Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 16 marzo 2018, n. 1670

Presidente: Santoro - Estensore: Buricelli

FATTO E DIRITTO

1. Vengono in decisione l'appello principale e gli appelli incidentali con i quali, rispettivamente, l'Autorità, Findomestic Banca e La Rinascente hanno impugnato capi diversi della sentenza in epigrafe, con cui il TAR del Lazio ha accolto in parte, dopo averli riuniti, i ricorsi nn. 7857 e 7858 del 2009, proposti dalla società La Rinascente e dalla Banca Findomestic avverso il provvedimento n. 19928 del 4 giugno 2009 con il quale l'Autorità aveva applicato sanzioni amministrative pecuniarie, rispettivamente, di Euro 150.000,00 a carico della Rinascente, e di Euro 180.000,00 nei confronti di Findomestic, avendo considerato ingannevole e aggressiva una pratica commerciale relativa alla commercializzazione di una carta di credito co-branded denominata Rinascentecard.

Il TAR ha giudicato legittimo il provvedimento dell'AGCM nella parte in cui la pratica commerciale, protrattasi tra il settembre del 2007 e il maggio del 2009, è stata qualificata come ingannevole, e ciò in ragione della "inescusabile negligenza informativa che ha accompagnato la commercializzazione" della Rinascentecard.

Tuttavia, diversamente da quanto ritenuto dall'Autorità, ha escluso che le modalità concrete che caratterizzavano la pratica commerciale presentassero tratti di "molestia", "coercizione" o, ancora, di "indebito condizionamento", in quanto tali, in grado di connotare la condotta in termini di "aggressività", sicché il giudice di primo grado, nell'esercizio della giurisdizione con cognizione estesa al merito di cui all'art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a., ha motivatamente ridotto la misura della sanzione applicata alle parti diminuendola, rispettivamente, a Euro 142.500,00 nei confronti di Findomestic Banca, e a Euro 92.500,00 nei confronti della Rinascente.

L'AGCM, dopo avere acquisito il parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con il quale la pratica in esame era stata considerata scorretta e ingannevole, ha accertato, ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25/a) del Codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, che la pratica descritta alle lettere da 1. a 11. e da 18. in poi del provvedimento impugnato, ha carattere ingannevole e aggressivo (sul carattere aggressivo della pratica si leggano in particolare le "valutazioni conclusive", p. 23).

L'Autorità ha vietato la diffusione ulteriore della condotta e, dopo essersi soffermata, ai punti 25. e seguenti della delibera, sulla quantificazione della sanzione, ha motivatamente comminato a Findomestic Banca una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 180.000, e alla società La Rinascente una sanzione di Euro 130.000.

2. Esigenze di sintesi nella redazione dei provvedimenti giurisdizionali (arg. ex art. 3, comma 2, c.p.a.) suggeriscono di non ripercorrere in dettaglio l'intera vicenda, amministrativa e processuale, nel suo svolgersi, a partire dalle segnalazioni pervenute all'Autorità da parte di alcuni consumatori.

A questo riguardo si può fare rinvio ai punti 2. e seguenti del provvedimento impugnato in primo grado.

Pare sufficiente rammentare che il TAR del Lazio, dopo avere riassunto i motivi dei ricorsi di Findomestic e della Rinascente e avere sintetizzato il procedimento e i passaggi salienti del provvedimento sanzionatorio dell'Autorità e del parere reso dall'AGCOM (v. da pag. 4 a pag. 34 della sentenza):

- ha respinto il motivo con il quale era stato contestato un potere di intervento dell'AGCM in un ambito (offerta di prodotti finanziari) presidiato da una normazione di settore e dalla presenza di una Autorità, la Banca d'Italia, preposta alla vigilanza in materia di servizi bancari e creditizi (v. p. 3. sent., pagg. 35 e 36). Al riguardo, il TAR rileva la compresenza di quadri normativi differenziati ed eterogenei e segnala il fatto che la tutela offerta dal Codice del consumo va ad aggiungersi a strumenti legati alla esistenza di discipline specifiche riferite a settori oggetto di regolazione, sicché nella fattispecie non vi è sovrapposizione alcuna di attribuzioni né alcun conflitto di competenze;

- al p. 4., da pag. 37 a pag. 41, ha respinto le censure relative a presunti vizi del procedimento istruttorio, la cui consistenza, per la ricorrente Findomestic, avrebbe compromesso una attuazione effettiva del principio del contraddittorio, con conseguente restringimento del diritto di difesa;

