A proposito di racial gerrymandering:
la decisione della Corte suprema statunitense
sul caso Alexander v. South Carolina State Conference of the NAACP
Alessandro Oddi (*)
1. Premessa
Con la decisione in commento (1), resa a distanza di pressappoco cinque anni da Rucho v. Common Cause (2) e un anno da Allen v. Milligan (3), la Corte suprema statunitense è tornata a pronunciarsi in merito a una redistricting challenge, ossia un'azione legale con la quale si contesta la legittimità della configurazione di uno o più collegi elettorali, al fine di ottenerne la modifica.
Questi, in sintesi, i fatti rilevanti.
Nel 2021, a seguito del censimento generale della popolazione svoltosi l'anno precedente, il parlamento del South Carolina - controllato dai repubblicani - avviò l'iter di revisione delle congressional district maps, in ragione del cambiamento registratosi nella popolazione di due dei sette collegi per la Camera dei rappresentanti in cui lo Stato è suddiviso (4): il primo («District 1»), che risultava sovrappopolato, e il sesto («District 6»), che invece risultava sottopopolato (5).
La sottocommissione senatoriale incaricata di predisporre la nuova mappa emanò un atto di indirizzo nel quale si spiegava che la procedura si sarebbe attenuta ai «traditional districting principles, such as respect for contiguity and incumbent protection». Allo stesso tempo, però, «the Republican-controlled legislature also made it clear that it would aim to create a stronger Republican tilt in District 1» (6).
Il Senato decise di affidare il lavoro a un esperto "nonpartisan", il quale perseguì quell'obiettivo politico attraverso un forte incremento, all'interno di detto collegio, del numero di elettori presumibilmente favorevoli al partito repubblicano: dall'1,36% al 54,39%. Per contro, la quota dell'elettorato di colore inclusa nel medesimo collegio avrebbe subito un aumento del tutto marginale: dal 16,56% al 16,72%.
Approvato dal parlamento il 26 gennaio 2022 e promulgato lo stesso giorno dal governatore dello Stato, il piano fu impugnato innanzi a una Corte federale («The United States District Court for the District of South Carolina» - hinc: Corte distrettuale) dalla «National Association for the Advancement of Colored People» (NAACP) e da un elettore nero residente nel collegio in questione (7). Con i loro claims, essi lamentavano che la configurazione dei collegi nn. 1, 2 e 5, per come risultante dalla nuova mappa, costituiva sia una forma di racial gerrymander sia una forma di vote dilution a danno degli elettori di colore dello Stato.
Il 6 gennaio 2023, un three-judge panel, con provvedimento unanime, rigettò le censure attinenti ai collegi nn. 2 e 5, mentre statuì che lo Stato aveva disegnato il collegio n. 1 con l'intento di contenere entro il 17% la relativa frazione di elettorato afroamericano, così violando la Equal Protection Clause del XIV Emendamento (8) e riducendo illegalmente il peso del black vote (9). La Corte distrettuale vietò quindi al South Carolina di svolgere elezioni nel collegio de quo dopo la tornata del 2024 (10), «until a constitutionally valid apportionment plan is approved by this Court» (11).
Contro il provvedimento, lo Stato interpose appello direttamente alla Corte suprema (12), che accolse la richiesta di esprimersi sulla controversia.
2. La decisione della Corte suprema
La decisione di cui ci occupiamo è stata assunta con la maggioranza di 6 a 3 along ideological lines: a favore, i giudici Alito (redattore della opinion of the Court), Roberts, Gorsuch, Kavanaugh, Barrett e Thomas (che vi hanno aderito, ma l'ultimo allegando un'opinione parzialmente concorrente), tutti di orientamento conservatore; contrarie, le giudici Kagan (redattrice della dissenting opinion), Sotomayor e Jackson (che vi hanno aderito), tutte di orientamento liberal.
2.1. Il ragionamento della maggioranza muove dalla premessa che la Costituzione federale affida alla responsabilità dei singoli Stati il compito di disegnare i collegi per l'elezione dei membri del Congresso, e che «redistricting is an inescapably political enterprise». I legislatori sono quasi sempre consapevoli delle «political ramifications» delle mappe che adottano, «and claims that a map is unconstitutional because it was drawn to achieve a partisan end are not justiciable in federal court». Dunque i parlamenti, nello svolgere quel compito, ben possono perseguire finalità di partito.
Per contro, se essi, in sede di redistricting, attribuiscono un «predominant role» alla razza, le loro scelte sono soggette a uno strict scrutiny e possono essere ritenute incostituzionali.
Il problema nasce allorché «race and partisan preference are highly correlated». In tale evenienza, secondo la giurisprudenza della Corte suprema: a) la parte che lamenti l'incostituzionalità di una voting map «must disentangle race and politics if it wishes to prove that the legislature was motivated by race as opposed to partisanship»; b) le scelte dei legislatori sono assistite da una presunzione di buona fede.
Nel caso in esame, «the three-judge District Court paid only lip service to these propositions. That misguided approach infected the District Court's findings of fact, which were clearly erroneous under the appropriate legal standard. We therefore reverse the trial court in part and remand for further proceedings».
2.2. La pratica del racial gerrymandering è vietata dal XIV Emendamento ed è, pertanto, soggetta a uno strict scrutiny. Ma, poiché nelle operazioni di redistricting entra in gioco una molteplicità di fattori complessi, la Corte suprema ha più volte sottolineato la necessità che le Corti federali siano estremamente caute nell'accogliere impugnative con le quali si deduca che uno Stato ha tracciato i confini dei collegi elettorali in base alla razza; ciò perché il controllo di dette Corti in tale materia «represents a serious intrusion on the most vital of local functions» (13). Occorre, dunque, che il ricorrente dimostri che la razza ha costituito il fattore predominante nella decisione del legislatore di collocare un significativo numero di elettori all'interno o all'esterno di un dato collegio: ossia provi che considerazioni di natura razziale abbiano senz'altro prevalso su «race-neutral districting criteria such as compactness, contiguity, and core preservation», ponendosi in contrasto con essi.
Tale dimostrazione può essere fornita per mezzo sia di prove dirette (e.g., «a relevant state actor's express acknowledgment that race played a role in the drawing of district lines», oppure il contenuto di una e-mail) sia di prove indiziarie (e.g., una forma del collegio talmente bizzarra da non poter essere giustificata se non da motivazioni razziali (14)).
Un «circumstantial-evidence-only case» si presenta particolarmente complicato allorquando la difesa dello Stato convenuto in giudizio eccepisca di aver posto in essere un (legittimo) partisan - anziché un (illegittimo) racial - gerrymandering. Ciò perché l'uno e l'altro possono dar luogo ad anomalie simili nella configurazione di un collegio, là dove sussista un'elevata correlazione fra «race and partisan preference». Il che è esattamente quanto verificatosi nel caso in esame: stando agli exit poll, infatti, nelle presidenziali del 2020 almeno il 90% degli elettori di colore del South Carolina e dell'intero Paese si è espresso a favore del candidato democratico. Quando «partisanship and race correlate, it naturally follows that a map that has been gerrymandered to achieve a partisan end can look very similar to a racially gerrymandered map». Per tale ragione, nei suoi precedenti la Corte suprema ha chiarito che «a jurisdiction may engage in constitutional political gerrymandering, even if it so happens that the most loyal Democrats happen to be black Democrats and even if the State were conscious of that fact» (15), e che «a State's partisan-gerrymandering defense therefore raises "special challenges" for plaintiffs [...]. To prevail, a plaintiff must "disentangle race from politics" by proving "that the former drove a district's lines." [...]. That means, among other things, ruling out the competing explanation that political considerations dominated the legislature's redistricting efforts. If either politics or race could explain a district's contours, the plaintiff has not cleared its bar» (16).
In particolare, nella predetta evenienza, è onere del ricorrente dimostrare - producendo in giudizio, inter alia, una mappa alternativa - che lo Stato avrebbe ugualmente potuto perseguire i propri obiettivi politici in modo diverso e maggiormente conforme ai «traditional districting principles» (17) e che, invece, ha agito in vista di obiettivi di discriminazione razziale. «Without an alternative map, it is difficult for plaintiffs to defeat our starting presumption that the legislature acted in good faith. This presumption of legislative good faith directs district courts to draw the inference that cuts in the legislature's favor when confronted with evidence that could plausibly support multiple conclusions (18). [...] This approach ensures that "race for its own sake, and not other districting principles, was the legislature's dominant and controlling rationale in drawing its district lines."» (19).
L'anzidetta presunzione di buona fede è giustificata da tre ulteriori considerazioni, tutte riconducibili a interessi di rango costituzionale: 1) il rispetto dovuto dai giudici federali alle valutazioni dei legislatori statali, che al pari dei primi hanno giurato di osservare la Costituzione; 2) quando una Corte federale giunge a ritenere che tali valutazioni si fondano su motivi razziali, «it is declaring that the legislature engaged in "offensive and demeaning" conduct, [...] that "bears an uncomfortable resemblance to political apartheid," [...]. We should not be quick to hurl such accusations at the political branches» (20); 3) occorre evitare che i ricorrenti trasformino le Corti federali «into "weapons of political warfare" that will deliver victories that eluded them "in the political arena."» (21). Tutto ciò spiega altresì la necessità di imporre loro un onere probatorio particolarmente rigoroso.
Una volta che quest'ultimo sia stato assolto, spetta allo Stato dimostrare che «the map can overcome the daunting requirements of strict scrutiny»: ovverosia che la scelta da esso compiuta di allocare gli elettori in base alla razza persegue un «compelling governmental interest» ed è effettivamente indispensabile per soddisfarlo. «This standard is extraordinarily onerous because the Fourteenth Amendment was designed to eradicate race-based state action».
2.3. Il South Carolina sostiene che la Corte distrettuale ha errato in diritto e in fatto nel ritenere che la razza abbia svolto un ruolo predominante nella configurazione del collegio n. 1 e, in particolare, che essa «did not properly disentangle race from politics». Poiché si tratta, sostanzialmente, di una censura in punto di fatto, «we dispose of this case on clear-error grounds».
L'assunto dello Stato è fondato. La Corte distrettuale ha chiaramente commesso un errore, poiché i ricorrenti non hanno assolto all'onere probatorio che su di essi incombeva: «[t]hey provided no direct evidence of a racial gerrymander, and their circumstantial evidence is very weak. Instead, the Challengers relied on deeply flawed expert reports. And while these experts produced tens of thousands of maps with differently configured districts, they did not offer a single map that achieved the legislature's partisan goal while including a higher BVAP (22) in District 1. Faced with this record, we must reverse the District Court on the racial-gerrymandering claim».
Sono quattro, in particolare, i rilievi critici della Corte suprema alla decisione appellata.
1) Il «racial-predominance test» che la Corte distrettuale era chiamata ad applicare «has a very substantial legal component that must take account of our prior relevant decisions»; e «the application of this test calls for particular care when the defense contends that the driving force in its critical districting decisions (namely, partisanship) was a factor that is closely correlated with race». In casi del genere, un travisamento del diritto può facilmente tradursi in un travisamento dei fatti. Ed è proprio quest'ultimo che inficia la decisione della Corte distrettuale (23).
