Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 6 luglio 2017, n. 16692

Presidente: Rordorf - Estensore: Perrino

FATTI DI CAUSA

In esito ad un processo verbale di constatazione, dal quale era emerso che la s.r.l. I.R.C. aveva avuto un numero di dipendenti sempre inferiore alla media occupazionale del periodo storico di riferimento, l'Agenzia delle entrate recuperò il credito d'imposta per incremento occupazionale del quale la società aveva fruito in base all'art. 7 l. n. 388/2000. La contribuente impugnò il relativo avviso, senza successo in primo grado.

Il giudice d'appello, in accoglimento parziale del gravame, si è limitato a dichiarare non applicabili le sanzioni. Ha al riguardo anzitutto escluso che l'adesione della società al c.d. condono tombale impedisca l'esercizio dei poteri di accertamento del fisco ed ha riconosciuto la correttezza della sentenza di primo grado quanto al metodo di calcolo della media occupazionale riferita al periodo in contestazione, che ha ritenuto correttamente ragguagliato, secondo legge, ad un mero criterio matematico. Ha, invece, ravvisato una condizione di obiettiva incertezza sull'ambito di applicazione dell'art. 7 l. n. 388/2000, a giustificazione della statuizione d'inapplicabilità delle sanzioni.

Contro questa sentenza la società ha proposto ricorso per ottenerne la cassazione, che ha articolato in due motivi e che ha illustrato con memoria. L'Agenzia ha replicato con controricorso.

La sezione tributaria di questa Corte, ravvisato un contrasto all'interno della giurisprudenza della sezione con riguardo alla permanenza, oppure all'esclusione del potere di accertamento del fisco della configurabilità di crediti d'imposta allorquando il contribuente abbia aderito al c.d. condono tombale, ha sottoposto la questione al Primo Presidente ai fini dell'eventuale assegnazione alle sezioni unite. La controversia è stata quindi assegnata a queste sezioni unite.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il contrasto evidenziato dalla sezione tributaria di questa Corte interferisce con la decisione sollecitata dal secondo motivo del ricorso per cassazione, di rilievo prodromico rispetto al primo, col quale la società ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 9 l. n. 289/2002, là dove la Commissione tributaria regionale ha escluso l'efficacia preclusiva del condono anche quanto all'accertamento dell'insussistenza di crediti da agevolazioni.

1.1. Queste sezioni unite sono dunque chiamate a stabilire se l'effetto preclusivo di ogni accertamento stabilito dalla combinazione dei commi 9 e 10 dell'art. 9 l. n. 289/2002 riguardi l'intera situazione tributaria e, quindi, non soltanto i debiti del contribuente verso il fisco, ma anche i crediti vantati nei confronti di esso, con particolare riguardo a quelli da agevolazioni.

Stabiliscono le disposizioni in questione, per quanto d'interesse, che:

«La definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all'applicabilità di esclusioni. Sono fatti salvi gli effetti della liquidazione delle imposte e del controllo formale in base rispettivamente all'articolo 36-bis ed all'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché gli effetti derivanti dal controllo delle dichiarazioni IVA ai sensi dell'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni; le variazioni dei dati dichiarati non rilevano ai fini del calcolo delle maggiori imposte dovute ai sensi del presente articolo. La definizione automatica non modifica l'importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta regionale sulle attività produttive. La dichiarazione integrativa non costituisce titolo per il rimborso di ritenute, acconti e crediti d'imposta precedentemente non dichiarati, né per il riconoscimento di esenzioni o agevolazioni non richieste in precedenza, ovvero di detrazioni d'imposta diverse da quelle originariamente dichiarate» (comma 9);

«Il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta:

a) la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario...» (comma 10).

2. Queste sezioni unite non hanno finora esaminato ex professo la questione.

Con la sentenza 5 giugno 2008, n. 14828 richiamata nell'ordinanza, le sezioni unite non si sono occupate direttamente della sorte dei crediti d'imposta in caso di definizione automatica in base all'art. 9 l. n. 289/2002, sibbene della sorte dei pagamenti eseguiti che il contribuente, dopo avere aderito al c.d. condono tombale, pretenda in restituzione perché li ritiene indebiti: è a questo riguardo che si è fissato il principio di diritto secondo cui, con riferimento alla definizione automatica stabilita dall'art. 9 l. n. 289/2002, la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d'imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto.