- ai punti 5. e 6., da pag. 41 a pag. 53, sulla qualificazione della condotta come pratica commerciale scorretta, il TAR, dopo avere compiuto una ricognizione del quadro normativo di riferimento in tema di pratiche commerciali scorrette, ingannevoli e aggressive, ha considerato fondate le argomentazioni con le quali l'AGCM ha ritenuto ricorrere, nella specie, una ipotesi di pratica commerciale scorretta relativamente alla "violazione dell'obbligo di diligente e completa informazione del consumatore", con riguardo in particolare alla inosservanza dell'obbligo di chiarezza del messaggio pubblicitario sin dal primo contatto. Per il giudice di primo grado, conformemente a quanto stabilito dall'Autorità, la "inadeguatezza e incompletezza informativa" (v. p. 6.3., da pag. 50 sent.) attengono:

- alla natura revolving della card e della linea di credito a essa collegata, e alla necessità, per il cliente, di rimborsare necessariamente in modalità revolving gli utilizzi della carta fuori dai punti vendita La Rinascente;

- al fatto che la "guida all'utilizzo", distribuita presso i punti vendita La Rinascente (e ulteriormente accessibile dal sito internet www.rinascente.it), forniva informazioni incomplete sull'effettiva natura della carta e del fido nonché sulle modalità di rimborso al di fuori del circuito Rinascente, venendo enfatizzata la connotazione di Rinascentecard come una «carta di credito esclusiva», una «carta di credito completa», una «Card», senza - peraltro - esplicitare il doveroso riferimento alla natura revolving della carta e del fido sul quale la stessa era destinata ad insistere;

- alla espressione «il fido diminuisce quando utilizzi la tua Card ma, grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi», presente nella sezione della guida denominata "un fido sempre per te", non idonea a dare al consumatore una informazione chiara ed esaustiva circa la natura revolving della linea di credito e, in particolare, in ordine alla circostanza per cui la modalità di rimborso rateale avrebbe potuto "ricostituire" il fido per la sola quota capitale della rata;

- al fatto che la versione della guida diffusa fino al mese di aprile del 2008 ometteva "di specificare che presso gli esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa o in alcuni corner e ristoranti presenti nei punti vendita Rinascente la modalità di rimborso prevista in automatico era quella rateale con interessi (c.d. revolving);

- al fatto che la seconda versione della guida all'utilizzo (diffusa dal mese di maggio 2008), nella quale veniva riportata l'espressione «Ti segnaliamo che la Rinascentecard fuori dai punti vendita la Rinascente attiva in automatico la formula di pagamento revolving (pagamento rateale per i tuoi acquisiti)», non specificava che la carta avrebbe attivato automaticamente la modalità di rimborso revolving anche presso alcuni corner (Louis Vuitton, Centro TIM e Nespresso) e presso i ristoranti interni ai punti vendita La Rinascente;

- al fatto che le medesime omissioni informative sono riscontrabili, sulla base di quanto emerso a seguito della istruttoria, anche nella documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta di rilascio della carta e nella comunicazione di accompagnamento all'invio della Rinascentecard al domicilio del consumatore, i moduli contrattuali e la lettera di accompagnamento della carta non recando indicazioni in merito alla natura revolving della Rinascentecard e della linea di credito sulla quale la stessa insiste, e sulla necessità di rimborsare con rate mensili minime gli utilizzi della carta effettuati presso altri esercizi commerciali convenzionati Visa. Né il modulo contrattuale predisposto per la compilazione cartacea (mediante le espressioni «modulo richiesta card», riportata sul frontespizio, e «domanda di apertura carta», che compariva nella parte dedicata alla raccolta dei dati del cliente), permetteva al consumatore di comprendere l'effettivo oggetto della richiesta, rappresentato dall'apertura di una linea di credito rotativa (revolving) a tempo indeterminato, utilizzabile con la Rinascentecard anche al fine di richiedere prestiti personali o effettuare prelievi bancomat;

