Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 14 marzo 2018, n. 1642

Presidente: Frattini - Estensore: Cogliani

FATTO E DIRITTO

I. Osserva il Collegio che la complessità dell'iter processuale e la molteplicità dei giudizi impone una breve sintesi dei fatti di causa.

II. La vicenda controversa.

I ricorrenti in revocazione hanno partecipato al concorso, bandito dalla Regione Campania con decreto dirigenziale n. 2 del 13 marzo 2014, per l'ammissione di n. 80 medici al corso di formazione specifica in medicina generale 2014-2017, non collocandosi in posizione utile, sicché impugnavano dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania il bando, gli atti di individuazione dei quesiti ed i decreti di approvazione della graduatoria n. 106 del 15 settembre 2014, n. 108 del 23 settembre 2014, n. 120 del 2014, lamentando - in estrema sintesi - una serie di irregolarità che avrebbero compromesso la segretezza e la correttezza del prove, nonché l'erroneità di alcuni quesiti e la violazione della pubblicità nella rettifica della graduatoria.

Il Tribunale di prime cure, dopo aver integrato il contraddittorio, ritenendo infondate le censure, respingeva il ricorso, concludendo di dover prescindere dalla valutazione dell'eccezione di improcedibilità per mancata impugnazione della rettifica della graduatoria operata con decreto dirigenziale n. 113 del 18 marzo 2015.

Nelle more della definizione del giudizio di primo grado, i ricorrenti, peraltro, proponevano ricorso straordinario avverso il decreto n. 113, formulando istanza cautelare, che era accolta ai fini dell'ammissione con riserva (parere n. 1953 del 3 luglio 2015 della Sez. I di questo Consiglio).

Di seguito con decreto n. 39035 del 4-7 agosto 2015, il Ministero della Salute disponeva l'ammissione cautelare e la Regione Campania, conseguentemente, con decreto n. 292 del 20 ottobre 2015 ammetteva i ricorrenti al corso.

A seguito dell'opposizione dei controinteressati, il ricorso era riassunto dinanzi al Tribunale della Campania (con n. R.G. 4013/2015).

Con decreto n. 44 in data 1° aprile 2016, la Regione escludeva i ricorrenti dalla frequenza al corso in esecuzione della sentenza di prime cure n. 1228/2016 (resa nel giudizio n. R.G. 6655/2014).

Con appello avverso la sentenza di prime cure, gli odierni ricorrenti, lamentandosi dell'operato dell'amministrazione, rilevavano che l'ammissione con riserva era conseguenza della sospensione operata nell'ambito del ricorso cautelare, con la conseguenza che l'amministrazione non avrebbe potuto escludere gli stessi dal corso in esecuzione della sentenza resa nel giudizio 6655/2014, e sostanzialmente richiamavano tutti i motivi dedotti nel ricorso introduttivo, deducendo:

1) la nullità della sentenza per difetto di motivazione in ordine al primo e secondo motivo (violazione della segretezza, degli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, dell'art. 3, l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione dei principi generali del giusto procedimento, della trasparenza e della par condicio; illegittimità della graduatoria, incertezza, violazione dei principi già menzionati e del principio dell'anonimato), per i medesimi vizi indicati in primo grado;

2) erroneità della sentenza sul terzo e quarto motivo (illegittimità della graduatoria, erronea individuazione delle risposte corrette, incertezza e violazione della par condicio; violazione del giusto procedimento, eccesso di potere, contraddittorietà ed illogicità, violazione dell'art. 4, l. n. 264 del 1999 e dell'art. 3, d.m. 17 maggio 2007 e della par condicio), perché la decisione non avrebbe considerato che la sottoposizione dei candidati a difficoltà indebite avrebbe violato le condizioni regolare svolgimento del concorso per i medesimi vizi dedotti in primo grado;

3) apoditticità della sentenza sul quinto motivo (violazione degli artt. 3, 34, 97 e 117 Cost., eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di motivazione contraddittorietà), avendo il giudice di prime cure definito generica le censure svolte in primo grado;

4) mancata pronunzia sul punto decisivo della controversia, ovvero violazione del bando concorsuale, dei principi del giusto procedimento, della contestualità, della trasparenza, della legalità, del buona andamento, dell'imparzialità dell'amministrazione.

Ribadivano dunque la domanda di risarcimento del danno.

Il giudice d'appello, con la sentenza n. 834 del 2017, oggetto di revocazione, precisato che l'impugnazione del sopravvenuto decreto n. 113 del 2015 esulava dal giudizio, e che gli appellanti ribadivano le censure disattese in primo grado senza fornire alcun elemento aggiuntivo, si pronunziava respingendo l'appello, per i seguenti motivi che sinteticamente così si possono riassumere:

- la mancata dimostrazione della violazione delle regole dell'anonimato;

- in particolare la smentita dell'apposizione di segni identificativi sulle buste;

- la correttezza della conclusione del giudice di prime cure in ordine all'irrilevanza dell'abbinamento ad un quesito di una risposta esatta in realtà errata, una volta che effettuata la correzione dell'errori sia stato riconteggiato il punteggio;

- l'irrilevanza ai fini di provare l'anomalia del concorso della divergenza dell'orario di svolgimento della prova;

- la mancanza di una specifica contestazione in ordine alla correzione della graduatoria, peraltro possibile in forza della previsione del bando ed accessibile ai concorrenti.

