Corte di giustizia dell'Unione Europea
Seconda Sezione
Sentenza 20 settembre 2017

«Rinvio pregiudiziale - Tutela dei consumatori - Direttiva 93/13/CEE - Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori - Articolo 3, paragrafo 1, e articolo 4, paragrafo 2 - Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali - Contratto di credito concluso in una valuta estera - Rischio di cambio interamente a carico del consumatore - Significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto - Momento in cui lo squilibrio deve essere valutato - Portata della nozione di clausole "formulate in modo chiaro e comprensibile" - Livello d'informazione che deve essere fornito dalla banca».

Nella causa C-186/16, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Curtea de Apel Oradea (Corte d'appello di Oradea, Romania), con decisione del 3 marzo 2016, pervenuta in cancelleria il 1° aprile 2016, nel procedimento Ruxandra Paula Andriciuc e altri contro Banca Româneasca SA.

[...]

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli articoli 3, paragrafo 1, e 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra, da un lato, la sig.ra Ruxandra Paula Andriciuc e altre 68 persone e, dall'altro, la Banca Româneasca SA (in prosieguo: la «banca), in merito al carattere asseritamente abusivo di clausole inserite in contratti di credito che prevedono, in particolare, il rimborso dei crediti nella stessa valuta estera nella quale sono stati concessi.

Contesto normativo

Diritto dell'Unione

3. L'articolo 1 della direttiva 93/13 prevede quanto segue:

«1. La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

2. Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

4. Ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva medesima:

«1. Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

5. Il successivo articolo 4 così recita:

«1. Fatto salvo l'articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

6. L'articolo 5 della stessa direttiva dispone quanto segue:

«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. (...)».

Diritto rumeno

7. L'articolo 1578 del Cod Civil (codice civile), nella versione in vigore alla data della stipula dei contratti oggetto del procedimento principale, prevede quanto segue:

«L'obbligazione derivante da un mutuo riguarda sempre il medesimo importo indicato nel contratto.

Se interviene un aumento o una diminuzione del valore della valuta prima che scada il termine del pagamento, il debitore deve restituire l'importo ottenuto in prestito ed è obbligato a restituirlo unicamente nella valuta avente corso legale al momento del pagamento».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8. Emerge dalla decisione di rinvio che tra il 2007 e il 2008 i ricorrenti nel procedimento principale, i cui redditi, in quel periodo, erano in lei rumeni (RON), hanno stipulato con la banca contratti di credito espressi in franchi svizzeri (CHF) finalizzati all'acquisto di beni immobili, al rifinanziamento di altri crediti oppure al soddisfacimento di esigenze personali.

9. Ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, di ognuno dei suddetti contratti, i ricorrenti nel procedimento principale erano tenuti a rimborsare le rate mensili dei crediti nella medesima valuta in cui questi ultimi erano stati contratti, vale a dire in franchi svizzeri, con la conseguenza che il rischio di cambio, in termini di aumento delle rate mensili in caso di calo del tasso di cambio del leu rumeno rispetto al franco svizzero, restava interamente a loro carico. Inoltre, tali contratti prevedevano, rispettivamente agli articoli 9, paragrafo 1, e 10, paragrafo 3, punto 9, due clausole che autorizzavano la banca, alla scadenza delle rate o in caso di inadempimento, da parte del mutuatario, degli obblighi derivanti da tali contratti, ad effettuare l'addebito sul conto del mutuatario e, se necessario, a procedere a qualsiasi conversione delle liquidità disponibili sul conto di quest'ultimo nella valuta del contratto, al tasso di cambio praticato dalla banca nel giorno di tale operazione. A norma di tali clausole, qualsiasi variazione nel tasso di cambio rimaneva a carico esclusivo del mutuatario.

10. Secondo i ricorrenti nel procedimento principale, la banca era in grado di prevedere l'evoluzione e le fluttuazioni del tasso di cambio del franco svizzero. Al riguardo, il rischio di cambio sarebbe stato descritto in maniera incompleta poiché, contrariamente alle altre valute estere che fungono da valuta di riferimento per i prestiti, la banca non avrebbe spiegato che quest'ultimo era soggetto a fluttuazioni importanti rispetto al leu rumeno.

