Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 19 dicembre 2017, n. 14503

Presidente: Paoloni - Estensore: Silvestri

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, all'esito dell'udienza di convalida del fermo di indiziato di reato, disponeva nei confronti di M. El Mostapha la misura della custodia in carcere in relazione al reato di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e rigettava la domanda cautelare quanto ai reati previsti dagli artt. 81, 270-bis, 302, commi 1-2, c.p., 1, 2 e 3 l. 25 giugno 1993, n. 205, e 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.

2. A M. El Mostapha era stato contestato:

- di aver aderito all'organizzazione terroristica denominata IS/Stato islamico e di aver svolto, nei confronti di connazionali, reiterata attività di istigazione alla commissione di delitti con finalità di terrorismo, con particolare riferimento all'art. 270-bis cod. proc. [recte: c.p. - n.d.r.] (capo a);

- di avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, da solo ed in concorso con il fratello M. Mouloud e con P. Mattia, ceduto, offerto e messo in vendita vari quantitativi di sostanza stupefacente di tipo diverso (cocaina ed hashish - Capo b).

3. Il Tribunale della libertà, in accoglimento parziale dell'appello del Pubblico Ministero, ha applicato la misura cautelare - quanto al capo b) - "anche" per il delitto di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 ed ha rigettato l'impugnazione del P.M. quanto al capo a).

4. Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, per il capo a), ed il difensore dell'indagato, in relazione all'estensione del titolo cautelare per il capo b) dell'imputazione provvisoria.

5. Il Pubblico Ministero ha articolato un unico motivo di ricorso con cui si lamenta vizio di motivazione.

Si sostiene che l'ordinanza sarebbe viziata perché il Tribunale, dopo aver enunciato alcuni principi di diritto, avrebbe compiuto una scorretta valutazione degli elementi indiziari, sminuendo e interpretando in maniera riduttiva il contenuto di numerose conversazioni intercettate ed omettendo di considerare probatoriamente le numerose dichiarazioni assunte nel corso del procedimento.

Si rivisita l'affermazione del Tribunale secondo cui, quanto alla istigazione ed alla condivisione apologetica delle azioni terroristiche dello Stato islamico, l'indagato non avrebbe mai sostenuto e propagandato quella interpretazione oltranzista dei precetti ide[o]logici-religiosi che sarebbe, invece, propria di coloro che rivendicano e recepiscono le azioni terroristiche; si aggiunge che non sarebbero stati correttamente valutati una serie di elementi indiziari, inferibili da alcune conversazioni, in cui l'indagato, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, avrebbe invece chiaramente inneggiato e sostenuto il ricorso a metodi di lotta violenta, che prevedono, anche il compimento di atti estremi, quali il martirio.

Quanto alla contiguità dell'indagato all'Isis, la motivazione sarebbe viziata per avere ingiustificatamente non attribuito rilievo ad alcune dichiarazioni aventi chiaro significato indiziario.

6. Il difensore dell'indagato, quanto al capo b), ha invece articolato tre motivi.

6.1. Con il primo si lamenta violazione di legge, erronea applicazione di norme processuali previste a pena di nullità, inutilizzabilità e vizio di motivazione; il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare assertivamente il contenuto di alcune conversazioni senza tuttavia indicare gli elementi concreti da cui inferire i gravi indizi di colpevolezza.

6.2. Con il secondo ed il terzo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari; l'ordinanza sarebbe viziata per avere il Tribunale dell'appello fondato il giudizio di pericolosità solo sulla entità della pena che potrebbe essere inflitta, omettendo ogni valutazione sulla adeguatezza della misura disposta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono fondati.

2. Sul ricorso del Pubblico Ministero.

Quanto al capo a), secondo il Tribunale non vi sarebbero gravi indizi di colpevolezza in quanto dagli atti di indagine sarebbe sì emersa una "profonda e fanatica convinzione" da parte dell'indagato sulla necessità di dedicare la gran parte del proprio tempo allo studio del Corano e delle altre scritture islamiche, ma non sarebbe tuttavia ravvisabile un comportamento che "concretamente e fattivamente contribuisce a rafforzare l'operatività dell'organizzazione criminale denominata Isis".

Il giudizio di insussistenza della gravità indiziaria è stato formulato dopo aver descritto gli elementi di indagine posti a fondamento della impugnazione cautelare.

Si è innanzitutto chiarito nell'ordinanza che la richiesta cautelare del Pubblico Ministero era stata articolata sulla base del contenuto di una serie di conversazioni, tenute dall'indagato all'interno della propria abitazione ovvero per telefono, da cui sarebbe emerso che M. El Mostapha avrebbe fatto, in più occasioni, espresso riferimento alla intenzione di recarsi in Siria per unirsi a coloro che combattono sul territorio in nome dell'organizzazione terroristica Isis (conv. n. 136 del 10 ottobre 2016; conv. n. 2967 del 14 novembre 2016; conv. n. 1016 del 24 gennaio 2017 e n. 2960 del 24 gennaio 2017).

