Corte di cassazione
Sezione V civile (tributaria)
Sentenza 31 ottobre 2017, n. 25899
Presidente: Cappabianca - Estensore: Tricomi
FATTI DI CAUSA
1. La società Ambiente Energia Brianza s.p.a. (di seguito "la società" o "AEB"), quale avente causa della società incorporata Gas Energia Acqua s.p.a. (di seguito "GEA"), a seguito di fusione per incorporazione con atto del 29 dicembre 2003, impugnava, con esito favorevole in primo grado, le comunicazioni-ingiunzione notificatele in data 29 marzo 2007 dall'Agenzia delle entrate, che aveva così proceduto al recupero dell'aiuto di Stato fruito dalla società relativamente ai periodi di imposta 1997, 1998 e 1999 ed equivalente alle imposte non corrisposte in ragione del regime di esenzione fiscale goduto all'epoca, ai sensi dell'art. 3, comma 70, della l. n. 549/1995 e dell'art. 66, comma 14, del d.l. n. 427/1993, e dei relativi interessi.
2. A tale recupero l'Agenzia delle entrate provvedeva in forza dell'art. 1, comma 2, del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito con modificazioni in l. 6 aprile 2007, n. 46, a sua volta emanato in attuazione della decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, con la quale era stato qualificato aiuto di Stato - illegittimo perché lesivo del principio della libera concorrenza di mercato - il regime di esenzione triennale dall'imposta sul reddito, fruito dalle società per azioni a capitale pubblico, istituite ai sensi dell'art. 22 della l. n. 142/1990, per la gestione dei servizi pubblici locali.
3. Il giudice di primo grado aveva osservato che la società, a capitale interamente pubblico, operava come longa manus degli enti pubblici da cui era partecipata ed aveva perciò diritto di godere delle esenzioni fiscali.
4. L'appello proposto dalla Amministrazione era stato accolto con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 39/36/09, depositata il 30 marzo 2009 e non notificata, avverso la quale la contribuente ricorre per cassazione su tredici motivi, ai quali l'Agenzia replica con controricorso.
5. Il giudice di appello, in riforma della prima decisione, ha dichiarato legittime le ingiunzioni di pagamento, dopo avere escluso che le circostanze fatte valere dalla società fossero idonee ad escludere l'incompatibilità della esenzione triennale con la dichiarata illegittimità degli aiuti di Stato.
In particolare, non ha ritenuto dirimente la circostanza che l'intero capitale sociale fosse in mano pubblica, e non solo la maggioranza, ma quella concernente le condizioni del mercato in cui si esplicava l'attività della società. Quindi, richiamata la decisione della Commissione europea 2003/193/CE del 5 giugno 2002, ha affermato che il recupero degli aiuti di Stato doveva applicarsi anche alla società in esame, rientrante nel novero delle s.p.a. costituite ex lege n. 142/1990.
Ha quindi respinto l'appello incidentale proposto dalla contribuente, riconoscendo in particolare la correttezza dei conteggi compiuti dall'Amministrazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Come risulta dagli atti e non è oggetto di contestazione, la GEA, incorporata dalla ricorrente, venne costituita ai sensi della l. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, comma 3, lett. e), in data 20 novembre 1996 dal Comune di Giussano (51%) e dall'Azienda Municipale Servizi Pubblici Seregno (49%) per la somministrazione al pubblico di acqua, gas e luce elettrica.
In data 29 marzo 2007 l'Agenzia delle entrate con le comunicazioni-ingiunzione impugnate aveva recuperato Euro 349.406,97, equivalente all'IRPEG non corrisposta a seguito della c.d. moratoria fiscale introdotta dall'art. 3, comma 70, della l. 28 dicembre 1995, n. 546 e dall'art. 66, comma 14, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. in l. 29 ottobre 993, n. 427, oltre interessi, quali aiuti di Stato fruiti nel periodo di imposta 1997, 1998 e 1999 e dichiarati incompatibili con il diritto comunitario con la decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE.
2.1. Con il primo motivo, articolato in due submotivi, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 anche in combinato disposto con gli artt. 20, 22 e 47-bis del medesimo d.lgs., nonché la violazione dell'art. 112 c.p.c.
