Corte di cassazione
Sezione V civile (tributaria)
Sentenza 22 novembre 2017, n. 27776
Presidente: Virgilio - Estensore: Greco
FATTI DI CAUSA
L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un motivo nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, rigettandone l'appello, ha confermato l'annullamento dell'intimazione, notificata il 20 novembre 2007 alla MBF - Mechanic Building Factory s.r.l., di pagamento delle somme, dovute a titolo di ritenute alla fonte per l'anno 1996, portate da una cartella che la parte assumeva non aver mai ricevuto, e della cui notificazione, secondo il giudice d'appello, né l'agente della riscossione né lo stesso ufficio avevano fornito la prova in giudizio.
La società contribuente, che promuoveva il giudizio tanto nei confronti dell'Agenzia delle entrate che della Serit Sicilia s.p.a., oltre a dedurre l'inesistenza del credito dell'amministrazione finanziaria, aveva infatti lamentato, oltre alla decadenza dell'azione di riscossione e alla prescrizione del presunto credito, la mancata notifica della cartella di pagamento, atto presupposto.
Il giudice d'appello ha ritenuto che dalla fotocopia di una relata di notifica eseguita il 1° ottobre 2002 prodotta dall'ufficio in primo grado - assumendo fosse la copia conforme all'originale della "relata di notifica della cartella impugnata" -, e prodotta anche dalla Serit s.p.a. all'atto di costituirsi in secondo grado, si ricavava trattarsi, per quanto fosse poco chiaramente leggibile, di una cartella di pagamento recante lo stesso numero identificativo indicato nell'intimazione impugnata. Tuttavia, né l'ufficio né l'agente della riscossione, sui quali incombeva l'onere probatorio, entrambi chiamati legittimamente in giudizio, avevano prodotto l'atto prodromico. Non poteva pertanto ritenersi assolto l'onere della prova con la sola produzione della fotocopia di una relata di notifica, peraltro contestata dall'appellata, non accompagnata dalla produzione della cartella che si assume notificata. Tale mancata produzione precludeva, tra l'altro, la possibilità di verificare se il carico tributario fosse quello derivante dalla cartella esattoriale che si assume notificata, della quale non si conosceva il contenuto.
La società contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, l'amministrazione ricorrente eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, assumendo che nella fattispecie non era configurabile un litisconsorzio necessario, sicché doveva essere chiamato in causa esclusivamente il concessionario, cui era direttamente ascrivibile il vizio dell'atto, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto nei confronti dell'ufficio. L'agente della riscossione sarebbe l'unico legittimato le volte che si deduca che un atto sia viziato da errori a lui imputabili, ossia nel caso di vizi propri della cartella o degli atti di riscossione successivi. "In assenza di vizi propri, non potrebbe essere annullata un'iscrizione a ruolo solo per il fatto che non è stata notificata mediante la cartella di pagamento".
Il ricorso è infondato.
Secondo l'insegnamento del giudice della nomofilachia, infatti, "la cartella di pagamento svolge la funzione di portare a conoscenza dell'interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli, entro un termine stabilito a pena di decadenza della pretesa tributaria, ed ha un contenuto necessariamente più ampio dell'avviso di mora, la cui notifica è prevista soltanto per il caso in cui il contribuente, reso edotto dell'imposta dovuta, non ne abbia eseguito spontaneamente il pagamento nei termini indicati dalla legge. La mancata notificazione della cartella di pagamento comporta pertanto un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, la cui rilevanza non è esclusa dalla possibilità, riconosciuta al contribuente dall'art. 19, comma terzo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di esercitare il proprio diritto di difesa a seguito della notificazione dell'avviso di mora, e che consente dunque al contribuente di impugnare quest'ultimo atto, deducendone la nullità per omessa notifica dell'atto presupposto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all'ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se è fatto destinatario dell'impugnazione, incombe l'onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell'esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d'ufficio l'integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario" (Cass., Sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412).
Questa Corte ha tra l'altro in proposito avuto modo di chiarire come "in tema di disciplina della riscossione delle imposte mediante iscrizione nei ruoli, nell'ipotesi di giudizio relativo a vizi dell'atto afferenti il procedimento di notifica della cartella, non sussiste litisconsorzio necessario tra l'Amministrazione Finanziaria ed il Concessionario alla riscossione, né dal lato passivo, spettando la relativa legittimazione all'ente titolare del credito tributario con onere del concessionario, ove destinatario dell'impugnazione, di chiamare in giudizio il primo se non voglia rispondere delle conseguenze della lite, né da quello attivo, dovendosi, peraltro, riconoscere ad entrambi il diritto all'impugnazione nei diversi gradi del processo tributario: così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, rilevando, peraltro, che, nella specie, i vizi accertati nella decisione di primo grado in relazione alla pretesa tributaria riguardavano sia il suo fondamento - iscrizione a ruolo - sia il procedimento notificatorio della cartella, sicché erroneamente era stata esclusa la legittimazione dell'Amministrazione Finanziaria alla sua impugnazione" (Cass. n. 9762 del 2014). Nella specie la società contribuente con l'impugnazione "dell'iscrizione a ruolo e dell'intimazione di pagamento" si doleva anzitutto dell'inesistenza del credito dell'amministrazione finanziaria, dell'illegittimità della procedura di riscossione per la mancata notifica dell'atto presupposto, la cartella di pagamento, della decadenza dell'azione di riscossione, della prescrizione del presunto credito.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 3.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese generali determinate forfetariamente nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.