Si è evidenziato come nell'atto di appello il Pubblico Ministero avesse fondato la tesi accusatoria su un assunto costitutivo: l'indagato sarebbe entrato in contatto con persone intranee al circuito islamista nel lungo periodo di detenzione sofferto in Marocco ed in tale contesto avrebbe aderito all'Isis.

In particolare, la tesi accusatoria sarebbe fondata, da una parte, su quanto affermato dallo stesso indagato in numerose conversazioni intercettate (n. 1300 e 136 del 10 ottobre 2016, la n. 1620 del 19 ottobre 2016, la n. 2157 e la n. 2158 dell'8 febbraio 2017) e, dall'altra, dal contenuto di alcune dichiarazioni rese anche da soggetti terzi rispetto ai fatti oggetto del procedimento.

Il Tribunale ha puntualmente specificato come il Pubblico Ministero avesse valorizzato:

1) il contenuto delle dichiarazioni rese dal fratello dell'indagato, che aveva spiegato il processo di radicalizzazione intrapreso da M. durante la detenzione;

2) la circostanza che l'indagato, dopo la scarcerazione, avesse deciso di recarsi in Siria per combattere, salvo poi proseguire il viaggio verso l'Italia a seguito dell'arresto subito in Turchia (conv. n. 136 del 21 novembre 2016);

3) il rapporto di conoscenza tra l'indagato e, da una parte, tale E.O. Kalid, appartenente alla cellula terroristica affiliata all'Isis smantellata nel corso di una operazione di Polizia in Marocco dell'11 dicembre 2015 (cfr., conv. n. 1620 del 19 ottobre 2016) e, dall'altra, altri soggetti combattenti, votati al martirio (conv. n. 2157-2158 dell'8 febbraio 2017 e n. 2960 del 19 marzo 2017);

4) i rapporti tra l'indagato ed alcune donne; M. aveva proposto loro il matrimonio dopo aver spiegato l'importanza di un comportamento strettamente osservante dei precetti della fede islamica, compreso quelli relativa all'obbedienza armata, ed avrebbe prospettato ad una di esse la possibilità di recarsi con lui in Siria a combattere;

5) le condotte di istigazione rivolte a numerosi soggetti volte a commettere delitti di terrorismo ed a diffondere idee di odio religioso verso i cristiani ebrei ed i mussulmani che non rispettano in modo rigoroso i precetti del Corano (conv. n. 1291 del 10 ottobre 2016; n. 174 del 12 ottobre 2016; n. 746 del 29 novembre 2016; n. 4840 del 12 dicembre 2016; n. 1016 del 24 gennaio 2017; n. 4520 del 24 marzo 2017);

6) le reazioni e le manifestazioni, anche pubbliche, di giubilo tenute dall'indagato dopo gli attentati terroristici compiuti a Nizza (14 luglio 2016), a Berlino (19 dicembre 2016), a Londra (22 marzo 206);

7) la disponibilità a compiere atti terroristici (conv. n. 5518 del 20 dicembre 2016 e n. 4465 del 22 marzo 2017) ed a spostarsi nei territori di combattimento dell'Isis;

8) gli esiti della perquisizione eseguita, al momento del fermo di M., all'interno del telefono cellulare di questi, in cui furono trovate immagini di guerra e di combattenti dell'Isis;

9) la reazione stizzita dell'indagato, nel corso di una conversazione telefonica con una donna, allorché questa pronunciò la parola "Daesch" (conv. n. 1620 del 19 ottobre 2016).

Quanto alle fonti dichiarative, lo stesso Tribunale ha fatto riferimento alle dichiarazioni rese da:

1) B. Salah, amico di M. El Mostapha che aveva riferito: a) della contiguità di quest'ultimo con una cellula terroristica attiva in Marocco; b) del viaggio compiuto dall'indagato verso la Turchia dove era stato arrestato; c) delle ragioni per le quali l'indagato aveva deciso di allontanarsi dal Marocco, sostanzialmente legate al timore di essere fermato dopo gli arresti di alcuni suoi amici "in quanto legati al Daesch"; d) dell'opera di proselitismo compiuta da M. El Mostapha;

2) da T. Kalid che aveva pure riferito dei contatti tra l'indagato e soggetti presenti sul territorio siro-iracheno, appartenenti a gruppi jihadisti.

3. A fronte di tale articolato quadro di riferimento, il Tribunale della libertà ha ritenuto, come detto, che nel caso di specie non sarebbero ravvisabili i gravi indizi della condotta partecipativa, atteso che:

a) dalla conversazione n. 136, valorizzata in chiave accusatoria, non si coglierebbe alcun concreto riferimento alla volontà dell'indagato di recarsi in Siria;

b) dalla conversazione n. 2963, pure valorizzata in chiave accusatoria e di cui si è già riferito, l'indagato si sarebbe limitato a spiegare alla sua interlocutrice, che, uscito dal carcere in Marocco, egli era stato costretto a percorrere la rotta balcanica per raggiungere l'Italia, senza tuttavia fare riferimento al proposito di recarsi in Siria e ribadendo comunque l'intenzione di tornare in Marocco;

c) dalla breve frequentazione detentiva in Marocco dell'indagato con E.O. Kalid, arrestato perché sospettato di far parte di una cellula terroristica, non sarebbe possibile desumere l'avvenuta adesione all'Isis;

d) nella conversazione n. 1620 (in cui, come detto, l'indagato, parlando con una donna, ebbe una reazione stizzita allorché la sua interlocutrice pronunciò la parola "Daesch") M. negò di far parte dell'Isis (in tal senso si valorizza anche la conversazione n. 5514 del 20 dicembre 2016, intercorsa con una donna).

