Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 23 novembre 2017, n. 851

Presidente: Romis - Estensore: Pezzella

RITENUTO IN FATTO

1. Il GUP del Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 1374/17 emessa in data 17 maggio 2017, depositata in data 24 maggio 2017, dichiarava non doversi procedere perché il fatto non costituisce reato nei confronti degli imputati C. Gabriele, D.J. Jose Reginald e B. Fioirjet (p.p. n. 5625/16 r.g.n.r. - n. 3811/17 r.g. g.i.p.) indagati per il reato p. e p. dagli artt. 40 cpv., 110, 589 c.p. perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità, C. Gabriele di legale rappresentante e D.J. Jose Reginald e B. Fioirjet di operatori socio-sanitari della Casa di Riposo "Villa Silvia" in San Lazzaro di Savena (BO), per colpa consistita in negligenza ed imperizia, quanto a C. Gabriele nell'omesso doveroso controllo in ordine alla applicazione dei protocolli che regolano i servizi di assistenza nella casa residenziale per anziani e per gli operatori in servizio presso la predetta struttura, D.J. Jose Reginald e B. Fioirjet nella omessa continua sorveglianza e vigilanza dei residenti e, in specie, di L. Alma, la quale in data 14 luglio 2014, nonostante il maltempo, si rivolgeva al D.J. e al B., al momento entrambi in servizio al piano, per farsi accompagnare, come di consuetudine, a fumare in esterno sul terrazzo della propria camera, dove veniva effettivamente condotta e lasciata da sola su una poltrona, salvo poi alzarsi per fare ritorno in camera rovinando a terra, in ciò riportando, a seguito della caduta, lesioni personali consistite in ferita lacero contusa del cuoio cappelluto in regione occipitale che ne aggravavano le condizioni cliniche generali ed un trauma osseo - frattura del DI] - che la costringevano ad un prolungato allettamento che ne cagionava la morte. In Bologna, in data 8 ottobre 2014.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Bologna, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:

a. Violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. con riferimento alla inosservanza degli artt. 111, comma 6, Cost., 125, comma 3, e 425, commi 1 e 3, c.p.p.). - Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.).

Gli elementi di prova raccolti durante la fase delle indagini preliminari hanno fornito, ad avviso del ricorrente, pieno riscontro all'ipotesi accusatoria compendiata nel capo di imputazione.

Il PG ricorda i fatti come emersi e lamenta che la motivazione del provvedimento impugnato sia carente e illogica, e non corrisponda ai criteri ai quali, ai sensi degli artt. 125, comma 3, e 425, comma 3, c.p.p. deve attenersi la sentenza di non luogo a procedere pronunciata all'esito dell'udienza preliminare.

Viene riportata ampia giurisprudenza di questa Corte di legittimità ed evidenziato che anche dopo le modifiche apportate all'art. 425 c.p.p. dalle leggi 105/1993 e 479/1999, la decisione del giudice dell'udienza preliminare ha conservato "natura processuale", in quanto il criterio di valutazione non deve essere l'innocenza dell'imputato, ma l'inutilità del dibattimento. Con la conseguenza che tale giudice ha il potere di emettere sentenza di improcedibilità non quando ritenga l'innocenza dell'imputato, ma nei casi in cui non vi sia una prevedibile possibilità che il dibattimento possa sfociare in una diversa soluzione.

L'indirizzo di questa Corte di legittimità - viene ricordato - trova piena conferma nelle decisioni della Corte costituzionale, che, per quanto riconoscano che l'udienza preliminare ha perduto le caratteristiche di sommarietà che inizialmente la connotavano, affermano tuttavia che la decisione del Giudice dell'udienza preliminare resta pur sempre "una valutazione di merito sulla consistenza dell'accusa, consistente in una prognosi sulla sua possibilità di successo nella fase dibattimentale" (il richiamo è alla sentenza n. 335/2002 della Corte costituzionale).

Per il PG ricorrente, invece, il giudice dell'udienza preliminare di Bologna, nonostante un formale richiamo agli indirizzi dei massimi organi giurisdizionali, entra, di fatto, prepotentemente nel merito della valutazione di non colpevolezza, dimenticandosi di quali potrebbero essere i prevedibili sviluppi del dibattimento.

