Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
Sentenza 8 novembre 2017, n. 404

Presidente: Silvestri - Estensore: Monteferrante

FATTO E DIRITTO

Con ricorso ritualmente e tempestivamente notificato il ricorrente ha adito l'intestato Tribunale amministrativo regionale per chiedere l'annullamento della Determinazione del Direttore del IV Dipartimento della Giunta Regionale del Molise n. 68 del 26 ottobre 2016, con cui la Regione Molise ha disposto di procedere alla revoca della precedente Determinazione del Direttore Generale - Autorità di Gestione del PSR Molise 2007/2013 - n. 727 del 29 agosto 2013 mediante la quale - ai sensi del PSR Molise Misura 113 "Prepensionamento degli imprenditori agricoli e dei lavoratori agricoli" - era stata concessa alla ditta P. Angelo Antonio una indennità di prepensionamento attraverso l'erogazione di rate annuali di euro 10.020,00 a far data dal 7 giugno 2013 e fino al raggiungimento dell'età necessaria alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e, comunque, per un periodo non superiore a 10 annualità ed ha altresì disposto il recupero della somma di euro 15.729,00, relativa alle annualità 2013 (euro 5.709,00) e 2014 (euro 10.020,00), nel frattempo percepita dalla stessa ditta.

Il provvedimento di revoca si fonda sulla circostanza per cui, a seguito di un audit interno disposto nell'ambito delle attività istruttorie relative alla misura 113 del PSR Molise 2007/2013, al fine di verificare la regolarità dei procedimenti avviati, era emerso che la ditta in parola aveva ceduto la propria azienda al coniuge, sig.ra C. Anna Lucia, così violando il disposto dell'art. 9, comma 4, del Bando attuativo della misura 113 (il quale esclude che la cessione dell'azienda agricola rilevante ai fini dell'ammissione alla misura di sostegno possa essere compiuta anche tra coniugi) e che, conseguentemente, era sorta la necessità di rimborsare alla Regione Molise la somma indebitamente percepita di euro 15.729,00 (10.020,00 + 5.709,00), previo annullamento della DDG n. 727 del 29 agosto 2013.

Il ricorrente ha contestato la sussistenza dei presupposti di legge per il ricorso all'autotutela e, in ogni caso, la legittimità del disposto recupero delle somme nelle more percepite, impugnando al contempo la previsione del bando che, a dire dell'amministrazione regionale, avrebbe precluso l'ammissione al beneficio della ditta ricorrente.

Si è costituita in giudizio la Regione Molise per resistere al ricorso, contestando la fondatezza delle doglianze articolate, successivamente integrate con la proposizione di motivi aggiunti, e concludendo per la loro reiezione nel merito.

Respinta la domanda cautelare con ordinanza n. 24 del 2017, la causa è stata infine trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 25 ottobre 2017.

Il ricorso ed i motivi aggiunti sono infondati.

Con ordinanza n. 24 del 27 gennaio 2017 il collegio, nell'esercizio del potere di qualificazione giuridica della fattispecie ha ritenuto che nel caso di specie il potere esercitato fosse quello [di] annullamento e non di revoca e con ampia motivazione, ha respinto la domanda cautelare osservando che: "1. il provvedimento impugnato deve essere qualificato quale atto di annullamento in autotutela in quanto la rimozione del provvedimento attributivo del beneficio economico è stata disposta non per ragioni di opportunità bensì per la rilevata sussistenza di una violazione del bando in cui l'organo regionale è incorso in sede di riconoscimento del beneficio.