Ciò perché il condono pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti, quali coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo eventualmente il rimborso delle somme indebitamente pagate, o corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria.

Il principio riprende statuizioni della Consulta, la quale (con sentenza 8 luglio 1975, n. 185) aveva in precedenza appunto stabilito, con affermazione di carattere generale, che il condono «pone l'interessato di fronte ad una alternativa: o soggiacere alla pretesa della pubblica amministrazione onde definire la pendenza tributaria attraverso la richiesta del beneficio o esperire i rimedi giuridici che la legge prevede per contrastare la pretesa stessa. Tutto ciò si inserisce razionalmente in quelle che sono le finalità del provvedimento di clemenza: una regolamentazione giuridica del rapporto pendente tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria che renda indenne l'interessato dalle sanzioni conseguenti al mancato adempimento del quale la legge tributaria gli fa carico e che dirima, nel contempo, ogni controversia in ordine alla regolarità della obbligazione tributaria alla sua fonte».

Con quella stessa sentenza le sezioni unite hanno avvertito che non «rileva, per la evidente diversità della questione, la disposizione dell'ultimo periodo della l. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9...»; in obiter, anzi, hanno sottolineato che, in base alla disposizione in oggetto, «... il condono non impone al contribuente la rinuncia al credito ivi esposto, né preclude all'amministrazione di rimborsarlo, se lo ritiene fondato, o di accertarne la non rimborsabilità (v. Corte cost. ord. n. 340/2005)».

3. Ciò posto, secondo la tesi che si prospetta come maggioritaria in seno alla sezione tributaria di questa Corte, il c.d. condono tombale contemplato dall'art. 9 l. n. 289/2002 elide i debiti del contribuente verso l'Erario, ma non opera sugli eventuali crediti, in quanto il terzo periodo del comma 9 del suddetto art. 9, secondo cui la definizione automatica delle imposte non modifica l'importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta regionale sulle attività produttive, va interpretato nel senso che il condono non influisce sull'ammontare dei crediti, e non impedisce all'Erario di vagliarli, di contestarli e di recuperarne gli importi esposti in dichiarazione (ex plurimis, in relazione a crediti da agevolazioni, Cass. ord. 7 giugno 2011, n. 12337; ord. 12 giugno 2012, n. 9578; ord. 19 luglio 2013, n. 17749; 5 febbraio 2014, n. 2597; ord. 16 aprile 2014, n. 10574; 3 agosto 2016, n. 16157).

3.1. Di recente, tuttavia, è emerso un indirizzo, variamente argomentato, che si è posto in consapevole contrasto con quest'orientamento.

Si è difatti sostenuto che il condono di cui all'art. 9 l. n. 289 del 2002 elida sì i debiti del contribuente verso l'Erario, ma comporti altresì la preclusione nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati di ogni accertamento tributario, ivi compreso quello volto al recupero di crediti d'imposta, adducendovi a sostegno argomenti diversi:

a. secondo Cass. 17 febbraio 2016, n. 3112, l'orientamento maggioritario della Corte ha avuto riguardo all'ipotesi di credito iva illegittimamente compensato a causa dell'inesistenza delle operazioni, da tenere ben distinta da quella del credito d'imposta generato da agevolazione, espressamente considerata come condonabile dal legislatore;

b. a queste considerazioni, incentrate sulla non comparabilità tra credito iva da operazioni inesistenti e credito da agevolazione, Cass. 22 luglio 2016, n. 15195 ha aggiunto che il comma 9 dell'art. 9 l. n. 289/2002, là dove stabilisce che «la definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all'applicabilità di esclusioni», precluderebbe l'accertamento e, in particolare, l'avviso di recupero del credito da agevolazione, qualora il credito da agevolazione risulti incluso nella dichiarazione integrativa, in tal modo giovandosi del crisma della definitività;

c. le osservazioni sono state successivamente ribadite da Cass. 3 agosto 2016, nn. 16186 e 16187.

A tanto con l'ordinanza interlocutoria si aggiungono argomenti tratti dalla salvezza, contenuta nell'art. 9 l. n. 289/2002, dei soli controlli di natura formale e contabile, non già di quelli concernenti i presupposti sostanziali del diritto all'agevolazione: la circostanza che siano consentiti soltanto i controlli formali suonerebbe come conferma della irretrattabilità del credito da agevolazione.