2) Per la Corte distrettuale, il South Carolina ha volutamente tracciato i contorni del collegio n. 1 con un obiettivo razziale ben preciso, ossia mantenere entro il 17% l'elettorato di colore, e questo è illegale. Ma i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova che supporti una tale conclusione; ed anzi, dagli atti processuali emerge esattamente il contrario. «None of the facts on which the District Court relied to infer a racial motive is sufficient to support an inference that can overcome the presumption of legislative good faith».
2-a) La Corte distrettuale ha desunto l'esistenza di motivazioni razziali dal fatto che la quota dell'elettorato di colore del collegio n. 1 era rimasta ferma intorno al 17%, nonostante tutti i cambiamenti apportati dal South Carolina durante l'attività di redistricting. Sennonché tale circostanza dimostra ben poco, stante la strettissima correlazione, nella specie, tra preferenze razziali e preferenze partitiche. Se la totalità degli elettori di colore votasse a favore di candidati democratici, è ovvio che il «partisan breakdown» avuto di mira dal legislatore nel collegio n. 1 - «something in the range of 54% Republican to 46% Democratic» - richiederebbe inevitabilmente lo spostamento di un numero sproporzionato di elettori di colore. E poiché circa il 90% degli elettori di colore è orientato a favore di candidati democratici, è molto probabile che qui si sia verificata una cosa del genere. Sono le stesse conclusioni cui perviene la Corte distrettuale a dimostrare l'esistenza di uno stretto legame fra l'obiettivo partitico perseguito dal legislatore e l'elettorato di colore del collegio n. 1. Nel corso della procedura di redistricting, il South Carolina ha preso in considerazione svariate mappe, incluse quelle prodotte dai ricorrenti. «Maps with a Democratic-leaning District 1 had BVAP percentages that generally ranged between 21% to 24%. [...] The District Court itself concluded that a 17% BVAP "produced a Republican tilt," a 20% BVAP "produced a 'toss up district,'" and a 21% to 24% BVAP "produced a Democratic tilt." [...] And the Challengers cannot point to even one map in the record that would have satisfied the legislature's political aim and had a BVAP above 17%. Thus, there is strong evidence that the district's BVAP of 17% was simply a side effect of the legislature's partisan goal. And certainly nothing rules out that possibility. In light of the presumption of legislative good faith, that possibility is dispositive». La motivazione della Corte distrettuale, in ogni caso, si pone in totale contrasto con detta presunzione di buona fede. «And what the court did - inferring bad faith based on the racial effects of a political gerrymander in a jurisdiction in which race and partisan preference are very closely correlated - would, if accepted, provide a convenient way for future litigants and lower courts to sidestep our holding in Rucho that partisan-gerrymandering claims are not justiciable in federal court. Under the District Court's reasoning, a litigant could re-package a partisan-gerrymandering claim as a racial-gerrymandering claim by exploiting the tight link between race and political preference. Instead of claiming that a State impermissibly set a target Republican-Democratic breakdown, a plaintiff could simply reverse-engineer the partisan data into racial data and argue that the State impermissibly set a particular BVAP target. Our decisions cannot be evaded with such ease. For that reason, the District Court clearly erred in finding that the legislature deliberately sought to maintain a particular BVAP just because the maps that produced the sought-after partisan goal all had roughly the same BVAP».
2-b) La Corte distrettuale ha desunto l'esistenza di una motivazione razziale da alcune modifiche effettuate dallo Stato nel ridisegnare il collegio n. 1: lo spostamento da questo di un numero di elettori (circa 140.000) superiore a quello (circa 80.000) richiesto dal principio "one person, one vote" (24); la divisione di Charleston e di alcune altre contee, in contrasto con i tradizionali criteri di redistricting. Sennonché, anche tali scelte trovano la loro giustificazione nell'obiettivo, squisitamente politico, di assicurare la presenza di una forte maggioranza repubblicana all'interno di quel collegio.
2-c) La Corte distrettuale ha osservato che molte circoscrizioni amministrative «predominantly black» della contea di Charleston erano state spostate dal collegio n. 1 al collegio n. 6. Ma anche tale circostanza è priva di valenza dimostrativa, stante l'esistenza, nella fattispecie concreta, di una stretta correlazione tra preferenze razziali e preferenze partitiche: «[t]he Charleston County precincts that were removed are 58.8% Democratic. Thus, the legislature's stated partisan goal can easily explain this decision, and the District Court therefore erred in crediting the less charitable conclusion that the legislature's real aim was racial».
2-d) La Corte distrettuale ha attribuito un peso eccessivo al fatto che diversi componenti dello staff incaricato di predisporre la voting map - e, tra di essi, lo stesso esperto cui era stato affidato il compito (Will Roberts) - avevano acquisito dati relativi alla razza. Ma tale circostanza, di per sé, significa poco: quasi sempre i parlamenti che procedono alle operazioni di districting sono a conoscenza della demografia razziale. «Here, Roberts testified without contradiction that he considered the relevant racial data only after he had drawn the Enacted Map and that he generated that data solely for a lawful purpose, namely, to check that the maps he produced complied with our Voting Rights Act (25) precedent». La Corte distrettuale non ha ritenuto credibile tale testimonianza, ma nel contempo non ha citato alcuna prova che non potesse supportare la deduzione che sia stata la politica a guidare il processo di creazione della mappa. «And the court provided no explanation why a mapmaker who wanted to produce a version of District 1 that would be safely Republican would use data about voters' race rather than their political preferences. Why would Roberts have used racial data - with the associated legal risks - as a proxy for partisan data when he had access to refined, sub-precinct-level political data that accounted for voter turnout and electoral preferences? The District Court provided no answer to this obvious question». Essa si è lasciata fuorviare da prove deboli, mentre avrebbe dovuto escludere la possibilità che sia stata la politica a orientare l'attività di redistricting.
3) Nessuna delle quattro consulenze tecniche prodotte in giudizio dai ricorrenti dimostra che la razza ha svolto un ruolo predominante nella configurazione del collegio n. 1: «these reports are flawed because they "ignored certain traditional districting criteria" such as geographical constraints and the legislature's partisan interests. [...] Because these reports do not replicate the "myriad considerations" that a legislature must balance as part of its redistricting efforts, they cannot sustain a finding that race played a predominant role in the drawing of District 1's lines» (26).
La realtà è che «politics pervaded the highly visible mapmaking process from start to finish. The Republican and Democratic caucuses submitted competing maps, and the Enacted Plan passed the legislature by a margin of 26 to 15 in the Senate and 72 to 33 in the House, with only Democrats voting in opposition. The public hearings and legislative debates are of a piece».
In definitiva, «no direct evidence supports the District Court's finding that race predominated in the design of District 1 in the Enacted Plan. The circumstantial evidence falls far short of showing that race, not partisan preferences, drove the districting process, and none of the expert reports offered by the Challengers provides any significant support for their position».
4) Ma non solo. La Corte distrettuale avrebbe dovuto rigettare l'impugnazione perché né i ricorrenti né i loro consulenti tecnici hanno fornito una mappa alternativa idonea a dimostrare che nel collegio n. 1 lo Stato avrebbe ugualmente potuto perseguire i propri legittimi obiettivi politici attraverso un bilanciamento razziale significativamente maggiore. Ed invero, come la Corte suprema ha più volte osservato, «an alternative map of this sort can go a long way toward helping plaintiffs disentangle race and politics». Era la prova chiave, ed era tutt'altro che difficoltosa.
La valenza probatoria di una mappa alternativa, unitamente alla sua agevole disponibilità, «means that trial courts should draw an adverse inference from a plaintiff's failure to submit one. The adverse inference may be dispositive in many, if not most, cases where the plaintiff lacks direct evidence or some extraordinarily powerful circumstantial evidence», tale da dimostrare senza ombra di dubbio l'obiettivo dello Stato di separare gli elettori in base alla loro razza (27).
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, era onere dei ricorrenti produrre in giudizio una tale mappa alternativa: «[a] plaintiff's failure to submit an alternative map - precisely because it can be designed with ease - should be interpreted by district courts as an implicit concession that the plaintiff cannot draw a map that undermines the legislature's defense that the districting lines were "based on a permissible, rather than a prohibited, ground."» (28).
2.4. I ricorrenti hanno promosso anche un'autonoma azione legale per vote dilution, ottenendo ragione dalla Corte distrettuale per i medesimi motivi in fatto e in diritto che sorreggono la decisione relativa al racial gerrymandering. Ma poiché questa, alla luce di quanto sinora esposto, deve ritenersi «clearly erroneous», l'altra non può che essere valutata allo stesso modo.
A ciò si aggiunga che l'analisi della Corte distrettuale «did not take into account the differences between vote-dilution and racial-gerrymandering claims».
Ed invero, l'azione per racial gerrymandering richiede di stabilire se la razza abbia avuto un ruolo predominante nella configurazione di un collegio elettorale, indipendentemente dalle motivazioni sottostanti; nel contesto di quell'iniziativa, la classificazione razziale rappresenta di per sé «the relevant harm». Chi agisce per vote dilution, invece, non può limitarsi a dimostrare che, in sede di districting, la razza ha avuto un ruolo predominante, ma «must show that the State "enacted a particular voting scheme as a purposeful device to minimize or cancel out the voting potential of racial or ethnic minorities." [...] In other words, the plaintiff must show that the State's districting plan "has the purpose and effect" of diluting the minority vote» (29).
Questo duplice errore nell'analisi della Corte distrettuale circa l'azione per vote dilution impone sul punto l'annullamento con rinvio. Mentre per il resto (ossia per la parte relativa al dedotto racial gerrymandering) la decisione appellata è annullata senza rinvio.
3. Le opinioni separate: l'opinione parzialmente concorrente
Sebbene si presenti come «concurring in part» con quella della maggioranza, l'opinion del giudice Thomas sostanzialmente contesta dalle fondamenta (non per la prima volta) l'intera giurisprudenza della Corte suprema in materia di gerrymandering e vote dilution, auspicandone un totale ripensamento.
Thomas afferma di condividere la scelta di riformare la sentenza appellata, ma ritiene che la Corte, nell'analizzare minuziosamente ciascuna delle quattro consulenze tecniche prodotte nel giudizio di primo grado dai ricorrenti, abbia finito col sovrapporre la propria lettura dei fatti a quella della Corte distrettuale, travalicando così i limiti propri del clear-error review.
Ad ogni modo, egli è dell'avviso che «that analysis is not necessary to resolve the case», per le ragioni qui di seguito compendiate.
3.1. Premesso che la controversia in esame riveste natura puramente costituzionale, atteso che né i ricorrenti né il South Carolina hanno invocato il Voting Rights Act del 1965, Thomas sostiene - richiamando quanto più volte argomentato in passato - che la Corte suprema avrebbe dovuto declinare la propria giurisdizione, in quanto il disegno dei collegi elettorali spetta alla politica, non ai giudici federali: «[t]here are no judicially manageable standards for resolving claims about districting, and, regardless, the Constitution commits those issues exclusively to the political branches».
L'insistenza con cui la Corte ha ritenuto di dover decidere su questo tipo di controversie ha condotto all'affermazione di principi che attribuiscono rilievo all'elemento razziale: rilievo che contrasta col carattere «color-blind» della Costituzione. «A colorblind Constitution does not require that racial considerations "predominate" before subjecting them to scrutiny. Nor does it tolerate groupwide judgments about the preferences and beliefs of racial minorities. It behooves us to abandon our misguided efforts and leave districting to politicians».
