Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 25 maggio 2017, n. 46551

Presidente: Mazzei - Estensore: Siani

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe, emessa in data 22 giugno 2016, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha revocato la pena sostitutiva applicata a Davide N. con la sentenza n. 28/2015 resa dallo stesso Giudice per le indagini preliminari il 23 gennaio 2015, definitiva il 20 febbraio 2015, ed ha ripristinato nei confronti del N. la pena di anni due di reclusione ed euro 2.000,00 di multa.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore del N. chiedendone l'annullamento e adducendo due motivi a sostegno dell'impugnazione.

2.1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., motivazione incongrua sulle circostanze giustificative della revoca.

Con argomentazioni meramente iterative il giudice dell'esecuzione aveva proceduto alla revoca della sanzione sostitutiva citando semplicemente il fatto dell'arresto, del quale però si ignorava ogni profilo fattuale e giuridico, sicché tale giustificazione non risultava idonea ad assolvere all'obbligo di congrua motivazione.

Invero, la norma che regolava la possibilità della revoca della sanzione sostitutiva imponeva al giudice di tener conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione; e la nozione di violazione appariva riferirsi all'inadempimento in senso stretto dell'obbligo di prestazione dell'attività non retribuita, esulando dalla stessa quei comportamenti colpevoli dell'agente estranei alla prestazione, ma tali da ripercuotersi su di essa determinandone la pratica impossibilità di prosecuzione. In ogni caso il giudice aveva l'obbligo di fornire puntuale motivazione giustificativa del provvedimento, con particolare riferimento ai parametri fissati dalla norma, al fine di chiarire la ragione per la quale la violazione fosse tale da avere una diretta incidenza sulla misura in corso e determinasse il contrasto con la sua persistente fruibilità, come confermava la stessa efficacia esecutiva immediata annessa al provvedimento di revoca, anche in ipotesi di ricorso per cassazione.

2.2. Con il secondo motivo è dedotta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., violazione di legge con riferimento agli artt. 56 e 58 d.lgs. n. 274 del 2000.

Il Giudice dell'esecuzione, nel provvedimento di revoca, aveva ripristinato nei confronti del N. la pena originaria nella sua interezza. Così disponendo, però, non aveva tenuto conto del quadro normativo suindicato che, regolando la situazione scaturente dalla violazione degli obblighi connessi alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, non contemplava gli effetti ex tunc della revoca stessa.

Se del caso, il trasgressore poteva essere chiamato a rispondere del reato configurato dall'art. 56 d.lgs. n. 274 del 2000, ma l'attività di lavoro di pubblica utilità compiuta prima dell'evento che aveva causato la revoca doveva essere apprezzata in termini di pena espiata, lasciando impregiudicata la restaurazione dell'originaria pena per la sola misura residua. Il principio di conversione di cui all'art. 55 e la disciplina degli effetti delle pene sostitutive di cui all'art. 58 dello stesso d.lgs. confermavano l'inquadramento indicato, al pari, in ambito analogo, l'art. 66 l. n. 689 del 1981.

3. Il Procuratore generale ha prospettato l'infondatezza del primo motivo di ricorso, in quanto la revoca della sanzione sostitutiva ben poteva avvenire anche per quei comportamenti colpevoli dell'agente che, pur essendo estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotevano sulla stessa determinandone la impossibilità di prosecuzione, come accadeva proprio nel caso di arresto in flagranza; mentre si è espresso per l'accoglimento del secondo motivo di ricorso in quanto la revoca non poteva influire sulla parte di pena sostitutiva corrispondente al lavoro di pubblica utilità già svolto e comportava il ripristino della sola pena residua, da calcolarsi sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell'attività secondo il criterio di ragguaglio di cui all'art. 58 d.lgs. n. 274 del 2000.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ritiene che il ricorso sia parzialmente fondato nei sensi che seguono e vada quindi accolto nella corrispondente parte e rigettato nel resto.

