Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 21 novembre 2017, n. 5386

Presidente: Caringella - Estensore: Lotti

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. II, con la sentenza 17 giugno 2016, n. 7030, ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, in favore dell'autorità giudiziaria ordinaria, il ricorso principale per l'annullamento: dei provvedimenti con i quali Roma Capitale e ATAC s.p.a. hanno deliberato la dismissione dell'azienda di trasporto in titolarità alla controllata Trambus Open s.p.a.; dell'atto di assegnazione dell'azienda in favore di Les Cars Rouges s.p.a. del 29 settembre 2015 e relative deliberazione presupposte del 6 febbraio 2013, del 18 marzo 2013 e del 29 settembre 2015; nonché per la declaratoria di inefficacia del contratto 29 settembre 2015 e, comunque, per la condanna delle resistenti al risarcimento del danno.

Il TAR ha, inoltre, respinto i motivi aggiunti avverso le delibere dell'A.C. n. 13 del 23 marzo 2015 e n. 51 del 31 luglio 2014, deliberazione ATAC n. 14 dell'11 giugno 2014 e dell'autorizzazione non conosciuta, rilasciata da Roma Capitale sulla richiesta ATAC prot. 64758 del 19 maggio 2015.

Il TAR ha rilevato sinteticamente che:

- spettano alla giurisdizione del G.A. esclusivamente le controversie in ordine all'impugnazione dei provvedimenti organizzatori con cui l'ente pubblico abbia deliberato, a monte, in ordine agli atti unilaterali prodromici ad una vicenda societaria, mentre spettano alla giurisdizione ordinaria le controversie in ordine ai conseguenti negozi societari;

- al di fuori dei casi in cui l'ordinamento attribuisce espressamente al giudice amministrativo la giurisdizione sulla "sorte del contratto" che si pone a valle di un procedimento amministrativo viziato in tema di contratti pubblici relativi a lavori, servizi, e forniture, secondo l'ordinario criterio di riparto di giurisdizione spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del procedimento amministrativo, e al giudice ordinario dei vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal contratto;

- la cognizione rimane dunque limitata ai motivi aggiunti, incentrati sulle deliberazioni dell'Assemblea capitolina che, in attuazione del Piano di razionalizzazione di cui alla delibera n. 194/2014, hanno autorizzato ATAC s.p.a. a procedere alla liquidazione di Trambus Open s.p.a.;

- le autorizzazioni di Trambus hanno un'origine diversa dalle ex concessioni regionali, ragion per cui l'amministrazione capitolina ha ritenuto che per esse non operasse il contingentamento stabilito dalla Regione Lazio in ordine al numero di mezzi impiegabili;

- in base alla Comunicazione interpretativa sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) 2008/C 91-2002, la conformità al diritto comunitario del modello delle società miste impone che la selezione del socio privato sia oggetto di una procedura trasparente e concorrenziale;

- l'attività di noleggio autobus con conducente è liberalizzata;

- i Comuni restano competenti ad esercitare le funzioni amministrative relative al rilascio delle licenze e continuano a rilasciare licenze relative ai singoli veicoli in disponibilità dell'impresa interessata e, nell'esercizio di tali funzioni, non deve essere applicato alcun contingentamento;

- le licenze così rilasciate dai Comuni avranno validità fino a quando non saranno sostituite, secondo le modalità definite dalla legge regionale, con le autorizzazioni previste dalla l. n. 218/2003;

- l'Autorità Garante per la Concorrenza ritenne che l'affidamento delle linee turistiche effettuato da Trambus S.p.a. (ora ATAC S.p.a.) a Trambus Open S.p.a. si ponesse in violazione del principio dell'evidenza pubblica imposto dal diritto comunitario e dall'ordinamento interno e che il comportamento del Comune di Roma, che dal 1999 ha proceduto a prorogare le concessioni già in essere senza rilasciare nuove autorizzazioni, si ponesse in contrasto con i principi espressi della l. n. 218/2003, così come specificati dalla Regione Lazio, i quali prevedono espressamente la liberalizzazione del settore e l'accesso al mercato di tutti gli operatori economici senza alcun contingentamento;

- al fine di superare i rilievi svolti anche in sede comunitaria, con l'apertura della procedura di infrazione n. 2011/4015, nel corso del 2011 l'amministrazione capitolina (in persona del Commissario Delegato per l'Emergenza traffico) indisse una gara per l'affidamento delle nuove autorizzazioni all'esercizio delle linee Gran Turismo, riconnettendo all'esito della procedura la decadenza delle autorizzazioni in essere e disponendo contestualmente il contingentamento del numero degli autobus circolanti nel Centro Storico e nell'area anulare;