11. Più in generale, la presentazione sarebbe stata effettuata in maniera distorta, in quanto metteva in rilievo i benefici di tale tipo di prodotto e della valuta utilizzata, trascurando al contempo di indicare i rischi potenziali nonché la probabilità che si realizzassero. In tale contesto, i ricorrenti nel procedimento principale sostengono che, non avendo fornito loro informazioni trasparenti su tali fluttuazioni, la banca ha violato i suoi obblighi di informazione, avvertenza e consulenza nonché il suo dovere di redigere clausole contrattuali in modo chiaro e comprensibile affinché ogni mutuatario potesse valutare la portata degli obblighi derivanti dal contratto che ha stipulato.

12. Ritenendo abusive le clausole che prevedevano il rimborso dei crediti in franchi svizzeri, poiché addossavano il rischio di cambio sui mutuatari, i ricorrenti nel procedimento principale hanno adito il Tribunalul Bihor (Tribunale di Bihor, Romania) con un'azione diretta all'annullamento di dette clausole nonché all'emissione da parte della banca di un nuovo piano di ammortamento che prevedesse la conversione di prestiti in lei rumeni, al tasso di cambio in vigore al momento della conclusione del contratto di credito oggetto del procedimento principale.

13. Con sentenza del 30 aprile 2015 il Tribunalul Bihor (Tribunale di Bihor) ha respinto il ricorso. Tale giudice ha ritenuto che, pur non essendo stata negoziata con i mutuatari, la clausola che prevedeva il rimborso dei crediti nella stessa valuta nella quale erano stati contratti non fosse abusiva.

14. I ricorrenti nel procedimento principale hanno presentato appello avverso la succitata sentenza dinanzi al giudice del rinvio. Essi affermano che un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti è stato provocato dalla svalutazione del leu rumeno rispetto al franco svizzero, avvenuto successivamente alla conclusione dei contratti, e che la Corte non si è mai pronunciata su una questione simile nelle sue sentenze relative all'interpretazione dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, riguardante la nozione di «significativo squilibrio».

15. Il giudice del rinvio osserva che, nel caso di specie, dopo la concessione dei prestiti oggetto del procedimento principale, il corso del franco svizzero è aumentato in modo considerevole e che i ricorrenti nel procedimento principale hanno subito le conseguenze di detto aumento. È dunque necessario, secondo tale giudice, chiarire se, nell'ambito dell'obbligo di informazione che incombeva alla banca al momento della stipula dei contratti di credito, quest'ultima fosse tenuta ad informare i clienti di un eventuale aumento o di una futura riduzione del corso del franco svizzero e se la clausola di cui trattasi nel procedimento principale, per essere considerata formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, dovesse indicare anche tutte le conseguenze, che da essa potevano derivare, idonee ad influire sul prezzo pagato dal mutuatario, quale il rischio di cambio.

16. Il giudice del rinvio ritiene, quindi, che occorra un chiarimento per quanto concerne l'interpretazione dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, il quale prevede un'eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive previsto nell'ambito del sistema di tutela dei consumatori attuato da tale direttiva.

17. In tale contesto, la Curtea de Apel Oradea (Corte d'appello di Oradea, Romania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto debba essere valutato con riferimento rigorosamente al momento della stipula del contratto oppure se esso comprenda anche il caso in cui, durante l'esecuzione di un contratto ad esecuzione periodica o continuata, la prestazione del consumatore sia divenuta eccessivamente onerosa rispetto al momento della stipula del contratto a causa di variazioni significative del tasso di cambio.

2) Se con chiarezza e comprensibilità di una clausola contrattuale, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, debba intendersi che tale clausola contrattuale debba prevedere soltanto i motivi alla base dell'inserimento nel contratto della clausola suddetta e il suo meccanismo di funzionamento oppure se debba prevedere anche tutte le sue possibili conseguenze in funzione delle quali può variare il prezzo pagato dal consumatore, ad esempio il rischio di cambio, e se alla luce della direttiva 93/13 si possa ritenere che l'obbligo della banca di informare il cliente al momento della concessione del credito riguardi esclusivamente le condizioni del credito, ossia gli interessi, le commissioni, le garanzie poste a carico del mutuatario, non potendo far rientrare in tale obbligo il possibile apprezzamento o deprezzamento di una valuta estera.