- il TAR ha, poi (v. p. 7., da pag. 53 a pag. 58 sent.), considerato errato il giudizio di "aggressività della pratica" formulato dall'AGCM, dato che, ad avviso del giudice di primo grado, non viene in considerazione, in base a quanto prevede l'art. 24 del Codice del consumo, "tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso", l'impiego di "molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento" suscettibili di (ovvero idonee a) "limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto" e determinanti induzione all'assunzione di "una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso". Non si rientra in nessuna delle ipotesi elencate all'art. 25 del d.lgs. n. 209 del 2005. La valorizzazione, compiuta dall'Autorità, della "posizione di forza in cui si trova il professionista rispetto al consumatore, che, nel caso concreto, discende dalla rilevante asimmetria informativa riscontrabile nell'ambito della commercializzazione dei servizi finanziari, su cui viene fatta leva per estorcere al consumatore un consenso che altrimenti non avrebbe prestato", e dei "tempi e del luogo in cui la pratica commerciale è stata posta in essere", ritenendosi che la peculiarità del contesto ambientale nel quale avveniva la stipula del contratto ("direttamente nel punto vendita"), "in considerazione dell'ampiezza e dell'affollamento dei centri commerciali e della sollecitudine con cui, in alcuni casi, si conducono gli acquisti", fosse suscettibile di "indurre il consumatore a non soffermarsi nella lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere ulteriori informazioni necessarie a chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio", non è stata ritenuta dal TAR tale da riportare la pratica commerciale de qua all'interno della previsione di cui all'art. 25 del Codice del consumo. In sentenza si legge che la ritenuta applicabilità delle previsioni di cui ai citati artt. 24 e 25 alla fattispecie è "scaturita da una non condivisibile forzatura interpretativa delle disposizioni stesse";

- dalla errata qualificazione in termini di aggressività della pratica commerciale relativa alla Rinascentecard deriva l'eccessività della misura delle sanzioni pecuniarie applicate, che il TAR, al p. 8. della sentenza (v. da pag. 58 a pag. 62), ha ridotto, abbattendo gli importi base nella misura del 25% e, sugli importi base così diminuiti, computando "gli adeguamenti incrementali e decrementali" rispettivi, per una rideterminazione finale della sanzione a carico di Findomestic Banca nella misura di Euro 142.500,00, e nei confronti della Rinascente, nell'importo di Euro 92.500,00.

3. Con atto spedito per la notifica in data 13 aprile 2011, l'Autorità ha proposto appello contro la statuizione di accoglimento del TAR.

Dopo avere riassunto la vicenda, l'AGCM, con un'unica censura, contesta al giudice di primo grado di avere errato nel considerare illegittima la qualificazione come "aggressiva" della pratica commerciale oggetto del provvedimento sanzionatorio.

Nell'atto di appello si evidenzia che l'Autorità, ai fini della qualificazione suddetta, ha tenuto in considerazione, in maniera legittima e corretta, la posizione di forza nella quale si trova il professionista rispetto al consumatore, posizione che, come rilevato, discende dalla significativa asimmetria informativa riscontrabile nell'ambito della commercializzazione dei servizi finanziari, su cui si fa leva per estorcere al consumatore un consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato. L'AGCM ha puntualmente considerato, inoltre, i tempi e i luoghi in cui la pratica commerciale è stata posta in essere, con particolare riguardo alla circostanza che il contratto veniva stipulato direttamente all'interno del punto vendita, nell'ambito di un contesto ambientale che, data l'ampiezza e l'affollamento dei centri commerciali e la sollecitudine con cui, in alcuni casi, si conducono gli acquisti, è stato giustamente reputato come idoneo a indurre il consumatore a non soffermarsi sulla lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere informazioni ulteriori necessarie per chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio. Nell'appello si deduce che la proposta di sottoscrizione - e la stessa sottoscrizione - della Rinascentecard - si concretizza sfruttando una posizione di potere del professionista. Si tratta del cosiddetto "effetto sorpresa" sul consumatore, "agganciato" in un momento in cui le sue decisioni commerciali sono rivolte verso beni di consumo diversi dai servizi finanziari, e all'interno di un esercizio commerciale non adibito alla vendita di tale specifica categoria di prodotti. Il giudice di primo grado - prosegue l'Autorità appellante - non sembra avere considerato tale "posizione di supremazia", o "preminenza strutturale", del professionista. Nella fattispecie si fuoriesce insomma dalla "mera ingannevolezza" e si ricade entro l'ambito di applicazione degli artt. 24 e 25 del Codice del consumo. Del resto il TAR del Lazio, con la sentenza n. 1734 del 2011, ha confermato la sussistenza di una pratica aggressiva in una fattispecie analoga a quella in esame.