Ci si duole pertanto dell'erronea applicazione della regola di giudizio di cui all'art. 425 c.p.p. e del fatto che il giudice abbia esorbitato dai propri poteri, procedendo come detto ad una valutazione di merito ed esprimendo un giudizio circa la colpevolezza degli imputati, anziché limitarsi ad accertare la sostenibilità dell'accusa in dibattimento.

Tale approccio metodologico errato si evincerebbe anche dalle espressioni utilizzate dal giudice a quo, che evocano per l'appunto la valutazione definitiva delle responsabilità degli imputati.

Il PG ricorrente, peraltro, rievocati in ricorso i principi fissati dalla giurisprudenza sulla posizione di garanzia rivestita, rispettivamente, dal legate rappresentante delle residenze sanitarie per anziani, dal direttore sanitario, dal responsabile infermieristico, dagli operatori socio-sanitari, con particolare riferimento agli obblighi di cui all'art. 40 cpv, comma 2, c.p. rileva come il legale rappresentante di Villa Silvia S.p.A., Gabriele C., così come i due operatori socio-sanitari di turno al piano in cui era ospitata la L. al momento dei fatti, D.J. Jose Reginald e B. Fioirjet, rivestissero una posizione di garanzia rispetto alla anziana ospite deceduta.

Ebbene, ci si duole, rispetto a questo punto, della mancata valutazione da parte del GUP dell'esistenza di tale posizione di garanzia, con conseguente assoluta non menzione nella motivazione, di due documenti essenziali ai fini del decidere presenti in atti, totalmente trascurati dal decidente: 1. il contratto di spedalità tra la struttura Villa Silvia S.p.A. e Artabano A. (per conto della di lui anziana madre), contratto che, tra le "condizioni di soggiorno", prevedeva a carico della struttura una "assistenza tutelare diurna e notturna che consiste nella cura della persona e nel fornire supporto ed assistenza nello svolgimento delle attività quotidiane ed aiuto nell'assunzione dei pasti"; 2. un documento interno della struttura (prodotto con memoria difensiva dal difensore dei due operatori) dal quale si ricava, senza dubbio alcuno, che i tre imputati erano a conoscenza della non autosufficienza motoria della L.

Di tutto ciò - si lamenta - il GUP non ha dato conto nella motivazione.

Si evidenzia che il 14 luglio 2014, per stessa ammissione dell'operatore D.J., la signora L. fu lasciata da sola sul terrazzo perlomeno per il tempo di 20 minuti, di per sé sufficiente alla concretizzazione del pericolo che sarebbe dovuto essere ben prevedibile da coloro che rivestivano una posizione di garanzia e che ben erano a conoscenza della necessità di una specifica protezione (di derivazione anche contrattuale) di quella non autosufficienza.

Appare opportuno per il PG ricorrente richiamare, a riprova della manifesta illogicità della motivazione, taluni brevi ma significativi passaggi, relativi a circostanze che avrebbero dovuto convincere il decidente circa l'opportunità della rimessione della vicenda alla fase dibattimentale, con la formazione della prova improntata al principio del contraddittorio, come costituzionalmente garantito:

1. "... Non è del resto trascurabile che all'origine della vicenda sia stata proprio l'esigenza rappresentata dalla L., ed assecondata dai familiari, di poter uscire in terrazzo anche per fumare..." (pag. 3 sentenza, sub 8);

2. "... è emerso che l'accompagnamento della anziana ospite sul terrazzo avveniva su espressa domanda della stessa e dei suoi familiari, tanto è vero che era stata richiesta la disponibilità di una camera singola prospiciente il terrazzo dove la L. si tratteneva" (pag. 4 sentenza, sub 9);

3. "... È innegabile che tale richiesta esuli dal contenuto tipico dell'assistenza e delle sue modalità concrete di esercizio, essendo intuibile che, a differenza di quanto accade nella stanza dove è disponibile il campanello per le emergenze, tale dispositivo non è presente nel terrazzo, né è previsto che debba essere colà installato..." (pag. 4 sentenza, sub 9);

4. "... Ciò posto, resta da chiarire se l'accompagnamento della signora - fatto, si ripete, di per sé consentito e anzi richiesto dalla stessa ospite che sotto questo profilo era idonea ad esprimere un valido consenso - sia stato attuato con modalità incongrue ovvero per un periodo tale da poter oggettivamente concretizzare uno stato di abbandono" (pag. 4 sentenza, sub 10).

