Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 26 ottobre 2017, n. 53834
Presidente: Ippolito - Estensore: Ricciarelli
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16 febbraio 2017 il Tribunale di Biella, in sede di rinvio, dopo l'annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione in data 22 novembre 2016 di precedente ordinanza emessa dallo stesso Tribunale a seguito di appello cautelare avverso il rigetto della richiesta di riduzione dell'ammontare del sequestro preventivo disposto in vista di confisca per equivalente, presentata da T. Rodolfo, T. Gabriele e soc. Gruppo Residenziale Serena s.a.s., ha confermato l'ordinanza impugnata, rigettando l'appello dei predetti.
Ha rilevato in particolare il Tribunale che la delimitazione del profitto confiscabile, riveniente dalle ipotizzate truffe ai danni dello Stato, era stata fondata su una consulenza tecnica di parte e che, anche considerando il criterio sostanziale proposto, i risultati non avrebbero potuto dirsi immediatamente accertabili dal Tribunale in quanto estranei alla cognizione giuridica del giudice del riesame, non potendo in sede cautelare disporsi un accertamento peritale.
2. Hanno proposto ricorso T. Rodolfo, T. Gabriele e Soc. Gruppo Residenziale Serena s.a.s.
Deducono violazione di legge in relazione all'art. 125 c.p.p. per mancanza o incompletezza della motivazione.
Richiamate le fasi della vicenda processuale e dato conto del contenuto della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione, i ricorrenti rilevano che l'ordinanza impugnata era priva dei requisiti minimi di coerenza e ragionevolezza della motivazione e disattendeva il principio affermato in sede di annullamento.
Il Tribunale aveva rigettato l'istanza in ragione dell'incapacità di valutare le complesse questioni tecnico-contabili prospettate nella consulenza di parte, in violazione di quanto rilevato dalla Corte di cassazione circa la necessità di fornire indicazione delle ragioni per cui erano state ritenute irrilevanti le deduzioni di cui alla consulenza tecnica.
Si trattava peraltro di applicare criteri logici e principi di diritto in materia di profitto confiscabile.
Il consulente aveva proposto un criterio di tipo bilancistico e un criterio sostanziale basato sulla differenza tabellare, criterio che, pur meno favorevole alla difesa, avrebbe dovuto in concreto preferirsi: in tal modo erano rilevanti non complessi calcoli bilancistici, ma i calcoli basati sulla riduzione in percentuale in base al lucro differenziale tra prestazione resa e prestazione pattuita, quantificato nel 20%.
Contraddittoriamente il Tribunale aveva fatto riferimento alla complessa ricostruzione dei bilanci e alla loro rielaborazione ex post, ciò che afferiva tuttavia al solo criterio bilancistico, ritenuto inidoneo.
Né si sarebbe potuto affermare che non fosse determinabile il quantum sulla base di una consulenza di parte, in ragione della necessità dell'ausilio di imprescindibili nozioni tecniche, posto che in tal modo era rilevabile un contrasto con quanto affermato in sede di annullamento con rinvio.
E neppure si sarebbe potuto affermare che non fosse possibile ricorrere all'ausilio di un perito, divieto valido per l'accertamento dei fatti oggetto di imputazione ma non per la rideterminazione del quantum, per la quale si sarebbe dovuto aver riguardo a tutti gli atti di indagine, eventualmente con l'ausilio volto alla valutazione di elementi già acquisiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Posto che l'oggetto del giudizio cautelare è costituito dalla determinazione del profitto confiscabile, a fronte delle condotte di truffa aggravata di cui è stato ravvisato il fumus, in rapporto alle rette pagate per ciascun ospite dagli enti richiedenti il servizio, si osserva che il tema aveva formato oggetto di precedente ordinanza del Tribunale di Biella, che era stata poi annullata dalla Corte di cassazione con rinvio per nuovo esame al medesimo Tribunale.
In quella circostanza la Corte di cassazione con la sentenza del 22 novembre 2016 aveva in particolare affermato: «l'ordinanza impugnata presenta tale vizio di motivazione, atteso che, una volta superata la pur erronea qualificazione giuridica dell'istanza, ha motivato il rigetto di questa, limitandosi ad affermare in modo apodittico che "non è sufficiente a giustificare l'ulteriore riduzione dell'importo una mera consulenza di parte", senza alcuna indicazione delle ragioni per cui si siano ritenute irrilevanti le deduzioni di cui alla consulenza medesima e, quindi, senza consentire di comprendere quale sia stato il percorso logico che ha portato a ritenere le argomentazioni addotte in tale consulenza inidonee a sostenere le ragioni degli odierni ricorrenti. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio».