- tali atti sono stati impugnati dalle stesse società odierne ricorrenti innanzi a questo TAR;

- il Consiglio di Stato, con la sentenza 6 settembre 2012, n. 4735 riconosceva l'esistenza di motivi imperativi di interesse generale che giustificava il contingentamento delle autorizzazioni, giudicava i provvedimenti impugnati adeguatamente motivati sotto l'anzidetto profilo e riconosceva la legittimità della decadenza delle autorizzazioni rilasciate in precedenza, all'esito delle procedure di gara;

- detta sentenza riteneva inoltre "che il sacrificio imposto alla libera esplicazione di un'attività di impresa debba avvenire, in conformità dei menzionati canoni di necessità e proporzionalità, attraverso modalità non discriminatorie" e che "un simile vincolo operativo conduce inevitabilmente a fare ricorso a procedure ad evidenza pubblica, trattandosi di modelli di azione amministrativa in grado di favorire la selezione dell'operatore privato attraverso un confronto competitivo aperto ed ispirato alla ricerca del soggetto maggiormente in grado di svolgere l'attività posta a gara, solo in questo caso giustificandosi il sacrificio imposto ai soggetti già autorizzati ad operare sul mercato";

- affermava infine che lo svolgimento della gara "non può andare disgiunto dall'individuazione di criteri obiettivi e non discriminatori di accesso all'attività e dunque, vista la funzione proconcorrenziale dell'evidenza pubblica, di ammissione al confronto competitivo che in essa si attua";

- relativamente alla decisione di concedere a TBO il sostegno finanziario per la sua ricapitalizzazione con contestuale riduzione del capitale sociale, dopo aver ricordato che "ATAC Spa, il cui capitale è al 100% di proprietà di Roma Capitale, può essere qualificata organismo di diritto pubblico ai sensi dell'art. 3, comma 26, del codice dei contratti pubblici", il TAR aveva già ritenuto che siffatti provvedimenti non potessero essere considerati illegittimi in quanto aiuti di Stato, soccorrendo, al riguardo, il principio c.d. dell'investitore privato;

- in specifico, i motivi aggiunti sono irricevibili per tardività in quanto risulta che le delibere n. 51 del 31 luglio-1° agosto 2014 e n. 13 del 23 marzo 2015, siano state regolarmente pubblicate all'Albo pretorio on-line di Roma Capitale, rispettivamente, tra il 12 agosto 2014 e il 26 agosto 2014 e tra l'8 aprile e il 22 aprile 2015, mentre detti motivi aggiunti sono stati notificati soltanto diversi mesi dopo, il 9 dicembre 2015;

- tuttavia, nel merito, l'impugnativa è infondata;

- lo scioglimento e la conseguente liquidazione di Trambus Open s.p.a., di cui alle citate delibere dell'Assemblea capitolina n. 51/2014 e 13/2015, si inserisce in un trend normativo di progressivo disfavore nei confronti delle società partecipate da enti pubblici non strettamente necessarie per il perseguimento dei loro fini istituzionali;

- nel caso di specie, l'operazione autorizzata da Roma Capitale si inquadra nel tessuto normativo testé sintetizzato e non appare in contrasto con i principi in materia di evidenza pubblica i quali vengono richiamati, dalle disposizioni che precedono, limitatamente al procedimento di dismissione delle quote posseduto nelle società partecipate;

- la dismissione costituisce infatti solo uno delle opzioni praticabili, accanto a quella dello scioglimento e/o del recesso;

- per quanto in particolare riguarda l'eventualità che la liquidazione avvenga, come nel caso di specie, attraverso la cessione del complesso aziendale, essa non è affatto esclusa dal legislatore, come indirettamente si ricava dall'art. 1, comma 613, della l. n. 190/2014, secondo cui "Le deliberazioni di scioglimento e di liquidazione e gli atti di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate per espressa previsione normativa sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del codice civile e, in quanto incidenti sul rapporto societario, non richiedono né l'abrogazione né la modifica della previsione normativa originaria";

- anche la ripartizione dei beni aziendali all'esito del procedimento di liquidazione non contrasta né con le norme di contabilità di stato né con quelle in materia di evidenza pubblica in quanto, come correttamente evidenziato dalle parti resistenti, essa riguarda beni che appartengono non già ai soci bensì alla stessa società in liquidazione;

- l'operazione societaria a valle dell'autorizzazione accordata dall'Assemblea capitolina si configura quindi non già come una vendita di asset pubblici, bensì, come una mera ripartizione tra i soci dei beni di una società per azioni, ai sensi degli artt. 2484 e ss. c.c.;