3) Se l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che le espressioni "oggetto principale del contratto" e "perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro" comprendono una clausola integrata in un contratto di credito stipulato in una valuta estera concluso tra un professionista e un consumatore e che non è stato oggetto di una trattativa individuale, in forza della quale il credito dovrà essere restituito nella medesima valuta».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

18. La banca contesta la ricevibilità delle questioni pregiudiziali. Il giudice del rinvio, infatti, non avrebbe alcun bisogno di un'interpretazione delle disposizioni della direttiva 93/13 per pronunciarsi sulla controversia oggetto del procedimento principale e, comunque, esisterebbe già una giurisprudenza in materia, per cui l'interpretazione delle norme di diritto in questione sarebbe ormai chiara. Inoltre, le questioni sarebbero formulate in modo tale da tendere ad ottenere in realtà una soluzione individuale, al fine di risolvere in concreto la controversia oggetto del procedimento principale.

19. A tale riguardo, occorre ricordare anzitutto che, in forza di una giurisprudenza costante della Corte, nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice nazionale è l'unico competente ad esaminare e valutare i fatti del procedimento principale, nonché ad interpretare e ad applicare il diritto nazionale. Parimenti spetta esclusivamente al giudice nazionale, investito della controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l'interpretazione del diritto dell'Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, EU:C:2017:60, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

20. Infatti, nell'ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali stabilita dalla procedura di cui all'articolo 267 TFUE, le questioni vertenti sul diritto dell'Unione godono di una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale sottoposta da un giudice nazionale, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, soltanto qualora, segnatamente, non siano rispettati i requisiti relativi al contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale riportati all'articolo 94 del regolamento di procedura della Corte o appaia in modo manifesto che l'interpretazione di una norma dell'Unione o il giudizio sulla sua validità chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto del procedimento principale, o qualora il problema sia di natura ipotetica (sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C-72/15, EU:C:2017:236, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

21. A tale riguardo, da un lato, è sufficiente ricordare che, anche in presenza di una giurisprudenza della Corte che risolve il punto di diritto considerato, i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno, senza che il fatto che le disposizioni di cui si chiede l'interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l'effetto di ostacolare una nuova pronuncia da parte della stessa (sentenza del 17 luglio 2014, Torresi, C-58/13 e C-59/13, EU:C:2014:2088, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

22. Dall'altro lato, se è vero che spetta unicamente al giudice del rinvio pronunciarsi sulla qualificazione di clausole asseritamente abusive in funzione delle circostanze proprie del caso di specie, ciò non toglie che la Corte è competente a desumere dalle disposizioni della direttiva 93/13, nella specie quelle del suo articolo 3, paragrafo 1, e dell'articolo 4, paragrafo 2, i criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di clausole contrattuali alla luce di tali disposizioni (v., in tal senso, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C-92/11, EU:C:2013:180, punto 48, e del 23 aprile 2015, Van Hove, C-96/14, EU:C:2015:262, punto 28).

23. Di conseguenza, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulla terza questione

24. Con la terza questione, a cui è opportuno rispondere in primo luogo, il giudice del rinvio chiede se l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che le nozioni di «oggetto principale del contratto» e di «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro», ai sensi di tale norma, comprendono una clausola integrata in un contratto di credito stipulato in una valuta estera, concluso tra un professionista e un consumatore, e che non è stato oggetto di un negoziato individuale, come quella oggetto del procedimento principale, in forza della quale il credito dovrà essere restituito nella medesima valuta.

25. In via preliminare, occorre rammentare che la circostanza che, formalmente, il giudice nazionale abbia formulato la sua domanda di pronuncia pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell'Unione non osta a che la Corte fornisca a tale giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni (sentenze del 10 settembre 2014, Kušionová, C-34/13, EU:C:2014:2189, punto 71, nonché del 15 febbraio 2017, W e V, C-499/15, EU:C:2017:118, punto 45).