Stabilire quale sia la giusta forma di un collegio elettorale «is a political question not suited to resolution by federal courts»: sia perché si tratta di materia che la Elections Clause (30) affida esclusivamente a organi politici (in primis, al Congresso), sia perché le Corti non dispongono di parametri di giudizio chiari e oggettivi. Pertanto, i claims di partisan o racial gerrymandering, come pure quelli di vote dilution, non sono giustiziabili.
3.2. Le azioni legali per racial gerrymandering richiedono alle corti di ricostruire le motivazioni sottese a un procedimento legislativo complesso e spesso arbitrario, dovendo i ricorrenti dimostrare che la razza ha costituito il fattore predominante nella scelta di allocare un numero significativo di elettori dentro o fuori un determinato collegio, ossia che il legislatore ha subordinato «traditional race-neutral districting principles» a considerazioni razziali. L'indagine sull'intento perseguito dal legislatore è inevitabile, perché è proprio quell'intento - e non già la mappa approvata - che assume rilievo nei casi di racial gerrymandering.
Divinare lo scopo legislativo è un'impresa difficile anche nelle migliori circostanze, ma il compito è quasi impossibile nei casi di gerrymandering. La configurazione dei collegi elettorali è ostica per gli stessi legislatori, giacché implica un delicato bilanciamento politico di interessi confliggenti. Per questo la Corte suprema ha avvertito le corti della necessità di essere «sensitive to the complex interplay of forces that enter a legislature's redistricting calculus» (31).
Nei casi in cui manca una «smoking-gun evidence» (come l'ammissione dello Stato di aver effettivamente preso in considerazione la razza in ossequio al VRA), l'unica via consiste nel dimostrare che la mappa approvata contrasta con i «traditional redistricting criteria», e ciò richiede che i giudici accertino quali sono le mappe che dovrebbero originare dalla loro applicazione. Ma questo è del tutto inutile, attesa la varietà, la vaghezza e talora l'inafferrabilità di siffatti criteri, così come individuati dalla giurisprudenza della Corte suprema ("compactness", "contiguity", "respect for political subdivisions", "keeping communities of interest together", "protecting incumbents", "minimizing change", ecc.).
Per valutare se una mappa è conforme ai «traditional districting principles», non si può non classificarli in ordine di importanza, giacché altrimenti è impossibile dire quali mappe ne dovrebbero scaturire. Ma questo intrappola le corti in un groviglio politico. Tali principi sono spesso confliggenti tra di loro, e non esiste un criterio oggettivo per comporre il conflitto. Lo stabilire che cosa debba essere accorpato e che cosa, invece, separato non è altro che una scelta frutto di compromessi politici, e quindi «is beyond the judicial power».
La valutazione della conformità ai «traditional districting principles» è ulteriormente complicata dal fatto che molte decisioni appaiono spiegabili tanto con una genuina applicazione di detti principi quanto con le comuni tecniche di gerrymandering. «A legislature seeking to gerrymander a district» - rammenta Thomas - «will often proceed by "packing" or "cracking" groups of minority voters. "Packing" means concentrating minority voters in a single district to reduce their influence in surrounding districts. "Cracking" means splitting a group of minority voters between multiple districts to avoid strong minority influence in any one district». Ma, là dove gruppi politici tendono a compattarsi (come accade per gli elettori democratici nelle aree urbane), un'apparente ipotesi di packing o cracking può essere semplicemente dovuta al fatto che lo Stato si è attenuto a quei principi che impongono di assicurare «compactness and respect for political subdivision lines» oppure la «incumbency protection». Per questo, «[t]he difference between illegitimate packing and the legitimate pursuit of compactness is too often in the eye of the beholder».
Il problema è che, nell'attuale società americana, il fattore razziale e quello politico sono strettamente correlati, sicché eventuali anomalie nella conformazione dei collegi elettorali possono giustificarsi tanto alla luce dell'uno quanto alla luce dell'altro. Quando uno Stato citato in giudizio si difende sostenendo di aver agito per finalità partitiche, anziché razziali, i ricorrenti hanno il gravoso onere di tenere distinti i due fattori e provare che è stato il primo, invece che il secondo, a guidare il disegno dei collegi elettorali. Ma «[c]ourts are not well equipped to evaluate whether plaintiffs succeed in disentangling race and politics».
Il caso in esame è significativo. Nelle ultime elezioni presidenziali, quasi il 90% dell'elettorato di colore del South Carolina si è espresso a favore del candidato democratico. «When nearly all black voters support Democrats, an effort to strategically sort Democratic voters can be indistinguishable from an effort to strategically sort black voters. In this case, all Democratic-leaning maps presented during the districting process featured a black share of the voting-age population of 21% or higher, and all Republican-leaning maps featured a black voter share of 17% or lower. [...] The dispute in this case therefore focuses on whether that correlation reflected a racial purpose, or merely reflected the result of a political purpose».
La motivazione della maggioranza sottolinea la difficoltà di distinguere fra razza e politica, spiegando che, nelle loro relazioni, i consulenti tecnici di parte sono incorsi non già in errori di diritto, ma in errori di metodo, ossia relativi ai modelli statistici assunti a riferimento. Per questo, le giudici dissenzienti rimproverano i colleghi di essere "statistici da salotto"; ma esse stesse, nel difendere le risultanze delle consulenze di parte, si comportano da "cartografi da salotto" (32). In definitiva, gli uni e gli altri si avventurano su un terreno che non ha nulla di giuridico.
«A system in which only specialized experts can discern the existence of a constitutional injury» - rimarca Thomas - «is intolerable, and strongly suggests that the racial gerrymandering injury is not amenable to judicial resolution. We should resist the temptation to reduce the Fourteenth Amendment to a battle of expert witnesses. Our gerrymandering misadventures demonstrate that these claims lack judicially manageable standards».
3.3. Stesso discorso può farsi con riguardo alle azioni legali per vote dilution, siano esse basate sul XIV Emendamento oppure sul § 2 VRA. Anche qui, infatti, manca del tutto un «undiluted benchmark» alla cui stregua stabilire se la configurazione di un collegio elettorale determini o no una riduzione della capacità degli elettori di una minoranza, in quanto gruppo, di eleggere il candidato preferito. Parametro, questo, che la stessa giurisprudenza della Corte suprema, nonostante tutti gli sforzi, non è mai riuscita ad individuare: il che non sorprende, dato che la Costituzione non offre una base teorica per stabilire in che cosa consista un'efficace partecipazione nel contesto del governo rappresentativo. La scelta fra diverse teorie di effettiva rappresentanza dipende dagli obiettivi e dalle strategie politiche degli elettori, non già da principi di diritto costituzionale. Nessuna teoria di "voto efficace" inerisce all'idea stessa di democrazia rappresentativa. Pertanto, quando nei suoi precedenti la Corte suprema richiede che i giudici acclarino se il voto di una minoranza sia stato indebolito, essa in realtà richiede loro di scegliere fra contrapposte concezioni di rappresentanza, e quindi, in ultima analisi, fra contrapposte teorie di filosofia politica. «The Constitution expresses no view on such issues, and they are not amenable to judicial resolution».
In pratica, la Corte suprema non ha fatto altro che aderire a una teoria della rappresentanza secondo cui i seggi parlamentari devono essere ripartiti sulla base di un criterio di «racial proportionality». Un simile approccio proporzionale è facilmente applicabile, ma si pone in radicale contrasto con i «Reconstruction Amendments» (33), i quali impongono ai governi di trattare i cittadini come individui, affinché si realizzi un sistema politico in cui la razza non riveste più alcuna importanza.
Le controversie in materia di vote dilution non pongono questioni giuridiche, né si prestano ad essere risolte alla stregua di «any judicially manageable standards». La scelta della Corte suprema di occuparsene ugualmente «has yielded an unconstitutional practice of distributing of political power based on race».
3.4. Le controversie in materia di racial gerrymandering e di vote dilution - quanto meno quelle che attengono ai congressional districts - non sono giustiziabili anche per un'altra ragione: il testo della Costituzione - anzitutto, la Elections Clause - attribuisce esclusivamente al Congresso il potere di supervisionare l'attività (che in prima battuta spetta ai singoli Stati) di configurazione dei collegi elettorali per l'elezione dei suoi componenti, senza riconoscere alcun ruolo alle corti federali. E ai tempi in cui la Costituzione fu scritta, le pratiche di gerrymandering e di vote dilution erano già ben note: «[t]he founding generation was familiar with political districting problems from the American colonial experience. [...] But, the Framers nowhere suggested the federal courts as a potential solution to those problems. Instead, they relied on congressional oversight. The Framers' considered choice of a nonjudicial remedy is highly relevant context to the interpretation of the Elections Clause».
Tanto l'interpretazione testuale quanto i lavori preparatori, dunque, depongono nel senso della competenza esclusiva del Congresso.
D'altro canto, questa non è revocabile in dubbio né alla luce della Equal Protection Clause del XIV Emendamento, la cui formulazione, correttamente intesa, «has no obvious bearing on districting»; né alla luce del XV Emendamento, il quale garantisce soltanto che l'esercizio del diritto di voto dei membri delle minoranze razziali non sia ostacolato. Non c'è nulla nei Reconstruction Amendments che attribuisca ai giudici il potere di controllare i confini dei collegi elettorali: per contro, «the Elections Clause assigns the responsibility for supervising the States' drawing of congressional districts solely to Congress».
In definitiva, «[r]acial gerrymandering and vote dilution claims lack judicially manageable standards for their resolution. And, they conflict with the Constitution's textual commitment of congressional districting issues to the state legislatures and Congress. They therefore present nonjusticiable political questions. The Court should extricate itself from this business and return political districting to the political branches, where it belongs».
3.5. «When an institution» - scrive ancora Thomas - «strays from its competencies, one does not expect good results. This Court's efforts in the districting field are no exception. The underlying nonjusticiability of racial gerrymandering and vote dilution claims leads us to distort our doctrines in numerous ways. The standard that the Court uses to resolve racial gerrymandering claims betrays the colorblind promise of the Fourteenth Amendment by endorsing the notion that some racial classifications are benign. The standard that the Court uses to resolve vote dilution claims invariably falls back on racial stereotypes. And, the remedy commonly ordered in redistricting cases - a judicially imposed map - ignores the normal limits on federal equity power. Taken together, the Court's misconceived doctrines leave the States in an unenviable position».
Ed invero:
- il criterio, adottato dalla Corte suprema nei casi di racial gerrymandering, della predominanza dell'elemento razziale contrasta col carattere «color-blind» della Costituzione. Di regola, qualunque considerazione da parte delle autorità, anche secondaria, della razza comporta uno strict scrutiny. Secondo la giurisprudenza della Corte suprema, invece, nelle ipotesi di racial gerrymandering lo "scrutinio stretto" ha luogo solo se la razza ha costituito il fattore predominante della scelta del legislatore di collocare un numero significativo di elettori all'interno o all'esterno di un dato collegio. Sennonché, «[a] "predominance" requirement conflicts with the classification-based harm that racial gerrymandering claims purport to address. The constitutional injury underlying a racial gerrymandering claim is the legislature's mere use of a racial classification in drawing its map. [...] That injury exists whether race is a legislature's first or last consideration in drawing districts. [...] All racial classifications are inherently suspect, whether predominant or not».
Il criterio in parola è stato elaborato dalla Corte suprema con l'intento di circoscrivere il sindacato dei giudici federali, in modo da evitare loro "sconfinamenti" nel regno della politica. «These concerns about intruding on the political process should have been a clear sign to retreat. Instead, the Court forged ahead to adopt a constitutionally suspect compromise».