2.2. Il motivo è infondato e va respinto.
2.3. La doglianza, presupponendo l'applicabilità del dimezzamento del termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio introdotto dall'art. 47-bis del d.lgs. n. 546/1992, si fonda su una prima circostanza - il fatto che l'Agenzia si era costituita in appello in data 15 ottobre 2008, e non già in data 14 ottobre 2008, e quindi "dopo 16 giorni dal momento in cui ha provveduto a spedirle il ricorso in appello" (fol. 15 del ricorso) -, su [una] seconda circostanza - il fatto che l'Agenzia aveva provveduto sempre in data 15 ottobre 2008, e quindi tardivamente, a depositare la copia dell'appello notificato a mezzo del servizio postale presso la segreteria del giudice di primo grado, in violazione dell'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 - e su una terza circostanza - il fatto che l'Agenzia non aveva provveduto a depositare la ricevuta della spedizione del ricorso per raccomandata a mezzo del servizio postale dell'atto di appello presso la CTR, in violazione dell'art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 -.
La ricorrente propone il suo computo, al fine di rilevare la tardività degli adempimenti, partendo dalla data di spedizione dell'atto di appello (29 settembre 2008) piuttosto che da quella di ricezione (30 settembre 2008) (fol. 17 del ricorso).
La controricorrente contesta la fondatezza del motivo e, in merito al terzo profilo, sostiene di avere provveduto al tempestivo deposito dell'avviso di ricevimento dal quale risultava oltre che la data di ricezione, anche la data di spedizione dell'atto di appello.
2.4. Il motivo, pur prospettando molteplici questioni, risulta infondato sull'ultimo profilo in ragione del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale in tema di contenzioso tributario, qualora la notificazione del ricorso introduttivo abbia avuto luogo mediante spedizione a mezzo del servizio postale, il termine entro il quale, ai sensi dell'art. 22 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dev'essere effettuato il deposito presso la segreteria della commissione tributaria decorre non già dalla data della spedizione, bensì da quella della ricezione dell'atto da parte del destinatario: la regola, desumibile dall'art. 16, ultimo comma, secondo cui la notificazione a mezzo del servizio postale si considera effettuata al momento della spedizione, in quanto volta ad evitare che eventuali disservizi postali possano determinare decadenze incolpevoli a carico del notificante, si riferisce infatti ai soli termini entro i quali la notificazione stessa deve intervenire, ed avendo carattere eccezionale non può essere estesa in via analogica a quelli per i quali il perfezionamento della notificazione rappresenta il momento iniziale, trovando in tal caso applicazione il principio generale secondo cui la notificazione si perfeziona con la conoscenza legale dell'atto da parte del destinatario (cfr. Cass., Sez. un., nn. 13452/2017, 13453/2017; Cass. sez. sempl., nn. 12185/2008, 18373/12, 12027/2014, 3432/2017).
Ne consegue che la costituzione in giudizio dell'appellante Agenzia ed il deposito dell'appello presso la segreteria del giudice di primo grado avvenne tempestivamente, calcolando la decorrenza dei termini dalla data di ricevimento dell'atto notificato.
2.5. Quanto al secondo profilo, va rilevato che trova applicazione la c.d. prova di resistenza sulla circostanza indiscussa, evincibile dal ricorso, che l'atto d'appello concernente la sentenza della CTP n. 149/11/08 in data 10 luglio 2008, venne notificato alla società il 30 settembre 2008, e quindi tempestivamente, in quanto ciò dà obiettiva certezza anche della tempestiva consegna del plico all'Ufficio postale da parte del notificante per l'inoltro alla controparte - come si deduce a contrariis anche dalla mancata eccezione di inammissibilità dell'appello per tardività -; pertanto la doglianza va respinta, considerando anche le recenti e già ricordate sentenze rese da questa Corte a Sez. un., nn. 13452/2017, 13453/2017.
2.6. Per completezza si deve osservare, con riferimento al primo profilo, che alla fattispecie in esame non si applica il dimezzamento dei termini ex art. 47-bis, comma 7, del d.lgs. n. 546/1992, per la costituzione in giudizio, poiché - come questa Corte ha già avuto modo di affermare - la disciplina, in tema di contenzioso tributario, dettata nell'art. 47-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto, con effetto dal 9 aprile 2008, dall'art. 2, comma 1, del d.l. n. 59 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 101 del 2008, si interpreta, in considerazione della sedes materiae in cui è stato inserito, della finalità di accelerare le controversie in materia di aiuti di Stato e della disciplina transitoria, contenuta nei commi 2 e 3 dell'art. 2 del d.l. n. 59 citato, nel senso che i termini dimidiati (ad eccezione di quello per proporre ricorso in appello) si riferiscono unicamente ai casi di concessione della sospensione cautelare da parte della commissione tributaria provinciale (da ultimo Cass. n. 23797/2016).