26. Nel caso di specie, nelle loro osservazioni scritte, il governo rumeno e la banca hanno invocato l'eventualità che la clausola oggetto del procedimento principale sia solo il riflesso del principio del nominalismo monetario sancito dall'articolo 1578 del codice civile rumeno, di modo che, in forza dell'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, detta clausola non ricadrebbe nell'ambito di applicazione di quest'ultima.

27. A tal proposito, occorre ricordare che l'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 istituisce un'esclusione dall'ambito di applicazione della stessa, riguardante le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C-34/13, EU:C:2014:2189, punto 76, nonché, in tal senso, sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C-92/11, EU:C:2013:180, punto 25).

28. La Corte ha già statuito che tale esclusione presuppone che ricorrano due condizioni. Da un lato, la clausola contrattuale deve riprodurre una disposizione legislativa o regolamentare e, dall'altro, tale disposizione deve essere imperativa (sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C-34/13, EU:C:2014:2189, punto 78).

29. Pertanto, al fine di stabilire se una clausola contrattuale sia esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva 93/13, spetta al giudice nazionale verificare se tale clausola riproduce le disposizioni del diritto nazionale applicabili tra i contraenti indipendentemente da una loro scelta, o quelle che sono di natura suppletiva e pertanto applicabili in via residuale, ossia allorché non è stato convenuto alcun altro accordo tra i contraenti al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C-92/11, EU:C:2013:180, punto 26, e del 10 settembre 2014, Kušionová, C-34/13, EU:C:2014:2189, punto 79).

30. Nel caso di specie, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, spetta al giudice del rinvio valutare, rispetto alla natura, all'impianto sistematico generale e alle clausole dei contratti di mutuo di cui trattasi nonché al contesto di diritto e di fatto nel quale questi ultimi si iscrivono, se la clausola oggetto del procedimento principale, ai sensi della quale il credito deve essere rimborsato nella stessa valuta nella quale è stato concesso, riproduca disposizioni imperative del diritto nazionale, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

31. Nel procedere a dette verifiche necessarie, il giudice nazionale deve tener conto del fatto che, considerato in particolare l'obiettivo della suddetta direttiva, cioè la protezione dei consumatori dalle clausole abusive inserite nei contratti conclusi da questi ultimi con professionisti, l'eccezione introdotta dall'articolo 1, paragrafo 2, della medesima direttiva deve essere interpretata restrittivamente (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C-34/13, EU:C:2014:2189, punto 77).

32. Nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse constatare che la clausola oggetto del procedimento principale non ricade in tale eccezione, gli spetterebbe pertanto verificare se essa è riconducibile alla nozione di «oggetto principale del contratto» o a quella di «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro», ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

33. Sebbene sia vero che tale verifica spetta, come già ricordato al precedente punto 22, unicamente al giudice del rinvio, la Corte è tuttavia tenuta a desumere da detta disposizione i criteri applicabili in sede di tale esame.

34. A tal proposito, la Corte ha statuito che l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 sancisce un'eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive quale previsto nell'ambito del sistema di tutela dei consumatori attuato da tale direttiva e che, pertanto, occorre dare un'interpretazione restrittiva alla disposizione in parola (v., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C-26/13, EU:C:2014:282, punto 42, nonché del 23 aprile 2015, Van Hove, C-96/14, EU:C:2015:262, punto 31). Peraltro, le espressioni «oggetto principale del contratto» e «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro», di cui all'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, devono di norma essere oggetto nell'intera Unione europea di un'interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto di tale disposizione e della finalità perseguita dalla normativa di cui trattasi (sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C-143/13, EU:C:2015:127, punto 50).

35. Per quanto riguarda la categoria delle clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha statuito che tali clausole devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali del contratto stesso e che, come tali, lo caratterizzano (sentenze del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, C-484/08, EU:C:2010:309, punto 34, e del 23 aprile 2015, Van Hove, C-96/14, EU:C:2015:262, punto 33).

36. Per contro, le clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l'essenza stessa del rapporto contrattuale non possono rientrare nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi di tale disposizione (sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C-26/13, EU:C:2014:282, punto 50, e del 23 aprile 2015, Van Hove, C-96/14, EU:C:2015:262, punto 33).