In realtà, «[a]ny use of race in drawing political districts - no matter how minor - must be justified by a compelling interest. The Court's insistence on hearing nonjusticiable districting claims leads it to disregard that principle in favor of a distorted standard that legitimizes racial classifications. If the Court is truly concerned about intruding on the political process, it should acknowledge that districting is a political question and vacate the field»;
- analoghe considerazioni valgono per le controversie in materia di vote dilution. La Costituzione, infatti, non stabilisce alcun criterio di rappresentanza effettiva alla cui stregua valutare l'indebolimento del voto. La Corte suprema ha ritenuto di poter colmare questa lacuna guardando alla capacità degli elettori di minoranza, intesi come gruppo, di eleggere il loro candidato preferito: il che significa ripiegare «on generalized expectations about members of minority groups». Ma ciò presuppone giocoforza una - costituzionalmente inaccettabile - stereotipizzazione razziale: ossia che al comune colore della pelle corrisponda sempre e comunque lo stesso modo di pensare.
Tutto ciò appare in maniera evidente nel caso in esame. Nella sua decisione, la Corte distrettuale, facendo propria la tesi dei ricorrenti, presuppone che il candidato preferito da tutti gli elettori di colore sia un democratico. Sennonché, il mero fatto che i membri di un gruppo razziale tendano a preferire il medesimo candidato non consente di assumere quella correlazione come una verità assoluta, ben potendo darsi che tale preferenza derivi da comuni interessi socio-economici, piuttosto che da un qualche altro fattore inerente alla razza. I ricorrenti muovono dall'idea che i gruppi razziali possano essere concepiti in gran parte come gruppi di interesse politico. Ma la Costituzione vieta una tale ipotesi.
Non solo. I ricorrenti assumono che il candidato preferito dagli elettori di colore sia necessariamente un democratico di colore. Il che è smentito dai fatti: il primo rappresentante di colore eletto nel South Carolina dai tempi della "ricostruzione" (34) fu, nel 2016, un repubblicano. I ricorrenti e i loro consulenti sostengono che quella tornata elettorale non prova l'effettiva capacità degli elettori di colore di scegliere il loro candidato preferito. «Plaintiffs' argument therefore combines two stereotypes by assuming that black South Carolinians can be properly represented only by a black Democrat».
Naturalmente questo genere di stereotipizzazione non riguarda solo il caso in esame né solo gli elettori di colore, ma anche, come dimostra una recente decisione di un'altra Corte distrettuale, gli elettori ispanici;
- l'unico rimedio possibile ai danni cagionati dalla creazione di una voting map illegale è l'adozione di una nuova mappa. Ma le Corti federali non hanno il potere di creare rimedi precedentemente ignoti alla «equity jurisprudence», e «there is no "indication that the Framers had ever heard of courts" playing any role in resolving electoral districting problems» (35).
Nessuna Corte federale «has explained where the power to draw a replacement map comes from, but all now assume it may be exercised as a matter of course».
La mancanza di un «map-drawing remedy» che abbia un qualche fondamento storico rappresenta un problema enorme per i «districting claims», poiché «no historically supportable remedy can correct an improperly drawn district».
L'unica via astrattamente praticabile è quella di una negative injunction (36) nei confronti dei funzionari statali che violino, o intendano violare, il diritto federale.
Sennonché, nei casi di racial gerrymandering e di vote dilution, tale strumento non torna utile, per due ragioni: in primo luogo, non è affatto certo che esso possa bloccare un'elezione, impedendo ai funzionari statali di procedervi sulla base di una mappa incostituzionale, oppure costringendoli a disegnarne una nuova; in secondo luogo, ammesso pure che sia possibile proibire ai funzionari statali di svolgere le elezioni, è opinabile che un siffatto provvedimento possa davvero ritenersi «equitable», atteso che «[o]ur system of government depends on regular elections; putting elections indefinitely on hold may do more harm than good». In definitiva, «to remedy racial gerrymandering or vote dilution, someone must draw a new map. I can find no explanation why that "someone" can be a federal court»;
- i tentativi della Corte suprema di giudicare l'impossibile hanno posto gli Stati in una condizione di insostenibile incertezza, con tutti i rischi che ne discendono sul piano della loro responsabilità. Se da un lato, infatti, la Costituzione vieta di prendere in considerazione la razza, dall'altro il VRA impone invece di tenerne conto. «But, the lack of manageable standards for districting claims and the unfortunate trajectory of the Court's Voting Rights Act precedents combine to make it impossible for States to navigate these hazards».
Come ben dimostrano anche altri casi recenti (quali quelli dell'Alabama (37) e della Louisiana (38)), «this Court's jurisprudence puts States in a lose-lose situation. Taken together, our precedents stand for the rule that States must consider race just enough in drawing districts. And, what "just enough" means depends on a federal court's answers to judicially un-answerable questions about the proper way to apply the State's traditional districting principles, or about the groupwide preferences of racial minorities in the State. There is no density of minority voters that this Court's jurisprudence cannot turn into a constitutional controversy. We have extracted years of litigation from every districting cycle, with little to show for it. The Court's involvement in congressional districting is unjustified and counterproductive».
4. Segue: l'opinione dissenziente
In occasionale sintonia con Thomas, ma per mezzo di argomentazioni assai più ampie ed articolate delle sue, anche le giudici dissenzienti rimproverano la maggioranza di aver sovrapposto la propria valutazione dei fatti a quella della Corte distrettuale (e finanche di essersi sostituita ai consulenti tecnici dei ricorrenti), debordando in maniera plateale dai limiti del clear-error review; e altresì le addebitano di aver sostanzialmente riscritto le regole procedurali in senso favorevole agli Stati, così da rendere molto più difficili, se non praticamente impossibili, le azioni legali per racial gerrymandering (39).
Il dissent può essere riassunto nei termini che seguono.
4.1. Come riconosce la stessa maggioranza, il caso in esame ruota tutto attorno a una questione meramente fattuale: e cioè se il South Carolina, nel riconfigurare il collegio n. 1, abbia utilizzato dati relativi alla razza. Le parti concordano che lo Stato mirava a rendere tale collegio "più repubblicano" e che, a questo fine, aveva spostato all'incirca 200.000 persone all'interno o all'esterno del relativo perimetro. Ciò su cui esse dissentono, invece, è il criterio con cui sono state scelte le persone da estromettere. Lo Stato afferma che gli autori delle mappe hanno guardato esclusivamente ai dati delle ultime elezioni e agli elettori che avevano votato per il partito democratico. Se ciò è vero, «the State's actions (however unsavory and undemocratic) are immune from federal constitutional challenge». I ricorrenti sono di diverso avviso: essi sostengono che gli autori delle mappe, non essendo soddisfatti di ciò che risultava dai dati elettorali, abbiano fatto largo uso di dati relativi alla razza, sfruttando così la ben nota correlazione fra la stessa e il comportamento elettorale. Se ciò è vero, «the Challengers have a good constitutional claim, because the Equal Protection Clause forbids basing election districts mainly on race in order to achieve partisan aims». Dunque l'interrogativo che si pone è: «[i]n drawing District 1, did the mapmakers consider voting data alone, or did they also closely attend and respond to which residents were Black and which were White?».
Al fine di rispondere a tale interrogativo, la Corte distrettuale ha fatto tutto quel che doveva. Dopo un'ampia istruttoria, essa ha tenuto un processo di nove giorni, con circa due dozzine di testimoni e centinaia di documenti; ha valutato prove riguardanti la geografia e la politica del South Carolina; ha ascoltato testimonianze di prima mano sul processo di redistricting; e ha acquisito i pareri degli esperti statistici su come potessero, o non potessero, essere disegnati i nuovi collegi elettorali. Alla fine, essa ha dovuto scegliere fra due versioni dei fatti nettamente diverse, supportate da prove opposte. Da un lato, infatti, i funzionari statali - la maggioranza lo sottolinea - hanno ripetutamente negato l'utilizzo della razza nella scelta delle persone espulse dal collegio n. 1, insistendo sul fatto di aver basato le loro decisioni esclusivamente su dati politici. Dall'altro lato, però, sta il fatto - ma su questo punto la maggioranza è stata molto più sbrigativa - che i cartografi dello Stato erano esperti e abili nell'uso dei dati razziali per il disegno delle mappe elettorali; che hanno configurato il loro software per la creazione di mappe in modo da mostrare come qualsiasi cambiamento apportato al collegio avrebbe influenzato la relativa composizione razziale; che la composizione razziale a cui erano arrivati era esattamente ciò di cui avevano bisogno, fino al punto decimale, per raggiungere l'obiettivo di avvantaggiare il partito repubblicano; e che la loro «politics-only story» non era in grado di spiegare statisticamente l'esclusione su larga scala dei cittadini afroamericani. Di fronte a questi elementi probatori, i giudici distrettuali hanno ritenuto all'unanimità che la versione dei fatti dei ricorrenti fosse la più credibile. «The court, to put the matter bluntly, did not believe the state officials. It thought they had gerrymandered District 1 by race».
Nel riesaminarne le conclusioni, la maggioranza «goes seriously wrong». Gli accertamenti di fatto relativi alla configurazione dei collegi elettorali, come pure quelli relativi ad altre questioni, sono sindacabili solamente nel caso in cui siano inficiati da errori evidenti. Se la ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte distrettuale si appalesa plausibile, essa dev'essere confermata. Sulla base di tale criterio di giudizio, ora il South Carolina sarebbe tenuto a riconfigurare il collegio n. 1. Le prove di racial gerrymandering prodotte dai ricorrenti supportano la decisione della Corte distrettuale. Dal canto suo, invece, la maggioranza non è in grado di motivare adeguatamente la propria valutazione; essa seleziona e sceglie le prove a proprio piacimento; ignora o minimizza le prove meno convenienti; disdegna i giudizi della Corte distrettuale sulla credibilità dei testimoni; e commette una serie di errori riguardo alle opinioni dei consulenti tecnici di parte. «The majority declares that it knows better than the District Court what happened in a South Carolina map-drawing room to produce District 1. But the proof is in the pudding: On page after page, the majority's opinion betrays its distance from, and lack of familiarity with, the events and evidence central to this case».
Ma c'è di peggio: per giustificare la propria decisione in punto di fatto, la maggioranza è anzitutto costretta a riscrivere la legge in due modi, ciascuno dei quali finalizzato a sbarrare in generale la strada ai casi di racial gerrymandering. In primo luogo, essa, pur utilizzando apparentemente lo standard dell'errore evidente, in realtà lo capovolge ogniqualvolta una Corte si pronuncia a sfavore di uno Stato che abbia ridisegnato i collegi elettorali. Nella versione della maggioranza, tutta la deferenza che dovrebbe andare all'accertamento dei fatti compiuto dalla Corte in favore dei ricorrenti va invece alla controparte soccombente, perché si presume che agisca in buona fede. Quindi la parte sbagliata ottiene il beneficio del dubbio: ogni "possibilità" che depone a favore dello Stato viene trattata come risolutiva. In secondo luogo, la maggioranza inventa un nuovo onere probatorio a carico di chi promuove un'azione legale per racial gerrymandering. Da oggi, le Corti devono decidere a sfavore dei ricorrenti se essi non producono in giudizio una mappa alternativa, pur qualora abbiano fornito numerose altre prove dell'esistenza di una violazione costituzionale. «Such micro-management of a plaintiff's case is elsewhere unheard of in constitutional litigation. But as with its upside-down application of clear-error review, the majority is intent on changing the usual rules when it comes to addressing racial-gerrymandering claims».
