Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 19 aprile 2017, n. 27820
Presidente: Fumo - Estensore: Brancaccio
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica ed in funzione di giudice d'appello, ha confermato la pronuncia, emessa dal Giudice di Pace di Castellammare del Golfo nei confronti di C. Giuseppe, per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 594 c.p., commesso ai danni di R. Marta, con cui si condannava quest'ultimo alla pena di 1000 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni sofferti dalla parte civile, nonché alle spese della sua costituzione, condannandolo, altresì, alle spese del procedimento d'appello ed alle spese processuali sostenute in tale grado dalla parte civile.
2. Il ricorrente è stato condannato per il reato di ingiuria, aggravata dall'aver attribuito alla persona offesa un fatto determinato, poiché nel mese di dicembre del 2010 aveva inviato alcuni messaggi dal tenore ingiurioso sull'account del social network "Facebook" della persona offesa, con i quali si offendeva l'onore e il decoro della R., indicandone presunte e specifiche abitudini sessuali, mettendone in cattiva luce le qualità morali e sostenendo di essere in possesso di alcune foto che la ritraevano in momenti privati, minacciandone anche la diffusione.
3. C. Giuseppe propone personalmente ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello citata, con ricorso depositato al Tribunale di Avellino il giorno 11 febbraio 2016 e, successivamente, pervenuto al Tribunale di Trapani il 15 febbraio 2016.
I motivi di ricorso enucleabili sono cinque:
3.1. Violazione di legge per mancata valutazione complessiva della prova secondo i canoni di cui all'art. 192 c.p.p. (primo motivo); in particolare, si lamenta sia di aver mal compreso, il giudice dell'appello, le prove a favore dell'imputato, sia di non aver correttamente fatto uso dei criteri valutativi condivisi dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla credibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
3.2. Mancanza di motivazione quanto alla prova dell'elemento psicologico del reato in capo all'imputato (secondo motivo).
3.3. Violazione di legge quanto alla qualificazione dei fatti, erroneamente ritenuti sussumibili nel reato di ingiuria, laddove, invece, dovevano essere qualificati come diffamazione ai sensi dell'art. 595 c.p., aggravata dall'utilizzo di un mezzo di pubblicità quale l'invio e la divulgazione su "Facebook", sicché la competenza per materia andava attribuita al Tribunale Monocratico competente per territorio e non già al Giudice di pace (terzo motivo).
3.4. Violazione della legge processuale con riferimento alla mancata considerazione, da parte del Giudice di Pace, ai fini del rinvio, dell'istanza di legittimo impedimento per concomitante impegno processuale del difensore all'udienza del 3 ottobre 2013 (quarto motivo).
3.5. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla pena inflitta all'imputato, lamentata come eccessiva se riferita all'incensuratezza ed alla giovane età del C., nonché fondata sulla mancata valutazione di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche rispetto alla ritenuta aggravante di aver attribuito alla persona offesa un fatto ingiurioso determinato, non ritenendosi corretto il giudizio di mera equivalenza svolto nel bilanciamento dal primo giudice e confermato in appello (quinto motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché tardivo.
2. La sentenza d'appello è stata emessa dal Tribunale di Trapani in data 26 marzo 2015, fissando il termine per il deposito della motivazione in novanta giorni, ai sensi dell'art. 544, comma 3, c.p.p., termine rispettato pienamente, poiché la pronuncia è stata depositata in data 14 aprile 2015.
Il ricorrente ha depositato l'impugnazione personale presso il Tribunale di Avellino facendola pervenire in cancelleria in data 11 febbraio 2016; il ricorso è stato, poi, trasmesso alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (il Tribunale di Trapani) ed è ivi pervenuto il 15 febbraio 2016.
Dunque, ai sensi degli artt. 585, comma 1, lett. c), e comma 2, lett. c), il termine di quarantacinque giorni per proporre impugnazione avverso la sentenza del giudice d'appello decorreva dal novantesimo giorno successivo alla data di udienza, certamente trascorso alla data in cui il ricorrente ha fatto pervenire il ricorso alla cancelleria del giudice, determinandosi, in tal modo, la causa di inammissibilità prevista dall'art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p.
3. La condanna dell'imputato, tuttavia, è intervenuta con riferimento ad un'ipotesi di reato oggi non più prevista come tale dalla legge.
L'ingiuria, infatti, è fattispecie depenalizzata dal legislatore che ha abrogato l'art. 594 c.p. con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.