37. Nel caso di specie, da numerosi elementi del fascicolo sottoposto alla Corte si deduce che una clausola, come quella oggetto del procedimento principale, inserita in un contratto di credito stipulato in una valuta estera concluso tra un professionista e un consumatore, e che non è stata oggetto di un negoziato individuale, in forza della quale il credito deve essere restituito nella medesima valuta, rientra nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

38. A tal proposito, è opportuno osservare che, con un contratto di credito, il creditore si impegna, principalmente, a mettere a disposizione del mutuatario una determinata somma di denaro, mentre quest'ultimo si impegna, da parte sua, principalmente a rimborsare, generalmente con gli interessi, tale somma secondo le scadenze previste. Le prestazioni essenziali di tale contratto si riferiscono, dunque, ad una somma di denaro che deve essere definita in relazione alla moneta di pagamento e di rimborso pattuita. Pertanto, come rilevato dall'avvocato generale ai paragrafi 46 e seguenti delle sue conclusioni, il fatto che un credito debba essere rimborsato in una certa valuta riguarda, in linea di principio, non già una modalità accessoria di pagamento, bensì la natura stessa dell'obbligazione del debitore, costituendo così un elemento essenziale del contratto di mutuo.

39. È vero che la Corte ha statuito, al punto 59 della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C-26/13, EU:C:2014:282), che i termini «oggetto principale del contratto» comprendono una clausola, inserita in un contratto di mutuo espresso in valuta estera, concluso tra un professionista ed un consumatore e che non è stato oggetto di un negoziato individuale, a norma della quale il corso di vendita di tale valuta si applica ai fini del calcolo dei rimborsi del mutuo, solo purché si constati, il che spetta al giudice nazionale verificare, che la suddetta clausola fissa una prestazione essenziale del contratto stesso che, come tale, lo caratterizza.

40. Ciononostante, come ha peraltro rilevato il giudice del rinvio, mentre, nella causa sfociata nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C-26/13, EU:C:2014:282), i prestiti, sebbene espressi in valuta estera, dovevano essere rimborsati in valuta nazionale in funzione del corso di vendita della valuta estera applicato dall'istituto bancario, nel procedimento principale, i prestiti devono essere rimborsati nella medesima valuta estera in cui sono stati concessi. Orbene, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, i contratti di credito indicizzati alle valute estere non possono essere assimilati ai contratti di credito in valute estere, come quelli di cui si tratta nel procedimento principale.

41. Alla luce delle considerazioni suesposte, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che la nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi di tale disposizione, comprende una clausola contrattuale, come quella oggetto del procedimento principale, inserita in un contratto di mutuo espresso in una valuta estera, che non è stata oggetto di un negoziato individuale e in forza della quale il prestito deve essere restituito nella stessa valuta estera nella quale è stato contratto, poiché tale clausola fissa una prestazione essenziale che caratterizza tale contratto. Di conseguenza, tale clausola non può essere ritenuta abusiva, a condizione che sia stata formulata in modo chiaro e comprensibile.

Sulla seconda questione

42. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile implichi che la clausola di un contratto di credito, in forza della quale il credito deve essere rimborsato nella stessa valuta estera in cui è stato contratto, debba prevedere soltanto i motivi alla base del suo inserimento nel contratto e le sue modalità di attuazione, oppure se debba prevedere anche tutti gli effetti che può avere sul prezzo pagato dal consumatore, come il rischio di cambio, e se, alla luce della suddetta direttiva, l'obbligo dell'istituto bancario di informare il mutuatario al momento della concessione del credito riguardi esclusivamente le condizioni del credito, ossia gli interessi, le commissioni, le garanzie poste a carico del mutuatario, senza che possa rientrare in tale obbligo il possibile apprezzamento o deprezzamento di una valuta estera.