- la mera circostanza che del complesso aziendale facciano parte anche i nulla-osta all'immatricolazione dei mezzi nonché le autorizzazioni provvisorie rilasciata a TBO in liquidazione, non comporta l'automatico trasferimento in capo al soggetto cessionario né del servizio pubblico originariamente subaffidato a TBO da Trambus s.p.a. né delle autorizzazioni rilasciate a TBO;

- per effetto dell'evoluzione del quadro normativo, l'attività di trasporto GT è ormai liberalizzata e può quindi essere svolta da qualunque soggetto avente i requisiti prescritti dietro rilascio di una mera autorizzazione, fatte salve le esigenze di contingentamento che la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto legittimamente perseguibili dall'amministrazione capitolina, attraverso l'esperimento di idonei procedimenti selettivi ad evidenza pubblica;

- Les Cars Rouges non può quindi proseguire l'attività sulla scorta delle mera assegnazione dei beni già in titolarità della società mista, all'uopo occorrendo uno specifico assenso dei competenti organi dell'amministrazione capitolina;

- la mera ripartizione dei beni aziendali facenti capo a TBO non appare idonea a realizzare alcuno degli effetti che le società ricorrenti sembrano paventare, non essendo possibile conseguire attraverso di essa né l'affidamento senza gara dello stesso servizio pubblico che ATAC aveva subaffidato a TBO né l'automatico trasferimento delle autorizzazioni rilasciata a TBO in conseguenza di tale affidamento;

- relativamente alle restanti doglianze dedotte con i motivi aggiunti, non appare chiaro quale interesse abbiano le ricorrenti all'osservanza della prescrizioni relative alla salvaguardia dei livelli occupazionali, contenute nella delibera n. 51/2014, ovvero delle vigenti disposizioni in materia di assunzione di personale da parte delle società in house;

- per quanto invece riguarda la violazione delle norme comunitarie in materia di divieto di aiuti di Stato, diversamente da quanto assunto da ATAC s.p.a., nel caso di specie, trova applicazione il principio del c.d. "investitore privato", in quanto - fermo restando il giudicato formatosi sulla sentenza n. 5252/2014, cit. - anche nell'odierna controversia non risulta analiticamente confutato quanto da esse dedotto in ordine all'investimento effettuato dal socio privato LCR nell'ambito della procedura di liquidazione.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR, deducendone l'erroneità per i seguenti motivi:

- omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Violazione dell'art. 112 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del c.p.a. e dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo. Eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto;

- nel merito, rispetto al succitato motivo di appello, si sono riproposti i motivi di censura che, proposti con il ricorso introduttivo di primo grado e successivi motivi aggiunti depongono per l'illegittimità degli atti e provvedimenti del procedimento prodromici alla cessione/trasferimento dell'azienda in capo alla controinteressata;

- violazione dell'art. 41 del c.p.a. Eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto. Omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione. Violazione dell'art. 3 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, dell'art. 192 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e dei principi in materia di evidenza pubblica. Violazione e falsa applicazione dell'art. 133, comma 1, z-sexies, c.p.a. Violazione art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia;

- nel merito si ripropongono in questa sede i motivi di censura che, proposti con il secondo motivo del ricorso introduttivo e il terzo motivo dei motivi aggiunti, depongono per l'illegittimità degli atti e provvedimenti del procedimento prodromici alla cessione/trasferimento dell'azienda in capo alla controinteressata.

Con l'appello in esame chiedeva, quindi, l'accoglimento del ricorso di primo grado.

Si costituivano l'ATAC e la parte controinteressata, chiedendo la reiezione dell'appello.

All'udienza pubblica del 16 novembre 2017 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, il ricorso introduttivo del giudizio è inammissibile in parte qua per difetto di giurisdizione.

Infatti, oggetto di impugnazione sono anche atti di mera natura societaria-commerciale finalizzati a liquidare una società mediante il pagamento dei creditori nonché l'assegnazione dei beni aziendali residui tra i soci, nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 2484 ss. c.c.

Non sussiste quindi, nel caso di specie, alcuna forma di esercizio del potere che possa giustificare l'intervento giurisdizionale del giudice amministrativo.

L'operazione in questione e, dunque, il presente contenzioso coinvolgono diritti soggettivi, con la conseguenza che deve essere esclusa la sussistenza di una generale giurisdizione del G.A.

Lo stesso legislatore ha stabilito significativamente, al riguardo, che tutte le "disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali", così indirettamente sottoponendo alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie che dovessero sorgere in merito, quale giudice dei diritti (art. 4, comma 13, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, applicabile ratione temporis).