Considerazioni, quelle da ultimo trascritte, che il PG ricorrente afferma essere in aperto conflitto con le risultanze delle indagini svolte dal competente nucleo specializzato (il richiamo è alle informative in data 11 dicembre 2015 ed in data 4 marzo 2016 dei N.A.S. di Bologna).

Il GUP - si lamenta in ricorso - si esprime circa l'idoneità dell'anziana donna ad esprimere "un valido consenso", quasi a voler evidenziare un evento di natura eccezionale, al di fuori di una normale prassi di vita quotidiana di una struttura per anziani, come se chiedere di potersi spostare una o due volte al giorno sul terrazzo, per giunta in periodo estivo, potesse dare luogo a prestazione estranea al contratto di spedalità.

A fronte delle responsabilità gravanti sul legale rappresentante e sugli operatori socio-sanitari della struttura, di certo al corrente della non autosufficienza motoria della anziana ospite, appare inequivoco per il ricorrente l'obbligo della sorveglianza (così come da contratto) per tutto il tempo durante il quale non era imprevedibile che la donna medesima potesse avere delle necessità ed essere bisognosa di tutela, quando, appunto, era sul balcone senza campanello e mentre iniziava a scatenarsi un temporale estivo.

La mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e la non corrispondenza degli argomenti svolti in sentenza ai criteri imposti dagli artt. 125 e 425 c.p.p. imporrebbero, perciò, l'annullamento del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati sono fondati e, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Bologna per l'ulteriore corso.

Ed invero, come lamenta il ricorrente, la sentenza impugnata non appare essere stata emessa nel rispetto della regola di giudizio di cui all'art. 425 c.p.p.

Fondato, in altri termini, è il rilievo che il giudice dell'udienza preliminare abbia esorbitato dai propri poteri, procedendo ad una valutazione di merito ed esprimendo, di fatto, un giudizio circa la colpevolezza degli imputati, anziché limitarsi ad accertare la sostenibilità dell'accusa in dibattimento.

2. Va ricordato, sul punto, il costante dictum di questa Corte di legittimità secondo cui il giudice dell'udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, a norma dell'art. 425, comma terzo, c.p.p., deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell'imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate (Sez. 2, n. 48831 del 14 novembre 2013, Maida, Rv. 257645; cfr. anche sez. 4, n. 26410 del 18 aprile 2007, Giganti ed altri, Rv. 236800; Sez. 3, n. 39401 del 21 marzo 2013, Narducci e altri, Rv. 256848; Sez. 6, n. 5049 del 27 novembre 2012, dep. il 2013, Cappello e altri, Rv. 254241; Sez. 5, n. 22864 del 15 maggio 2009, Giacomin, Rv. 244202).

Non pare condivisibile il dictum di altre pronunce, costituenti recente e minoritario orientamento, come Sez. 6 n. 33763/2015, che, pur cercando di rimanere nell'alveo della previsione normativa, ma non riuscendovi del tutto, hanno ritenuto di accentuare il potere del giudice dell'udienza preliminare ritenendo che lo stesso sia chiamato ad una valutazione di "effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell'accusa", eventualmente avvalendosi dei suoi poteri di integrazione delle indagini, e, all'esito, ove ritenga l'esistenza di una minima possibilità di colpevolezza dell'imputato, deve disporre il rinvio a giudizio dell'imputato, salvo che vi siano concrete ragioni per ritenere che il materiale individuato, o ragionevolmente acquisibile in dibattimento, non consenta in alcun modo di provare la sua colpevolezza (Sez. 6, n. 33763 del 30 aprile 2015, P.M. in proc. Quintavalle, Rv. 264427; conf. Sez. 6, n. 3726 del 29 settembre 2015 dep. il 2016, P.M. in Proc. Di Gaetano, Rv. 266132).