4. La Rinascente e Findomestic si sono costituite prima di tutto per confutare la tesi dell'Autorità, insistendo sul carattere non aggressivo della pratica commerciale, e sulla correttezza della relativa statuizione del Tar, e hanno proposto appelli incidentali.

4.1. Per La Rinascente, contrariamente a quanto ritiene il TAR, alla sola Banca d'Italia è demandato dall'Ordinamento il compito di verificare e sanzionare la trasparenza e la correttezza informativa dei prodotti offerti dagli intermediari soggetti alla sua vigilanza, tra i quali figura Findomestic.

Le conclusioni alle quali è giunto il TAR sulla competenza in materia sanzionatoria dell'Antitrust contrastano con la normativa nazionale e comunitaria applicabile, dato che il Titolo VI del Testo unico bancario (d.lgs. n. 385 del 1993 - TUB, artt. 116 e seguenti) ha come finalità primaria proprio quella di tutelare il consumatore attraverso la trasparenza del rapporto negoziale tra la banca, o l'intermediario finanziario, e i clienti (conf. parere C.d.S. n. 3999 del 2008, sulla sovrapposizione tra le discipline di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, recante il testo unico sulle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF, e il Codice del consumo, con riferimento alla correttezza e alla trasparenza delle informazioni relative alla vendita dei valori mobiliari).

Diversamente da quanto ritenuto dal TAR, trasponendo il principio di specialità nel caso oggi in discussione, emerge l'incompetenza dell'AGCM ad applicare la normativa sulle pratiche commerciali scorrette anche nella fattispecie, analoga, in cui la disciplina di settore, vale a dire il TUB, affida alla Banca d'Italia compiti analoghi di vigilanza sull'operato degli intermediari finanziari.

Sub 2), l'appellante incidentale, nel dedurre "difetto di motivazione in merito alla carenza di legittimazione passiva della Rinascente in relazione alle condotte oggetto del provvedimento dell'AGCM", sostiene che il TAR avrebbe errato nell'ignorare, e conseguentemente respingere, le argomentazioni della Rinascente sulla imputabilità delle condotte alla sola Findomestic, considerando le condotte contestate riconducibili a entrambi i professionisti.

Le contestazioni dell'AGCM riguardano infatti attività rispetto alle quali La Rinascente non può svolgere alcun ruolo, anche alla luce del Protocollo di accordo sottoscritto nel dicembre del 2006 con Findomestic.

Sub 3), l'appellante incidentale, nel dedurre violazione degli artt. 20 e seguenti del Codice del consumo, "in relazione alla presunta natura ingannevole del prodotto Rinascentecard", critica le conclusioni cui è giunto il TAR in merito alla rilevata sussistenza di informazioni inadeguate e omesse su natura, caratteristiche, condizioni e modalità di utilizzo della Rinascentecard (v. punti 20. e seguenti del provvedimento impugnato), e al carattere ingannevole delle azioni e omissioni descritte nel provvedimento impugnato.

Contrariamente a quanto assume l'AGCM, con l'avallo del TAR, sulla base della cartellonistica pubblicitaria e promozionale e della "guida all'utilizzo" era da considerarsi sufficientemente chiaro ai clienti che la Rinascentecard avesse due modalità di pagamento, con saldo a fine mese e con pagamento rateale - revolving.

Nel fare richiamo al secondo motivo, l'appellante incidentale rimarca che il TAR, nel rilevare la insufficienza delle informazioni riportate nella "guida all'utilizzo", non avrebbe nemmeno in questa situazione soppesato in modo corretto il differente ruolo dei due professionisti, apparendo evidente come La Rinascente rimandasse, per le spiegazioni sul funzionamento e sulle modalità di pagamento della card, alla documentazione redatta da Findomestic, concentrandosi sugli aspetti promozionali e fidelizzanti della carta.

L'appellante incidentale contesta il ritenuto carattere ingannevole della pratica commerciale, sia perché ai consumatori sono state fornite informazioni rispondenti al vero e complete su natura, caratteristiche e condizioni di utilizzo della card, e sia perché eventuali inesattezze od omissioni parziali non sarebbero comunque tali da indurre il consumatore medio in errore e da fargli assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Inoltre, l'eventuale inadeguatezza ed omissione informativa, ove confermata da questo Consiglio di Stato, non potrebbe che gravare esclusivamente su Findomestic.