Allo stesso modo, il legislatore ha stabilito che "le deliberazioni di scioglimento e di liquidazione e gli atti di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate per espressa previsione normativa sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del codice civile e, in quanto incedenti sul rapporto societario, non richiedono né l'abrogazione né la modifica della previsione normativa originaria" (art. 1, comma 613, l. n. 190/2014, applicabile ratione temporis).

2. L'impugnazione delle attuali appellanti è anche inammissibile per tardività nella parte in cui si indirizza contro gli atti, asseritamente non conosciuti, emanati da Roma Capitale e che si pongono a monte del procedimento di liquidazione di TBO.

Sul punto, si deve rilevare che già con deliberazione del Consiglio Comunale di Roma 23 marzo 2015, n. 13, recante "Indirizzi per la razionalizzazione delle partecipazioni di Roma Capitale di primo e secondo livello", Roma Capitale aveva deliberato la dismissione di una serie di società partecipate, anche in via indiretta, tra le quali era inclusa anche TBO, specificando che per la medesima erano già in corso le procedure di liquidazione.

Tale deliberazione, che le parti appellanti assumono di non aver conosciuto, è stata pubblicata nell'Albo Pretorio e non è stata oggetto di impugnazione.

Lo stesso vale per quanto riguarda la precedente deliberazione n. 51 del 31 luglio/1° agosto 2014, in cui si autorizzava la liquidazione definitiva di TBO, "anche attraverso la cessione del ramo d'azienda", "salvaguardando gli attuali livelli occupazionali della stessa".

Peraltro, il ricorso introduttivo del giudizio al TAR e i successivi motivi aggiunti per questa parte sono anche da ritenersi irricevibili per tardività.

3. Nel merito, con un primo ordine di censure le appellanti contestano la mancata effettuazione di una gara pubblica per la vendita dell'azienda di TBO, anche considerato che l'assegnataria (LCR) sarebbe un soggetto illegittimamente scelto come socio che in tutti gli anni di partecipazione al capitale sociale di TBO si sarebbe avvantaggiato del proprio status.

Tuttavia, l'operazione in esame non costituisce all'evidenza forma di vendita di beni pubblici, ma assegnazione dei beni sociali residui tra due soci di una società di diritto privato in liquidazione, secondo quanto previsto dagli artt. 2484 e ss. c.c.

Pertanto, nell'ipotesi in esame, non si realizza alcun fenomeno di apertura al mercato, in quanto ATAC non ha ceduto una propria azione (come intendeva fare nel 2012) o un proprio bene, bensì ha liquidato, assieme al socio LCR, la partecipata in TBO, società quest'ultima da molti anni in perdita di esercizio e, dunque, che necessitava da tempo di una sistemazione anche mediante la sua liquidazione, nell'interesse della corretta gestione della cosa pubblica.

Poiché nel caso di specie l'assegnazione dell'azienda a LCR non integra una vendita, bensì configura un'assegnazione al socio di beni aziendali, che costituisce un effetto proprio della fase finale della liquidazione, la relativa assegnazione, approvato il bilancio finale di liquidazione, è l'atto che chiude la liquidazione, e ha l'effetto tipico di determinare la distribuzione tra i soci dell'attivo residuo della società (artt. 2492 e 2493 c.c.).

La normativa applicabile in tale fattispecie non è dunque compatibile con l'espletamento di procedure ad evidenza pubblica per l'assegnazione dei beni sociali ai soci che, si ribadisce, non è prospettabile nel caso di specie.

Peraltro, appare documentalmente non condivisibile la tesi secondo cui l'assegnazione dei beni sociali a LCR sia stata una donazione o una forma di regalia, considerando che LCR ha versato somme direttamente connesse alla liquidazione per oltre un milione e mezzo di euro e che l'altro socio, ATAC, non era (né poteva essere, viste le direttive provenienti dal proprio socio unico, Roma Capitale) interessato a proseguire l'attività di trasporto gran turismo con open-bus.

Per quanto concerne la clausola di manleva, questa costituisce clausola definibile di stile essendo già stati saldati tutti i soggetti creditori di TBO per poter chiudere la liquidazione (cfr. verbale assemblea di TBO del 29 settembre 2015, ore 16 - doc. 13 LCR), senza alterare il regime di responsabilità tra i soci, che resta regolato dal regime di cui all'art. 2495 c.c.