Deve, pertanto, porsi la questione della rilevabilità dell'intervenuta abolitio criminis in sede di legittimità dinanzi ad un'ipotesi di ricorso inammissibile perché proposto fuori termine.
È noto che negli ultimi anni più volte la Corte di cassazione ha dovuto pronunciarsi in tema di inammissibilità e spazi valutativi consentiti in sede di giudizio di legittimità.
A partire dalle sentenze Sez. un., n. 21 dell'11 novembre 1994, dep. 1995, Cresci, Rv. 199903, passando attraverso le pronunce, tra le altre, di Sez. un., n. 32 del 22 novembre 2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. un., n. 33542 del 27 giugno 2001, Cavalera, Rv. 219531 e Sez. un., n. 23428 del 22 marzo 2005, Bracale, Rv. 231164, si sono analizzati i limiti del giudizio di cassazione e la natura delle diverse cause di inammissibilità, sino a pervenire alle ultime pronunce rilevanti sul tema, che ne hanno definitivamente configurato i contorni di operatività.
Ed infatti, le recenti sentenze Sez. un., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264207 (pronuncia che si è espressa sul tema dell'inammissibilità e del giudicato sostanziale rispetto a fenomeni di incostituzionalità di norme incidenti sul trattamento sanzionatorio), Sez. un., n. 46653 del 26 giugno 2015, Della Fazia, Rv. 265111 (decisione emessa in tema di inammissibilità e successione di leggi più favorevoli quanto al trattamento sanzionatorio) e Sez. un., n. 47766 del 26 giugno 2015, Butera, Rv. 265106 (emessa nel diverso caso di inammissibilità e illegalità ab origine della pena) sembrano aver delineato, attualmente, un percorso chiaro, secondo cui può vincersi il limite dell'inammissibilità se vi è necessità di rilevare, anche d'ufficio, non soltanto l'abolizione di un reato o la dichiarazione di incostituzionalità di una norma incriminatrice, ma anche l'illegalità della pena o un trattamento sanzionatorio più favorevole e successivo, in ogni caso tranne che nell'ipotesi in cui l'inammissibilità derivi da tardività del ricorso.
Si è trattato di uno sviluppo giurisprudenziale graduale che, partito dal superamento della distinzione classica tra cause di inammissibilità originarie e sopravvenute, per delineare la causa di inammissibilità come categoria unitaria, ha, dapprima, riconosciuto (anche per reagire ad un uso pretestuoso delle impugnazioni, come è stato messo in risalto dalla sentenza Jazouli cit.) la prevalenza della declaratoria di inammissibilità su quella della non punibilità, sviluppando il concetto di giudicato sostanziale rispetto a quello formale e puntualizzando che quando il ricorso per cassazione è ab origine affetto da inammissibilità non può considerarsi idoneo a instaurare un rapporto di impugnazione e, di conseguenza, risultano inibiti i poteri officiosi del giudice, compresa la possibilità di rilevare d'ufficio le cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p.
Quindi, successivamente, ha elaborato una serie di deroghe a questa impostazione generale, corrispondenti ai casi nei quali l'impugnazione inammissibile non condiziona il giudizio di legittimità, cadendo sull'accertamento dell'abolitio criminis o della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione, ovvero sul dover rilevare l'illegalità di una pena già inflitta, perché derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione oppure da dichiarazione di incostituzionalità della norma che disciplina il trattamento sanzionatorio, ovvero ancora sulla verifica di un trattamento sanzionatorio successivo più favorevole per intervento del legislatore.
Il risultato di tale elaborazione ed evoluzione tende, attualmente, dunque, in presenza di tali ultime ipotesi, al recupero pieno dello spazio di giudizio della Corte di cassazione, con un unico caso che residua quale limite insuperabile per il sindacato di legittimità, individuabile nel ricorso inammissibile in quanto tardivo perché proposto fuori termine, non a caso direttamente e diversamente considerato dal comma 2 dell'art. 648 c.p.p. che regola il fenomeno dell'irrevocabilità delle pronunce giurisdizionali.
Le ragioni del perché solo il ricorso tardivo costituisca ostacolo al sindacato di legittimità in tali ipotesi sono state ben espresse da Sez. un., n. 47766 del 26 giugno 2015, Butera, Rv. 265106 (emessa nel diverso caso di inammissibilità e illegalità ab origine della pena), secondo cui, in tema di giudicato formale, dalla lettura coordinata degli artt. 648, comma secondo, e 591, comma secondo, c.p.p., si desume che la presentazione di un'impugnativa tardiva non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, sicché l'illegalità della pena non è rilevabile d'ufficio in presenza di un ricorso inammissibile perché presentato fuori termine.