L'intento della maggioranza è palese: mettere gli Stati al riparo dalle azioni legali per racial gerrymandering, giustificando le scelte dei primi come volte unicamente al raggiungimento di obiettivi politici e ostacolando la proposizione delle seconde.
«The proper response to this case is not to throw up novel roadblocks enabling South Carolina to continue dividing citizens along racial lines. It is to respect the plausible - no, the more than plausible - findings of the District Court that the State engaged in race-based districting. And to tell the State that it must redraw District 1, this time without targeting African-American citizens».
4.2. La Corte suprema è costante nel ritenere che, nei casi soggetti a clear-error review, le valutazioni in punto di fatto delle Corti distrettuali devono, in via di principio, ritenersi corrette, se e in quanto plausibili, quand'anche la stessa Corte suprema, ove fosse stata al posto di quella distrettuale, avrebbe deciso diversamente la controversia. Dette valutazioni possono essere annullate solo qualora si abbia la chiara e precisa convinzione che è stato commesso un errore. Ciò vale soprattutto allorché si tratti della credibilità dei testimoni. È la Corte distrettuale, infatti, che ha condotto l'istruttoria, letto i documenti, escusso i testi, e che conosce nei minimi dettagli i fatti di causa. Ebbene, «[t]he clear-error standard tells us that when we disagree with a trial court's view of the facts, we are the ones likely to be wrong. So we should make triple sure that we are correcting, not creating, an error before we reverse».
Nel caso in esame, la maggioranza, pur richiamandosi al criterio del clear-error review, ha in realtà finito con l'ignorarlo, ed anzi ha fatto l'esatto contrario di ciò che quel criterio esige. Essa ha dato credito non già alla Corte distrettuale, bensì allo Stato, ossia alla parte soccombente in primo grado. «Invoking a "presumption of legislative good faith," the majority insists that "when confronted with evidence that could plausibly support multiple conclusions," a court must "draw the inference that cuts" in the State's favor. [...] So over and over the majority puts its thumb on the scale against the District Court. Each time it takes up a piece of evidence, the majority declares that there is a "possibility" of seeing it the State's way. [...] And that possibility is "dispositive"; because of it, the State's version of the facts must control. [...] In effect, the majority's demand for deference to the State overrides clear-error review's call for deference to the trial court. If the District Court wants deference, it had better just rule for the State».
Un tale approccio contrasta con gli arresti della Corte suprema. Stando ai precedenti, infatti, la presunzione di buona fede a favore dello Stato «tells a court not to assume a districting plan is flawed or to limit the State's opportunities to defend it. [...] And the presumption reminds a court that it is a serious matter to find a State in breach of the Constitution. [...] But that is all. Nothing in our decisions suggests that a trial court must resolve every plausibly disputed factual issue for the State (as if we could hardly imagine officials violating the law). And still less do our decisions suggest that the trial court's factual findings are deprived of deference on appeal. To the contrary, [...] clear-error review of those findings proceeds just as usual, unaffected by the presumption».
Nella prospettiva della maggioranza, i ricorsi per racial gerrymandering sono spesso armi di una guerra politica che si serve delle corti per fini illegittimi. E quando le corti accolgono tali ricorsi, esse in sostanza accusano gli Stati di aver posto in essere una condotta particolarmente grave («offensive and demeaning conduct»), ossia quella di voler creare una sorta di apartheid politico. La Corte suprema ha più volte sottolineato l'importante ruolo che cause come quella in esame svolgono nell'impedire che i cittadini siano illegalmente distribuiti all'interno dei collegi elettorali sulla base della razza: perché questo tipo di distribuzione avviene a volte (come in questo caso) in funzione di obiettivi di parte, a volte solo per sopprimere l'influenza politica degli elettori di una minoranza. E quando ciò accade, ha ritenuto la Corte suprema, è necessaria una risposta giudiziaria. Se denunciare simili condotte significa muovere una grave accusa a uno Stato, allora così sia. La Corte non dovrebbe essere così timorosa nel dire ai discriminatori, compresi gli Stati, di smettere di discriminare. In altre pronunce recenti, essa si è vantata di aver bloccato decisioni basate sulla razza ovunque si presentassero, pur se volte a obiettivi molto più commendevoli dell'arrecare vantaggio a una parte. Non è cosa ordinaria affliggersi così tanto sol perché si offende uno Stato discriminatore.
Adottando il suo nuovo «credit-the-losing-State approach», la maggioranza vanifica gli sforzi compiuti per eliminare un tipo pernicioso di discriminazione basata sulla razza. È vero - come la stessa maggioranza sottolinea - che il sistema giudiziario fallisce quando si ritiene ingiustamente che uno Stato abbia manipolato un collegio elettorale. Ma il sistema fallisce altrettanto gravemente, se non peggio, quando uno Stato che ha manipolato un collegio riesce a farla franca. La Corte ha proibito i racial gerrymanders perché suddividono i cittadini in base alla razza al fine di alterare i risultati delle elezioni (senza la giustificazione di dover proteggere i diritti degli elettori delle minoranze). Ma instaurare un contenzioso per porre rimedio a tale danno è tutt'altro che facile. A causa del complesso contesto politico, la Corte esige che i ricorrenti dimostrino che la razza non era solo un singolo fattore, ma il fattore "predominante", nell'allocazione degli elettori tra i collegi. Questo è, e vuol essere, un onere probatorio da cui non si può essere sollevati. Ma, una volta che abbiano fornito tale dimostrazione dinanzi a una Corte di tre giudici, allora deve ritenersi che i ricorrenti abbiano assolto all'onere probatorio che incombeva su di loro. Essi non dovrebbero affrontare una forma capovolta di clear-error review, in cui la Corte ribalta la decisione appellata se ritiene che esista una "possibilità" di vedere le prove nel modo in cui le vede lo Stato. «The principal effect of that novel rule will be to defeat valid voting-discrimination claims».
Tuttavia la maggioranza non si limita a questo. D'ora in poi, coloro che intentano un'azione legale come quella qui in esame saranno soggetti ad una «adverse inference», a meno che non producano uno specifico mezzo di prova: una mappa alternativa che dimostri come i legittimi obiettivi politici dello Stato possono essere perseguiti anche attraverso un «significantly greater racial balance». La maggioranza qualifica questo tipo di prova come indispensabile in molti, se non nella maggioranza dei casi, a meno che i ricorrenti forniscano una prova diretta della manipolazione (ad es., una e-mail in cui si ammette che l'obiettivo erano gli elettori di colore), oppure una prova indiziaria eccezionalmente forte, come la forma del tutto anomala del collegio elettorale contestato. Va da sé che l'imposizione di una tale nuova regola probatoria «is meant to scuttle gerrymandering cases».
La maggioranza omette di ricordare quanto statuito dalla Corte suprema nel caso Cooper v. Harris (40): «"[I]n no area of our equal protection law," we reasoned, "have we forced plaintiffs to submit one particular form of proof." [...] And we were not about to start. A "plaintiff's task" in a gerrymander case, we stated, "is simply to persuade the trial court - without any special evidentiary prerequisite" - that race was the predominant factor in redistricting voters. [...] Like all other submissions in a gerrymandering case - the "testimony of government officials," proof about the data available to mapmakers, and "expert analysis" - "[a]n alternative map is merely an evidentiary tool." [...] So "neither [a map's] presence nor its absence can itself resolve a racial gerrymandering claim."».
Ebbene, la maggioranza finisce in pratica col ribaltare quel precedente, introducendo una «adverse inference» a sfavore dei ricorrenti e costringendoli a produrre in giudizio una mappa alternativa, che diviene così una prova "superiore" alle altre. Il fatto, poi, che tali mappe hanno un costo relativamente basso è - come affermato in Cooper v. Harris - irrilevante, trattandosi pur sempre di una prova che la Corte suprema non ha il potere di imporre. Secondo la maggioranza, i ricorrenti avrebbero dovuto sapere che, nei casi importanti di gerrymandering, occorre produrre una mappa alternativa: ma dire questo equivale ad eliminare Cooper v. Harris dalla giurisprudenza della Corte suprema, giacché in quella pronuncia si afferma che la produzione in giudizio di una mappa alternativa è possibile, e non già necessaria. «The majority today punishes the Challengers for thinking that this Court would be good to its word».
In ogni caso, i ricorrenti avevano una valida ragione per non produrre una mappa alternativa: solo durante il processo, infatti, lo Stato ha ammesso di aver voluto porre in essere una pratica di partisan (invece che di racial) gerrymandering. Essi, dunque, sono stati colti impreparati.
«Even before looking at the trial evidence, the majority thus places the Challengers in a deep hole. Although this Court recently disclaimed any need for an alternative map, the majority today draws an adverse inference from such a map's absence. And contrary to settled practice, the majority decrees that, even on clear-error review of a ruling for the Challengers, the State will emerge victorious if its version of events is so much as possible. Combine those two facets of the majority's approach, and the trial evidence fades into insignificance. A legal twist here and a legal bend there ensure that the majority need show no respect for the three-judge District Court's well-considered factual findings».
4.3. Un ordinario clear-error review avrebbe dovuto condurre alla conferma della decisione appellata, essendo questa sorretta da una montagna di prove e ragionevole.
Nel difendersi in giudizio, lo Stato ha affermato che la configurazione del collegio n. 1 era finalizzata ad evitare che vi fosse eletto un democratico. Ma la Corte suprema ha più volte statuito che «a State cannot divide voters by race to achieve political ends». La questione di fondo, dunque, non era se l'obiettivo finale dello Stato fosse di natura politica o razziale, bensì se lo Stato avesse perseguito il proprio fine politico principalmente attraverso mezzi razziali. I ricorrenti sostenevano che lo Stato l'avesse fatto, ossia che i mapmakers avessero consapevolmente rimosso i cittadini di colore dal collegio n. 1 affinché divenisse «redder», cioè "più repubblicano" (41). Dal canto suo, lo Stato ha negato recisamente di aver utilizzato la razza nel disegnare il collegio n. 1: secondo la sua versione, la sproporzionata esclusione degli afroamericani da quel collegio altro non era che un casuale effetto collaterale della loro allocazione secondo un criterio politico, consistente nell'escludere le aree che avevano fortemente sostenuto Biden nelle elezioni presidenziali del 2020. Di fronte a queste due contrapposte versioni dei fatti, la Corte distrettuale ha ritenuto di dare ragione ai ricorrenti. E non si è trattato di un errore evidente; tutt'altro. C'erano, ovviamente, prove a favore dell'una e dell'altra parte (era, come Cooper v. Harris, un «two-sided case»); ma quelle a favore dei ricorrenti erano più pesanti, giacché dimostravano che, nell'allocare gli elettori, i mapmakers si erano sostanzialmente avvalsi di dati relativi alla razza, che erano stati indotti a farlo dalla limitatezza delle informazioni politiche in loro possesso, e che avevano accesso a quei dati ed esperienza nell'utilizzarli. E che essi abbiano in effetti consultato continuamente dati razziali durante l'attività di disegno dei collegi elettorali è stato confermato da uno dei testimoni escussi. Nella mappa che ne è scaturita, la percentuale di elettori di colore del collegio in parola è esattamente quella di cui i funzionari statali sapevano di aver bisogno per raggiungere il loro obiettivo politico. E quando gli esperti di statistica hanno revisionato la mappa, sono giunti alla conclusione che la sola storia politica del South Carolina non era in grado di spiegare l'estrema disparità razziale determinata dal processo di redistricting.
