Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 1° giugno 2017, n. 13858
Presidente: Amoroso - Estensore: Balestrieri
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 1, comma 58, l. n. 92/2012 depositato il 29 aprile 2015, la Società dell'Acqua Pia Antica Marcia s.p.a. (d'ora in avanti SAPAM) in liquidazione e concordato preventivo, proponeva reclamo avverso la sentenza depositata il 30 ottobre 2014 in sede di opposizione, con cui il Tribunale di Roma dichiarò l'inefficacia del licenziamento verbale intimato a Stefano D. in data 19 luglio 2012, ordinando alla società l'immediato ripristino del rapporto e condannandola a pagare le retribuzioni perdute.
Contestava le argomentazioni del Tribunale e chiedeva quindi, in riforma dell'impugnata sentenza, il rigetto delle domande.
Il convenuto si costituiva, eccependo l'inammissibilità del reclamo per tardività e mancata specificità dei motivi, contestandone in subordine la fondatezza e chiedendone quindi il rigetto.
Con sentenza depositata il 28 settembre 2015, la Corte d'appello di Roma, dichiarava l'inammissibilità del gravame. Ed infatti, pur avendo accertato che la sentenza gravata non era stata né comunicata, né notificata, ritenne di dover far decorrere il termine di trenta giorni per il reclamo dal momento in cui la società reclamante estrasse copia della sentenza (il 6 novembre 2014), ritenendo così inammissibile il reclamo proposto con ricorso depositato il 29 aprile 2015.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la SAPAM, affidato a quattro motivi. Resiste il D. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 58, l. n. 92/2012, secondo cui il reclamo si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione (della sentenza) se anteriore.
Lamenta che la sentenza impugnata, pur verificata la mancanza sia della comunicazione che della notificazione della sentenza, ritenne utile a tal fine il momento in cui la società estrasse copia della sentenza reclamata, da equiparare a suo avviso alla comunicazione della Cancelleria, operando una inammissibile interpretazione estensiva dell'art. 1, comma 58, l. n. 92/2012 che, stabilendo un termine di decadenza, doveva ritenersi di stretta interpretazione.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 1, comma 61, della l. n. 92/2012, secondo cui "in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza, si applica l'art. 327 c.p.c.". Lamenta che la specifica previsione di cui alla norma citata (comma 61) non consentiva al giudice d'appello di disattendervi, tanto meno in nome di "una disciplina speciale interamente derogatrice di quella generale" (pag. 3 sentenza impugnata).
3. I primi due motivi, che per connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
Non v'è infatti dubbio che l'art. 1, comma 61, della l. n. 92/2012, stabilisce espressamente che "in mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza, si applica l'art. 327 c.p.c.", termine nel quale la società ricorrente propose pacificamente il reclamo.
La questione, che nulla ha a che vedere con la pronuncia di questa Corte n. 18403/2016 in materia di (non) decorrenza del termine per impugnare, sempre con riferimento al cd. "rito Fornero", dalla eventuale lettura in udienza del provvedimento impugnato, è stata già risolta da questa Corte con sentenza n. 17963/2016, ove si è affermato che, sebbene le comunicazioni di cancelleria debbano avvenire, di norma, con le forme previste dall'art. 136 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c. (consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario del testo integrale del provvedimento), esse possono essere validamente eseguite anche in forme equivalenti, purché risulti la certezza dell'avvenuta consegna e dell'individuazione del destinatario. Sicché il rispetto di queste condizioni consente di ritenere sufficienti prassi come il "visto per presa visione" apposto dal procuratore sull'originale del biglietto di cancelleria predisposto per la comunicazione o sul provvedimento del giudice (Cass., n. 11319 del 2004).
Di tale principio si è fatta applicazione anche con riguardo al rilascio di copia dell'atto che avrebbe dovuto essere comunicato. Con l'estrazione di copia autentica la forma di conoscenza è acquisita in via formale, in quanto trova origine in due convergenti attività tipizzate sul piano processuale, quali la richiesta di copia autentica del provvedimento ad iniziativa del difensore della parte interessata e la consegna allo stesso ad opera del cancelliere della copia in questione (art. 58 c.p.c.).
A questo punto la conoscenza del provvedimento non è acquisita in via di mero fatto, ma all'esito di un'attività istituzionale di cancelleria, concretizzatasi in una attività di ufficio regolata dalla legge (il rilascio della copia autentica) che impone l'individuazione del soggetto richiedente e di quello che ritira la copia, nonché dell'annotazione della data di rilascio della copia. Tale attività costituisce quindi forma equipollente della comunicazione di cancelleria, caratterizzata dagli stessi requisiti di certezza di avvenuta consegna della copia e di individuazione del destinatario (Cass. 24418 del 2008; conf. Cass. n. 9421 del 2012).
L'equiparazione della comunicazione della sentenza impugnata all'estrazione di copia autentica, presso la Cancelleria e da parte del difensore, non può dunque considerarsi in deroga alla disciplina speciale prevista dalla l. n. 92/2012 (art. 1, comma 61), non potendo poggiarsi sul fatto, a questo punto meramente formale, della mancata comunicazione di cancelleria di un provvedimento che la cancelleria ha già provveduto a consegnare integralmente ed in copia autentica alla parte, anche alla luce del principio di accelerazione del rito previsto dalla legge cd. Fornero, non risultando peraltro in alcun modo sostanzialmente violato il diritto di azione e di difesa costituzionalmente tutelato (su cui cfr. da ultimo Cass. n. 18403/2016).
4. Essendo stati respinti i precedenti motivi di ricorso, con conseguente conferma della sentenza impugnata che ha dichiarato l'inammissibilità del reclamo, le altre censure, inerenti il merito della controversia, restano assorbite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, nel testo risultante dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.