III. Il procedimento per revocazione.

Con il presente ricorso in revocazione, gli istanti lamentano l'errore in fatto che sarebbe contenuto nella sentenza n. 834 del 2017, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 395 c.p.c. e 106 c.p.a., in quanto risulterebbe - a loro dire - evidente che il Consiglio abbia fondato la propria decisione sulla supposizione della inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, poiché - affermando che sarebbero state sufficienti ad inficiare il concorso anche mere presunzioni logiche dalle quali desumersi la potenziale violazione della regola dell'anonimato - avrebbe formato la conclusione sull'assunto della mancanza di un qualsivoglia fumus. Tale conclusione sarebbe errata perché dalla documentazione prodotta in giudizio sarebbe in verità emersa l'astratta possibilità di abbinamento del codice contenuto nella busta piccola con quello scritto sulla busta grande.

Si è costituita l'Amministrazione per resistere, eccependo in primo luogo l'inammissibilità della revocazione e nel merito contestando nuovamente le deduzioni svolte in ricorso.

IV. Passando, dunque, all'esame della dedotta erroneità della sentenza, ritiene il Collegio di dover ulteriormente ricordare che l'errore di fatto revocatorio si sostanzia in una svista materiale o abbaglio dei sensi che ha provocato l'errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l'una emergente dalla sentenza e l'altra risultante dagli atti e dai documenti di causa.

Con sentenza n. 5415/2017, la Sezione ha avuto, peraltro, modo di esaminare le prospettive di ampliamento dell'errore revocatorio anche alla luce della l. n. 117/1988; tuttavia, nella vicenda in esame non emerge il prospettato "abbaglio" dei sensi e, si potrebbe aggiungere, non si verte nemmeno in un caso astrattamente riconducibile alla fattispecie del "travisamento del fatto o della prova", perché manca un effettivo - e radicale - vizio di apprezzamento del fatto e dei dati documentali che ne permettono l'esatta ricostruzione.

In effetti, il giudice di secondo grado ha preso in esame gli elementi prodotti dai ricorrenti, nonché le controdeduzioni dell'Amministrazione, concludendo che - nella specie - non fosse provata "una violazione non irrilevante della regola dell'anonimato": insufficiente sarebbero le deduzioni sui locali, sulla vigilanza e sui controlli, nonché su episodi di copiatura (etc.).

L'unico elemento dell'apposizione dei codici identificativi (emerso in atti), al quale fanno riferimento i ricorrenti, è stato compiutamente valutato dal Collegio, che tuttavia ne ha escluso la rilevanza, in quanto dal giudizio era emerso che "i numeri sulle buste sono stati apposti in maniera causale (rectius evidentemente "casuale") ... di modo che non vi era alcuna possibilità di identificazione al momento della consegna".

Per quanto detto, deve, dunque, escludersi che la censura svolta dagli istanti, in quanto investe il giudizio espresso nella sentenza di cui si verte - come già affermato dalla Sezione in altri casi - sia censurabile mediante la revocazione, la quale, altrimenti, si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall'ordinamento.

In conclusione, osserva il Collegio che non è, nella specie, configurabile un errore di fatto in ordine a documenti e ad atti processuali, mentre rispetto al dedotto errore di interpretazione e di valutazione dei fatti la domanda di revocazione si appalesa inammissibile.

V. Nondimeno, il Collegio ritiene opportuno ribadire che, nel caso che occupa, l'accertata modalità di apposizione dei numeri fa sì che la circostanza denunziata dagli istanti non venga a costituire elemento viziante della procedura, essendo comunque fatta salva l'esigenza sostanziale di garanzia dell'assoluto anonimato dei candidati, neppure potenzialmente suscettibile di essere messa in pericolo (secondo l'esigenza evidenziata dall'Adunanza plenaria nella sentenza 20 novembre 2013; cfr. in terminis, sez. IV, 8 febbraio 2017, n. 558; sez. IV, 13 novembre 2017, n. 5191; v. anche 24 novembre 2017, n. 5487).

VI. Per i motivi sopra esposti, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.

In ragione del principio di soccombenza, i ricorrenti in revocazione devono essere condannati al pagamento a favore delle Amministrazioni resistenti di euro 2000,00 (duemila/00) complessivi da dividersi in parti eguali tra le stesse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna i ricorrenti in revocazione al pagamento a favore delle Amministrazioni resistenti di euro 2000,00 (duemila/00) complessivi da dividersi in parti eguali tra le stesse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.