Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 10 ottobre 2025, n. 7924

Presidente: De Felice - Estensore: Satullo

FATTO E DIRITTO

1. Con istanza del 24 aprile 2018 la Maglione Scrigno s.r.l. ha chiesto all'Agenzia delle dogane e dei monopoli il rinnovo biennale del patentino per la vendita di generi di monopolio di cui era titolare presso il bar pizzeria "Sarni", sito nel centro commerciale "Lo scrigno" di Termoli.

Con nota del 18 settembre 2018 l'amministrazione ha comunicato all'istante che risultavano pendenze fiscali non dichiarate.

L'istante, quindi, dopo la predetta comunicazione, ha saldato o rateizzato i debiti in questione e con nota del 9 ottobre 2018 ha dichiarato all'amministrazione di rinunciare alla richiesta di rinnovo presentata nel mese di aprile.

In data 19 novembre 2018 la società ha presentato una nuova tempestiva domanda di rinnovo del patentino allegando il certificato dell'anagrafe tributaria da cui risultava la regolarità della sua posizione.

L'amministrazione, con provvedimento del 22 novembre 2018, ritenuto applicabile l'art. 75 d.P.R. n. 445/2000, ha respinto la prima istanza di rinnovo presentata nell'aprile 2018 e avverso tale provvedimento la società ha proposto ricorso giurisdizionale al T.A.R. Molise.

Con successivo provvedimento del 18 marzo 2019 l'amministrazione ha respinto la seconda istanza di rinnovo e la società ha impugnato anche tale provvedimento.

Con ordinanza cautelare del 27 maggio 2019 il T.A.R. Molise ha accolto la domanda cautelare ai fini del riesame e con provvedimento del 28 maggio 2019 l'amministrazione ha rilasciato in via provvisoria il rinnovo del patentino.

Con sentenza n. 88 del 10 marzo 2020, confermata in appello con sentenza del Consiglio di Stato n. 7767 del 16 agosto 2023, il Tribunale ha accolto il ricorso annullando i provvedimenti di diniego adottati dall'amministrazione.

Con successivo ricorso la società interessata ha chiesto la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno conseguente all'adozione dei provvedimenti illegittimi già annullati, lamentando che il mancato tempestivo rinnovo del patentino ha causato un danno, sub specie di lucro cessante, derivante dalla riduzione della clientela anche in relazione all'attività di bar ristorante, e un danno, sub specie di danno emergente, consistente nelle spese legali sostenute per i giudizi di annullamento e negli oneri per interessi e spese di un finanziamento che essa è stata costretta a contrarre a causa della riduzione delle entrate.

Con sentenza n. 273 del 5 settembre 2024 il T.A.R. Molise ha accolto la domanda, dichiarando l'obbligo dell'Agenzia di risarcire per equivalente il danno subito dalla società e fissando i criteri per la determinazione da parte dell'Agenzia della somma dovuta a titolo di risarcimento.

Avverso la predetta sentenza l'amministrazione ha proposto appello, chiarendo preliminarmente le ragioni della tempestività dell'impugnazione e deducendo nel merito:

1) error in iudicando. Sussistenza dell'errore scusabile e, per l'effetto, sull'assenza di colpa ai fini risarcitori, da parte dell'Agenzia. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 30 c.p.a. e 1227 c.c. Concorso di colpa del soggetto asseritamente danneggiato. Erroneità dei presupposti e travisamenti dei fatti;

2) error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell'art. 112 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 34 c.p.a. Eccesso di potere.

La società appellata non si è costituita in giudizio, nonostante la regolare notifica dell'appello al difensore costituito nel giudizio di primo grado.

Con ordinanza cautelare dell'11 aprile 2025, questo Consiglio ha accolto la domanda cautelare, sospendendo l'esecutività della sentenza appellata.

All'udienza del 2 ottobre 2025 la causa è stata assunta in decisione.

2. Preliminarmente deve affermarsi la tempestività dell'impugnazione, proposta nel rispetto del termine lungo previsto dall'art. 92, comma 3, c.p.a.

Ed infatti come affermato anche dalla più recente giurisprudenza "Per far decorrere il termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c. è necessario che la notifica della sentenza sia effettuata al procuratore costituito della parte oppure alla parte presso il procuratore stesso, e non semplicemente alla parte personalmente anche se presso il domicilio eletto, in quanto solo la notifica al difensore assicura la percepibilità e la competenza tecnica necessarie per tutelare pienamente il diritto di difesa e valutare consapevolmente l'opportunità dell'impugnazione; di conseguenza, la notifica effettuata alla parte presso un domiciliatario diverso dal procuratore, o direttamente alla parte, non è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, con conseguente applicazione del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c." (v. tra le tante Cass. civ., Sez. II, 27 maggio 2025, n. 14170; C.d.S., Sez. VI, 10 giugno 2025, n. 5023; Cass. civ., Sez. un., 30 settembre 2020, n. 20866).

Nel caso in esame la parte vittoriosa ha notificato la sentenza di primo grado non al difensore della parte soccombente bensì a quest'ultima personalmente e tale notifica, per le ragioni sopra esposte, è quindi inidonea a fare decorrere il termine breve di impugnazione, con conseguente tempestività dell'appello proposto nel rispetto del termine lungo semestrale.

3. Nel merito il primo motivo di appello è fondato per le seguenti principali ragioni.

Come anche di recente affermato dall'adunanza plenaria di questo Consiglio (C.d.S., Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7) la responsabilità dell'amministrazione derivante dall'adozione di provvedimenti illegittimi ha natura aquiliana e può quindi affermarsi solo in presenza dei presupposti previsti dall'art. 2043 c.c., tra i quali rientra l'elemento soggettivo della colpa o del dolo.