Infine, sub 4), nel dedurre il vizio di "violazione dell'art. 27, comma 9, del Codice del consumo, e dell'art. 11 della l. n. 689 del 1981", sulla quantificazione, cioè, della sanzione amministrativa pecuniaria, l'appellante critica la sentenza per non avere accolto la contestazione, compiuta dalla Rinascente, in ordine alla "ingiustificata equiparazione tra gli oggettivi differenti ruolo ricoperti dalle due società, Findomestic e La Rinascente, operata dall'AGCM" nel determinare in misura identica l'importo-base della sanzione.

Nell'appello incidentale sono, poi, riproposti, profili di censura formulati in primo grado e asseritamente non presi in considerazione nella sentenza, attinenti alla gravità della violazione, all'opera svolta per eliminare o attenuare l'infrazione, alla personalità dell'agente e alle condizioni economiche della impresa.

In particolare, l'Autorità avrebbe dovuto comminare, alla distributrice commerciale, una sanzione inferiore rispetto a quella dell'operatore finanziario.

E sull'opera svolta dall'agente per attenuare l'infrazione, la sentenza nulla dice sul fatto che La Rinascente, nel maggio del 2008, ossia diversi mesi prima dell'inizio delle indagini, aveva predisposto una nuova versione della "guida all'utilizzo" della card, inserendo un passaggio in cui si segnalava che "la Rinascentecard fuori dai punti vendita La Rinascente attiva in automatico la formula di pagamento revolving".

4.2. Findomestic, nella - non sintetica: 58 pagine - "comparsa di costituzione con contestuale ricorso incidentale in appello", osserva preliminarmente che il TAR avrebbe recepito in modo esatto le argomentazioni difensive delle parti private escludendo che la pratica commerciale abbia potuto avere carattere di aggressività (v. da pag. 7 a pag. 19). Dopo di che:

- (da pag. 21 a pag. 39) sulle violazioni di natura procedimentale, sostiene che sarebbero illegittimi, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., con taluni "principi difensivi" contenuti nella l. n. 689 del 1981 e con l'art. 27, comma 11, del Codice del consumo, gli artt. 6 e 16 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, approvato dall'AGCM con provvedimento del 15 novembre 2007, disposizioni regolamentari sulla base delle quali si è svolto il procedimento in discussione. Nel ripercorrere in dettaglio i singoli passaggi del procedimento, a partire dalla "comunicazione di avvio" dell'11 dicembre 2008, Findomestic ritiene in particolare che il provvedimento finale dell'Autorità sarebbe stato emanato senza alcuna preventiva contestazione, alla società, in ordine alla pratica commerciale asseritamente "aggressiva" e, con riferimento all'intero procedimento, senza che Findomestic abbia potuto svolgere le proprie difese entro 30 giorni dalla contestazione, come previsto nella materia delle sanzioni amministrative. Sotto un profilo parzialmente differente, Findomestic lamenta la mancata comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) e delle conclusioni alle quali è pervenuto il responsabile del procedimento. In tema di CRI, troverebbe applicazione la norma di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 217 del 1998. Inoltre, il professionista sottoposto al procedimento si è trovato a dover presentare la propria memoria difensiva finale senza avere preso conoscenza né della "richiesta di parere" inoltrata dall'AGCM all'AGCOM, né del parere dato da quest'ultima Autorità. Sbaglia il TAR nell'affermare che il parere dell'AGCOM non doveva essere conosciuto dalla Findomestic prima della conclusione del procedimento e della adozione del provvedimento finale. Si soggiunge che l'Autorità, nell'emanare il provvedimento sanzionatorio, non avrebbe tenuto conto delle memorie procedimentali presentate, con conseguente inosservanza di principi sulla motivazione e violazione, in particolare, dell'art. 10, lett. b), della l. n. 241 del 1990. Ancora, in violazione dell'art. 12, comma 2, del regolamento sulle procedure istruttorie, non risulta essere stata disposta alcuna audizione, sicché, in definitiva, l'AGCM non ha garantito, a Findomestic, né "una condizione di parità", né un "effettivo contraddittorio", e neppure una "piena difesa" della parte privata;