Nel caso in esame, la questione è posta, infondatamente, con riferimento alla costituzione in appello (e non risulta nemmeno che vi sia stata sospensione cautelare in primo grado) ed alla sua denunciata tardività.
2.7. L'implicita reiezione del motivo, infondato per le ragioni esposte, esclude la ricorrenza della violazione dell'art. 112 c.p.c.
3.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 del d.l. n. 10/2007, conv. in l. n. 46/2007, e 27 della l. n. 62/2005 di adeguamento alla decisione 2003/193/CE del 5 giugno 2002 della Commissione europea e si sostiene che erroneamente la CTR non ha compreso che la normativa indicata trova applicazione solo alle società ex lege n. 12/1990 [recte: 142/1990 - n.d.r.] partecipate anche da soci privati e che operino nel mercato come normali imprese in regime di concorrenza e non alle società, come quella in esame, posseduta in modo totalitario da Enti locali e operante esclusivamente al servizio di questi ultimi.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. Trova conferma il principio già affermato da questa Corte secondo il quale "In tema di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, l'Agenzia delle entrate, ai sensi dell'art. 1 del d.l. n. 10 del 2007, conv., con modif., dalla l. n. 46 del 2007, ha l'obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle imposte non versate in forza del regime agevolativo previsto dall'art. 66, comma 14, del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla l. n. 427 del 1993, e dall'art. 3, comma 70, della l. n. 549 del 1995 anche nei confronti delle società in house, a partecipazione pubblica totalitaria, risultando irrilevante la composizione del capitale sociale rispetto all'obiettivo di evitare che le imprese pubbliche, beneficiarie del trattamento agevolato, possano concorrere nel mercato delle concessioni dei c.d. servizi pubblici locali, che è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria, in condizioni di vantaggio rispetto ai concorrenti" (Cass. n. 2396/2017).
4.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 60, comma 1, lett. b-bis), del d.P.R. n. 600/1973 e l'insufficiente motivazione circa la nullità della notificazione della comunicazione-ingiunzione.
4.2. Il motivo è infondato in quanto trova applicazione il consolidato principio secondo il quale, in materia tributaria, la nullità della notifica dell'avviso di rettifica, ovvero, come nel caso in esame, della comunicazione-ingiunzione, che ha natura di provocatio ad opponendum, è sanata dalla sua impugnazione, come è avvenuto nel presente caso, atteso che il raggiungimento dello scopo, quale condizione della sanatoria, si verifica quando si avvera l'evento successivo cui l'atto è preordinato, ossia quel comportamento che rappresenta l'attuazione dell'obbligo, l'adempimento dell'onere o l'esercizio del potere, la cui concretizzazione era prevista quale effetto dell'atto viziato (Cass. n. 6678/2017). La notificazione è, infatti, una mera condizione di efficacia e non un elemento dell'atto d'imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell'art. 156, comma 2, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione (Cass. n. 18480/2016, Cass. n. 17251/2013 in tema di cartella di pagamento).
La CTR, sia pure con notevole sintesi espositiva, si è attenuta a questo principio.
5.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 e dell'art. 9 della l. n. 289/2002 e insufficiente motivazione circa la illegittimità del recupero posto che GEA aveva aderito al condono c.d. tombale.
5.2. Il motivo è infondato.
5.3. Va qui confermato il principio secondo il quale "In tema di recupero di aiuti di Stato, non può essere applicata la disciplina nazionale relativa al condono fiscale, ove contrasti con il principio di effettività del diritto comunitario, espressamente enunciato dall'art. 14, comma terzo, del Regolamento CE n. 659 del 1999 del Consiglio in data 22 marzo 1999 in relazione al recupero degli aiuti dichiarati illegittimi con decisione della Commissione europea" (Cass. nn. 7663/2012, 8108/2012, 15407/2015).