2. Il ragionamento seguito nell'ordinanza impugnata si è, nell'essenza, dipanato nei seguenti sensi: il N., con la suddetta sentenza, era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e gli era stata irrogata la pena di anni due di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, pena sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità presso il Comune di Ceglie Messapica per la durata di anni due; il condannato aveva poi svolto i lavori di pubblica utilità stabiliti dalla sentenza dal 23 marzo 2015 al 4 novembre 2015; era tuttavia sopravvenuto in data 6 novembre 2015 l'arresto del N.; l'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. cit. prescriveva che, in ipotesi di violazione degli obblighi inerenti al lavoro di pubblica utilità, il giudice, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione, disponeva la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita.

3. Quanto alla doglianza insita nel primo motivo, la Corte deve disattenderla.

Certamente non va negato che, in linea generale, la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, può essere disposta soltanto in ipotesi di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro: sicché va ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca del beneficio al di fuori dell'ipotesi prevista dalla legge ed in assenza di comportamenti colpevoli ascrivibili all'interessato (in tal senso e condivisibilmente Sez. 1, n. 37357 del 6 giugno 2014, Tola, Rv. 260596, in fattispecie nella quale il provvedimento di merito aveva giustificato la revoca con il fatto della mancata proroga della convenzione vigente tra l'ufficio giudiziario e l'ente pubblico presso il quale l'attività sostitutiva doveva essere svolta).

Tuttavia, nel caso in esame, non può convenirsi con il ricorrente circa la non inerenza all'esecuzione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro sostitutivo e la non ascrivibilità alla sua sfera dell'evento che ha determinato la sostanziale interruzione dell'adempimento inerente a tale lavoro.

Il giudice di merito ha evidenziato - con il provvedimento emesso il 22 giugno 2016 - che il N. aveva interrotto la prestazione del lavoro di pubblica utilità oggetto dell'obbligo assunto fin dal 6 novembre 2015 e lo aveva fatto perché era stato arrestato in flagranza di reato.

La gravità dell'evento che ha determinato la mancata prestazione - da ritenersi scaturente, in carenza di diverse e specifiche deduzioni, dai motivi illeciti che hanno spinto il N. a compiere la condotta che gli è valso l'arresto - e la durata della cesura della prestazione imposta al N. per fatto a lui imputabile, cesura valutata incensurabilmente dal giudice di merito come sfociata in vera e propria interruzione del lavoro di pubblica utilità (in corso di svolgimento presso il Comune di Ceglie Messapica), sono state reputate quindi dal Tribunale inscritte in un quadro di circostanze tali da imporre la revoca della sanzione sostitutiva, con correlativo ripristino della pena sostituita.

In tale specifico senso si deve riaffermare l'orientamento già emerso con riguardo a fattispecie per molti versi assimilabile a quella di cui si discute, ossia l'esecuzione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992 e succ. modd., in relazione a cui si è già avuto modo di puntualizzare che la revoca di tale pena sostitutiva può essere disposta - non soltanto in caso di diretta violazione degli obblighi connessi in senso stretto allo svolgimento del lavoro, ma anche - in ordine a quei comportamenti colpevoli dell'agente, i quali, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono inevitabilmente sulla prestazione stessa determinando la pratica impossibilità di proseguire la sua effettuazione concordata con l'ente pubblico (cfr. in questa prospettiva le considerazioni svolte da Sez. 1, n. 34234 del 29 maggio 2015, Ferrari, Rv. 264155, attinente a fattispecie nella quale era stato proprio l'arresto in flagranza del condannato che aveva determinato la materiale impossibilità di prosecuzione del lavoro di pubblica utilità e il conseguente ripristino della pena sostituita).

Non può, per vero, non ritenersi che, anche nell'ambito regolato dall'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 (non obliterato anche il panorama non dissimile dei parametri da considerare per valutare l'evenienza dei presupposti legittimanti la revoca: "tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione", ex art. 73, comma 5-bis, cit.; "tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione", ex art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992), quando il soggetto ammesso, in virtù del provvedimento di sostituzione, all'esecuzione del lavoro di pubblica utilità integri un comportamento di rilevanza penale che ne cagioni l'arresto in flagranza, con la susseguente detenzione, si determina l'effetto che, anche in dipendenza del perdurare del susseguente stato detentivo, egli si sia concretamente e volontariamente posto nell'impossibilità di adempiere la prestazione a favore della collettività, con conseguente ascrivibilità a lui dell'interruzione della prestazione stessa.