Anche le conversazioni n. 2963, 2966 e 2967, dimostrative - secondo il Pubblico Ministero - dell'intenzione dell'indagato di recarsi in Siria, a dire del Tribunale potrebbero invece essere interpretate in modo alternativo "come una manifestazione di nostalgica sofferenza per non aver sposato la donna ed aver deciso di raggiungere l'Italia, partendo dal Marocco con la morte nel cuore" (pag. 8 ordinanza impugnata).

Non diversamente, secondo il Tribunale: a) le manifestazioni di adesione compiute in occasione della diffusione delle notizie relative ad attentati terroristici sarebbero prive di valenza apologetica; b) l'affermazione contenuta nella conversazione n. 1016, in cui l'indagato avrebbe manifestato l'intenzione di recarsi in Siria, avrebbe in realtà un tono non serio; c) i commenti sulle vicende della guerra in corso in Siria si inserirebbero nell'ambito di conversazioni riguardanti la religione islamica; d) i filmati trovati all'interno del telefono cellulare confermerebbero solo la fede integralista dell'indagato.

4. In tale articolato quadro deve quindi essere valutato il ricorso del Pubblico Ministero che ha sostanzialmente contestato: a) il modo con cui il Tribunale ha proceduto al vaglio del compendio indiziario; b) la valutazione parcellizzata dei singoli elementi indiziari; c) la omessa valutazione delle fonti dichiarative.

5. Il motivo è fondato.

Si coglie in giurisprudenza una tendenza ad allargare l'ambito applicativo del reato di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo.

La ragione di tale tendenza è normalmente rinvenuta nella esigenza di adeguare in termini di efficienza ed effettività la risposta penale a condotte, comportamenti, azioni compiute da nuclei terroristici strutturati "a cellula" o "a rete", che sono in grado di operare a distanza attraverso elementari organizzazioni di uomini e mezzi, facendo rientrare, in tale contesto, anche l'operato di coloro che, per la totale autonomia organizzativa, sono comunemente definiti "lupi solitari".

La pericolosità di tali nuovi fenomeni di terrorismo, riconducibili ad organizzazioni sostanzialmente militari con localizzazione centrale all'estero, è stata fronteggiata con plurimi interventi normativi che hanno implicato la necessità di doversi cimentare con nuove questioni di diritto penale, derivanti dall'introduzione di nuove fattispecie incriminatrici di comportamenti prodromici e finalizzate ad attribuire rilevanza al proselitismo, alla preparazione, al supporto ed al finanziamento delle azioni delle organizzazioni coinvolte.

Si è assistito ad una progressiva anticipazione della soglia della rilevanza penale, anche della condotta di "partecipazione", con conseguente corrispettiva anticipazione, sul piano processuale, del momento d'inizio delle indagini e della applicazione di misure cautelari.

A ciò è conseguita, in dottrina ma anche nella giurisprudenza, una diffusa operazione di elaborazione, di riflessione e di adattamento di alcuni principi, per molto tempo affermati.

6. Le più recenti pronunce di legittimità sulla configurabilità del reato di cui all'art. 270-bis, comma 2, c.p. richiamano principi giuridici consolidati in tema di reato associativo, reinterpretandoli, tuttavia, in modo, almeno in parte, nuovo e, soprattutto, "elastico" in ragione della necessità di adattarli e conformarli alle nuove manifestazioni criminali; si valorizzano, al fine della configurazione della "partecipazione" all'associazione terroristica, condotte di mera propaganda, di proselitismo o arruolamento, purché supportate dall'adesione psicologica al programma criminoso dell'associazione medesima.

È obiettivamente avvertito il rischio che dall'ampliamento dell'ambito applicativo della condotta partecipativa derivi uno svuotamento, una limitazione, una compressione del controllo giurisdizionale della necessaria ed effettiva materialità della stessa e della sua concreta incidenza causale in ordine alla realizzazione della finalità perseguita nel programma criminoso dell'associazione.

Tale rischio si rivela concretamente e si coglie ove si consideri la parallela elaborazione giurisprudenziale in tema di partecipazione in associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis, comma 1, c.p.) e di concorso esterno nella associazione medesima, nel cui contesto è invece diffusa l'affermazione secondo cui "si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa, non solo è ma fa parte della (meglio ancora: prende parte alla) stessa: locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all'effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l'associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima" (Sez. un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231673).

6.1. La questione è oltremodo complessa perché, come sottolineato in dottrina, involge anche il rapporto tra condotta di partecipazione e le altre numerose condotte di sostanziale agevolazione dell'associazione terroristica ed attiene al come la progressiva, tendenziale, a volte sommersa, smaterializzazione della condotta di partecipazione si coniughi con la incriminazioni delle singole condotte di "agevolazione".