In realtà, anche tale orientamento non può ignorare che il discrimine tra la scelta del rinvio a giudizio e quella della sentenza di non luogo a procedere risiede nella valutazione che la prospettazione accusatoria sia suscettibile o meno di essere definitivamente provata in dibattimento (si parla di verificare l'esistenza di una minima possibilità di colpevolezza dell'imputato). Ciò che lo distingue rispetto al preferibile orientamento maggioritario è l'aggettivazione rispetto al materiale probatorio, laddove il richiedere al GUP di valutare "la effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell'accusa e la sua capacità di tenuta in dibattimento, essendo tale condizione necessaria a giustificare la sottoposizione al processo" (Sez. 6, n. 17951 del 13 ottobre 2015 dep. il 2016, P.M., P.C. in proc. Barone e altri, Rv. 267310; conf. Sez. 6, n. 7748 dell'11 novembre 2015 dep. il 2016, Pg in proc. D'Angelo, Rv. 266157) pare sottendere un'attività valutativa della prova che va oltre il ruolo di udienza-filtro proprio dell'udienza preliminare.

Pertanto, ad avviso del Collegio, va qui riaffermato e ribadito il principio per cui, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il criterio di valutazione per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza dell'imputato, ma l'inutilità del dibattimento, anche in presenza di elementi probatori contraddittori od insufficienti, conseguendone, come si dirà, che, in casi come quello che ci occupa, in cui si è di fronte a diverse ed opposte valutazioni tecniche, non spetta al GUP decidere quale perizia sia maggiormente attendibile, dovendo egli solo verificare se gli elementi acquisiti a carico dell'imputato risultino irrimediabilmente insufficienti o contraddittori, in ragione di eventuali manifeste incongruenze del contributo dell'esperto posto a sostegno dell'accusa o dell'errata piattaforma fattuale assunta ovvero della palese insipienza tecnica del metodo o dell'elaborazione (così la recente Sez. 4, n. 32574 del 12 luglio 2016, P.C. in proc. Trimarchi e altri, Rv. 267457 conf. Sez. 5, n. 54957 del 14 settembre 2016, P.M. in proc. Fernandez, Rv. 268629).

3. Tale impostazione deriva dalla considerazione che l'istituto dell'udienza preliminare, nella sua struttura fondamentale, è sostanzialmente rimasto immutato anche dopo le varie novelle (di cui alle leggi n. 105/1993 e n. 479/1999) che hanno fatto seguito al codice Vassalli del 1989.

È rimasta, infatti, la sua specifica funzione di filtro, per evitare inutili passaggi alla fase dibattimentale e, quindi, nei casi in cui il giudizio di proscioglimento sia ritenuto non superabile in dibattimento è possibile l'epilogo decisorio previsto dall'art. 425.

La norma è stata sottoposta al vaglio del giudice delle leggi, che ha avuto modo di evidenziare che "l'apprezzamento del merito che il giudice è chiamato a compiere all'esito della udienza preliminare non si sviluppa [...] secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o di innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se, nel caso di specie, risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento" (così Corte costituzionale, sentenza 15 marzo 1996, n. 71). E nel solco della pronuncia dei giudici costituzionali si è da tempo assestata la giurisprudenza di questa Suprema Corte subito dopo la riforma del 1999 (tra le tante, oltre a quelle citate in precedenza, Sez. 6, n. 42275 del 16 novembre 2001, Acampora, Rv. 221303; Sez. un. 30 ottobre 2002, n. 39915, Vottari, Rv. 222602). In tali pronunce si è specificato che il controllo in sede di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 deve mirare solo a verificare l'osservanza del criterio prognostico adottato dal GUP nell'escludere la sostenibilità dell'accusa in giudizio e nell'ambito della competenza propria della fase dell'udienza preliminare ovvero quella di procedere ad una "valutazione sommaria delle fonti di prova offerte dal P.M. e dalle parti" (tra le tante, Sez. 5 n. 15364 del 18 marzo 2010, Caradonna e altri, Rv. 246874; Sez. 6 n. 33921 del 17 luglio 2012, Rolla, Rv. 253127 e, più di recente, Sez. 2, n. 5669 del 28 gennaio 2014, Schiaffino e altri, Rv. 258211).