- da pag. 40 a pag. 53, sul merito, si negano deficit informativi; l'AGCM, con l'avallo del TAR, ha travisato le risultanze dell'istruttoria. La Rinascentecard, ideata, pubblicizzata e distribuita con il fine principale di fidelizzare la clientela dei negozi Rinascente, è stata scorrettamente qualificata come carta di credito c.d. revolving. Infatti, le funzioni di messa a disposizione di un importo di denaro, di flessibilità dei pagamenti in varie modalità, la possibilità di utilizzare la carta fuori dagli esercizi della Rinascente convenzionati Visa e quant'altro previsto costituiscono funzioni marginali della card sicché appare pretestuoso e scorretto sostenere, come fa l'Autorità, che la Rinascentecard è una "carta di credito c.d. revolving". In particolare, ad avviso della Rinascente, la chiara distinzione, nella "flessibilità" dei pagamenti presso i punti vendita della Rinascente, tra la possibilità di saldo a fine mese per pagare l'importo degli acquisti, in un'unica soluzione senza interessi, e la possibilità di pagamento rateale, è più che sufficiente per rendere edotto il "consumatore medio" del fatto implicito che il pagamento rateale, sia per gli acquisti presso esercizi convenzionati Visa, sia per la restituzione di somme di denaro, comporta l'addebito di interessi. L'omessa specificazione "con addebito di interessi" è di minima rilevanza, e praticamente priva di effetto per il consumatore medio. La mancata espressa indicazione del c.d. "effetto revolving", limitato a talune funzioni accessorie della card, appare irrilevante e certamente non tale da modificare la scelta del consumatore, risultando illogico ipotizzare e sostenere che tale consumatore, ove informato in maniera esplicita sull'esistenza di tale effetto revolving, peraltro limitato a singole funzioni, avrebbe rinunciato ai ben più importanti vantaggi derivanti dall'essere titolare della carta. A fronte di dette puntuali argomentazioni, il giudice di primo grado si è limitato a utilizzare formule di stile e a giungere, specie ai punti 6.2. e 6.3. della sentenza, "a conclusioni particolarmente rigide finendo così per travisare sia le risultanze dell'istruttoria, sia la reale portata delle norme richiamate". Al contrario, viene in considerazione, al più, una omissione informativa di non particolare rilevanza, subito sanata nel successivo colloquio con l'ufficio clienti, nel corso del quale sono messe a disposizione dei consumatori interessati tutte le informazioni complete;

- da pag. 53 a pag. 58, Findomestic ripropone censure imperniate sulla "eccessività della quantificazione della sanzione". In particolare, l'appellante incidentale critica le argomentazioni addotte dall'Autorità con riferimento alla gravità della violazione, sotto l'aspetto del danno (eventuale) sofferto dal consumatore titolare della Rinascentecard a seguito dell'altrettanto eventuale utilizzo della carta quale mezzo di pagamento per acquisti fuori dai punti vendita Rinascente; e con riguardo alla "durata della violazione", dato che dall'aprile-maggio del 2008 la "guida all'utilizzo" è stata aggiornata con l'inserimento, nella "seconda versione", di un avviso esplicito sulla attivazione in automatico del c.d. "effetto revolving" per gli acquisti compiuti fuori dai punti vendita La Rinascente, di tal che la durata della violazione dev'essere contenuta in non più di sette mesi, vale a dire dal settembre del 2007 all'aprile del 2008, e non in un periodo complessivo di oltre un anno e otto mesi, ovvero dal 21 settembre 2007 al 4 giugno 2009, come afferma l'AGCM. Su questi aspetti il TAR ha motivato in maniera insufficiente ed erronea al p. 8., da pag. 58 della sentenza. Nel dettaglio, l'importo-base, di Euro 150.000, già ridotto dal TAR, dev'essere ulteriormente e congruamente ridotto in grado di appello anzitutto perché, eliminato il carattere di aggressività della condotta, e "rimasta la pratica commerciale ingannevole", la sanzione applicata a entrambi i professionisti avrebbe dovuto, e dovrebbe, essere diminuita del 50%, e non nella misura soltanto del 25%, come è stato fatto. Inoltre, l'aumento per la recidiva nei confronti di Findomestic non poteva, e non potrebbe, che essere determinato in misura proporzionale all'importo della sanzione principale, importo che andrebbe ridotto a Euro 75.000.

