2017).

Deve altresì osservarsi che la norma di cui all'art. 259, comma 1, t. u. enti locali prevede, per l'amministrazione in carica che ha già condotto l'ente al dissesto, un'ulteriore possibilità di costruire un'ipotesi di bilancio in riequilibrio: un'ultima chance per dimostrare di essere in grado di amministrare la cosa pubblica, possibilità che è necessariamente vincolata nei tempi, per evitare che al primo dissesto ne seguano altri a catena.

A questo scopo, lo Stato prevede un intervento in sostegno dell'amministrazione coinvolta con la nomina di un organismo straordinario di liquidazione che gestisce tutta la massa passiva e attiva generata dall'ente prima della dichiarazione di dissesto. Da parte sua, l'amministrazione che rimane in carica deve redigere un'ipotesi di bilancio in riequilibrio nel rispetto di quanto stabilito dagli artt. da 249 a 251 t. u. enti locali: entrate aumentate e debiti ridimensionati. Il mancato rispetto dei termini previsti come perentori per il compimento di questo ultimo atto di amministrazione acclara l'incapacità del consiglio comunale in carica di approvare una ipotesi di bilancio in riequilibrio.

La scelta del legislatore statale di prevedere un suo inevitabile scioglimento, quindi, non appare di per sé irrazionale. Piuttosto, sarebbe difficile ipotizzare di poter fare ancora affidamento su un'amministrazione che è già ripetutamente venuta meno agli impegni assunti con il mandato elettorale.

5.2.- Non è fondata anche la censura della irragionevole disparità di trattamento relativa alla differente disciplina prevista in caso di mancata approvazione dei bilanci, ovvero di mancata adozione degli ordinari strumenti previsti per ripianare situazioni di momentaneo squilibrio delle finanze pubbliche (art. 193 t. u. enti locali).

Il legislatore, infatti, nelle menzionate ipotesi tipizzate alla lettera c) del comma 1 dell'art. 141 e dall'art. 193 t. u. enti locali ha previsto che lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale che non abbia approvato il bilancio di previsione nei termini possa essere preceduto da un'ulteriore messa in mora per un periodo non superiore a 20 giorni per consentire all'ente di adempiere (art. 141, comma 2, t. u. enti locali), fermo restando che l'ipotesi dello scioglimento, peraltro, è sottoposta alla valutazione del Ministero dell'interno.

La situazione in cui si trova l'amministrazione di un ente locale in bonis è con tutta evidenza diversa da quella in cui si trova un ente che ha già deliberato il dissesto, per le ragioni esposte in precedenza.

Non si ravvisano pertanto motivi per ritenere violato il principio di eguaglianza: il trattamento differenziato di situazioni ontologicamente diverse rappresenta il naturale portato di tale principio.

Questa Corte, del resto, nella sentenza n. 195 del 2019 - relativa alla disciplina introdotta in caso di mancato scioglimento del consiglio dell'ente locale per infiltrazioni mafiose (art. 143 t. u. enti locali) - ha già osservato che quanto più il potere sostitutivo, incidente sull'autonomia dell'ente locale territoriale, presenta una connotazione di discrezionalità nei presupposti e nel contenuto, tanto più il livello di assunzione di responsabilità si eleva da quello amministrativo (provvedimento del prefetto) a quello politico (deliberazione del Governo).

La garanzia costituzionale di autonomia degli enti locali territoriali (comuni, province e città metropolitane) richiede non solo che i presupposti di tali poteri sostitutivi, incidenti sull'attività dell'ente, siano sufficientemente determinati dalla legge, ma anche che sia rispettato il canone dell'art. 120, secondo comma, Cost., integrato dalla norma di attuazione di cui all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), sull'assunzione a livello governativo della responsabilità per l'esercizio di tali poteri.

La disposizione oggi censurata, che disciplina un'ipotesi di scioglimento del consiglio comunale, è ben definita e oggettiva e non lascia trasparire margini di irrazionale discrezionalità nel presupposto e nel contenuto.

5.3.- Nemmeno il principio del buon andamento della pubblica amministrazione è scalfito dalla disposizione censurata dall'odierno rimettente.

Le norme che stabiliscono gli oneri e fissano i tempi per l'amministrazione in carica in un ente dissestato sono funzionali a riconsegnare alla collettività amministrata un bilancio in equilibrio, mediante la scansione del percorso che si dipana attraverso i risultati conseguiti nei singoli esercizi attinenti al piano quinquennale, «affinché l'oneroso rientro dal disavanzo sia comunque compensato dal traguardo dell'equilibrio, presupposto necessario per la sana amministrazione» (sentenze n. 34 del 2021 e n. 115 del 2020).