2. il divieto di cessione dell'azienda tra coniugi è contemplato dal bando (art. 9) sicché il vizio rilevato è effettivamente sussistente e come tale legittima l'annullamento in autotutela anche in considerazione del fatto che in materia di recupero di contributi indebitamente percepiti l'interesse pubblico è in re ipsa;

3. al momento della adozione del provvedimento impugnato non era ancora spirato il termine di 18 mesi che decorre dall'entrata in vigore della novella che ha tipizzato il lasso di tempo ritenuto ragionevole per l'intervento in autotutela;

4. l'errore in cui è incorso l'organo regionale "poteva ragionevolmente essere scoperto dal beneficiario" stante la inequivoca previsione del bando sicché non appare applicabile la disciplina speciale sull'obbligo di restituzione del beneficio prevista dal regolamento comunitario n. 65/2011, art. 5, paragrafo 3".

Il Consiglio di Stato, III, con ordinanza n. 1900 del 5 maggio 2017 ha ritenuto le predette argomentazioni "in larga parte condivisibili" eccetto che per la questione della ripetibilità delle somme già erogate per errore, ritenuta meritevole di ulteriore approfondimento.

La successiva fase di merito del presente giudizio non ha evidenziato circostanze in fatto o in diritto tali da indurre il collegio ad una rivisitazione dell'orientamento espresso in sede cautelare che pertanto deve essere confermato, anche con riferimento alla questione della ripetibilità delle somme già erogate, oggetto di un rinnovato approfondimento, secondo quanto sollecitato dal giudice di appello.

Deve in questa sede essere ribadito che l'art. 9, comma 4, del Bando attuativo della misura 113 esclude espressamente che la cessione dell'azienda agricola, rilevante ai fini dell'ammissione alla misura di sostegno, possa essere anche quella perfezionatasi tra coniugi, sicché il competente ufficio regionale, resosi conto, nell'ambito delle procedure di verifica interna sulla regolarità della concessione del beneficio, che la ditta istante versava proprio nella predetta ipotesi preclusiva prevista dal bando, ha doverosamente e legittimamente annullato in autotutela il provvedimento di ammissione al beneficio e disposto conseguentemente il recupero, sussistendo tutti i presupposti di legge per l'adozione del provvedimento di autotutela, ai sensi e per gli effetti dell'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 e segnatamente:

a. ricorre un vizio di legittimità, sub specie di violazione della lex specialis che non consentiva l'ammissione al beneficio in ipotesi di cessioni di azienda intervenute tra coniugi; l'art. 9 infatti rubricato "Limitazioni e vincoli" al comma 4 recita testualmente "Non sono consentiti frazionamenti dell'azienda che viene ceduta né cessioni tra coniugi";

b. l'esercizio del potere di autotutela è stato esercitato in un tempo ragionevole dalla scoperta dell'errore, e comunque nei 18 mesi previsti dall'art. 6, comma 1, della l. n. 124 del 2015, da computarsi a decorrere dall'entrata in vigore della novella dell'art. 21-nonies; in particolare il provvedimento di autotutela è stato adottato a distanza di poco più di tre anni (il 26 ottobre 2016) dal provvedimento di ammissione al beneficio (adottato il 29 agosto 2013 ma di fatto efficace solo a decorrere dal 7 ottobre 2013 in cui l'interessato ha reso la dichiarazione di possesso dei requisiti previsti dalla misura 113) e tale lasso temporale deve ritenersi compatibile con i tempi necessari per lo svolgimento delle procedure di verifica interna circa la regolarità delle istanze ammesse al beneficio tenuto conto del numero delle domande e della complessità dei procedimenti dovuta anche agli adempimenti richiesti dagli obblighi di controllo e di rendicontazione in sede comunitaria "a tutela degli interessi finanziari dell'Unione europea" (cfr. art. 24 e ss. regolamento UE 65 del 2011 nonché art. 73 e ss del regolamento CE 1698/2005 e art. 9 del regolamento CE 1290/2005).

c. l'esistenza di un interesse pubblico attuale concreto che, nel caso di somme di denaro illegittimamente erogate, deve ritenersi in re ipsa e cioè "autoevidente" in quanto correlato alla esigenza inderogabile di salvaguardia degli interessi finanziari dell'Unione Europea, dello Stato e degli enti pubblici che non consente l'attribuzione di benefici economici se non nel rigoroso rispetto delle norme che ne disciplinano i presupposti per la concessione. In questo senso si è di recente espressa anche l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 17 ottobre 2017, n. 8 secondo cui l'onere motivazionale, comunque gravante sull'amministrazione nel caso di annullamento in autotutela di un provvedimento in precedenza adottato, deve ritenersi comunque attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati, precisando che laddove venga in rilievo la tutela di preminenti valori pubblici di carattere "autoevidente", l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate le quali normalmente possano integrare le ragioni di interesse pubblico che depongono nel senso dell'esercizio del ius poenitendi.