Occorre ulteriormente precisare che la valutazione del giudice dell'udienza preliminare non può prescindere da quella della rilevanza penale dei fatti come ascritti. Sul punto è costante, infatti, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità nel senso di ritenere che vada dichiarato immediatamente il proscioglimento (l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale, il non averlo l'imputato commesso) se ne risultano i presupposti dagli atti in modo incontrovertibile, tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. Necessita, in altri termini, che la prova dell'innocenza dell'imputato emerga "positivamente" dagli atti e senza necessità di ulteriori accertamenti (ex plurimis Sez. 6, n. 5438/2012, Rv. 252407, Tucci; Sez. un., n. 17179/2002, Conti, Rv. 221403; Sez. un., n. 35490/2009, Tettamanti, rv. 244273). E laddove tale accertamento sia possibile in udienza preliminare sulla base degli atti, il giudice deve emettere sentenza di non luogo a procedere, essendo superflua la fase dibattimentale. Né l'obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell'orizzonte prospettico del giudice rispetto all'epilogo decisionale, attraverso gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421-bis e 422-bis c.p.p., hanno attribuito al medesimo il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell'imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori (art. 425, comma 3) "è sempre e comunque diretta a determinare, all'esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell'accusa in giudizio e, con essa, l'effettiva, potenziale, utilità del dibattimento" (Sez. un., Sentenza n, 39915 del 30 ottobre 2002, Vottari). Ciò importa che ove in seno all'udienza preliminare emergano prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all'assoluzione dell'imputato, il proscioglimento deve essere pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti (Sez. 4, n. 43483 del 6 ottobre 2009, Pontessilli, Rv. 245464).

4. Orbene, precisati i principi giuridici di riferimento cui il Collegio ritiene di attenersi, nel caso in esame il GUP bolognese, effettivamente, va oltre quelli che sono i limiti dell'udienza preliminare e, con una sentenza, peraltro scarna, che non dà conto in maniera adeguata dell'intero compendio probatorio acquisito, si spinge sul terreno della sussistenza o meno del reato e della colpevolezza degli imputati.

Fondatamente il PG ricorrente rileva che tale approccio metodologico errato si evince anche dalle espressioni utilizzate dal giudice, che evocano per l'appunto la valutazione definitiva delle responsabilità degli imputati. Così, ad esempio, al punto 13 della sentenza impugnata ove si legge: "... è da escludere che nella condotta del D.J. siano ravvisabili profili di negligenza. Alle medesime conclusioni, si direbbe a fortiori, deve pervenirsi per la B., che si è limitata a soccorrere la L. una volta appreso della sua caduta. Per le stesse ragioni debbono escludersi profili di negligenza in capo al Cesari, posto che non sono rilevabili deficit assistenziali imputabili all'organizzazione della struttura". O, ancora, al punto 9 della motivazione (ff. 3-4 sentenza): "In realtà, il tema di decisione verte sui limiti di continuità assistenziale che si assumono violati da parte del legale rappresentante da un lato e dei due operatori dall'altro, ed in particolare se fosse configurabile un obbligo di assistenza e vigilanza nei confronti della anziana donna anche nei brevi periodi nei quali la stessa, su sua richiesta, si trovava in terrazzo a fumare". Ed ancora: "Non sono infatti in discussione né la congruità dell'assistenza prestata alla L., né l'inosservanza del previsto rapporto tra pazienti ospitati e personale in servizio (1:10)".

Risalta subito una contraddizione letterale della motivazione, laddove dapprima si afferma che debba essere valutata la configurabilità di un obbligo gravante sul legale rappresentante e sui due operatori, di assistenza e vigilanza nei riguardi della anziana ospite (non autosufficiente) anche quando non era nella stanza, per poi sostenere come indiscussa la congruità dell'assistenza.

Come ricordato, in tutte le pronunce di legittimità in materia, si evidenzia che l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi legittimanti una sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p., devono avere caratteristiche tali da non poter ritenersi ragionevolmente superabili in giudizio, derivandone che il giudice dell'udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito.

Ebbene, questa non appare essere la situazione che si desume dal tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, un cui esame approfondito ne rende palese gli elementi di assoluta contraddittorietà.