7. Non potendo la condotta di partecipazione consistere in una mera adesione psicologica al programma criminale dell'associazione, essa presuppone il rigoroso accertamento: a) della esistenza e della effettiva capacità operativa di una struttura criminale, su cui si innesta il contributo partecipativo; b) della consistenza materiale della condotta individuale ovvero del contributo prestato, che non può essere smaterializzato, meramente soggettivizzato, limitato alla idea eversiva, privo di valenza causale ovvero ignoto all'associazione terroristica alla cui attuazione del programma criminoso si intende contribuire.

Si tratta di snodi fondamentali che non possono discendere sul piano probatorio da accertamenti sincopati o sbrigativi.

7.1. Quanto al primo profilo, è consolidata nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui l'idea, anche se di natura eversiva, se non accompagnata da programmi e comportamenti violenti, riceve tutela proprio dall'assetto costituzionale, che ha consacrato il metodo democratico e pluralistico e che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere (Sez. 1, n. 8952 del 7 aprile 1987, Angelini, Rv. 176516).

Tale principio è stato riaffermato più recentemente dalla Corte di cassazione; si è ribadito che il reato previsto dall'art. 270-bis c.p. è un reato di pericolo presunto, per la cui configurabilità occorre, tuttavia, l'esistenza di una struttura organizzata, con un programma - comune fra i partecipanti - finalizzato a sovvertire violentemente l'ordinamento dello Stato e accompagnato da progetti concreti e attuali di consumazione di atti di violenza: con la conseguenza che la semplice idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti e attuali di violenza, non vale a realizzare il reato (Sez. 1, n. 22719 del 22 marzo 2013, Lo Turco, Rv. 256489; Sez. 1, n. 30824 del 15 giugno 2006, Tartag, Rv. 234182; Sez. 1, n. 1072 dell'11 ottobre 2006, Bouyahia Maher, Rv. 235289).

Dunque, è necessaria una condotta del singolo che si innesti in una struttura organizzata, anche elementare, che presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l'attuazione del programma criminoso, mentre non è necessaria anche la predisposizione di un programma di concrete azioni terroristiche (Sez. 5, n. 2651 dell'8 ottobre 2015, (dep. 2016), Nasr Osama, Rv. 265924; nello stesso senso, Sez. 6, n. 46308 del 12 luglio 2012, Chahchoub, Rv. 253943).

8. Quanto al secondo dei profili indicati, occorre considerare che un fenomeno obiettivamente complesso e disarticolato, in cui ogni individuo può da sé commettere attentati in ragione della volontà di dare attuazione al programma di un'organizzazione terroristica, pone la difficoltà nell'individuazione del limite inferiore a partire dal quale possa dirsi che un soggetto - che pure compie atti che possono coincidere con quelli attuativi del programma di un'associazione con finalità di terrorismo - "partecipa" alla stessa, ai sensi dell'art. 270-bis, comma 2, c.p.

Sul tema è utile considerare che, dimostrata l'esistenza di una associazione per delinquere e individuati gli elementi concreti, sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno nelle attività dell'associazione stessa, e quindi la partecipazione alla vita di quest'ultima, non occorre anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto da quel medesimo soggetto nell'ambito dell'associazione, potendosi la partecipazione al sodalizio criminoso, per sua stessa natura, realizzarsi nei modi più svariati, con una condotta libera, la cui specificazione non è richiesta dalla norma incriminatrice (in tal senso, Sez. 2, n. 43632 del 28 settembre 2016, Capuano, Rv. 268317).

Con riferimento a strutture organizzative "cellulari" o "a rete", flessibili, che, come detto, possono operare in più paesi contestualmente, in tempi diversi e attraverso contatti a loro volta sparuti, sommersi, ovvero attraverso la rete, si è affermato che la fattispecie associativa è integrata anche da «un sodalizio che realizza condotte di supporto all'azione terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali, quali quelle volte al proselitismo, alla diffusione di documenti di propaganda, all'assistenza agli associati, al finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di armi, alla predisposizione o acquisizione di documenti falsi, all'arruolamento, all'addestramento, ossia a tutte quelle attività funzionali all'azione terroristica, alcune delle quali integranti anche fattispecie delittuose autonome» (Sez. 6, n. 46308 del 12 luglio 2012, Chahchoub, Rv. 253944).

Non diversamente, quanto alla prova della "partecipazione" all'associazione con finalità di terrorismo, Sez. 2, n. 25452 del 21 febbraio 2017, Beniamino, Rv. 270171 ha precisato che la dichiarazione di responsabilità penale presuppone la dimostrazione dell'effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte sintomatiche consistenti anche solo nello svolgimento di attività preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure nell'assunzione di un ruolo concreto nell'organigramma criminale. Ne segue che la partecipazione può concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell'associazione che, tuttavia, inequivocamente rivelino l'inserimento di un soggetto nell'organizzazione.

