Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 27 gennaio 2017, n. 10020

Presidente: Amoresano - Estensore: Mengoni

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell'11 dicembre 2014, il Tribunale di Lucca dichiarava Francesco M. colpevole della contravvenzione di cui agli artt. 17 e 25, d.lgs. 19 agosto 2005, n. 196 e lo condannava alla pena di 2.600,00 euro di ammenda; allo stesso, quale comandante della motonave "Corona Boreale", era contestato di aver omesso l'immediato rapporto all'autorità marittima in ordine ad un'avaria al motore, verificata il 16 aprile 2013 alle 10.10.

2. Propone ricorso per cassazione il M., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:

- violazione dell'art. 415-bis c.p.p. Il M. (al pari del coimputato Umberto d'A., assolto), ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini, aveva subito avanzato richiesta di interrogatorio, cui era seguita la fissazione di una data per l'incombente; nell'occasione, però, né lui né il difensore si erano potuti presentare, come da impedimenti professionali documentati, con i quali, peraltro, si chiedeva un differimento dell'interrogatorio medesimo. Nessuna ulteriore data, tuttavia, era stata fissata, ed il pubblico ministero aveva emesso il decreto di citazione diretta a giudizio. Orbene, tale condotta costituirebbe una palese violazione delle garanzie contenute nella norma in oggetto, sì da determinare la nullità di tutti gli atti processuali seguenti, compresa la sentenza;

- errata valutazione degli elementi di prova. Il Tribunale non avrebbe considerato che le dichiarazioni rese dal teste F. erano tutte de relato, sicché sarebbe stato necessario escutere anche le fonti dichiarative dirette (il marinaio a bordo della nave, come il personale della Capitaneria di porto di Viareggio), giusta art. 195 c.p.p.; non aver provveduto in tal senso avrebbe inficiato gravemente la formazione della prova, sì da imporre l'assoluzione dell'imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato quanto alla prima censura, con efficacia assorbente sulla successiva; al riguardo, peraltro, occorre ricostruire i termini della questione.

Orbene, ricevuta delega dal pubblico ministero per procedere all'interrogatorio, sollecitato dal M. in esito all'avviso ex art. 415-bis c.p.p., la polizia giudiziaria aveva convocato per tre volte il ricorrente medesimo, unitamente al difensore; in tutte e tre le occasioni, tuttavia, non era stato possibile procedere all'incombente, atteso che il legale aveva comunicato - e documentato - l'impedimento proprio o dell'assistito. In esito al terzo invito non "soddisfatto", la p.g. aveva dunque restituito la delega al pubblico ministero, il quale aveva emesso il decreto di citazione a giudizio. Sollevata la relativa eccezione in sede di udienza, in via preliminare, il Giudice l'aveva però rigettata, affermando che l'ultima istanza di differimento, presentata per la data del 29 novembre 2013, si fondava su un impegno del difensore non «adeguatamente documentato».

4. Orbene, tale conclusione risulta infondata in punto di diritto, oltre che non sostenuta da idonea motivazione.

Sotto il primo profilo, si osserva che, a norma dell'art. 415-bis, comma 3, c.p.p., "l'avviso di conclusione delle indagini preliminari contiene altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se l'indagato chiede di essere sottoposto ad interrogatorio, il pubblico ministero deve procedervi", anche a mezzo di p.g. all'uopo delegata; in tal senso, infatti, la giurisprudenza si è espressa nei termini di un "diritto potestativo, con efficacia vincolante per il pubblico ministero" (Sez. 2, n. 21779 del 18 febbraio 2014, Frattura, Rv. 259708; Sez. 2, n. 21416 del 13 maggio 2011, Propato, Rv. 250364).

5. Ciò premesso, rileva la Corte che il carattere tassativo di quest'ultima previsione impedisce che - a fronte di un'esplicita richiesta in tal senso - il pubblico ministero possa esimersi dall'eseguire l'incombente; a meno che, si intende, l'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio venga emesso, ma rimanga senza esito per fatto addebitabile esclusivamente all'indagato che vi rinunci, o non si presenti senza giustificazione, quel che ben legittima la prosecuzione dell'azione penale, pena un'indebita paralisi della stessa rimessa alla mera discrezionalità dell'interessato. Come confermato, peraltro, dalla costante e condivisa giurisprudenza di questa Corte, a mente della quale non è configurabile la nullità della richiesta di rinvio a giudizio nel caso in cui la stessa non sia preceduta dall'invito alla persona indagata a valersi della facoltà di rendere l'interrogatorio quando, ritualmente notificatole l'avviso di conclusione delle indagini contenente il predetto invito, l'interrogatorio non abbia poi, di fatto, avuto luogo, per il rifiuto dell'indagato di rispondere o per mancata presentazione di questi (per tutte, Sez. 3, n. 38785 del 23 giugno 2015, R., Rv. 264792; Sez. 1, n. 35703 del 10 ottobre 2006, Sapere, Rv. 234895).

6. Tale ipotesi, tuttavia, all'evidenza non si riscontra nel caso di specie, nel quale il difensore aveva chiesto il rinvio dell'interrogatorio, per tre volte, sempre documentando l'impossibilità - propria o dell'assistito - di presenziare all'atto; circostanza che non legittimava il pubblico ministero a procedere tamquam non esset, ossia come se l'incombente non fosse stato sollecitato, ma imponeva di procedere ulteriormente alla convocazione del M., quantomeno fino al momento in cui un'eventuale, reiterata assenza fosse stata interpretabile quale abuso di un diritto, quale quello (potestativo) riconosciuto dall'art. 415-bis, comma 3, in esame.

Quel che, però, non risulta mai contestato, né costituisce argomento dell'ordinanza con la quale il Giudice del dibattimento ha rigettato l'eccezione al riguardo proposta; dal che, la nullità del decreto di citazione a giudizio (al pari degli atti conseguenti, compresa la sentenza), poiché non preceduto dall'interrogatorio dell'indagato, pur tempestivamente richiesto.

Non solo.

Come legittimamente verificato da questa Corte, attesa la natura della doglianza, il difensore del M. - l'indomani della ricezione della convocazione per il 29 novembre, avvenuta il 21 novembre - aveva prontamente comunicato di aver appena ricevuto, per la stessa data, l'avviso di fissazione per un'udienza ex art. 309 c.p.p. innanzi al Tribunale del riesame di Lecce; di ciò, peraltro, aveva fornito adeguato riscontro documentale, rinvenibile in atti. Dal che, il carattere apodittico dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Lucca, che - ricostruito l'iter della vicenda - aveva rigettato l'eccezione ex art. 415-bis c.p.p. sul presupposto che «l'impegno della difesa non appare adeguatamente documentato».

Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca (in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 19120 del 6 aprile 2016, C., Rv. 267249; Sez. 1, n. 24062 del 26 maggio 2009, Da Lio, Rv. 243916).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca.

Depositata il 1° marzo 2017.