La CTR, sia pure con notevole sintesi espositiva, si è attenuta a questo principio.
6.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 e dell'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e l'insufficiente motivazione circa l'illegittimità del recupero in quanto effettuato oltre il termine di decadenza previsto dall'art. 43 cit.
6.2. Anche questo motivo è infondato e la CTR, sia pure con estrema sintesi, ha dato corretta applicazione al principio, espresso con riferimento ad analoga fattispecie, secondo il quale al credito erariale per il recupero di aiuti di Stato, imposto dai competenti organi dell'Unione Europea, è inapplicabile il termine di decadenza di cui all'art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sia perché contrastante con il principio di effettività del diritto comunitario e con l'obbligo di rispettare le decisioni della Commissione, sia perché l'azione di recupero di aiuti di Stato è vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale ed è regolata dalla normativa speciale di cui al d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito in l. 6 aprile 2007, n. 46 (Cass. n. 16349/2012; v. anche Cass. nn. 15414/2015, 15207/2012).
7.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 27 della l. n. 62/2005 e l'insufficiente motivazione circa la illegittimità del recupero in quanto effettuato nei confronti di una società a partecipazione pubblica totalitaria.
7.2. Il motivo è infondato per ragioni già esposte sub 3.3.
8.1. Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 con riferimento alla mancata fruizione e insufficiente motivazione circa la illegittimità del recupero in quanto, a dire della ricorrente, GEA non avrebbe effettivamente fruito dell'agevolazione costituita dalla c.d. moratoria fiscale.
Secondo la ricorrente, GEA non avrebbe fruito effettivamente della agevolazione in quanto, mediante la distribuzione dei dividendi formati con utili rivenienti dalla moratoria fiscale, in misura superiore alle imposte versate, aveva reimmesso nel circuito le imposte non versate determinando, nei fatti, una restituzione delle stesse ai propri soci di riferimento.
8.2. Il motivo è inammissibile e va respinto.
8.3. Innanzi tutto in modo assiomatico esclude che la distribuzione di utili possa integrare la fruizione degli aiuti di Stato, laddove, al contrario, la distribuzione di utili sicuramente dimostra l'avvenuta fruizione delle somme rivenienti nella disponibilità della società per effetto della moratoria fiscale, integrando un aiuto di Stato; quindi, sovrappone indiscriminatamente l'ente locale Comune di Seregno con lo Stato, laddove sembra ipotizzare che con la distribuzione di utili all'ente locale la GEA abbia già assolto all'onere restitutorio, trascurando di considerare che il recupero connesso all'attuazione della decisione della Commissione UE riguarda lo Stato e non gli enti locali; la costruzione, inoltre, si fonda su una prospettazione meramente ipotetica e palesemente deficitaria anche sul piano dell'autosufficienza.
9.1. Con l'ottavo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 con riferimento alla carenza di motivazione ed insufficiente motivazione circa l'illegittimità e nullità degli atti impugnati per carenza di motivazione. Sostiene la ricorrente che le comunicazioni-ingiunzione emesse a seguito dell'entrata in vigore del d.l. cit., ma prima della sua conversione in legge con modifiche che delimitavano il recupero degli aiuti "nella misura della loro effettiva fruizione", erano prive di motivazione su questo specifico punto.
9.2. Anche questo motivo è inammissibile.
9.3. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con condiviso principio, che "In tema di aiuti di Stato, l'Agenzia delle Entrate ha l'obbligo, ex art. 1 del d.l. n. 10 del 2007, convertito nella l. n. 46 del 2007, di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite, ai sensi dell'art. 22 della l. n. 142 del 1990, per la gestione dei servizi pubblici locali e ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, salvo che si tratti di aiuti rientranti nell'ambito di applicabilità della regola de minimis, esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base del Trattato che istituisce la Comunità economica europea o del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, vigenti nel periodo di riferimento, spettando alla società destinataria dell'ingiunzione eccepire e provare che l'aiuto ricevuto appartenga all'ambito di applicabilità della regola suddetta ed all'Amministrazione dimostrare che la società sia una società per azioni costituita ai sensi della l. n. 142 del 1990 e che abbia effettivamente usufruito dell'agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. Tali elementi, unitamente all'invito ad avvalersi della eccezione relativa all'appartenenza dell'aiuto all'ambito di applicabilità della regola de minimis, esauriscono la motivazione necessaria dell'ingiunzione" (Cass. nn. 23414/2010, 23799/2016).