4. Con un ulteriore gruppo di censure, sempre nel merito, le parti appellanti chiedono l'annullamento degli atti impugnati in quanto assunti in violazione della normativa comunitaria in materia di aiuti di stato, ritenendo che l'assegnazione dell'azienda, l'eliminazione del costo del personale attraverso l'assorbimento dei dipendenti di TBO in ATAC, il rilascio di una nuova autorizzazione a favore di TBO, nonché l'omessa predisposizione di una perizia di stima, costituirebbero la prova di un sostanziale aiuto di stato da Roma Capitale a LCR veicolato dalle società controllate ATAC e TBO.

Anche questa censura è infondata.

Infatti:

- il valore della società è stato oggetto di plurime indagini specifiche: per tutte si cfr. le perizie predisposte da Ernst & Young il 12 dicembre 2014 (doc. 14 LCR) e quella dello Studio Cocconi & Cocconi il 14 settembre 2015 (doc. 15 LCR);

- per quanto concerne il dedotto illegittimo rilascio, nel giugno 2015, di una nuova autorizzazione per il servizio gran turismo a TBO, essa, si ritiene, non costituisce una nuova autorizzazione bensì una modifica in riduzione (da 22 a 4 più 1 di riserva) della precedente autorizzazione per la linea 110-open e contestuale conferma del numero (solo 4 senza nemmeno un mezzo di riserva) utilizzabili sulla linea Archebus, senza alcun vantaggio per TBO, ATAC o LCR;

- quanto al personale, anche volendo prescindere dall'obbligo di ATAC di procedere alla liquidazione di TBO mantenendo inalterati i livelli occupazionali (cfr. la citata deliberazione n. 51 del 31 luglio/1° agosto 2014, in cui si autorizzava la liquidazione definitiva di TBO, "anche attraverso la cessione del ramo d'azienda", "salvaguardando gli attuali livelli occupazionali della stessa"), LCR aveva manifestato la propria disponibilità ad assorbire, pro quota, i dipendenti di TBO qualora fosse stato possibile proseguire l'attività di trasporto su Roma; tuttavia, il personale di TBO ha ritenuto e preferito essere assorbito da ATAC, come dimostra l'accordo sindacale concluso presso la Regione Lazio in data 23 dicembre 2014 (doc. 17 LCR).

Pertanto, l'assorbimento del personale da parte di ATAC non può ritenersi una forma di aiuto di stato a favore di LCR, atteso che quest'ultima si era resa disponibile ad assumere pro quota i lavoratori per la prosecuzione del servizio, mentre sono stati proprio i lavoratori a preferire l'assunzione diretta in ATAC.

In conclusione, dunque nel caso di specie non si configura alcun aiuto di stato in favore dell'attuale controinteressata e, al contrario, la circostanza che LCR abbia sempre investito risorse in TBO (persino nel periodo di liquidazione, così consentendo il pagamento dei creditori), costituisce la dimostrazione dell'applicabilità del c.d. principio dell'investitore privato, che esclude tout court la sussistenza di aiuti di stato.

5. Per quanto concerne la richiesta di dichiarazione di inefficacia dei atti negoziali della procedura, come già rilevato, questa è inammissibile. Infatti, tale potere di intervento diretto del giudice amministrativo su atti di tipo negoziale è stato introdotto dal legislatore con esclusivo riferimento ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture secondo quanto previsto dagli artt. 121 e 122 c.p.a., non estensibili agli atti negoziali di natura societaria/commerciale adottati nell'ambito di una procedura di liquidazione di una società di diritto privato.

6. Quanto alla domanda di risarcimento per equivalente, la stessa è infondata, non prospettandosi, né essendo stato specificato, come doveroso, il danno che avrebbero subito le attuali appellanti dalla liquidazione della società TBO e dalla corretta assegnazione dei beni tra i due soci che, come detto, non presenta profili di illegittimità qui apprezzabili.

Anche sotto il profilo del quantum, peraltro, la quantificazione del danno operata dalle appellanti appare discutibile, atteso che queste ultime lamentano di non aver avuto la possibilità di partecipare ad una gara per acquistare l'azienda di TBO, gara nell'ambito della quale avrebbero dovuto, loro, corrispondere il valore dell'azienda come corrispettivo del trasferimento, mentre ora vorrebbero essere risarcite vedendosi attribuito quello che ritengono essere il valore dell'azienda in questione senza considerare i debiti e le contropartite scaturenti dal procedimento di liquidazione sopra sinteticamente descritto.

7. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l'appello deve essere respinto in quanto infondato.

Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe indicato, lo respinge.

Condanna le parti appellanti al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore dell'ATAC e dei controinteressati appellati, spese che liquida in euro 4.000,00, per ciascuna parte, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.