Questa è la situazione acclarata dal giudice dell'esecuzione anche nel caso in esame, in ragione dei motivi e delle circostanze sopra indicati, per cui deve concludersi che il giudice di merito ha, con motivazione adeguata e coerente, quindi incensurabile in questa sede, ritenuto che l'interruzione della prestazione del lavoro di pubblica utilità, determinata dal comportamento colpevole dell'interessato tratto in arresto in flagranza, abbia integrato la violazione dell'obbligo che lo vincolava in forza del provvedimento dispositivo della sanzione sostitutiva, causando la revoca della pena sostitutiva.

4. Va, invece, condiviso nei seguenti sensi il secondo motivo.

Si è visto che il giudice dell'esecuzione ha ripristinato, a cagione della pronunciata revoca della sostituzione, l'originaria pena in modo integrale, ossia quella di anni due di reclusione ed euro 2.000,00 di multa. Così disponendo, pur senza offrire per esplicito argomenti giustificativi, l'ordinanza impugnata ha conferito efficacia ex tunc al provvedimento revocativo così sancendo in modo effettuale che il lavoro sostitutivo prestato per un certo tempo dal N. non rilevava per ridurre in modo corrispondente la pena residua da scontare.

Il Collegio ritiene non condivisibile questa opzione.

Va, al contrario, affermato anche in sede di revoca ex art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990, il principio di diritto già espresso in tema di revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, ex art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992, per il condannato per guida sotto l'influenza dell'alcool, ed ex art. 187, comma 8-bis, d.lgs. n. 285 del 1992, per il condannato per guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, fattispecie con riferimento alle quali si è chiarito che essa comporta il ripristino della sola pena residua, computata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell'attività, impregiudicata la configurabilità, nei congrui casi, dell'autonomo reato che la violazione abbia integrato, ex art. 56 d.lgs. cit. (in tali limiti si richiamano Sez. 1, n. 42505 del 23 settembre 2014, Di Giannatale, Rv. 260131, in ordine alla prima ipotesi, e Sez. 1, n. 32416 del 31 marzo 2016, Bergamini, Rv. 267456, in ordine alla seconda ipotesi, decisioni che hanno anche indicato nell'art. 58 d.lgs. n. 274 del 2000 la fonte del criterio di ragguaglio da adottarsi, punto su cui si preannuncia un diverso indirizzo nell'ultima parte).

Gli argomenti, persuasivi, svolti dalle decisioni ora richiamate, appaiono esportabili anche per la compiuta disciplina della revoca determinata dalla violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità stabiliti ex art. 73, comma 5-bis, d.lgs. n. 309 del 1990, atteso il carattere fortemente omogeneo delle rispettive normative e considerato l'esplicito riferimento operato anche dall'art. 73, comma 5-bis, cit., quanto alla configurazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità previsto dall'art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000, alle "modalità ivi previste": e, peraltro, senza dimenticare che la disciplina di cui agli artt. 186 e 187 d.lgs. n. 285 del 1992, nella parte qui in questione, introdotta dalla l. n. 120 del 2010, ha seguito quella già inserita dal d.l. n. 272 del 2005, conv. dalla l. n. 49 del 2006, nel testo unico sugli stupefacenti.

Il primo riferimento deve intendersi operato all'art. 58, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000, secondo cui per ogni effetto giuridico (anche) la pena sostitutiva in parola si considera come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria.

Per tale ragione, il collegamento fra lavoro di pubblica utilità comunque espletato e pena originaria (poi ripristinata) appare doversi istituire e risolversi fra queste due categorie, senza digressioni verso la normativa contemplante istituti revocatori analoghi nell'ambito delle misure alternative alla detenzione disciplinate dall'ordinamento penitenziario (il riferimento è agli istituti revocatori inerenti a tali misure alternative ex art. 47, comma 11, art. 47-ter, comma 6, art. 47-quinquies, comma 6, e artt. 51 e 54 l. n. 354 del 1975).