4. Merita adesione il primo dei due orientamenti illustrati.

L'argomento dinanzi indicato sub a., che innerva tutte le sentenze riconducibili all'orientamento minoritario, è in realtà ininfluente ai fini dell'interpretazione delle disposizioni in esame, giacché, in relazione al c.d. condono tombale, le peculiarità dell'iva rilevano in senso affatto diverso da quello assunto.

Queste peculiarità, date dal fatto che si tratta di un tributo armonizzato, non incidono sull'applicazione del comma 9 dell'art. 9 l. n. 289/2002, conformandone gli esiti alla natura armonizzata, ma escludono in radice l'applicabilità stessa dell'intero art. 9, compresi, quindi, i suoi commi 9 e 10.

Esso va difatti disapplicato quanto all'iva, giusta la sentenza (Corte giust. 17 luglio 2008, causa C-132/06), con la quale la grande sezione della Corte di giustizia ne ha affermato il contrasto con gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva e con l'art. 10 Ce, in quanto consente ai contribuenti che non hanno osservato gli obblighi in materia di iva, relativi agli esercizi d'imposta compresi tra il 1998 ed il 2001, di sottrarvisi definitivamente e di sfuggire anche alle relative sanzioni, versando una somma forfetaria sproporzionata rispetto all'importo dovuto, ragguagliato al fatturato realizzato, con uno squilibrio che conduce ad una quasi-esenzione fiscale (Cass. 7 febbraio 2013, n. 2915, seguita senza oscillazioni: si vedano, tra molte, 13 novembre 2013, n. 25492; 26 febbraio 2014, n. 4630; 26 gennaio 2015, n. 1288; 24 giugno 2015, n. 13068; 16 ottobre 2015, n. 20960; 15 aprile 2016, n. 7490; 22 aprile 2016, n. 8115); laddove, in quest'ambito, l'interpretazione da assegnare all'art. 9, comma 9, l. n. 289/2002, quando è svolta da questa Corte, lo è sovente, dopo Cass. n. 2915/2013, per mere esigenze di completezza della motivazione (vedi, tra varie, Cass. 11 marzo 2015, n. 4873 e 14 ottobre 2015, n. 20642).

4.1. Che il contrasto con la normativa unionale conduca comunque alla non condonabilità, indipendentemente dal tipo di tributo, emerge dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha disapplicato la norma in questione anche con riguardo alle agevolazioni, qualora abbiano sostanziato un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione definitiva della commissione europea (Cass. 22 luglio 2015, n. 15407).

5. Alla materia dell'iva si riferì per vero la Consulta, allorquando valutò la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni in questione, in riferimento agli artt. 3, 41, 42 e 53 Cost., che il giudice remittente aveva interpretato nel senso di riconoscere al contribuente la possibilità di consolidare il credito d'imposta emergente in un'annualità «coperta» dal c.d. condono tombale, in ragione del fatto che il perfezionamento di questo precludesse all'amministrazione finanziaria la possibilità di svolgere accertamenti tributari per contestare la debenza del rimborso e rendesse incontestabili le somme richieste a credito. Ma in quell'occasione le peculiarità dell'iva non ebbero il rilievo illustrato sub 4, che si è imposto dopo l'indicata sentenza della Corte di giustizia, di circa tre anni successiva, di modo che la circostanza che si vertesse in materia di iva ha fornito soltanto l'occasione per la ricostruzione della portata dei commi 9 e 10 dell'art. 9 in esame.

La Corte costituzionale (ord. 27 luglio 2005, n. 340, richiamata, con riguardo all'art. 28, comma 4, del d.l. n. 429/1982, come convertito, nella successiva ord. 25 ottobre 2005, n. 402) dunque, nel dichiarare manifestamente infondata la questione, basata sull'interpretazione sopra indicata delle disposizioni in esame, ha precisato che:

- l'art. 9, comma 9, l. n. 289/2002 va inteso nel senso che il condono non influisce di per sé sull'ammontare delle somme chieste a rimborso, non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all'erario di accogliere tali richieste, allorché la pretesa di rimborso sia riscontrata fondata;

- il successivo comma 10 preclude l'accertamento dei debiti dei contribuenti che hanno ottenuto il condono, ma non quello dell'inesistenza dei crediti posti a base delle richieste di rimborso.