9. La questione allora attiene al quando è possibile affermare che sia stata raggiunta la prova dell'effettivo inserimento del singolo nella struttura associativa, e, in particolar modo, dell'associazione internazionale.

In tale contesto si colloca Sez. 5, n. 48001 del 14 luglio 2016, Hosni, Rv. 268164.

La Corte di cassazione ha chiarito che l'attività di indottrinamento, finalizzata ad indurre nei destinatari una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa, non consente di ravvisare quegli atti di violenza terroristica o eversiva il cui compimento, per quanto detto, deve costituire specifico oggetto dell'associazione in esame.

Si è notato come in passato la stessa giurisprudenza di legittimità avesse sì attribuito significatività, ai fini della ravvisabilità del reato, alla c.d. "vocazione al martirio" ma ciò, tuttavia, ai limitati fini della valutazione sulla sussistenza di gravi indizi per l'adozione di misure cautelari nei confronti del singolo partecipante ad una cellula terroristica, della quale sia stata aliunde riconosciuta l'effettiva operatività (Sez. 2, n. 669 del 21 dicembre 2004, (dep. 2005), Ragoubi, Rv. 230431), e, comunque, a condizione che le attività di indottrinamento e reclutamento siano affiancate da quella di addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento (Sez. 6, n. 46308 del 12 luglio 2012, cit.) in modo da attribuire all'esaltazione della morte, in nome della guerra santa contro gli infedeli, caratteristiche di materialità che realizzino la condizione per la quale possa dirsi che l'associazione, secondo il dettato normativo già ricordato, «si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo».

Con lucidità si è specificato che, al fine di accertare l'adesione al programma criminoso al di là della semplice condivisione ideologica, possono costituire, soprattutto in fase cautelare, elementi rilevanti anche i propositi eversivi degli aderenti, espressi con reiterate manifestazioni di disponibilità a partire per "fare jihad", a condizione che detti propositi non siano astratti, cioè espressione di un'aspirazione personale o di una condivisione ideologica, quanto, piuttosto, sorretti da elementi concreti che rivelino l'esistenza di un contatto operativo reale tra il singolo e la "struttura" che consenta di tradurre in pratica i propositi di morte.

10. Dunque, i propositi di partire per combattere "gli infedeli", la vocazione al martirio, l'opera di indottrinamento possono costituire elementi da cui desumere, quantomeno in fase cautelare, i gravi indizi di colpevolezza per il reato di "partecipazione" all'associazione di cui all'art. 270-bis c.p. a condizione che vi siano elementi concreti che rivelino l'esistenza di un contatto operativo che consenta di tradurre in pratica i propositi di morte.

È necessario che la condotta del singolo si innesti nella struttura, cioè che esista un legame, anche flessibile, ma concreto e consapevole tra la struttura e il singolo.

Non paiono condivisibili costruzioni giuridiche che, ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione, ritengono sufficiente l'adesione del singolo a proposte in incertam personam - quelle del sodalizio internazionale - anche nel caso in cui l'adesione non sia accompagnata dalla necessaria conoscenza, anche solo indiretta, mediata, riflessa, di essa da parte della "struttura" internazionale.

Per configurare la partecipazione alla associazione internazionale con finalità di terrorismo, è necessario che questa, anche indirettamente, sappia di avere a disposizione, di "poter contare" su un determinato soggetto.

Esiste, anche nella giurisprudenza di legittimità, una tendenza invece a valorizzare l'assunto secondo cui la modalità di creazione "dell'affectio societatis" tra i sodali della singola cellula e la struttura internazionale terroristica ISIS "è essa stessa peculiare, influenzata da una propaganda di adesione improntata ad un modello spontaneista e privo di formalismi, spesso avulso da qualsiasi contatto fisico tra soggetti che siano esponenti riconosciuti dell'organizzazione terroristica islamistica di riferimento e persone aderenti ai gruppi o cellule che compiono poi gli attentati" (Sez. 5, n. 50189 del 13 luglio 2017, Bakaj, Bakaj, Rv. 271647 così massimata "la partecipazione ad una associazione terroristica di ispirazione jiahadista può manifestarsi anche attraverso modalità di adesione "aperte" e spontaneistiche, che non implicano l'accettazione da parte del gruppo, ma che comportano di fatto una inclusione progressiva dei partecipi. (Fattispecie in cui si è ritenuta partecipe dell'associazione terroristica una "cellula" operativa autonoma composta di più soggetti attivi sul territorio italiano)";

E tuttavia, se è certamente vero che l'Isis e, in generale, le moderne organizzazioni terroristiche di matrice islamica radicale, propongono una formula di adesione alla struttura sociale che può definirsi "aperta" e "in progress", sempre disponibile ad accogliere le vocazioni criminali provenienti da singoli e gruppi, è altrettanto vero che ciò che deve essere verificato è se, alla stregua delle singolarità del caso concreto e, soprattutto, delle condotte prodromiche poste in essere da chi si assume essere "partecipe", siano individuabili in concreto contatti con associazioni criminose terroristiche internazionali e se tali contatti costituiscano espressione della concretizzazione del proposito del singolo di attuare azioni delittuose strumentali al perseguimento del programma del gruppo internazionale.