43. In via preliminare, occorre rammentare che la Corte ha già statuito che il requisito di redazione chiara e comprensibile si applica anche quando una clausola rientra nella nozione di «oggetto principale del contratto» o in quella di «perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro», ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, EU:C:2014:282, punto 68). Le clausole oggetto di tale disposizione esulano, infatti, dalla valutazione del loro carattere abusivo soltanto qualora il giudice nazionale competente consideri, in seguito ad un esame caso per caso, che esse sono state formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile (sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, C-484/08, EU:C:2010:309, punto 32).

44. Per quanto riguarda l'obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, quale risulta dall'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha sottolineato che tale obbligo, richiamato ugualmente all'articolo 5 di tale direttiva, non potrebbe essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di queste ultime, ma, al contrario, poiché il sistema di tutela istituito dalla suddetta direttiva si fonda sull'idea che il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il grado di informazione, tale obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali e, dunque, di trasparenza, introdotto dalla medesima direttiva, deve essere interpretato in modo estensivo (v., in tal senso, sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C-26/13, EU:C:2014:282, punti 71 e 72, nonché del 9 luglio 2015, Bucura, C-348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 52).

45. Pertanto, il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile deve essere inteso nel senso che impone anche che il contratto esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo al quale si riferisce la clausola in parola nonché, se del caso, il rapporto fra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole, di modo che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano (sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C-26/13, EU:C:2014:282, punto 75, nonché del 23 aprile 2015, Van Hove, C-96/14, EU:C:2015:262, punto 50).

46. Tale questione deve essere esaminata dal giudice del rinvio, considerato l'insieme dei pertinenti elementi di fatto, tra cui la pubblicità e l'informazione fornite dal mutuante nell'ambito della negoziazione di un contratto di mutuo (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C-143/13, EU:C:2015:127, punto 75).

47. Più nello specifico, spetta al giudice nazionale, quando valuta le circostanze ricorrenti al momento della conclusione del contratto, verificare che, nella causa in discussione, sia stato comunicato al consumatore il complesso degli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno e che gli consentono di valutare, segnatamente, il costo totale del suo mutuo. Svolgono un ruolo determinante in siffatta valutazione, da un lato, la questione di accertare se le clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile tale da consentire a un consumatore medio, ossia un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, di valutare un costo del genere e, d'altro lato, la circostanza collegata alla mancata menzione nel contratto di credito delle informazioni considerate come essenziali alla luce della natura dei beni o dei servizi che costituiscono l'oggetto del suddetto contratto (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, Bucura, C-348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 66).

48. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte, le informazioni, prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali ed alle conseguenze di detta conclusione, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza. È segnatamente in base a tali informazioni che quest'ultimo decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista (sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb, C-92/11, EU:C:2013:180, punto 44, nonché del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 50).

49. Nel caso di specie, trattandosi di prestiti in valuta estera come quelli oggetto del procedimento principale, va sottolineato, come ricordato dal Comitato europeo per il rischio sistemico nella sua raccomandazione CERS/2011/1, del 21 settembre 2011, sui prestiti in valuta estera (GU 2011, C 342, pag. 1), che gli istituti finanziari devono fornire ai prenditori di mutuo informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere decisioni prudenti e consapevoli e dovrebbero quanto meno includere l'impatto sulle rate di rimborso che deriverebbe da un forte deprezzamento della moneta avente corso legale nello Stato membro nel quale il prenditore di mutuo è domiciliato e da un aumento del tasso di interesse estero (raccomandazione A - Consapevolezza dei rischi da parte dei prenditori, punto 1).

50. Come rilevato dall'avvocato generale ai paragrafi 66 e 67 delle sue conclusioni, da un lato, il mutuatario deve essere chiaramente informato del fatto che, sottoscrivendo un contratto di mutuo formulato in una valuta estera, si espone a un determinato rischio di cambio che gli sarà, eventualmente, economicamente difficile sostenere in caso di svalutazione della moneta nella quale egli percepisce il proprio reddito. Dall'altro lato, il professionista, nella fattispecie l'istituto bancario, deve esporre le possibili variazioni dei tassi di cambio e i rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera, segnatamente nell'ipotesi in cui il consumatore mutuatario non percepisca il proprio reddito in tale valuta. Spetta, peraltro, al giudice nazionale verificare che il professionista abbia comunicato ai consumatori interessati tutte le informazioni pertinenti che permettano loro di valutare le conseguenze economiche di una clausola, come quella oggetto del procedimento principale, sui loro obblighi finanziari.

51. Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che, nel caso dei contratti di credito, gli istituti finanziari debbano fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa. A tal proposito, tale requisito implica che una clausola, in base alla quale il prestito deve essere rimborsato nella medesima valuta estera nella quale è stato contratto, sia compresa dal consumatore non solo sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, possa non solo essere a conoscenza della possibilità di apprezzamento o deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è stato contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo.

Sulla prima questione

52. Con la sua prima questione, a cui occorre rispondere in ultimo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti del contratto, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, causato da una clausola abusiva, debba essere analizzato con riferimento unicamente al momento della conclusione del contratto.

53. A tal proposito, la Corte ha già statuito che, per poter valutare il carattere abusivo di una clausola contrattuale, il giudice nazionale deve tener conto, come indicato dall'articolo 4 della direttiva 93/13, della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto e fare riferimento, «al momento della conclusione del contratto», a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, Bucura, C-348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

54. Ne deriva, come rilevato dall'avvocato generale ai paragrafi 78, 80 e 82 delle sue conclusioni, che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto di cui trattasi, tenendo conto dell'insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull'ulteriore esecuzione del contratto in questione, in quanto una clausola contrattuale può essere portatrice di uno squilibrio tra le parti che si manifesta solo durante l'esecuzione di quest'ultimo.

55. Nel caso di specie, emerge dalla decisione di rinvio che la clausola oggetto del procedimento principale, inserita in contratti di mutuo espressi in una valuta estera, prevede che le rate mensili di restituzione del mutuo debbano essere effettuate nella medesima valuta. Una clausola simile, in caso di svalutazione della moneta nazionale rispetto a suddetta valuta, fa dunque pesare il rischio di cambio sul consumatore.

56. A tal proposito, spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia principale e tenendo conto in particolare delle competenze e delle conoscenze del professionista, nel caso di specie la banca, riguardo alle possibili variazioni dei tassi di cambio e ai rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera, in un primo momento, la possibile violazione del requisito della buona fede e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

57. Infatti, per chiarire se una clausola come quella oggetto del procedimento principale determini, malgrado il requisito della buona fede, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, il giudice nazionale deve verificare se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest'ultimo aderisse ad una siffatta clausola nell'ambito di un negoziato individuale (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punti 68 e 69).

58. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto in questione, tenendo conto dell'insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull'ulteriore esecuzione di detto contratto. Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia oggetto del procedimento principale e tenendo conto in particolare delle competenze e delle conoscenze del professionista, nel caso di specie la banca, riguardo alle possibili variazioni dei tassi di cambio e ai rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera, la sussistenza di un eventuale squilibrio ai sensi di tale disposizione.

Sulle spese

59. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.
la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1) L'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi di tale disposizione, comprende una clausola contrattuale, come quella oggetto del procedimento principale, inserita in un contratto di mutuo espresso in una valuta estera, che non è stata oggetto di un negoziato individuale e in forza della quale il prestito deve essere restituito nella stessa valuta estera nella quale è stato contratto, poiché tale clausola fissa una prestazione essenziale che caratterizza tale contratto. Di conseguenza, tale clausola non può essere ritenuta abusiva, a condizione che sia stata formulata in modo chiaro e comprensibile.

2) L'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che, nel caso dei contratti di credito, gli istituti finanziari debbano fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa. A tal proposito, tale requisito implica che una clausola, in base alla quale il prestito deve essere rimborsato nella medesima valuta estera nella quale è stato contratto, sia compresa dal consumatore non solo sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, possa non solo essere a conoscenza della possibilità di apprezzamento o deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è stato contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo.

3) L'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto in questione, tenendo conto dell'insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull'ulteriore esecuzione di detto contratto. Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia oggetto del procedimento principale e tenendo conto in particolare delle competenze e delle conoscenze del professionista, nel caso di specie la banca, riguardo alle possibili variazioni dei tassi di cambio e ai rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta estera, la sussistenza di un eventuale squilibrio ai sensi di tale disposizione.