Sulla stessa scia si pone, peraltro, anche la sentenza Sez. un. n. 12602 del 17 dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818-21 con cui, decidendo che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma secondo, c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso, le Sezioni unite hanno richiamato in motivazione il complesso percorso che, nel corso degli anni, ha disegnato l'ambito di intervento della Corte di cassazione in caso di ricorso inammissibile, aderendo espressamente a quanto affermato già dalla giurisprudenza delle Sezioni unite antecedente a quella già citata e più recente, formatasi in tema di pena illegale o di lex mitior (le sentenze, Sez. un., n. 23428 del 22 marzo 2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. un., n. 32 del 22 novembre 2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. un., n. 33542 del 27 giugno 2001, Cavalera, Rv. 219531). La sentenza si sofferma particolarmente sull'affermazione secondo cui al giudice dell'impugnazione inammissibile è consentito, quale eccezione alla regola, confrontarsi con peculiari cause di non punibilità rigorosamente delimitate: l'abolitio criminis, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell'imputazione, l'ipotesi in cui debba essere dichiarata l'estinzione del reato a norma dell'art. 150 c.p., l'ulteriore ipotesi - già considerata da Sez. un., n. 24246 del 25 febbraio 2004, Chiasserini, Rv. 227681 - di estinzione del reato per remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata. Tuttavia, viene ribadita la precisazione - già enunciata dalle pronunce Sez. un. Jazouli e Sez. un. Butera - che, viceversa, deve prevalere la declaratoria d'inammissibilità, se questa è riconducibile all'inosservanza del termine per impugnare, considerato che in tal caso il giudicato sostanziale finisce col coincidere con quello formale.
Espressamente, infatti, la sentenza Ricci evidenzia che i soli due casi, risultanti dall'analisi congiunta dell'art. 648 e dell'art. 591 c.p.p., nei quali il giudicato sostanziale si trasforma in giudicato formale automaticamente, sono quelli della tardività del ricorso e della impugnazione di sentenza inoppugnabile, ribadendo che il giudicato sostanziale, in ogni altro caso, è categoria "sganciata" dalla disposizione di cui all'art. 648 cit.
Qualora vi sia stato un ricorso tardivo, infatti, il giudicato formale non si realizza non appena dichiarata l'inammissibilità, ma preesiste ad essa e coincide con il primo momento da cui deve ritenersi decorso il termine per impugnare la pronuncia, tanto che le Sezioni unite Butera precisano come sia compito del pubblico ministero eseguire la sentenza anche prima della pronuncia dichiarativa dell'inammissibilità dell'impugnazione (cfr. Rv. 265107).
Tali principi ed affermazioni hanno portata generale e, pertanto, il Collegio ritiene siano applicabili anche nel caso del fenomeno di abrogazione del reato, come è quello di specie.
Peraltro, l'abolitio criminis, pur non rilevabile in sede di legittimità nell'ipotesi di ricorso tardivo, poiché in tal caso non vi è stata valida instaurazione del rapporto processuale prima del passaggio in giudicato formale della sentenza, determina comunque la revoca della sentenza di condanna da parte del giudice dell'esecuzione ex art. 673 c.p.p., rimanendo, dunque, la fase esecutiva quella propria in cui far valere le ragioni di cui all'art. 2, comma 2, c.p.
4. In conclusione, deve affermarsi che la Corte di cassazione non può rilevare la sopravvenuta abolitio criminis nell'ipotesi di inammissibilità per tardività del ricorso tardivo, essendosi in tal caso già formato il giudicato formale ai sensi dell'art. 648, comma 2, c.p.p.
5. In ogni caso, peraltro, i motivi di ricorso proposti sono manifestamente infondati e generici (anche sotto il profilo delle violazioni di disposizioni processuali sul rinvio dell'udienza), nonché in parte risolventisi in una richiesta di rivalutazione del merito della pronuncia non consentita in sede di legittimità; essi sono inidonei, altresì, a costituire ragioni di critica alla motivazione della sentenza impugnata, adducendosi finanche la prospettiva, peggiorativa per il ricorrente, di configurare nella condotta contestata un reato più grave - e non depenalizzato - come quello di diffamazione, piuttosto che quello di ingiuria per il quale si è subita condanna.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Depositata il 6 giugno 2017.