Anche la Corte costituzionale (come, in particolare, ha ricordato Sez. 1, n. 32416 del 31 marzo 2016, Bergamini, cit., richiamando Corte cost., sent. n. 2 del 2008, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, quinto comma, c.p. nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione, previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applichi anche agli ulteriori reati di competenza del giudice di pace, in quanto tale questione si fonda sull'erroneo presupposto interpretativo secondo il quale la suddetta disposizione sarebbe applicabile ai reati di competenza del giudice di pace puniti alternativamente con una pena pecuniaria o una pena para-detentiva, mentre la norma censurata, riferendosi a reati per i quali le pene para-detentive siano previste dalla legge in via diretta ed esclusiva, stabilisce un termine prescrizionale di carattere generale che non riguarda specificamente i reati di competenza del giudice di pace, né si riferisce in particolare alle pene para-detentive, ma ha inteso porre le premesse per un futuro sistema sanzionatorio caratterizzato da pene diverse da quella detentiva e pecuniaria) si è espressa nel senso che l'art. 58 cit., stabilendo che per ogni effetto giuridico la pena del lavoro di pubblica utilità si considerano detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria, costituisce una norma di natura speciale sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in questione alla generalità dei reati puniti con pene detentive allorquando risulti fissato un determinato criterio di ragguaglio.

Altro cospicuo elemento nel senso indicato va poi individuato nella disciplina sanzionatoria di cui all'art. 56 d.lgs. n. 274 del 2000, secondo cui il condannato che senza giusto motivo (si allontana dai luoghi in cui è obbligato a rimanere o che) non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno: invero, come hanno evidenziato gli arresti richiamati, se la violazione delle prescrizioni concernenti le pene sostitutive è tale da configurare - ove ne ricorrano tutti i presupposti - addirittura gli estremi di un delitto, la relativa sanzione, in caso di violazione, si profila, impregiudicato il provvedimento revocativo succitato, esaurire le conseguenze determinate dall'inadempienza.

Non apparirebbe, quindi, ragionevole gravare il condannato anche dell'efficacia ex tunc della revoca della pena sostitutiva, con integrale ripristino di quella originaria, effetto, del resto, non espressamente previsto dall'ordinamento e tale da vanificare il lavoro sostitutivo regolarmente svolto e da escludere qualsiasi effetto del rapporto fra pena originaria e pena sostitutiva.

Al riguardo, è da puntualizzare specificamente - e ad ogni fine - che il criterio stabilito dall'art. 73, comma 5-bis, cit., in espressa deroga a quello dell'art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000, contempla la fissazione della durata del lavoro di pubblica utilità in misura corrispondente a quella della pena detentiva irrogata.

La portata teleologica della notazione svolta vale per la fattispecie qui in questione almeno quanto per quelle oggetto dei citati artt. 186 e 187 d.lgs. n. 285 del 1992, attesa la forte assimilabilità dei rispettivi criteri di ragguaglio: rispetto ai quali, se è vero che gli artt. 186 e 187 cit. (sancendo un principio non stabilito e non applicabile alla fattispecie di cui all'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990) fissano la durata del lavoro di pubblica utilità in misura corrispondente a quella della pena detentiva ed inoltre a quella della pena pecuniaria convertita (secondo il parametro di un giorno di pena sostitutiva per euro 250,00), lì dove la durata del lavoro di pubblica utilità quale sanzione sostitutiva della pena irrogata ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 è fissata dal comma 5-bis cit. in relazione alla sola pena detentiva (sulla fondatezza di tale interpretazione v. anche Sez. 6, n. 22538 del 18 marzo 2015, Libori, Rv. 263561), è altrettanto vero che la cornice edittale a cui fanno riferimento le violazioni dell'art. 73, comma 5, cit. contempla (pur dopo la sua sostituzione in virtù della l. n. 36 del 2014), oltre alla multa, la pena detentiva della reclusione in misura (fino al massimo di anni quattro di reclusione) nettamente maggiore rispetto alle pene, detentiva e pecuniaria, comminate dagli artt. 186 e 187 d.lgs. n. 285 del 1992; sicché l'esigenza di annettere giuridica rilevanza alla parte di pena sostitutiva regolarmente espletata quale elemento di razionalità dell'istituto emerge ancora più evidente.