Sebbene si tratti di pronuncia resa in materia di annullamento di titoli edilizi e quindi nell'ambito di un sottosistema normativo, il principio di diritto affermato appare idoneo a conformare l'intero statuto dell'autotutela in tutti i casi in cui, come quello in esame, non pare revocabile in dubbio che l'annullamento risponda all'esigenza di tutela di preminenti valori pubblici qual è quello alla salvaguardia degli interessi finanziari dell'Unione europea (espressamente prescritto dall'art. 9 del regolamento CE 1290/2005) che finanzia la politica agricola comune, dello Stato, delle Regioni e degli enti pubblici.

d. ricorre anche il requisito della prevalenza dell'interesse pubblico, attuale e concreto, al recupero della somma indebitamente corrisposta rispetto all'interesse privato del percettore, tenuto conto che l'errore in cui è incorsa la struttura regionale era chiaramente riconoscibile alla luce della inequivoca previsione dell'art. 9 del bando (a mente del quale, lo si ribadisce, "Non sono consentiti frazionamenti dell'azienda né cessioni tra coniugi"), sicché nessun affidamento meritevole di tutela può configurarsi nel caso di specie e ciò, a fortiori, se si considera che l'annullamento è intervenuto dopo la corresponsione di appena due tranche su cinque e con immediata sospensione del pagamento dopo la corresponsione della annualità riferita al 2014 (la seconda), in una situazione dunque in cui il beneficio non era stato acquisito, se non in parte minoritaria, al patrimonio dell'istante.

Tale ultima circostanza induce peraltro il collegio a ribadire quanto già osservato in sede cautelare circa la piena ripetibilità delle somme nel frattempo corrisposte al ricorrente. A ciò non osta la disciplina del regolamento comunitario n. 65/2011, art. 5, paragrafo 3, che limita la ripetibilità alle sole ipotesi in cui l'errore in cui è incorsa l'amministrazione "poteva ragionevolmente essere scoperto dal beneficiario" poiché proprio la inequivoca previsione del bando rendeva tale errore pienamente riconoscibile e come tale inidoneo ad ingenerare quella situazione di affidamento e di buona fede che il regolamento comunitario intende tutelare.

La circostanza per cui proprio l'ufficio regionale che ha istruito l'istanza non si sia avveduto della sussistenza di una condizione ostativa alla concessione del beneficio, sebbene dichiarata, non può essere addotta per sostenere la non riconoscibilità dell'errore da parte del percettore del finanziamento poiché l'errore non trae origine dal carattere equivoco della previsione del bando quanto piuttosto dall'esame non approfondito delle condizioni per la concessione del beneficio.

Il fatto che anche l'organo istruttore possa travisare o omettere di rilevare circostanze o situazioni dichiarate dall'istante, non vale a rendere l'errore di per sé non riconoscibile, come pare opinare il ricorrente, poiché laddove si tratti di una "svista" - come nel caso di specie in cui la circostanza ostativa, chiaramente prevista dal bando, era desumibile dalla documentazione prodotta - la effettiva riconoscibilità dell'errore comporterà la piena ripetibilità del contributo erogato, tenuto altresì conto che l'istante è tenuto a conoscere le previsioni della lex specialis e non può eccepirne l'ignoranza per escludere la riconoscibilità dell'errore nell'applicazione del bando in cui sia incorso l'organo istruttore nell'esame delle circostanze e delle condizioni riferite dall'istante medesimo con la domanda di ammissione.