Fondato, appare, anche il rilievo del PG ricorrente della mancata valutazione da parte del GUP, con conseguente assoluta non menzione nella motivazione, di due documenti essenziali ai fini del decidere presenti in atti, totalmente trascurati dal decidente: 1. il contratto di spedalità tra la struttura Villa Silvia S.p.A. e il sig. Artabano A. (per conto della di lui anziana madre), contratto che, tra le "condizioni di soggiorno", la Pubblica Accusa aveva sottolineato prevedere a carico della struttura una "assistenza tutelare diurna e notturna che consiste nella cura della persona e nel fornire supporto ed assistenza nello svolgimento delle attività quotidiane ed aiuto nell'assunzione dei pasti"; 2. il documento interno della struttura (prodotto con memoria difensiva dal difensore dei due operatori) dal quale si ricava, senza dubbio alcuno, che i tre imputati erano a conoscenza della non autosufficienza motoria della L.

I punti focali su cui la sentenza appare evasiva - e di cui dovranno essere valutati i possibili sviluppi dibattimentali - è:

1. se sussistessero e in caso positivo in che modo, al momento dell'ingresso dell'anziana persona offesa, sia l'amministrazione della struttura sanitaria, che il relativo personale sanitario, ne fossero stati informati ed avvertiti delle precarie condizioni motorie, in particolare a livello degli arti inferiori;

2. se la L. palesasse una situazione per cui gli spostamenti, anche minimi, durante la permanenza nella struttura, necessitavano di assistenza continuativa e di vigile controllo;

3. se, come parrebbe desumersi dall'allegata "movimentazione giornaliera del 14 luglio 2014" prodotta dalla difesa di D.J. e B. in allegato a memoria difensiva a seguito di chiusura delle indagini e dalle foto in atti, la L. fosse stata classificata dalla amministrazione della struttura come non autosufficiente e se detta documentazione fosse nella disponibilità degli operatori socio-sanitari;

4. se e quanto tempo, il 14 luglio 2014, la L., dopo essere stata accompagnata dal personale della struttura sanitaria sul terrazzo della propria camera, come avveniva quotidianamente, per consumare il pranzo, leggere il giornale e fumare una sigaretta, venne lasciata sola; e in relazione a ciò se fosse stata predisposta qualche cautela specifica, laddove pare acclarato che il terrazzo non presentasse dispositivi di sicurezza o possibilità di chiamare, se la porta della camera lasciata fosse chiusa o aperta, se risulti o possa risultare da un approfondimento dibattimentale se, allorquando la stessa, essendo nel frattempo venuto a piovere, aveva deciso di rientrare, avesse o meno, come si assume, ripetutamente cercato di chiamare, inutilmente, un operatore sanitario.

Il GIP bolognese ha esaminato, in parte, le risultanze probatorie in atti circa tali evenienze, ma lo ha fatto entrando nel merito, pronunciando la sentenza di non luogo a procedere, mentre doveva valutare la prevedibile possibilità o meno che in dibattimento si potesse, invece, pervenire ad una diversa soluzione. E, va ribadito, doveva dar conto che l'eventuale insufficienza e la contraddittorietà degli elementi che legittimano la pronunzia della sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425, comma 3, c.p.p. avesse caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 33921 del 17 luglio 2012, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127).

L'esistenza di un quadro probatorio non univoco, per la contraddittorietà degli elementi che vanno a comporlo o per la loro incompiutezza non può giustificare la sentenza di non luogo a procedere se non quando sia ragionevolmente prevedibile che gli stessi siano destinati a rimanere tali all'esito del giudizio (in tal senso, ex multis, Sez. 4, n. 47169 dell'8 novembre 2007, P.C. in proc. Castellano e altro, Rv. 238251; Sez. 2, n. 35178 del 3 luglio 2008, P.M. in proc. Trunetti, Rv. 242092; Sez. 6, n. 33921 del 17 luglio 2012, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127).

In definitiva, è esattamente questo il canone sul quale la giurisprudenza di questa Corte di legittimità richiama da sempre l'attenzione: valutare se la presenza di fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni valutative possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, senza operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al giudice naturale (Sez. 6, n. 6765 del 24 gennaio 2014, Pmt in proc. Luchi e altri, Rv. 258806).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Bologna.

Depositata l'11 gennaio 2018.