In definitiva, ove si orientasse l'esegesi nel senso opposto a quello qui prospettato, ossia se si annettesse efficacia ex tunc alla revoca, si perverrebbe all'approdo per il quale al comportamento inadempiente del condannato seguirebbero, almeno in via potenziale, due concorrenti risposte sanzionatorie: per un verso, in presenza dei congrui presupposti, la sanzione penale per il reato commesso e, per altro verso, il prolungamento della durata della pena in espiazione, che dovrebbe essere scontata per l'intero, sommandosi al tempo di regolare esecuzione della pena sostitutiva.

Infine, non può trascurarsi, in ossequio al criterio sistematico, che - pur con riferimento a distinto ambito, ossia a quello delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, ma nella stessa prospettiva - l'art. 66 l. n. 689 del 1981 dispone che, in ipotesi di violazione delle prescrizioni inerenti alle sanzioni sostitutive ivi contemplate, si attua la "conversione" della sanzione sostitutiva nella pena detentiva sostituita, ma soltanto "per la restante parte", così come l'art. 72 l. n. 689 del 1981 cit. disciplina la revoca della pena sostitutiva per condanna sopravveniente sempre con esclusivo riguardo alla "parte non ancora eseguita": ed appare, anche a lume di logica, questa la direzione verso cui deve orientare il principio generale di computabilità in tema di esecuzione di pene o sanzioni che comunque abbiano comportato limitazioni della libertà personale, dovendo il ripristino della sanzione penale originaria, in carenza di diverse previsioni, valere soltanto per il futuro, dunque ex nunc, in dipendenza della natura comunque compressiva della sfera di libertà del condannato che caratterizza, nel caso ora richiamato, le sanzioni para-detentive, al pari del lavoro di pubblica utilità.

Pertanto, occorre affermare che in riferimento alla fattispecie di cui all'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 l'attività imposta quale oggetto del lavoro di pubblica utilità, che risulti essere stata regolarmente svolta dal condannato, anche se per un tempo circoscritto rispetto all'intero, e sia stata poi seguita dalla revoca del provvedimento di sostituzione, è da qualificarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione, con l'effetto che l'atto di revoca deve detrarre il relativo periodo dalla durata della pena detentiva originariamente inflitta al fine della determinazione della pena residua.

Inoltre, il collegamento fra la ricordata - derogatoria rispetto alla disciplina generale di cui agli artt. 54 e ss. della pena sostitutiva in parola - configurazione della durata del lavoro di pubblica utilità in rapporto di esatta corrispondenza temporale rispetto alla pena sostituita e la previsione dell'istituto della revoca comportante il "ripristino" della pena sostituita depongono in modo univoco per l'individuazione all'interno della stessa disciplina di cui all'art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990 dell'entità della pena residua: essa va, dunque, determinata alla stregua dell'autonomo e speciale criterio di corrispondenza fissato da tale norma, per semplice differenza fra durata della pena inflitta e durata del lavoro di pubblica utilità regolarmente scontato. In tal senso deve escludersi la rilevanza in questa ipotesi del criterio generale di ragguaglio stabilito dall'art. 58 richiamante l'art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000 (che, del resto, non essendo stato applicato al momento dell'applicazione della pena sostitutiva, non pare poter valere esclusivamente al momento del ripristino della pena sostituita).

5. Non avendo il giudice dell'esecuzione, sul secondo dei versanti esaminati, operato lo scomputo così prefigurato come necessario, il provvedimento emesso ne è restato decisivamente viziato in relazione al profilo della retta applicazione della disciplina indicata, con i conseguenti riflessi sulla motivazione addotta.

Pertanto, l'ordinanza impugnata, fermo il rigetto dell'impugnazione nel resto, deve essere annullata per la sola parte così enucleata, con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi affinché proceda al nuovo esame della questione nel rispetto del principio di diritto enunciato.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al ripristino dell'intera pena sostituita e rinvia per nuovo esame al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi.

Rigetta il ricorso nel resto.

Depositata il 10 ottobre 2017.