Dalla prova della partecipazione ad un gruppo che opera sul territorio nazionale con finalità di terrorismo non discende automaticamente la prova della partecipazione all'associazione internazionale (in senso diverso, Sez. 5, n. 50189 del 13 luglio 2017, Bakaj, cit.).

Diversamente, si rischia di considerare "partecipi" all'associazione internazionale Isis anche coloro che con lo Stato Islamico non hanno nessun contatto - la cui esistenza è ignota al gruppo "madre" - i cui rapporti con questa sono limitati alla mera condivisione di informazioni mediante i più diffusi social-network; la "partecipazione" all'associazione internazionale non può prescindere dalla esistenza di un contatto reale, non putativo, non eventuale, non meramente interiore, con chi a quella associazione è stabilmente legato perché partecipe della cellula madre.

In astratto, la chiamata al jihad può essere onorata anche attraverso condotte individuali, autonome e scisse da ogni contatto, anche solo informativo, con qualsiasi struttura ovvero sulla base di un gruppo che opera sul territorio ma che, tuttavia, non abbia rapporti con quello "madre" internazionale; in tale ultimo caso si può in astratto configurare la partecipazione, ai sensi dell'art. 270-bis c.p., ad una organizzazione con finalità di terrorismo, quella - per così dire - "locale", ma da tale partecipazione non può farsi discendere automaticamente la partecipazione all'associazione internazionale Isis, in assenza di accertamenti ulteriori.

Si è affermato condivisibilmente in dottrina che la legge penale non può che limitarsi a punire la partecipazione alle associazioni criminali, poiché sono queste ultime, in base come operano, a stabilire il quomodo della partecipazione; ma si deve comunque adottare un criterio valutativo che rispetti le esigenze di coerenza intrasistematica e l'architettura fondante della teoria del reato associativo.

11. Dunque, una struttura organizzata, anche se elementare ed una condotta materiale, diversa dalla mera adesione psicologica o ideologica al programma criminale, che presupponga la dimostrazione di un inserimento nella struttura organizzata, anche attraverso il compimento di condotte sintomatiche.

Non occorre uno stabile inserimento nell'apparato dell'associazione, né l'attribuzione di specifiche funzioni: per partecipare e rafforzare una siffatta associazione è sufficiente che il partecipe si metta "a disposizione" della "rete" per attuare il disegno terroristico, che questa sappia dei progetti criminosi.

12. Il Tribunale della libertà non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati e ha rigettato l'appello del Pubblico ministero attraverso una motivazione gravemente viziata.

È consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. un., n. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 4 ottobre 2016, D'Andrea, Rv. 268389).

Rispetto al quadro indiziario descritto dallo stesso Tribunale, sono fondati gli assunti del Pubblico Ministero: la valutazione di numerose conversazioni intercettate è caratterizzata da una interpretazione irragionevole perché parziale in quanto non ha tenuto conto delle dichiarazioni assunte nel corso del procedimento.

Non è chiara la ragione per cui il dialogo intervenuto il 24 gennaio 2017 (conv. n. 1016) tra l'indagato e tale O., in cui, secondo gli stessi assunti del Tribunale, pure emergerebbe la volontà dell'indagato di recarsi in Siria per rispondere al Jihad, avrebbe in realtà una valenza scherzosa.

Quella del Tribunale è un'affermazione da cui emerge la omessa valutazione sul piano probatorio di un tema costitutivo del procedimento, quello relativo al se l'indagato fosse effettivamente in contatto con persone intranee al circuito islamista, con le quali aveva instaurato rapporti a seguito del periodo di detenzione sofferto con essi in Marocco.

Si tratta di un tema di assoluto rilievo, alla luce dei principi [di] diritto enunciati, la cui esistenza si evince non solo dalle conversazioni intercettate, ma, soprattutto, dalle dichiarazioni rese da B. Salah, amico dell'indagato, che aveva riferito della contiguità di quest'ultimo con i componenti di una cellula terroristica attiva in Marocco, del viaggio compiuto dall'indagato in Turchia - dove era stato arrestato -, dell'opera di proselitismo; non diversamente, nessuna considerazione è stata data alle dichiarazioni di T. Kalid che, a sua volta, aveva fatto riferimento ai contatti dell'indagato con soggetti presenti sul territorio siro-iracheno, appartenenti a gruppi jihadisti, o, ancora, a quelle di B. Hind che aveva riferito espressamente, seppure per averlo appreso dall'indagato, dei rapporti di questi con soggetti operativi sui territori ed "appartenenti ad un gruppo del quale non mi ha fatto il nome".

Sulle dichiarazioni in questione nessuna valutazione è stata fornita, non è stato spiegato perché quanto riferito sarebbe inattendibile, perché dette dichiarazioni non dovrebbero colorare sul piano indiziario il contenuto di quelle conversazioni, sbrigativamente considerate priva di valenza probatoria perché scherzose.