Le statuizioni hanno una chiara valenza generale; d'altronde, sul piano ontologico, non è predicabile distinzione, ai fini dell'accertamento del fisco, tra inesistenza del credito iva perché prodotto da operazioni inesistenti ed inesistenza del credito da agevolazione per mancanza dei relativi presupposti.

5.1. Quel che è particolarmente significativo nelle pronunce della Consulta è, peraltro, la ricostruzione del condono, dedotta a fondamento logico dell'opzione seguita e destinata a conformare anche la decisione odierna.

Per natura, il condono incide sui debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti, in quanto si traduce in una forma atipica di definizione del rapporto tributario, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso, non già in quella dell'accertamento dell'imponibile (si veda, in particolare, sul punto, Corte cost. 13 luglio 1995, n. 321). L'atipicità sta dunque nel fatto che col condono si regola l'obbligazione tributaria prescindendo dall'accertamento dell'imponibile, per finalità deflattive e di bilancio.

5.2. La sanatoria derivante dal condono è dunque effetto di legge dell'adesione oblativa, senza che il fisco possa esercitare alcun potere decisorio, in quanto il condono opera secondo meccanismi di diritto pubblico diversi dalla modificazione negoziata dell'obbligazione per via di novazione, transazione o conciliazione (Cass., sez. un., 27 gennaio 2016, n. 1518).

6. La preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati derivante dal perfezionamento del procedimento di condono non può che concernere, allora, il solo debito tributario.

Estenderla anche ai crediti, in mancanza di qualsiasi potere decisorio da parte dell'Ufficio, colliderebbe in maniera frontale con le finalità del condono, indirizzate a reperire risorse di bilancio e non già a perseguire finalità transattive e di compensazione di ragioni di credito e di debito.

6.1. Il primo periodo del comma 9 dell'art. 9, là dove stabilisce la definitività della liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione come effetto della definizione automatica, non si pone in contrasto, ma, anzi, conforta questa ricostruzione.

La definitività della liquidazione riguarda l'imposta lorda, di modo che quel [che] si rende definitivo è l'imponibile, in base al quale l'imposta lorda si quantifica, giustappunto perché il condono, dell'imponibile, esclude qualsivoglia accertamento: la disposizione si riferisce difatti alla spettanza delle deduzioni, che identificano somme che sono sottratte dalla base imponibile, su cui si calcola l'imposta lorda e delle esclusioni, che concorrono con la norma base a definire l'ambito applicativo dell'imposta.

In questo contesto, al cospetto della polisemia del termine "agevolazione", le agevolazioni, la spettanza delle quali diviene parimenti definitiva per effetto della definizione automatica non possono che essere, al pari delle deduzioni cui sono accomunate, quelle che incidano sulla determinazione dell'imponibile, ad esempio prevedendone un sistema forfetario di determinazione.

Di contro, l'agevolazione che si risolva, come nel caso in esame, nel riconoscimento di un credito d'imposta, non incide sulla determinazione dell'imponibile, in quanto è destinata ad operare come fattore di compensazione, nel senso che neutralizza, in tutto o in parte, estinguendolo, l'obbligo di versamento scaturente dalla liquidazione dell'imposta operata sull'imponibile indicato nella dichiarazione (sulla configurabilità del credito d'imposta come strumento di pagamento a mezzo di compensazione e sulla sua estraneità alla base imponibile, vedi Cass. 19 febbraio 2014, n. 3948). E giustappunto in base alla considerazione che l'atto di recupero incide, come il credito che è volto a revocare, direttamente sull'imposta e non già sull'imponibile, questa Corte (Cass. 6 agosto 2014, n. 17648; 23 aprile 2014, n. 9124) ha escluso che la controversia ad esso relativa, anche ai fini irap, nei confronti di una società di persone, comporti litisconsorzio necessario tra la società ed i soci.

Una tale agevolazione, quindi, determinando non già la riduzione dell'imponibile, bensì quella dell'imposta, è estranea all'ambito applicativo della disposizione in esame.

