Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 16 marzo 2017, n. 37419
Presidente: Amoresano - Estensore: Rosi
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Porretta Terme con sentenza del 30 gennaio 2013 aveva condannato T. Simone e C. Corrado per il reato di cui all'art. 256, comma 2, d.P.R. n. 152 del 2006 (capo A), in relazione alla gestione di un allevamento bovino, mediante la quale avevano provocato l'accumulo incontrollato di liquami con tracimazione degli stessi nella sede stradale e nella proprietà di C. Nereo e all'art. 635, comma 1, c.p. (capo B), fatti commessi l'1-6 febbraio 2009, con condanna anche al risarcimento dei danni in favore di quest'ultimo costituitosi parte civile.
2. Con sentenza dell'1 giugno 2016, la Corte di appello di Bologna, investita a seguito di appello degli imputati, riformava la decisione di primo grado, rilevando la prescrizione del reato di cui al capo a) e la depenalizzazione del reato di danneggiamento di cui al capo b) - trattandosi di danneggiamento non aggravato - ai sensi del d.lgs. n. 7 del 2016, il quale è stato trasformato in illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria, con conseguente assoluzione degli imputati perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. I giudici di appello nel dare atto che, pur mancando nel menzionato decreto legislativo una norma transitoria (prevista invece per il d.lgs. n. 8/2016), in applicazione analogica della disposizione di cui all'art. 578 c.p.p., hanno confermato le statuizioni civili, condannando gli imputati alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile.
3. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza nella parte in cui aveva confermato le statuizioni civili ed aveva provveduto a liquidare le spese nei confronti della parte civile, lamentando, ex art. 606, lett. b), c.p.p., il vizio di inosservanza od erronea applicazione della legge in ordine alla conferma di dette statuizioni civili in caso di abrogazione di fattispecie, per errata applicazione dell'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8 del 2016 anche ai reati depenalizzati di cui al d.lgs. n. 7 del 2016. Il difensore ha osservato come la disposizione dell'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8/2016 affida al giudice penale il compito di verificare e definire i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, diversamente da quanto disposto dal d.lgs. n. 7, che lo riserva al giudice civile, come comprovato anche dal dettato dell'art. 12 del medesimo d.lgs., che stabilisce l'applicazione delle disposizioni anche a fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso a meno che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza irrevocabile. Anche l'interpretazione data dalla Corte di appello all'art. 578 c.p.p. è errata, trattandosi di disposizione di stretta interpretazione, non suscettibile di interpretazione analogica, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e desumibile dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 12 del 2016.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato. La sentenza di assoluzione degli imputati dal delitto di danneggiamento, l'unico rispetto al quale sussiste la costituzione di parte civile, pronunciata dalla Corte di appello, in conseguenza della trasformazione del reato in illecito civile per effetto del d.lgs. n. 7 del 2016, deve comportare la revoca delle statuizioni civili disposte dal giudice di primo grado.
2. Va infatti rilevato che le Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 46688 del 29 settembre 2016, Schirru e altro, Rv. 267884), proprio sulla questione di diritto oggetto del presente giudizio, hanno affermato il seguente principio: "In caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire ex novo nella sede naturale, per il risarcimento del danno e l'eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile".
3. La pronuncia del Supremo Consesso ha preso le mosse dall'orientamento interpretativo consolidato in giurisprudenza circa il nesso che l'art. 538 c.p.p. pone tra condanna dell'imputato e decisione del giudice penale sulle questioni civili, connessione che non viene posta in discussione neppure dalla disposizione di cui all'art. 578 c.p.p., che prevede il potere del giudice dell'appello e di quello di legittimità di decidere l'impugnazione ai soli fini civili in caso di estinzione del reato per amnistia o prescrizione; tale norma è di stretta interpretazione, in quanto derogatoria, e comunque afferisce ad istituti che non eliminano l'astratta previsione punitiva di determinati fatti - che rimangono penalmente perseguibili nell'attualità - ma si limitano a sancirne la non punibilità in riferimento al tempo in cui l'imputato li ha commessi. Si tratta di una situazione ben diversa dall'abrogazione della norma incriminatrice, che elimina la rilevanza penale della specifica fattispecie.
4. D'altra parte l'impossibilità di conseguire la riparazione del danno in sede penale non integra alcuna violazione dei diritti del danneggiato, come può desumersi dai principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 12 del 2016, in quanto lo stesso può avanzare la pretesa in sede civile anche quando tale impossibilità dipenda da accadimenti successivi alla costituzione di parte civile, ai quali la legge processuale riconnette la necessaria separazione dei due percorsi.
5. La parte civile danneggiata dal reato, all'esito della caducazione delle eventuali statuizioni civili, pur mantenendo inalterato il diritto a far valere le medesime istanze risarcitorie, potrà quindi introdurre un nuovo giudizio in sede civile, governato dalle diverse regole sulla formazione della prova, ma certamente con la possibilità per il giudice civile di utilizzare le prove eventualmente acquisite nel corso del processo penale (così Sez. civ. 3, n. 1665 del 29 gennaio 2016, Rv. 638323: "l'autonomia della giurisdizione civile rispetto alla giurisdizione penale, al di fuori delle ipotesi disciplinate dagli articoli 651, 652 e 654 c.p.p., non giustifica un'assoluta omissione di vaglio da parte del giudice civile di merito delle argomentazioni difensive che una parte prospetti deducendole da prove effettuate in sede penale o dalla motivazione di sentenze penali attinenti - pur senza valore di giudicato - alla stessa vicenda posta come oggetto di cognizione del giudice civile").
6. Quanto invece al capo della sentenza con il quale la Corte di appello ha condannato gli imputati alla rifusione delle spese legali in favore della parte civile, lo stesso deve essere confermato. Rilevato, in primis, che il petitum proposto con il ricorso non risulta minimamente argomentato sul punto, va ad ogni modo ribadito che la violazione del principio della soccombenza, in ordine al regolamento delle spese da parte del giudice di merito, deve ravvisarsi soltanto nell'ipotesi in cui l'imputato sia totalmente vittorioso, nel senso che lo stesso sia stato assolto con formula preclusiva dell'azione civile (in tal senso cfr. Sez. 4, n. 44777 del 2 ottobre 2007, Sasso e altro, Rv. 238660). Infatti, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza civile di legittimità, "soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, neanche in minima quota, al pagamento delle spese processuali" (così, ex plurimis, Sez. civ. 3, n. 4201 del 25 marzo 2002, Rv. 553229-01).
7. Pertanto nel caso in esame deve essere affermato il seguente principio di diritto: "È legittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese verso la parte civile quando lo stesso venga prosciolto in appello perché il fatto non è previsto come reato a seguito della trasformazione della fattispecie penale in illecito civile, per effetto del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, non risultando soccombente la parte civile costituita, nonostante l'annullamento del capo della sentenza che confermava le statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno". Sulla base del medesimo presupposto è stata considerata - per giurisprudenza consolidata - legittima la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel caso di pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione (ex multis, Sez. 6, n. 24768 del 31 marzo 2016, P.G. e altri in proc. Caruso e altri, Rv. 267317).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, che revoca.
Depositata il 27 luglio 2017.