Rispetto a tale rilevante tema di prova, la motivazione è strutturalmente assente, essendosi il Tribunale limitato ad affermare a pag. 11 del provvedimento che "anche dalle dichiarazioni ... emerge che gli interlocutori dell'indagato hanno sempre decisamente manifestato allo stesso ... la propria disapprovazione".

La motivazione è gravemente carente perché, da una parte, omette di valutare una serie di elementi rilevanti ed ulteriori rispetto al contenuto delle conversazioni, e, dall'altra, sulla base di tale grave omissione, attribuisce un assertivo significato demolitorio della prospettazione d'accusa al contenuto di quelle conversazioni.

Ciò che non è chiara è la ragione per cui si sia sostanzialmente escluso che l'indagato, durante il periodo di detenzione in Marocco abbia davvero avuto contatti diretti con soggetti appartenenti all'organizzazione internazionale terroristica Isis, e, quindi, perché, nel corso di quelle conversazioni, non avrebbe potuto seriamente - e non per scherzo - fare riferimento alla possibilità di utilizzare detti contatti.

Il Tribunale avrebbe dovuto valutare che M. in quei dialoghi intercettati non manifestava solo la sua aspirazione a recarsi a combattere per l'Islam, ad immolarsi per la causa religiosa, non cercava solo di indottrinare le persone con cui si relazionava al solo fine di diffondere un'idea, ancorché eversiva: avrebbe dovuto considerare, al fine di perimetrare correttamente il giudizio sulla gravità indiziaria, gli elementi probatori che erano stai portati alla sua cognizione e cioè che l'indagato: a) era stato detenuto in carcere con persone partecipi dell'Isis; b) a seguito di quelle frequentazioni, aveva mutato profondamente il proprio modo di vivere; c) era andato via dal Marocco per timore di essere coinvolto nelle operazioni di polizia che avevano smantellato una cellula terroristica; d) in Turchia era stato arrestato; e) aveva, secondo più fonti dichiarative, contatti reali con soggetti siro-iracheni, appartenenti a gruppi jihadisti.

All'esito di tale attività valutativa, il Tribunale avrebbe poi dovuto fare corretta applicazione dei principi di diritto, di cui si è detto, e verificare se le condotte attribuibili all'indagato fossero o meno penalmente neutre perché espressione di mere aspirazioni personali ovvero di idee soggettive, oppure, in ragione della esistenza di contatti reali con esponenti dell'associazione internazionale denominata Isis, fossero sintomatiche dell'inserimento dell'indagato nella struttura del sodalizio.

Inesistente è, sotto altro profilo, la motivazione dell'ordinanza impugnata in ordine al contenuto delle conversazioni intercorse tra il fratello e la sorella dell'indagato ed intercettate immediatamente dopo il fermo di questi, delle quali pure il Tribunale ha dichiarato (pag. 5) di averne avuta la disponibilità, e che, secondo la prospettazione d'accusa, avrebbero fatto ancora una volta esplicito riferimento ai contatti tra il M. e soggetti appartenenti ad associazioni terroristiche internazionali (conv. n. 2542 del 6 aprile 2017).

Rispetto a tale quadro di riferimento, è irragionevole e quindi viziata la motivazione nella parte in cui ha attribuito rilevante valenza alla conversazione n. 1620, in cui l'indagato, nel corso di un dialogo con una donna, allorché questa pronunciò la parola "Daesch", ebbe una reazione stizzita negando di far parte dell'Isis (in tal senso si valorizza anche la conversazione n. 5514 del 20 dicembre 2016); si tratta di una conversazione che si presta a letture diverse, rispetto alla quale il Tribunale fornisce una motivazione sul significato prescelto che sbrigativamente consente di demolire la portata degli assunti accusatori ma che non considera il contesto nel cui ambito quella affermazione fu compiuta.

13. Sotto ulteriore profilo, è fondato l'assunto del Pubblico Ministero secondo cui il Tribunale avrebbe compiuto una verifica parcellizzata e atomistica dei numerosi ed ulteriori elementi indiziari portati alla sua cognizione.

Anche in questo caso si tratta di un modo di procedere che è inficiato da un duplice vizio di presupposizione.

Il primo è costituito, come detto, dall'aver omesso di motivare su un tema cardine del procedimento, e cioè se M. avesse o meno rapporti reali con soggetti direttamente o indirettamente riconducibili all'Isis, attesa la potenziale capacità di tale profilo di condizionare la valutazione delle altre risultanze investigative.

Il secondo attiene alle modalità con cui il Tribunale ha proceduto alla valutazione degli altri elementi, considerati scissi tra loro, ed esaminati come se, appunto, non vi fosse il tema probatorio del rapporto tra M. e i soggetti appartenenti all'organizzazione internazionale.

Esemplificativa è la valutazione fornita: a) rispetto al tema delle esternazioni - non pubbliche - compiute in occasione della diffusione delle notizie degli attentati terroristici, in cui, a dire del Tribunale, M. si sarebbe limitato a "commentare eventi ed a ripetere frasi inneggianti ad Allah per come pronunciate dagli attentatori" (pag. 9 ordinanza); b) in relazione ai dialoghi avuti con le donne che, secondo l'ordinanza, non "avrebbero mai avuto quei connotati di concreta idoneità anche solo a convincerle della bontà del pensiero sull'Islam", atteso che i dialoghi sarebbero stati tenuti con "toni più o meno scherzosi" (pag. 11); c) sul materiale di interesse investigativo rinvenuto sul telefono dell'indagato al momento del fermo.