4.4. In sede testimoniale, Roberts - l'esperto incaricato di redigere la mappa - ha ammesso che nel corso della sua ventennale attività professionale di mapmaker ha costantemente consultato dati relativi alla razza, e che questo era l'unico caso in cui invece non l'aveva fatto. Sennonché egli aveva appositamente configurato i computer proprio per sapere in che modo ciascuna delle varie configurazioni possibili del collegio n. 1 ne avrebbe modificato la composizione razziale. Durante i lavori nella maproom, i dati razziali erano costantemente sotto gli occhi di Roberts e dei suoi collaboratori. E non a caso: l'unico modo infallibile per rendere il collegio n. 1 "più repubblicano" era, infatti, quello di renderlo "meno nero". «In South Carolina, to remove a Black voter from a congressional district is pretty nearly to remove a future Democratic vote. That is no secret. So it is small wonder that racial data was conspicuously displayed on Roberts's computer. And then small wonder that the District Court found Roberts to have used that data to draw district lines. More doubt would properly have attached to the opposite finding - that Roberts put this hugely relevant data on his screen only to ignore it as he worked to make District 1 more Republican. That would have taken the self-restraint of a monk».
In realtà, l'uso dei dati razziali era inevitabile, giacché i soli dati politici in possesso dei mapmakers non avrebbero consentito loro di raggiungere l'obiettivo avuto di mira, in quanto meno accurati e affidabili. Ed invero - sottolinea il dissent, riportando le parole di uno degli esperti escussi dalla Corte distrettuale - «[i]n South Carolina, a Black voter is more likely to vote for a Democrat in the next election than is someone who voted for a Democrat in the last election. That is because White voting preferences in the State are not as "stable" as Black voting preferences. [...] A White voter "might vote for a Democrat in one election" only to vote "for a Republican in another." [...] So to remove a past Democratic voter (as contrasted with a Black voter) is not necessarily to remove a future Democratic vote. And the gap only widens for past presidential voters, like those who participated in the 2020 election. In presidential elections, one expert explained, more people than usual switch party lines to "vote for the candidate" - a trend that then-President Trump's candidacy may have further amplified. [...] Given all that, the South Carolina mapmakers' racial data was peculiarly predictive: The single best thing Roberts and his staff could do to increase the future Republican vote in District 1 was to exclude a Black voter. That fact would not have meant they looked at racial data alone; they also had the 2020 election data on their computers. But the racial data offered a potent tool for ensuring that District 1 would vote for a Republican in coming elections».
Le prove assunte in primo grado dimostrano senza alcun dubbio che i mapmakers hanno utilizzato i dati razziali in modo da mantenere al di sotto del 17% la quota di elettori di colore del collegio n. 1 (a fronte di uno spostamento di quasi un quarto dell'intera popolazione): unico modo, questo, per assicurare l'obiettivo del «Republican tilt».
La maggioranza preferisce dar credito alla versione dello Stato, ignorando tutte le numerose prove che la smentiscono. Così facendo, essa si è sostituita ai tre giudici della Corte distrettuale, i soli titolati a esprimere valutazioni in punto di credibilità dei testimoni. La Corte suprema ha sempre riconosciuto particolare deferenza alle valutazioni sulla credibilità dei testimoni espresse dalle Corti distrettuali, per l'ovvia ragione che esse sono più vicine alle fonti di prova dichiarativa («They were there. They could assess every aspect of a witness's testimony, including demeanor, tone of voice, and facial expression. They could see when the witness was at ease and when he stumbled»). E, nel caso in esame, i tre giudici della Corte distrettuale hanno concordemente ritenuto che i due testimoni che deponevano per lo Stato (Roberts e un senatore repubblicano che aveva presieduto al «mapmaking process») non stessero dicendo la verità.
I ricorrenti hanno fornito prove schiaccianti, dimostrando che c'era una forte sproporzione razziale nell'allocazione degli elettori al di fuori del collegio n. 1; che, nella sua lunga attività professionale, Roberts aveva sempre preso in considerazione dati relativi alla razza; che non avrebbe potuto non farlo anche in questo caso, allo scopo di avvantaggiare i repubblicani; che egli aveva configurato il computer in modo da avere costantemente sotto gli occhi la composizione razziale di ciascun collegio simulato; e che, dopo aver spostato da una parte e dall'altra quasi 200.000 residenti, avesse fatto in modo di contenere al di sotto del 17% la quota di elettori di colore, perché solo questo avrebbe assicurato il raggiungimento dell'obiettivo politico ultimo che si prefiggeva (l'elezione di un repubblicano). I funzionari statali - come c'era da aspettarsi - non hanno ammesso che le cose fossero andate effettivamente così e hanno recisamente respinto ogni accusa di discriminazione razziale; ma la loro versione non era per nulla credibile e non ha convinto - a ragione - i tre giudici distrettuali. Gli elementi offerti poi dagli esperti di statistica non hanno fatto altro che rafforzare la prova che, per creare un collegio elettorale sicuramente più favorevole ai repubblicani, i cittadini erano stati ripartiti in base alla loro razza.
4.5. I ricorrenti hanno fornito prove di natura statistica pienamente convincenti. Dal canto suo, lo Stato, anziché fornirne di proprie, «devoted all its efforts to trying to pick apart the Challengers'». In tal modo, esso ha anticipato la maggioranza, «which (given the unbalanced record) can do nothing more than search for holes, however minute, in the Challengers' expert evidence. But two separate studies emerge unscathed, and with significant probative force-fully sufficient on clear-error review to justify the District Court's conclusion. Each analysis was designed to answer the critical question: whether Charleston County was split as it was based on its residents' race. And each found that it was. Even controlling for political preference, Black voters were more likely than White voters to be removed from District 1».
I giudici della maggioranza hanno sovrapposto le proprie valutazioni non soltanto a quelle della Corte distrettuale, ma anche a quelle degli esperti di statistica ascoltati nel corso del processo, per giunta sottoponendo il loro operato a critiche che, in quella sede, neppure la difesa statale aveva mosso; e hanno formulato ipotesi del tutto fantasiose, comportandosi da "statistici da salotto".
La maggioranza cade in contraddizione con se stessa quando confuta minuziosamente le relazioni dei consulenti tecnici dei ricorrenti: da una parte, infatti, afferma che essi avrebbero dovuto condurre le loro analisi a livello di singolo collegio, e non di singolo elettore, mentre da un'altra parte sembra affermare l'esatto contrario. Sta di fatto che, qualunque sia l'angolatura - «voter-level or precinct-level» - da cui si guardino i dati statistici, la conclusione non cambia: «the State's mapmakers targeted Black voters».
Per converso, la difesa del South Carolina non è stata in grado di fornire l'unica prova necessaria e davvero rilevante: e cioè che, nella configurazione del collegio n. 1, le motivazioni politiche avevano prevalso su quelle razziali. «It was hardly clear error for the District Court to credit the Challengers' statistical evidence about race's predominant role when the State presented no similar evidence to support its partisanship theory. The majority's contrary view - that the State's nothing necessarily beat the Challengers' something - is one more tell that it has left the proper review standard way behind».
4.6. «In every way, the majority today stacks the deck against the Challengers». Devono perdere - essa dice - perché lo Stato aveva una storia "possibile" da raccontare sul fatto di non aver considerato la razza, anche se la storia opposta era la più credibile; e devono perdere anche perché non hanno offerto un particolare tipo di prova, che non sapevano sarebbe stata rilevante e di cui la Corte suprema ha recentemente escluso la necessità. Non importa che abbiano fornito ampie prove, comprese analisi statistiche di esperti, che il piano adottato dallo Stato era frutto di una ripartizione razziale degli elettori; e non importa che lo Stato, in risposta, abbia addotto poco più che smentite forzate e imbarazzanti. Non importa che tre giudici - le cui valutazioni fattuali vanno rispettate - abbiano ritenuto che tali smentite non fossero credibili e non avessero confutato le prove dei ricorrenti. Quando sono in gioco le classificazioni razziali nel voto - dice la maggioranza - ogni dubbio deve essere risolto a favore dello Stato, affinché esso non sia "accusato" di comportamenti "offensivi e umilianti".
È evidente che, dopo l'odierna decisione, i legislatori statali e i mapmakers saranno spesso incentivati a utilizzare la razza come mezzo per raggiungere obiettivi di parte, anche fino al punto di annullare del tutto il peso elettorale degli elettori di una minoranza. Fate pure, dice oggi la Corte agli Stati. Fate pure, anche se non avete alcuna valida giustificazione per l'uso della razza, come ad esempio la necessità di rispettare gli statuti che garantiscono l'eguaglianza del diritto di voto. Fate pure, anche se (nella migliore delle ipotesi) state usando la razza come scorciatoia per ottenere vantaggi di parte: eleggere più repubblicani in un caso, più democratici in un altro. Alla fine, sarà abbastanza facile coprire le vostre tracce: basterà eccepire la "possibilità" che il processo decisionale non si sia basato sulla razza, e l'eccezione sarà dirimente. Cosicché questa pratica "odiosa" di allocazione dei cittadini, costruita su generalizzazioni razziali e sfruttando le divisioni razziali, non cesserà (42).
«In the electoral sphere especially, where "ugly patterns of pervasive racial discrimination" have so long governed, we should demand better - of ourselves, of our political representatives, and most of all of this Court» (43).
5. Osservazioni conclusive
Non v'è dubbio che nel caso in esame - come rimarcano entrambe le opinioni separate - la Corte suprema, lungi dal limitarsi a un ordinario clear-error review, abbia sostanzialmente avocato a sé la definizione della controversia, di fatto sostituendosi al three-judge panel della Corte distrettuale. Il puntiglioso vaglio critico cui essa sottopone le risultanze processuali - comprese le relazioni dei quattro consulenti tecnici di parte (44) - tutto è tranne che un puro e semplice riesame circoscritto alle sole questioni fattuali, ma piuttosto consiste in un rinnovato giudizio di merito. In qualche misura lo riconosce, d'altronde, la stessa maggioranza, la quale, se all'inizio dell'opinion esprime l'intenzione di svolgere detto tipo di review (45), poco oltre precisa però che, nella fattispecie, essa non è tenuta a rispettarne lo standard (46), essendo invece chiamata ad un sindacato ben più esteso e penetrante del solito.
Una siffatta «upside-down application of clear-error review» (47) non rappresenta, peraltro, un episodio isolato, ma si riscontra anche in altre pronunce della Corte suprema inerenti alla materia elettorale: pronunce le quali sottendono (l'avvertita esigenza di) una differente declinazione dei principi e delle regole - tanto sostanziali quanto processuali - valevoli per la generalità dei giudizi. Si può dire che, nella prospettiva della Corte, gli election law cases rivestono natura sui generis, sicché richiedono un approccio specifico e per molti versi inusuale (48).