9.4. Giova quindi osservare che la CTR con statuizione in fatto sintetica, ma sostanzialmente esaustiva, ha riconosciuto la legittimità delle comunicazioni, escludendo la ricorrenza delle nullità denunciate dalla società.
Ne consegue che la denuncia di insufficienza motivazionale circa la corretta motivazione delle comunicazioni avrebbe dovuto essere supportata dalla loro trascrizione di modo da consentire un apprezzamento della rilevanza e della decisività della doglianza e che la denuncia per violazione di legge si fonda, inammissibilmente, su una situazione di fatto (la non rispondenza della motivazione alla previsione legale) che non trova corrispondenza in quanto accertato dalla CTR e non appare adeguatamente censurato sul piano motivazionale, atteso l'utilizzo di mere clausole di stile. Invero la ricorrente ha desunto la ricorrenza della mancata motivazione circa il dato dell'effettiva fruizione dell'aiuto di Stato, dalla emissione delle comunicazioni in epoca anteriore alla conversione del d.l., con argomenti astratti e privi di riferimenti circostanziati alle concrete fattispecie in esame. Tale prospettazione fondata su un argomento logico non convince: la mancanza di una espressa previsione normativa non esclude che le comunicazioni fossero idonee a soddisfare anche questo requisito motivazionale, come accertato dalla CTR, e la censura è inammissibile anche sotto questo profilo.
10.1. Con il nono motivo si denuncia la violazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 e degli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 446/1997, nonché l'insufficiente motivazione circa la illegittimità del recupero effettuato senza tenere conto di tutte le disposizioni (anche agevolative, tra cui quelle relative al DIT - Dual Income Tax -) vigenti all'epoca della moratoria fiscale di cui le società si sarebbero potute avvalere se non avessero beneficiato della moratoria fiscale. La ricorrente sostiene che erroneamente la CTR ha ritenuto che i conteggi erano corretti, nonostante l'Agenzia, nel procedere al recupero, non avesse tenuto conto delle altre disposizioni agevolative ed in particolare del DIT, vigente all'epoca, e di cui la società, a suo dire, si sarebbe avvalsa se non avesse beneficiato della moratoria fiscale.
10.2. Il motivo è inammissibile perché il quesito per violazione di legge è generico ed astratto, non contiene il punto di congiunzione tra il principio in astratto invocato (Cass. n. 12007/2015) e la concreta vicenda, si fonda inoltre su mere prospettazioni ipotetiche.
10.3. Il motivo per insufficienza motivazionale è inammissibile perché manca il momento di sintesi.
11.1. Con il decimo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 e dell'art. 2 della l. n. 133/1999, nonché l'insufficiente motivazione circa la illegittimità del recupero in quanto effettuato senza tenere conto di tutte le disposizioni (anche agevolative, tra cui quelle relative alla c.d. Visco) vigenti all'epoca della moratoria fiscale di cui le società, a suo dire, si sarebbero potute avvalere se non avessero beneficiato dei regime della moratoria fiscale.
11.2. Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte sub 10.2. e 10.3.
12.1. Con l'undicesimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 e dell'art. 93 del d.P.R. n. 917/1986 e l'insufficiente motivazione circa l'illegittimità del recupero per non avere tenuto conto delle ritenute di acconto subite da GEA sugli interessi bancari.
Sostiene la ricorrente che, in ragione dell'applicazione del regime della moratoria fiscale, la società non aveva scomputato nell'anno le ritenute di acconto, ma le aveva riportate per essere scomputate in diminuzione dalle imposte relative al periodo di imposta successivo.
12.2. Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte sub 10.2. e 10.3.
13.1. Con il dodicesimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 e dell'art. 2948 c.c. e l'insufficienza motivazionale in quanto gli interessi richiesti fino al 2001, a suo dire, dovrebbero essere considerati prescritti, non essendo intervenuto alcun atto idoneo a sospendere o interrompere la decorrenza del termine quinquennale.