Con specifico riferimento all'elemento soggettivo, la giurisprudenza è oramai concorde nell'affermare che l'illegittimità del provvedimento costituisce un elemento presuntivo della colpa dell'amministrazione, gravando su quest'ultima l'onere di fornire la prova di essere incorsa in un errore scusabile (tale orientamento è stato condiviso anche da C.d.S., Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 20).

In particolare, l'amministrazione può provare di essere incorsa in un errore scusabile a causa, tra l'altro, di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della disposizione applicabile, della formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, della rilevante complessità del fatto, dell'illegittimità derivante da una successiva dichiarazione d'incostituzionalità della norma applicata, dell'influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, quale quello del privato che, attraverso informazioni non veritiere e fuorvianti, abbia tratto in errore l'amministrazione.

Ciò premesso in diritto, nel caso in esame il collegio ritiene che non possa ritenersi sussistente l'elemento soggettivo della colpa, con conseguente infondatezza della domanda risarcitoria.

Va al riguardo rilevato che, a fronte dell'allegazione da parte del ricorrente dell'illegittimità dei provvedimenti da cui sarebbe derivato il danno, l'amministrazione già nel giudizio di primo grado ha eccepito l'esistenza di un errore scusabile dovuto alla complessità della situazione di fatto ed al comportamento negligente della società ricorrente.

Il collegio ritiene sussistente l'errore scusabile addotto dall'amministrazione, che risulta confermato dalla complessità delle questioni giuridiche che questo Consiglio ha dovuto affrontare con la sentenza n. 7767 del 16 agosto 2023, con cui ha confermato la decisione di annullamento dei provvedimenti impugnati adottata dal Tribunale.

Ed infatti, come sopra esposto, la società ricorrente ha presentato una prima istanza di rinnovo, dichiarando, in difformità dal vero, di non avere pendenze fiscali e, successivamente, ha rinunciato a tale istanza e ne ha presentata una seconda, dopo avere regolarizzato la propria posizione.

La situazione di fatto così descritta imponeva, al fine di adottare la decisione in ordine alla spettanza o meno del rinnovo del patentino, di affrontare complesse questioni giuridiche che sono state bene evidenziate da questo Consiglio nella sentenza citata e consistenti:

- nell'ammissibilità della rinuncia al procedimento amministrativo;

- nella permanenza o meno dell'obbligo dell'amministrazione, pur a fronte di una rinuncia al procedimento, di pronunciarsi con un provvedimento espresso e, in caso positivo, con quale esito (reiezione o di improcedibilità, a seconda che sussista o meno un interesse pubblico alla decisione);

- nella possibilità per l'interessato di reiterare l'istanza e nella necessità di esaminare la seconda istanza congiuntamente oppure separatamente rispetto alla prima;

- nella diversa rilevanza della versione previgente e di quella successiva dell'art. 75 d.P.R. n. 445/2000, al fine di verificare la legittimità della decisione di reiezione adottata dall'amministrazione a seguito della prima istanza oggetto di rinuncia e, conseguentemente, la legittimità del provvedimento negativo emesso sulla seconda istanza, giustificato dal contenuto negativo del provvedimento adottato sulla prima istanza.

Questo sintetico excursus delle questioni affermate nel giudizio di annullamento rende evidente la spinosità delle questioni giuridiche che la situazione di fatto richiedeva di dipanare, tutt'altro che chiare ed evidenti, circostanza idonea a dimostrare l'errore scusabile dell'amministrazione.

Ferme restando le decisive considerazioni appena esposte, va aggiunto che la complessità del quadro fattuale descritto è stata determinata all'origine da un comportamento, quanto meno colposo, della stessa società appellata che, in occasione della presentazione della prima istanza, ha dichiarato, in modo difforme dal vero, di non avere pendenze fiscali, incrinando peraltro anche il rapporto di fiducia con l'amministrazione appellante.

La complessiva colpa della società non può peraltro escludersi, come sostiene il giudice di primo grado, per il fatto che la stessa si sia tempestivamente attivata rinunciando alla prima istanza e riproponendo una seconda istanza dopo avere regolarizzato della propria posizione. Ed infatti, per un verso, l'iniziale condotta colposa della società, consistente nell'avere dichiarato l'assenza di pendenze fiscali, non può essere elisa o resa irrilevante da una condotta successiva giustificata proprio dal tentativo utilitaristico di evitare le conseguenze negative delle precedenti false dichiarazioni; per altro verso, è stata comunque la complessiva condotta della società, comprensiva sia delle non veritiere dichiarazioni e sia della successiva condotta diretta ad evitare le conseguenze negative delle dette dichiarazioni, a complicare il quadro fattuale e giuridico della fattispecie che rende scusabile l'errore dell'amministrazione.

Per le ragioni esposte il primo motivo di appello deve conclusivamente ritenersi fondato.

4. L'accoglimento del primo motivo di appello relativo all'insussistenza dell'elemento soggettivo della fattispecie rende superfluo l'esame del secondo motivo di appello, concernente l'an ed il quantum del danno lamentato dalla società appellata.

5. Per le ragioni sopra esposte l'appello va accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, l'azione risarcitoria deve essere respinta per assenza dell'elemento soggettivo.

6. La particolarità delle questioni trattate e la complessità del quadro fattuale e giuridico sopra descritto giustificano l'integrale compensazione delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge l'azione risarcitoria proposta.

Spese compensate di entrambi i gradi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Molise, sent. n. 273/2024.