6.2. L'estraneità al condono dell'accertamento dell'imponibile dà conto altresì dell'attribuzione all'Amministrazione finanziaria dei soli poteri di controllo formale ex artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973, che non toccano la posizione sostanziale della parte contribuente e sono scevri da profili valutativi o estimativi (in termini, quanto al controllo previsto dall'art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972, omologo a quello contemplato dall'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, Cass., sez. un., 8 settembre 2016, n. 17758).

7. L'ulteriore disposizione contenuta nel comma 9 dell'art. 9 l. n. 289/2002, secondo cui «la definizione automatica non modifica l'importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dell'imposta regionale sulle attività produttive», va poi interpretata alla luce della considerazione che il prelievo da condono sostituisce quello ordinario, di modo che è pur sempre la dichiarazione originaria la base sulla quale s'innesta la definizione agevolata.

7.1. Perché la definizione agevolata possa operare, dunque, occorre che siano fissati gli importi in relazione ai quali sono poi sviluppati in maniera forfetaria i calcoli di quanto dovuto.

È quindi al fine di garantire l'attendibilità della dichiarazione sul piano contabile, ossia dell'indicazione degli importi ivi indicati e della loro congruenza, che il legislatore ha fatto salvi, per quanto d'interesse, gli effetti della liquidazione delle imposte e del controllo formale in base rispettivamente all'art. 36-bis ed all'art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973. Difatti, si specifica (secondo nucleo normativo del secondo periodo del comma 9 dell'art. 9) che «le variazioni dei dati dichiarati - ossia le variazioni operate dal contribuente con la dichiarazione integrativa prevista dalla norma - non rilevano ai fini del calcolo delle maggiori imposte dovute ai sensi del presente articolo».

7.2. In questo quadro, non va trascurato che i crediti abbattono l'imposta netta e che, qualora siano eccedenti rispetto ad essa, generano importi da rimborsare.

Anche in relazione ad essi v'è dunque l'esigenza che ne siano indicati gli importi, perché non possano più essere modificati; e ciò anche al fine di garantire l'applicazione dell'ultimo nucleo normativo del comma 9 dell'art. 9, secondo cui la dichiarazione integrativa non può fungere da titolo per il rimborso di crediti precedentemente non dichiarati, oppure per il riconoscimento di agevolazioni in precedenza non richieste.

È in relazione a quegli importi, e non ad altri, che l'Ufficio può svolgere le proprie attività di verifica, che possono sfociare in avvisi di accertamento, nel novero dei quali s'iscrive anche l'avviso di recupero del credito da agevolazione che rileva nella fattispecie in esame.

Diversamente da quanto adombrato dall'orientamento minoritario, dunque, l'avviso di recupero non è affatto incompatibile con la disciplina apprestata dall'art. 9 l. n. 289/2002 e, in particolare, con l'esercizio dei controlli contabili e formali fatti salvi dalla disposizione, ma è ad essa complementare: mentre i controlli in questione garantiscono la correttezza formale della dichiarazione integrativa, che determina la definitività della liquidazione dell'imposta lorda, con l'avviso di recupero il fisco reclama i crediti che hanno abbattuto l'imposta netta, avendone riscontrata la carenza dei presupposti sostanziali.

8. Giova, infine, sottolineare, sul piano sistematico, che queste sezioni unite hanno già avuto occasione di rimarcare la legittimità della diversità di trattamento, in quel caso quanto all'applicazione dei termini decadenziali di accertamento, tra crediti e debiti dell'Amministrazione, allorquando hanno stabilito (Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5069), che, in tema di rimborso d'imposte, l'Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, giacché tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum.

8.1. Una diversità di trattamento ingiustificabile, anche in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., si prospetterebbe, di contro, qualora si riconoscesse, come vorrebbero Cass. n. 15195, 16186 e 16187/2016, che la sorte dei crediti sia diversa, a seconda che il credito, segnatamente da agevolazione, sia incluso nella dichiarazione integrativa ed in quanto tale divenga definitivamente acquisito, oppure che dall'esposizione del credito scaturisca una pretesa di rimborso, in quanto tale soggetta a vaglio ed a contestazione da parte dell'Amministrazione.