Del resto dal generale obbligo di buona fede - che pacificamente conforma anche la relazione procedimentale -, discendono specifici obblighi di informazione e cooperazione sicché appare sleale approfittare di errori in cui possa essere incorso l'ufficio procedente laddove chiaramente riconoscibili in presenza di prescrizioni inequivoche del bando.

Il ricorrente contesta ancora l'esercizio del potere di autotutela in quanto non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

La censura è infondata in quanto dapprima con nota protocollo n. 19750 del 24 febbraio 2016 e, successivamente, con nota protocollo n. 79364 del 8 luglio 2016 l'organo procedente aveva comunicato il rilievo, emerso in sede di controllo interno, di un'anomalia, rappresentata dal fatto che la cessione dell'azienda era avvenuta in favore del coniuge, in violazione dell'art. 9, comma 4, del bando, preannunciando al contempo la necessità di rimborsare alla regione la somma nelle more indebitamente percepita di euro 15.729,00.

Tali note devono ritenersi, alla luce del loro tenore, sostanzialmente equivalenti alla comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, in quanto preannunciavano in modo chiaro l'intenzione di procedere al recupero delle somme già corrisposte e non dovute, tant'è vero che il ricorrente ha pacificamente potuto presentare memorie difensive in data 10 marzo 2016 che venivano motivatamente disattese con nota regionale 79364 dell'8 luglio 2016, cui seguiva la determina di annullamento n. 68 del 26 ottobre 2016.

Lamenta ancora il ricorrente che nessun provvedimento di autotutela sarebbe stato adottato dalla regione bensì solo quello di recupero come tale insufficiente a giustificare la pretesa restitutoria.

La doglianza è infondata in quanto da una lettura complessiva delle premesse giustificative del provvedimento impugnato e del dispositivo emerge la natura composita della determinazione adottata che esprime, al contempo, la volontà di rimuovere il provvedimento di attribuzione del beneficio economico (espressamente preannunciata già con la nota 19750 del 24 febbraio 2016 e successivamente con la nota 79364 dell'8 luglio 2016) e, conseguentemente, quella di procedere al recupero delle somme nelle more corrisposte.

A tale conclusione si perviene in quanto nelle premesse giustificative del provvedimento impugnato si dice chiaramente che "sulla base delle risultanze dell'audit interno, si ritiene di procedere alla revoca [rectius, per le ragioni esposte, annullamento] della determinazione del direttore generale n. 727 del 29 agosto 2013 e di tutte le agevolazioni concesse" mentre nel dispositivo si afferma a chiare lettere che "le premesse sono parte integrante e sostanziale del presente provvedimento" con ciò richiamandosi anche la volontà di rimuovere con effetti retroattivi dal mondo giuridico il provvedimento originario di concessione del beneficio, anche se formalmente non espressamente ribadita nel dispositivo.

Con una ulteriore doglianza il ricorrente lamenta la illegittimità della clausola del bando che esclude dalla ammissione al beneficio le fattispecie in cui sia intervenuta la cessione d'azienda tra coniugi.

La censura è inammissibile in quanto, trattandosi di clausola, inequivoca, con efficacia preclusiva della partecipazione, avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnata a far data dalla pubblicazione del bando; la stessa è anche infondata poiché tale clausola, lungi dal risultare viziata da eccesso di potere o da contrasto con il regolamento comunitario n. 1698/2005, risulta coerente con la legittima finalità - non vietata espressamente dal regolamento comunitario né in contrasto con le finalità dal medesimo perseguite - di prevenire comportamenti fraudolenti, finalizzati al conseguimento del beneficio economico mediante cessioni di comodo, favorite dal vincolo coniugale.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso ed i motivi aggiunti devono pertanto essere respinti.

La novità e la particolarità della questione inducono il collegio a ritenere sussistenti eccezionali motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge e compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Di Pirro

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