13.2. Il motivo è infondato.
13.3. Trova infatti applicazione il principio secondo il quale "In tema di recupero di aiuti di Stato, il termine di prescrizione fissato dalla disciplina nazionale non può essere calcolato prendendo come riferimento il periodo intercorso tra la fruizione degli aiuti e la notifica della comunicazione-ingiunzione, in quanto l'art. 15 del Regolamento n. 1999/659/CE prevede solo che i poteri della Commissione europea in materia siano soggetti ad un periodo limite di dieci anni decorrenti dal giorno in cui l'aiuto è stato concesso al beneficiario, con disposizione che, per il principio di generale prevalenza del diritto comunitario, esclude l'applicabilità della disciplina di diritto interno potenzialmente incompatibile. Né tale disciplina contrasta con il principio di affidamento sulla legislazione nazionale e con gli artt. 53 e 97 Cost., come ritenuto dall'ordinanza della Corte costituzionale n. 36 del 2009, dovendo l'inapplicabilità delle agevolazioni essere rilevata dagli stessi beneficiari e trattandosi comunque di redditi imponibili (Fattispecie relativa alle esenzioni fiscali fruite da società per azioni a prevalente capitale pubblico per la gestione dei servizi pubblici locali)" (Cass. n. 6538/2012).
Inoltre va confermato che "In tema di recupero di aiuti di Stato, il relativo credito erariale è soggetto al termine ordinario di prescrizione di cui all'art. 2946 c.c., idoneo a garantire sia l'interesse pubblico sotteso all'azione di recupero, sia l'interesse privato ad evitare l'esposizione ad iniziative senza limiti di tempo, non essendo invece applicabile il termine di decadenza quinquennale di cui all'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, sia perché contrastante con il principio di effettività del diritto comunitario sia perché l'azione di recupero di aiuti di Stato è vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale" (Cass. n. 15414/2015).
14.1. Con il tredicesimo motivo si denuncia la violazione dell'art. 1 del d.l. n. 10/2007 con riferimento al calcolo degli interessi e l'insufficiente motivazione circa la illegittimità del recupero in quanto l'Agenzia delle entrate ha utilizzato un tasso di interesse diverso rispetto a quello che avrebbe dovuto essere utilizzato ex lege. Sostiene la ricorrente che nel recupero dell'aiuto doveva essere applicato il tasso di interesse vigente nel momento in cui l'aiuto è stato reso disponibile per il beneficiario e non quello relativo al primo periodo di imposta interessato dal recupero dell'aiuto.
14.2. Il motivo è fondato nei termini di seguito precisati.
14.3. Con principio che qui si intende ribadire, questa Corte ha affermato che "In tema di recupero di aiuti di Stato, equivalenti ad imposte non corrisposte, gli interessi vanno calcolati, ai sensi dell'art. 24 del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 2 del 2009, ed in virtù del rinvio al regolamento CE n. 794 del 2004 della Commissione, su base composta anche nell'ipotesi in cui la decisione che abbia dichiarato l'aiuto incompatibile con il mercato comune sia stata adottata prima dell'entrata in vigore del citato regolamento, con il solo limite, in ossequio dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, delle situazioni acquisite ovvero esaurite in cui già anteriormente a tale data l'aiuto sia stato recuperato o l'avviso di accertamento sia stato emesso" (Cass. n. 23949/2016).
14.4. Ciò premesso, ai fini della corretta individuazione del tasso di interesse da applicare va osservato che, con riguardo al computo degli interessi, il rinvio operato dall'art. 24, comma 4, del d.l. n. 185 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 2 del 2009, al capo V del Regolamento CE della Commissione europea n. 794 del 2004, va inteso come formale, ovvero mobile, e non sostanziale e fisso, e, quindi, riferito all'art. 11, pt. 3, di detto regolamento, come successivamente modificato, sicché, ove sia trascorso più di un anno tra la data in cui l'aiuto illegittimo è stato messo per la prima volta a disposizione del beneficiario e quella di recupero dell'aiuto, il tasso di interesse va ricalcolato ad intervalli di un anno sulla base del tasso in vigore al momento in cui si effettua il ricalcolo (Cass. n. 23800/2016).
15.1. In conclusione il ricorso va accolto sul tredicesimo motivo e rigettato nel resto, infondati i motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e dodicesimo ed inammissibili i motivi settimo, ottavo, nono, decimo ed undicesimo; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
- accoglie il ricorso sul tredicesimo motivo, rigettati tutti gli altri;
- cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione per il riesame e la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.