A tale stregua nel giudizio di rinvio avrebbe dovuto procedersi alla specifica analisi della consulenza di parte e all'indicazione delle ragioni per cui la stessa avrebbe potuto o meno assumere rilievo ai fini della determinazione del profitto confiscabile.
3. Il Tribunale con l'ordinanza in questa sede impugnata ha rilevato in primo luogo che in sede di riesame o di appello cautelare il tribunale non dispone di poteri istruttori e non è tenuto a dirimere questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione è necessario il ricorso ad un accertamento peritale; in secondo luogo che la consulenza di parte non era valutabile senza l'ausilio di imprescindibili nozioni tecniche necessarie per verificare la correttezza e la regolarità dei risultati esposti, compresi quelli riferibili al secondo criterio di tipo sostanziale, venendo in rilievo canoni estranei alla cognizione giuridica del giudice del riesame.
4. Deve a questo punto osservarsi che il Tribunale in ordine al criterio di determinazione del profitto ha mostrato di condividere l'orientamento secondo cui, quando venga in rilievo un «reato in contratto», in cui l'illiceità si annida non tanto nel mero fatto della conclusione del contratto bensì nello sviluppo della sua esecuzione, il profitto non può essere correlato al corrispettivo pattuito, dovendosi verificare se all'attività illecita si sia accompagnata una qualche controprestazione lecita, con la conseguenza di dover decurtare dall'importo conseguito i costi vivi sostenuti per dare adempimento alla prestazione di cui la controparte si è avvantaggiata.
Si tratta in effetti di principio che si ricollega a quanto rilevato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (Cass., Sez. un., n. 26654 del 27 marzo 2008, Fisia Italimpianti, rv. 239924) e che ha trovato poi compiuta applicazione in numerose successive pronunce (Cass., Sez. 6, n. 8616 del 13 gennaio 2016, Malandra, non massimata; Cass., Sez. 6, n. 9988 del 27 gennaio 2015, Moioli, rv. 262794; Cass., Sez. 6, n. 53430 del 5 novembre 2014, G-Risk, rv. 261841).
Sta di fatto che proprio in funzione della concreta applicazione del citato principio il Tribunale avrebbe dovuto verificare la pertinenza e la concreta utilizzabilità dei dati esposti nella consulenza di parte.
5. In concreto il Tribunale si è però sottratto a tale specie di cimento, rilevando che la consulenza utilizzava alternativamente due criteri, uno di tipo bilancistico e l'altro di tipo sostanziale, e che anche con riferimento a questo secondo venivano in rilievo nozioni estranee alla cognizione del giudice del riesame, non verificabili mediante perizia in ragione dell'assenza di poteri istruttori.
Su tale punto va rimarcato che in effetti in sede di riesame e di appello cautelare il tribunale non dispone di poteri istruttori, incompatibili con la struttura, la funzione e la celerità del giudizio (il principio trova espressione in numerose pronunce della Corte di cassazione: Cass., Sez. 1, n. 23869 del 22 aprile 2016, Perricciolo, rv. 267993; Cass., Sez. 3, n. 43695 del 10 novembre 2011, Bacio Terracina Coscia, rv. 251329; Cass., Sez. 3, n. 21633 del 27 aprile 2011, Valentini, rv. 250016).
Va però rilevato che il sequestro, funzionale alla confisca, costituisce una misura che influisce in modo incisivo sulla proprietà e deve dunque avere una base legale ed essere specificamente commisurato all'entità per la quale esso è previsto e disciplinato, solo in tal modo essendo compatibile con quanto previsto dall'art. 1 Prot. 1 C.E.D.U., come interpretato dalla Corte di Strasburgo (si rinvia a Corte europea dei diritti umani, 29 ottobre 2013, Varvara contro Italia).
Ciò significa che fin dall'inizio si impone una nitida individuazione delle ragioni del sequestro e del quantum sequestrabile, alla luce dei canoni legislativamente applicabili, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità.