Al cospetto delle nuove forme di manifestazione del terrorismo globale e specialmente del terrorismo islamista, l'uso della parola, al di là del tema del contenuto apologetico, assume un ruolo - correttamente definito in dottrina - "costitutivo", perché può non essere limitato alla semplice divulgazione, alla mera manifestazione del pensiero: incitamento, propaganda, apologia o anche solo manifestazioni di simpatia possono essere componenti di un più ampio raggio di azione finalizzato ad indottrinare, a prospettare cambiamenti di vita, ad infondere idee e senso di potenza nei "fedeli", ad incrementare l'arruolamento tra le fila radicali, soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui l'oggetto della comunicazione non riguarda uno specifico evento, un singolo attentato, quanto piuttosto, la vocazione al martirio, e, soprattutto, la partecipazione ad un gruppo terroristico.

L'esaltazione di un'organizzazione terroristica, l'invito ad aderirvi, la "militanza ideologica" hanno una valenza diversa se compiuti da un soggetto che abbia davvero rapporti con l'associazione terroristica di cui parla, ovvero, viceversa, da una persona del tutto slegata da contesti di criminalità organizzata; si tratta di condotte che possono rendere complessa la distinzione tra la libera posizione ideologica ed il fatto penalmente rilevante, a sua volta astrattamente riconducibile a diverse fattispecie eterogenee, che vanno dai comuni reati d'opinione, al delitto d'associazione con finalità di terrorismo, passando per un nutrito catalogo di ipotesi intermedie.

14. Rispetto a tali complesse tematiche, la motivazione è silente.

Di tutto ciò il Tribunale ha mostrato di non avere tenuto conto; si è limitato ad escludere la configurabilità del reato di apologia di cui all'art. 414 c.p., sul presupposto che i discorsi dell'indagato non fossero pubblici; si è affermato sbrigativamente che il tono scherzoso, che sarebbe stato usato, proverebbe la innocuità dei dialoghi, senza tuttavia considerare che quel tono, ove davvero esistente, avrebbe potuto essere usato in funzione strumentale e strategica da parte di chi, magari, aveva davvero i propri contatti con il gruppo terroristico internazionale e fosse interessato a verificare innanzitutto il grado di interesse dell'interlocutore e, quindi, la possibilità di intraprendere una fidelizzazione progressiva della persona con cui aveva deciso di relazionarsi.

15. L'ordinanza, dunque, deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame.

Il Tribunale, facendo rigorosa applicazione dei principi di diritto indicati: a) ricostruirà il perimetro cognitivo entro il quale formulare la valutazione della gravità indiziaria; b) specificherà la condotta in concreto attribuita all'odierno indagato; c) verificherà se la condotta in questione sia penalmente rilevante ed eventualmente, posto che lo sia, se sia giuridicamente qualificabile in termini di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo ovvero sia riconducibile ad altra fattispecie di reato; d) riformulerà, sulla base delle verifiche indicate, l'eventuale giudizio sulle esigenze cautelari.

16. Sul ricorso dell'indagato.

Anche il ricorso proposto nell'interesse dell'indagato è fondato.

Evidenzia il difensore come il Tribunale dell'appello abbia dedicato al capo b) solo poche affermazioni a pag. 11 dell'ordinanza, per il resto integralmente redatta in funzione del capo a), e, nell'ambito di tale succinta motivazione, si sarebbe limitato ad affermazioni assertive.

Dalla lettura dell'ordinanza emerge chiaramente come il giudizio sulla gravità indiziaria da parte del Tribunale sia stato in effetti formulato nel penultimo periodo di pag. 5, in cui si afferma "le conversazioni e le dichiarazioni evidenziate nel P.M. nell'atto di appello consentono di ravvisare gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato anche per le contestazioni riguardanti le condotte di detenzione, in concorso con il fratello ... e con P. Marria, di sostanza stupefacente del tipo cocaina", e in un periodo contenuto a pag. 11 sostanzialmente assertivo.

La motivazione sul giudizio di gravità indiziaria è apparente, totalmente omessa, strutturalmente inesistente, essendosi il Tribunale pigramente limitato a richiamare le possibili fonti di prova, senza tuttavia indicare anche solo un fatto, un elemento concreto confermativi, ancorché solo sul piano indiziario, dell'ipotesi accusatoria.

L'ordinanza deve essere annullata con rinvio anche sul punto.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata in ordine ai reati di cui agli artt. 270-bis e 302 c.p. ed in ordine al reato di cui all'art. 73 d.P.R. 309/1990 limitatamente all'estensione del reato alla sostanza stupefacente del tipo cocaina e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Perugia.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.

Depositata il 29 marzo 2018.

V. De Gioia

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