Il quadro normativo e costituzionale vigente consente, infatti, di affrontare situazioni patologiche della finanza locale non solo quando queste siano imputabili a caratteristiche socioeconomiche della collettività e del territorio, mediante l'attivazione dei meccanismi di solidarietà di cui all'art. 119, quinto comma, Cost. (quindi, in ipotesi di deficit strutturali); ma anche quando sono dovute a patologie organizzative, per il rilievo e il contrasto delle quali il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, e il t. u. enti locali prevedono strumenti puntuali e coordinati per prevenire situazioni di degrado progressivo della finanza locale (ex multis, sentenze n. 34 del 2021 e n. 18 del 2019). Fra tali strumenti la norma che prevede, come estrema ratio, lo scioglimento del consiglio comunale è volta a tutelare anche l'interesse salvaguardato dall'art. 97, secondo comma, Cost., perché un consiglio comunale che non sia in grado di predisporre un progetto di bilancio in equilibrio non garantisce il buon andamento della pubblica amministrazione.

Questa Corte ha anche di recente osservato che l'enunciazione dell'art. 114, secondo comma, Cost., secondo cui comuni, province e città metropolitane sono enti autonomi con «propri statuti, poteri e funzioni», si salda con il riconoscimento della titolarità di «funzioni amministrative proprie» (art. 118, secondo comma, Cost.) e della potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 117, sesto comma, Cost.), nonché con l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119, primo comma, Cost.) (sentenza n. 195 del 2019).

5.4.- Non sono lesi, infine, i principi volti alla tutela delle autonomie locali nonché il principio del mandato elettorale e del diritto di ogni cittadino di accedere alle cariche elettive.

5.4.1.- Come già affermato da questa Corte, l'autonomia degli enti territoriali in questo settore trova il suo limite esterno nelle disposizioni poste dallo Stato nell'ambito della salvaguardia degli interessi costituzionali riconducibili ai parametri di cui agli artt. 81, 97 e 119 Cost., norme funzionali anche all'osservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea (ex plurimis, sentenza n. 184 del 2016).

La norma contenuta nell'art. 262, comma 1, t. u. enti locali è volta a evitare che l'amministrazione inefficiente consegni alla collettività amministrata una catena di dissesti ed è la prima di una serie di misure finalizzate a ristabilire l'equilibrio finanziario dell'ente locale dissestato, fra le quali: lo scioglimento del consiglio comunale, l'attivazione dei poteri sostitutivi con la nomina del commissario prefettizio e lo svolgimento di nuove elezioni. Il frammento normativo censurato, pertanto, è chiaramente inserito in un assetto volto a tutela dell'equilibrio delle finanze pubbliche complessive.

5.4.2.- Quanto al principio del mandato elettorale riconosciuto dall'art. 51 Cost., questa Corte, fin dalla sentenza n. 184 del 2016, ha evidenziato che «il bilancio è un "bene pubblico", nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell'ente territoriale, sia in ordine all'acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una certa collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato e il realizzato».

Il carattere funzionale del bilancio preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non a caso, l'ordinamento collega il venir meno del consenso della rappresentanza democratica, risiede essenzialmente nell'assicurare ai membri della collettività la cognizione delle modalità di impiego delle risorse pubbliche e la valutazione dei risultati conseguiti da chi è titolare del mandato elettorale (ex plurimis, sentenza n. 18 del 2019).

La disposizione censurata, pertanto, non contrasta con il diritto di elettorato passivo, affermato dall'art. 51 Cost., ma è volta, piuttosto, a una sua piena tutela. L'incuria che conduce al dissesto degli enti territoriali interrompe - in virtù di quella che è stata definita una «presunzione assoluta» - il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti.

La ragione di tale istituto risiede proprio nel principio che la salvaguardia degli equilibri finanziari costituisce il presupposto stesso del mandato elettivo (sentenza n. 228 del 2017).

5.5.- Per tale complesso di ragioni, le questioni poste all'attenzione di questa Corte non sono fondate in rapporto a tutti i parametri evocati.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 259, comma 1, e 261, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione prima, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 262, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione prima, con l'ordinanza indicata in epigrafe.