Grava dunque sull'A.G. l'onere di definire non in termini approssimativi ma quanto più possibile precisi l'ambito di operatività del sequestro anche in termini quantitativi, se del caso svolgendo mirate indagini anche di tipo tecnico, volte ad assicurare nei vari casi la compiuta determinazione del profitto suscettibile di sequestro in funzione di confisca.
In tale prospettiva si comprende che il tribunale, chiamato alla verifica dei parametri utilizzati, non disponga di autonomi poteri di intervento e di approfondimento.
Può però porsi il caso che il corretto canone per l'individuazione del profitto confiscabile sia stato individuato progressivamente e non abbia trovato espressione in una previa indagine di tipo tecnico.
Si tratta di stabilire se e in che misura possa la parte interessata validamente offrire un proprio contributo mediante l'allegazione di una consulenza, che, esaminando il tema, giunga a definire il quantum sequestrabile, se del caso avvalendosi di dati e nozioni di tipo tecnico-specialistico.
Sul punto è stato di recente affermato che «in sede di riesame o di appello avverso una misura cautelare reale, il tribunale non è tenuto a dirimere le questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione è necessario il ricorso ad un accertamento peritale, costituendo questo un mezzo istruttorio incompatibile con l'incidente cautelare» (Cass., Sez. 3, n. 19011 dell'11 febbraio 2015, Citarella, rv. 263554).
Il principio può dirsi in linea di massima condivisibile de iure condito, pur potendosi auspicare un mirato intervento volto ad ampliare le possibilità di intervento del tribunale in sede cautelare, in corrispondenza con il notevole ampliamento dei casi di confisca, anche obbligatoria.
Ma sta di fatto che la parte interessata ha la facoltà di controdedurre e di ottenere sul punto una puntuale risposta, nei limiti di quanto allo stato del procedimento sia consentito, anche per scongiurare il rischio che eventuali inerzie implichino il protrarsi di misure ablative alla resa dei conti ingiustificate.
6. Si tratta dunque di distinguere tra verifiche in fatto e verifiche di carattere tecnico-specialistico, implicanti il riferimento a nozioni che coinvolgono un sapere che può essere introdotto con l'ausilio di esperti, dovendosi inoltre rilevare come il problema possa porsi con riguardo all'applicazione al fatto di canoni di ordine tecnico.
In tale delicata prospettiva occorre da un lato che il consulente di parte non si limiti ad esporre risultati, ma dia conto puntualmente dei criteri tecnici adottati e di quali elementi di fatto si sia avvalso, senza di che la consulenza risulta in radice inidonea a fondare una valutazione favorevole.
D'altro canto occorre che il Tribunale in sede cautelare dia a sua volta conto dei criteri adottati dal consulente di parte, dei risultati cui è pervenuto e del margine di valutazione di cui dispone, valorizzando nozioni giuridiche e massime di esperienza in rapporto agli elementi di fatto da lui conosciuti o comunque conoscibili.
Ciò impone dunque al tribunale di procedere all'analisi della consulenza e alla individuazione precisa della sua struttura e del suo contenuto, con indicazione puntuale della sua pertinenza o meno rispetto all'oggetto di indagine, e dei dati tecnici che si sottraggono alla diretta verifica, in assenza dell'ausilio di un esperto di cui il tribunale non può disporre.
7. Così ricostruito il quadro, deve rilevarsi come nel caso di specie il Tribunale non abbia affatto proceduto all'esame della consulenza, come impostogli dalla sentenza di annullamento con rinvio, ma si sia limitato a segnalare che il consulente aveva alternativamente utilizzato due criteri e a concludere apoditticamente che anche il secondo criterio di tipo sostanziale implicava la verifica di risultati estranei alla cognizione giuridica del giudice del riesame, senza tuttavia aver compiuto alcuna analisi dei due criteri utilizzati e delle basi su cui si fondavano, senza aver formulato un chiaro giudizio in ordine alla pertinenza almeno in astratto dell'uno o dell'altro criterio e senza aver da ultimo verificato quali nozioni tecniche o quali correlazioni tra dati tecnici ed elementi di fatto concretamente esulavano dalle nozioni incluse nel sapere del Giudice, valutabili solo con l'ausilio di un esperto.
8. Tale omessa verifica dà luogo ad una violazione di legge con riguardo sia al mancato rispetto del criterio-guida indicato in sede di annullamento con rinvio sia alla sostanziale mancanza di una motivazione sul punto.
Di qui l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Biella.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Biella.
Depositata il 29 novembre 2017.