Di qui, innanzitutto, la posizione marcatamente asimmetrica delle parti in causa: più favorevole quella degli Stati, molto meno facile quella di coloro che ne contestano le scelte compiute in sede di redistricting. I primi beneficiano di una singolare presunzione (relativa) di buona fede (49), che - almeno all'inizio del processo - li solleva da ogni onere probatorio e consente loro di difendersi allegando semplicemente di aver voluto perseguire meri obiettivi di partito (50). Per vincerla, i secondi - in mancanza di prove dirette o di inconfutabili prove indiziarie di discriminazione razziale (ossia quasi sempre) - non possono esimersi dal produrre una mappa alternativa, giacché soltanto questa «can perform the critical task of distinguishing between racial and political motivations when race and partisanship are closely entwined» (51).
È peraltro evidente che, nella decisione in commento, detta presunzione di buona fede si trasforma - come efficacemente sottolineato dal dissent - in una sorta di patente di credibilità. Ed invero, mentre la Corte distrettuale aveva ritenuto - motivandone le ragioni - più convincente la versione dei fatti (corredata di prove) fornita dai ricorrenti, la Corte suprema ha preferito dare credito - reputandola "plausibile" - alla versione dei fatti (sprovvista di prove) fornita dal South Carolina, senza tuttavia spiegare perché mai la conclusione cui era pervenuto il giudice di prime cure dovesse considerarsi irragionevole. Il che si pone, per l'appunto, in stridente contrasto con il clearly erroneous standard, così come individuato dalla stessa Corte suprema in un precedente di alcuni anni fa, secondo cui, «[w]here there are two permissible views of the evidence, the factfinder's choice between them cannot be clearly erroneous» (52).
Tutto ciò non si spiega se non col proposito di dar torto quoquomodo ai ricorrenti e di frapporre ostacoli quasi insormontabili alla giustiziabilità di futuri casi di racial gerrymandering. Proposito che, a ben vedere, non stupisce più di tanto, essendo notorio come il giudice Alito (53) - autore della commentata decisione - sia «one of the Justices most hostile to minority voting rights and voting rights claims more generally [...]. He dissented in Cooper v. Harris, a racial gerrymandering case written for the Court by Justice Kagan, and today, he's turned his Cooper dissent standard into a majority opinion» (54).
Anche per questo motivo, mentre è quantomeno controvertibile che sia stata la politica, anziché la razza, a guidare il redistricting process del South Carolina, riesce invece assai difficile non pensare che sia stata la politica, ben più che il diritto, a orientare la decisione della conservative supermajority che oggi domina la più alta corte statunitense.
Note
(*) Dottore di ricerca in diritto costituzionale nell'Università degli studi di Ferrara.
(1) 602 U.S. ___ (2024). Il testo integrale della pronuncia (c.d. slip opinion) e gli atti processuali possono essere scaricati dal sito della Corte suprema: https://www.supremecourt.gov/search.aspx?filename=/docket/docketfiles/html/public/22-807.html.
(2) 588 U.S. 684 (2019).
(3) 599 U.S. 1 (2023). Al riguardo, v., volendo, A. ODDI, "Alabama Black voters", § 2 VRA, Equal Protection Clause: l'inaspettata decisione della Corte suprema statunitense sul caso Allen v. Milligan, in questa Rivista, https://www.eius.it/articoli/2024/0012371.
(4) Lo Uniform Congressional District Act approvato dal Congresso nel 1967 stabilisce che i membri della Camera dei rappresentanti che spettano a ciascuno Stato devono essere eletti (videlicet, se più di uno) nell'ambito di single-member districts, cioè collegi uninominali (2 U.S. Code § 2c).
(5) «District 1 was overpopulated by 87,689 residents while District 6 was underpopulated by 84,741 residents. South Carolina therefore had to add voters to District 6 while subtracting voters from District 1 in order to comply with the principle of one person, one vote. The remaining districts also had to be modified in order to bring the whole map into compliance with that requirement» (così la decisione in commento, p. 8).
(6) Così la decisione in commento, p. 8.
(7) In realtà, come si legge nel provvedimento appellato (p. 2), «[t]his case commenced on October 12, 2021, prior to the adoption of the presently challenged reapportionment plan, alleging that the existing legislative districts were malapportioned. [...] Plaintiffs sought the appointment of a three-judge panel. The complaint was subsequently amended twice following the General Assembly adopting the 2022 reapportionment plans and challenged certain South Carolina House and Congressional Districts under the Fourteenth Amendment. [...] The parties negotiated a resolution as to the challenged South Carolina House Districts, leaving only the congressional reapportionment plan in dispute in this litigation».
(8) «[...] No State shall make or enforce any law which shall abridge the privileges or immunities of citizens of the United States; nor shall any State deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws» (corsivo non testuale).
(9) Più specificamente, il collegio ritenne - sulla scorta di Miller v. Johnson, 515 U.S. 900 (1995) - che nella configurazione dei collegi nn. 2 e 5 la razza fosse stata bensì un «motivating factor», ma non «the predominant factor», come invece accaduto per il collegio n. 1.
(10) V. l'Order emanato dalla medesima Corte distrettuale il 28 marzo 2024.
(11) Così il provvedimento appellato, p. 31.
(12) 28 U.S.C. § 1253 («Direct appeals from decisions of three-judge courts»).
(13) La frase è ripresa da Miller v. Johnson, cit., p. 915.
(14) È appena il caso di ricordare che il termine gerrymander fu coniato in Massachusetts nel 1812 ed è frutto di una crasi tra il cognome dell'allora governatore di quello Stato, Elbridge Gerry, e la parola salamander, poiché originariamente riferito a un collegio elettorale la cui strana forma somigliava al corpo di una salamandra. Ma la manipolazione dei collegi elettorali era pratica conosciuta già all'epoca delle colonie (v., per tutti, E.C. GRIFFITH, The Rise and Development of the Gerrymander, Chicago, 1907, pp. 16 ss.).
(15) Così Hunt v. Cromartie, 526 U.S. 541, 551 (1999).
(16) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Cooper v. Harris, 581 U.S. 285, 308 (2017).
(17) Per una disamina critica di tali principi (o criteri), v. Y.P. KIM, J. CHEN, Gerrymandered by Definition: The Distortion of "Traditional" Districting Criteria and a Proposal for Their Empirical Redefinition, in Wisconsin Law Review, 2021, pp. 101 ss., i quali osservano, fra l'altro, che «[t]he Supreme Court has never explicitly stated the qualities that make a districting criterion "traditional" or given a full list of the traditional criteria themselves, stating only that "traditional" redistricting criteria "includ[e] but [are] not limited to compactness, contiguity, and respect for political subdivisions or communities defined by actual shared interests . . . ." This definition was apparently left open-ended deliberately to incorporate what states consider to be traditional districting rules, because "[w]here these or other [traditional criteria] are the basis for redistricting . . . a State can 'defeat a claim that a district has been gerrymandered on racial lines.'" At the same time, the Court has been reluctant to expand that list, often mentioning that a state has used a particular redistricting criterion without explicitly clarifying whether it is "traditional."» (così a p. 103; v. anche p. 110).
(18) V., ad es., Abbott v. Perez, 585 U.S. 579, 610-612 (2018).
(19) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Miller v. Johnson, cit., p. 913.
(20) Le parole fra virgolette alte sono tratte, rispettivamente, da Miller v. Johnson, cit., p. 912, e Shaw v. Reno, 509 U.S. 630, 647 (1993).
(21) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Cooper v. Harris, cit., p. 335 (opinione in parte concorrente e in parte dissenziente del giudice Alito).
(22) Black Voting Age Population.
(23) Mutuando dalla nostra terminologia penalistica, potremmo dire che - ad avviso della Corte suprema - i giudici distrettuali sono incorsi in un errore di fatto dovuto a errore di diritto.
(24) ... principio che postula una grosso modo uguale distribuzione della popolazione fra i singoli collegi elettorali [cfr. Wesberry v. Sanders, 376 U.S. 1 (1964), e Reynolds v. Sims, 377 U.S. 533 (1964)].
(25) Nel prosieguo, indicato anche con la sigla VRA.
(26) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Allen v. Milligan, cit., p. 27.
(27) Nella sentenza si cita esemplificativamente il caso Gomillion v. Lightfoot, 364 U.S. 339 (1960), in cui la Corte suprema ritenne che la forma del tutto anomala («strangely irregular twenty-eight-sided») di un collegio elettorale dell'Alabama «betrayed the State's aim of segregating voters on the basis of race with "mathematical" precision».
(28) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Cooper v. Harris, cit., p. 317.
(29) Le parole fra virgolette alte sono tratte, rispettivamente, da Miller v. Johnson, cit., p. 911, e Shaw v. Reno, cit., p. 649.
(30) Art. 1, § 4, primo comma, della Costituzione: «The Times, Places and Manner of holding Elections for Senators and Representatives, shall be prescribed in each State by the Legislature thereof; but the Congress may at any time by Law make or alter such Regulations, except as to the Places of chusing Senators».
(31) Così Miller v. Johnson, cit., pp. 915 s.
(32) «The dissent accuses the Court of "play[ing] armchair statistician." [...] But, the dissent's defense of the expert reports includes an exercise in armchair cartography» (così l'opinion del giudice Thomas, p. 8).
(33) ... ovverosia con gli Emendamenti XIII, XIV e XV (detti anche "Civil War Amendments").
(34) Il riferimento è alla "Reconstruction era", periodo della storia degli Stati Uniti compreso fra il 1865 (anno in cui ebbe fine la guerra civile scoppiata nel 1861) e il 1877, nel corso del quale furono introdotte importanti riforme giuridiche, sociali e politiche volte all'abolizione della schiavitù e reintegrati nell'Unione gli undici Stati secessionisti (Alabama, Arkansas, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi, North Carolina, South Carolina, Tennessee, Texas e Virginia).
(35) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Rucho v. Common Cause, cit., p. 699.
(36) ... ossia un ordine di astenersi dal porre in essere (o continuare a porre in essere) una determinata condotta ovvero dal compiere un determinato atto.
(37) V. Allen v. Milligan, cit.
(38) V. Robinson v. Callais, 601 U.S. ___ (2024), per curiam (reperibile all'indirizzo https://www.supremecourt.gov/opinions/23pdf/23a994_7mip.pdf).
(39) L'opinione dissenziente non replica in modo diretto a quella del giudice Thomas.
(40) Cit., pp. 318 s.
(41) Com'è noto, negli Stati uniti il colore rosso identifica il partito repubblicano, mentre il colore blu identifica il partito democratico.
(42) Nella decisione in commento, la maggioranza respinge gli "attacchi" della minoranza, ribattendo a ciascuno di essi.
«Despite its length, the dissent boils down to six main points. None is valid».
1) L'opinione dissenziente «suggests that clear-error review is a perfunctory task, [...] but that is not so. While district court findings of fact are generally correct, conscientious district courts sometimes err, and appellants are entitled to meaningful appellate review. Does the dissent really think that all district court findings on the question of racial discrimination are virtually immune from reversal?».
2) L'opinione dissenziente contesta l'assunto secondo cui nelle controversie in materia di districting si presume che il legislatore statale abbia agito in buona fede. Ma tale presunzione rappresenta un punto fermo della giurisprudenza della Corte suprema.