8.2. A composizione del contrasto va quindi enunciato il seguente principio di diritto:

"In tema di c.d. condono tombale, non è inibito all'erario l'accertamento riguardante un credito da agevolazione esposto in dichiarazione, in quanto il condono elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, che restano soggetti all'eventuale contestazione da parte dell'Ufficio".

9. Col primo motivo di ricorso la società lamenta la violazione dell'art. 7, comma 2, l. n. 388/2000, là dove il giudice d'appello ha calcolato nella media occupazionale del periodo di riferimento (1° ottobre 1999/30 settembre 2000) anche i dipendenti i rapporti di lavoro dei quali erano afferenti al ramo d'azienda ceduto dalla contribuente alla s.p.a. ONAMA il 30 marzo 2000.

Il motivo è fondato.

9.1. Dispone l'art. 7 l. n. 388/2000 che:

- «ai datori di lavoro, che nel periodo compreso tra il 1° ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003 incrementano il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato è concesso un credito di imposta...» (comma 1);

- «il credito di imposta è commisurato, nella misura di lire 800.000 per ciascun lavoratore assunto e per ciascun mese, alla differenza tra il numero dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato rilevato in ciascun mese rispetto al numero dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato mediamente occupati nel periodo compreso tra il 1° ottobre 1999 e il 30 settembre 2000. Il credito di imposta decade se, su base annuale, il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, a tempo indeterminato e a tempo determinato, compresi i lavoratori con contratti di lavoro con contenuto formativo, risulta inferiore o pari al numero complessivo dei lavoratori dipendenti mediamente occupati nel periodo compreso tra il 1° ottobre 1999 e il 30 settembre 2000» (comma 2).

Secondo il giudice d'appello, il calcolo della media occupazionale va operato in base «ad un mero criterio matematico», di modo che i ventinove lavoratori i rapporti di lavoro dei quali afferivano al ramo d'azienda ceduto dovevano essere compresi nel calcolo della media occupazionale della cedente, ossia dell'odierna ricorrente, soltanto fino al momento del trasferimento e non già dopo.

Seguendo un'impostazione di segno diverso, l'Agenzia sostiene in controricorso che la cessione del ramo d'azienda, cui è conseguito come effetto naturale il trasferimento alla cessionaria dei ventinove rapporti di lavoro pertinenti, ha determinato la decadenza dai crediti d'imposta contemplata dal secondo nucleo normativo del comma 2 dell'art. 7.

9.2. In relazione ad ipotesi speculare, ossia con riguardo all'acquirente dell'azienda, la quinta sezione ha già avuto occasione di rimarcare (Cass. n. 9124/2014, cit.) che l'unica ipotesi in cui, in caso di sostituzione del datore di lavoro, si ha riguardo soltanto al numero di lavoratori assunti in più rispetto a quello dell'imprenditore sostituito, indipendentemente dai riflessi del trasferimento d'azienda e dei rapporti di lavoro pertinenti sulla media occupazionale, è quella «di impresa subentrante ad altra nella gestione di un servizio pubblico, anche gestito da privati, comunque assegnata...» (art. 7, comma 6, l. n. 388/2000).

9.3. In tutti gli altri casi, è inevitabile che la prosecuzione dei rapporti di lavoro alle dipendenze del cessionario derivante da trasferimento d'azienda avvenuto il 30 marzo 2000 sia destinato ad incidere sul computo della media occupazionale del cedente nell'intero periodo di riferimento, ossia nel periodo dal 1° ottobre 1999 al 30 settembre 2000, e non già, come ha sostenuto il giudice d'appello, soltanto nella frazione di tale periodo precedente al trasferimento.

Ciò in quanto l'incidenza di tale evento si colloca nella cornice temporale di riferimento e, in conseguenza, sostanzia uno dei valori ai quali va ragguagliato, per l'intero periodo, il calcolo della media relativamente al cedente; il che comporta anche la sua rilevanza nella verifica del rapporto, su base annuale, tra il numero complessivo dei lavoratori dipendenti e quello dei lavoratori dipendenti mediamente occupati nel periodo tra il 1° ottobre 1999 e il 30 settembre 2000, ai fini della decadenza adombrata dall'Agenzia.

10. La censura va in conseguenza accolta e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, affinché riesamini la fattispecie in base al principio indicato e regoli le spese.

P.Q.M.

la Corte, decidendo a sezioni unite, accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

M. Marazza

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