3) L'opinione dissenziente afferma che l'odierna decisione si pone in contrasto col precedente Cooper v. Harris, «but the dissent's argument is based on an imaginary version of that opinion. Nothing in Cooper is inconsistent with the venerable rule that a factfinder may draw an adverse inference when a party fails to produce highly probative evidence that it could readily obtain if in fact such evidence exists. [...] The dissent is correct that this inference "pack[s] a wallop" in such cases, [...] but that is only because an adequate alternative map is remarkably easy to produce - as demonstrated by the fact that the Challengers introduced tens of thousands of other maps into the record. Under such circumstances, if a sophisticated plaintiff bringing a racial-gerrymandering claim cannot provide an alternative map, that is most likely because such a map cannot be created. It would be clear error for the factfinder to overlook this shortcoming».
4) L'opinione dissenziente sostiene che i ricorrenti furono colti di sorpresa quando, nel corso del processo, lo Stato eccepì che la mappa contestata era stata disegnata allo scopo di raggiungere un obiettivo politico. «But there is ample evidence that the State's aim was well known before trial. [...] And neither the Challengers nor the dissent can explain why the Challengers' experts, who created thousands of maps that took into account all sorts of variables, supposedly never even tried to create a District 1 that had a higher BVAP while achieving the legislature's political goals. Nor can they explain why, if such a map can be created, the Challengers' experts did not produce one during the trial».
5) L'opinione dissenziente attribuisce molta importanza al fatto che l'esperto incaricato di predisporre la mappa (Roberts) aveva, nell'arco della sua attività professionale passata, tenuto conto di dati demografici razziali, e nel caso in questione era ben a conoscenza della composizione razziale dei vari collegi da lui creati. «But there is nothing nefarious about his awareness of the State's racial demographics. Roberts has spent nearly 20 years drawing maps for various state and local initiatives, and it is therefore entirely unsurprising that he exhibited a wealth of knowledge about who lives in which part of the State. [...] The dissent seeks to undercut Roberts's credibility by labeling him "a veteran consumer of racial data." [...] We think it is unfair for the dissent to question his credibility simply because he, like every other expert who has ever worked on a Voting Rights Act case, has had to "consum[e] ... racial data" to comply with our precedents».
6) Infine, l'opinione dissenziente ritiene che lo Stato non abbia potuto non utilizzare dati razziali, giacché essi sono più precisi di quelli politici per prevedere i futuri esiti elettorali. «Refusing to use the racial data, according to the dissent, would have required the "self-restraint of a monk." [...] This jaded view is inconsistent with our case law's longstanding instruction that the "good faith of [the] state legislature must be presumed" in redistricting cases. Miller, 515 U. S., at 915. And in any event, there is little reason to think that it requires much restraint for a mapmaker with a political aim to use data that bears directly on what he is trying to achieve, namely, political data. That is especially so where, as here, the political data, unlike the racial data that the dissent prefers, took into account voter turnout [...]».
«In sum, there is no substance to the dissent's attacks».
(43) Le parole fra virgolette alte sono tratte da Shaw v. Reno, cit., p. 639, che a sua volta le riprende dall'articolo di J.F. BLUMSTEIN, Defining and Proving Race Discrimination: Perspectives on the Purpose vs. Results Approach from the Voting Rights Act, in Virginia Law Review, 69, 1983, p. 637.
(44) Si veda la parte III-C della decisione in commento, pp. 19-29.
(45) «The State contends that the District Court committed both legal error and clear factual error in concluding that race played a predominant role in the legislature's design of District 1. The State's principal legal argument is that the District Court did not properly disentangle race from politics. Because this argument, at bottom, attacks the factual basis of the District Court's findings, we dispose of this case on clear-error grounds» (p. 12 della decisione in commento).
(46) «We review the District Court's factual findings for clear error. That means we may not set those findings aside unless, after examining the entire record, we are "left with the definite and firm conviction that a mistake has been committed." Cooper, 581 U. S., at 309 (internal quotation marks omitted). This is a demanding test, but it is not a rubber stamp. // Moreover, in a case like this, there is a special danger that a misunderstanding of what the law requires may infect what is labeled a finding of fact. "[I]f [a] trial court bases its findings upon a mistaken impression of applicable legal principles, the reviewing court is not bound by the clearly erroneous standard." Inwood Laboratories, Inc. v. Ives Laboratories, Inc., 456 U. S. 844, 855, n. 15 (1982); see also Abbott, 585 U. S., at 607. Here, the standard of proof that the three-judge court was required to apply, i.e., the racial-predominance test, has a very substantial legal component that must take account of our prior relevant decisions. And the application of this test calls for particular care when the defense contends that the driving force in its critical districting decisions (namely, partisanship) was a factor that is closely correlated with race. Thus, in a case like this, we must exercise special care in reviewing the relevant findings of fact» (pp. 13 s. della decisione in commento).
(47) Così - come già riportato supra, § 4.1 - la definisce il dissent (p. 4), con probabile allusione alla bandiera americana capovolta - divenuta simbolo dei sostenitori di Donald Trump che contestavano la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali del 2020 - esposta all'esterno dell'abitazione del giudice Alito (sulla vicenda, v., per tutti, J. KANTOR, At Justice Alito's House, a 'Stop the Steal' Symbol on Display, in The New York Times, https://www.nytimes.com/2024/05/16/us/justice-alito-upside-down-flag.html).
(48) Cfr. B. JOHNSON, There's 'Clear Error' in the Supreme Court's New Racial Gerrymandering Decision, in Election Law Blog, https://electionlawblog.org/?p=143292.
(49) Sottolinea come tale presunzione di buona fede tradisca le stesse ragioni storiche del XIV Emendamento (1868) e della sua Equal Protection Clause, E. MYSTAL, Samuel Alito's Opinions Are Just As Upside-Down as His Flag, in The Nation, https://www.thenation.com/article/politics/alito-supreme-court-south-carolina-map.
(50) Giova ricordare che, con la sentenza Rucho v. Common Cause, cit., la Corte suprema ha escluso la giustiziabilità dei casi di partisan gerrymandering, essenzialmente in ragione del fatto che essi «present political questions beyond the reach of the federal courts. Federal judges have no license to reallocate politi¬cal power between the two major political parties, with no plausible grant of authority in the Constitution, and no legal standards to limit and direct their decisions. "[J]udicial action must be governed by standard, by rule," and must be "principled, rational, and based upon rea-soned distinctions" found in the Constitution or laws [...]. Judicial review of partisan gerrymandering does not meet those basic requirements» [p. 718; le parole fra virgolette alte sono tratte da Vieth v. Jubelirer, 541 U.S. 267, 278 (2004)].
Ciò ha avuto significative conseguenze anche per le controversie in materia di racial gerrymandering: v., ex plurimis, S. TOFIGHBAKHSH, Racial Gerrymandering after Rucho v. Common Cause: Untangling Race and Party, in Columbia Law Review, 120, 2020, pp. 1885 ss., la quale osserva, fra l'altro, che, «[w]ith Rucho closing the door on an independent constitutional limit to partisan gerrymandering, this familiar dynamic - a claim that legislators unconstitutionally sorted voters on the basis of race, a defense that voters were sorted not on impermissible racial grounds but on the legitimate basis of party, and courts choosing one motivation over the other - is the now-unavoidable pattern of gerrymandering cases» (p. 1887); «[s]ince Rucho shut the door on judicial review of purely partisan redistricting, voters have no choice but to go through race to win a judicial remedy for a race and politics problem that may, by design, be functionally impossible for them to vote their way out of. Yet without a clear race-or-party test handed down by the Court in this decade, Rucho's bright line rule may overcome racial gerrymandering's predominant motive totality of the circumstances analysis - creating [...] a "sinkhole" where meritorious racial gerrymandering claims may go to die. // Post-Rucho, redistricting challenges must be made exclusively through the lens of race, or not at all. Yet the correlation between race and party, particularly in the South, makes evaluating circumstantial evidence unpredictable. Courts must draw inferences of controlling motive from outcomes that are plausibly traced to both racial and partisan motives, while direct evidence of motive (statements of legislative purpose) is trivially easy to conceal or omit in court. And because the demise of VRA preclearance and subsequently diminished DOJ [Department of Justice] civil rights activity shifts the locus of voting rights enforcement to private action, the partisanship defense presents the key threshold inquiry in racial gerrymandering cases going forward - putting even more pressure on federal courts to approach the abstract race-or-party predominance test with clear and consistent principles of analysis» (pp. 1900 s.).
(51) Così a p. 30 della decisione in commento. Come osserva B. JOHNSON, There's 'Clear Error', cit., «one impact of the opinion here is that plaintiffs will now be essentially required to produce a model map that would have the same partisan effect with a different racial makeup in order to succeed on their claim. The wisdom of such a requirement aside [...], the way in which Justice Alito imposes this requirement demonstrates another departure from run-of-the-mill clear error review. The opinion not only transforms a permissive way of proving a racial gerrymandering case into a required way, but it also asserts that the failure to proffer the preferred form of proof requires an adverse inference from the court. Even more, a district court's failure to make a previously unrequired adverse inference amounts to clear error. This is a far more demanding standard than we expect from the highly deferential clear error standard». V. anche N. STEPHANOPOULOS, The End of Racial Gerrymandering Claims as Covert Partisan Gerrymandering Claims, in Election Law Blog, https://electionlawblog.org/?p=143240: «After today's decision, potential litigants with partisan aims will have much less reason to bring racial gerrymandering claims. The alternative map they're now (essentially) required to produce is an instruction manual for the state explaining how it can remedy the violation alleged by the plaintiffs without disturbing its plan's partisan performance. Why should partisan litigants bother suing when, to avoid a likely fatal "adverse inference" against them, they have to demonstrate to the state how to avoid any partisan consequences as a result of the suit?».
(52) Così Anderson v. Bessemer City, 470 U.S. 564, 574 (1985). Cfr. Cooper v. Harris, cit., p. 293: «A finding that is "plausible" in light of the full record - even if another is equally or more so - must govern».
(53) ... nominato nel 2005 da George W. Bush.
(54) Così R. HASEN, Breaking and Analysis: Justice Alito for Republican Justices, over the Dissent of Democratic Justices, Rewrites Racial Gerrymandering Standards to Help White Republican States, in Election Law Blog, https://electionlawblog.org/?p=143227.
Si è dunque avverato ciò che lo stesso autore preconizzava nell'articolo Race or Party, Race as Party, or Party All the Time: Three Uneasy Approaches to Conjoined Polarization in Redistricting and Voting Cases, in William & Mary Law Review, 59, 2018, pp. 1885 s.: «In the longer term, especially as new conservative Justices join the Court, the Justice Alito view could be more likely to hold sway. // Indeed, while nothing is certain, the expected new conservative Supreme Court could well adopt a to the victor goes the spoils approach to redistricting and voting cases generally. The Court could reject claims of partisan gerrymandering, could reject claims of racial gerrymandering when brought by minority voters, and could continue to reject constitutional and voting rights attacks on restrictive voting laws by reading the Equal Protection Clause narrowly and constricting the protections of the Voting Rights Act. // If all of this happens, the race or party question will not matter to the courts for the reason that neither will be objectionable. The Court could achieve Justice Alito's goal of keeping courts out of further partisan "warfare," and this abdication will allow the victors to savor their spoils and "run roughshod" over the rights of (political and racial) minority voters».
Sull'opinione separata del giudice Thomas, v. il commento di T. FORD, Clarence Thomas Is a Big Fan of Racial Gerrymandering, in The New Republic, https://newrepublic.com/article/181892/clarence-thomas-racial-gerrymandering-south-carolina.