5. In prossimità dell'udienza di discussione le parti si sono scambiate memorie e repliche.

In particolare, La Rinascente, in relazione alla affermata incompetenza dell'AGCM, ha domandato a questo Consiglio, in via subordinata, qualora sia ritenuta insussistente la denunciata incompetenza dell'AGCM, di sollevare questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267 del TFUE, dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione Europea.

All'udienza dell'8 marzo 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

6. Sull'an, sono infondati e vanno respinti sia l'appello principale dell'Autorità e sia gli appelli incidentali di Findomestic e della Rinascente, peraltro con talune precisazioni e integrazioni motivazionali ritenute necessarie da questo Collegio di appello rispetto alla decisione di primo grado.

Sul quantum, invece, appaiono fondati e vanno accolti alcuni dei profili di censura formulati, fondati sull'affermata eccessività, e sulla eccessiva severità, delle misure delle sanzioni pecuniarie irrogate, con la conseguenza che, nell'esercizio della giurisdizione con cognizione estesa al merito, in base a quanto dispone l'art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a., che consente al giudice amministrativo non solo di annullare i provvedimenti dell'AGCM di applicazione di sanzioni pecuniarie, ma anche di modificare, in base a una propria valutazione, la misura delle sanzioni pecuniarie comminate, in riforma parziale della sentenza impugnata, e in parziale accoglimento degli appelli incidentali e dei ricorsi di primo grado, gli importi delle sanzioni inflitte andranno (ulteriormente) rideterminati e ridotti, come verrà specificato in appresso.

I motivi formulati con gli appelli incidentali e tra loro analoghi verranno esaminati in modo accorpato, anche per esigenze di concisione, per quanto consentito dalla natura e dalla oggettiva complessità del giudizio.

6.1. Appello principale. Sulla qualificazione della pratica commerciale scorretta come aggressiva.

Al p. 2. si è anticipato che il TAR (p. 7. sent., da pag. 54 a pag. 58) ha considerato erroneo il giudizio di "aggressività della pratica" formulato dall'AGCM dato che, ad avviso del giudice di primo grado, non viene in considerazione, specie in base a quanto prevede l'art. 24 del Codice del consumo, "tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso", l'impiego di "molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento" suscettibili di (ovvero idonee a) "limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto" e determinanti induzione all'assunzione di "una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso". Non si rientra in nessuna delle ipotesi elencate all'art. 25 del d.lgs. n. 209 del 2006, nemmeno nell'ipotesi di cui alla lett. a), che fa riferimento a tempi, luogo, natura o persistenza della pratica commerciale.

La valorizzazione, compiuta dall'Autorità, ai punti 23. e seguenti del provvedimento sanzionatorio, della "posizione di forza in cui si trova il professionista rispetto al consumatore, che, nel caso concreto, discende dalla rilevante asimmetria informativa riscontrabile nell'ambito della commercializzazione dei servizi finanziari, su cui viene fatta leva per estorcere al consumatore un consenso che altrimenti non avrebbe prestato", e dei "tempi e del luogo in cui la pratica commerciale è stata posta in essere", ritenendosi che la peculiarità del contesto ambientale nel quale avveniva la stipula del contratto ("direttamente nel punto vendita"), "in considerazione dell'ampiezza e dell'affollamento dei centri commerciali e della sollecitudine con cui, in alcuni casi, si conducono gli acquisti", fosse suscettibile di "indurre il consumatore a non soffermarsi nella lettura delle condizioni generali di contratto o comunque a non richiedere ulteriori informazioni necessarie a chiarire la natura del contratto e le caratteristiche del servizio", non è stata ritenuta dal TAR tale da riportare la pratica commerciale de qua all'interno della previsione di cui all'art. 25 del Codice del consumo.

Nella sentenza si legge che la ritenuta applicabilità delle previsioni di cui ai citati artt. 24 e 25/a) alla fattispecie è "scaturita da una non condivisibile forzatura interpretativa delle disposizioni stesse". Dalla errata qualificazione in termini di aggressività della pratica commerciale relativa alla Rinascentecard è derivata l'eccessività della misura delle sanzioni pecuniarie applicate, che il TAR, al p. 8. della sentenza (v. da pag. 58 a pag. 62), ha ridotto abbattendo gli importi base nella misura del 25%.

Nell'atto di appello (v. più ampiamente sopra, p. 3.), l'Autorità sostiene che il giudice di primo grado non sembra avere considerato la posizione di "forza" nella quale si trova il professionista rispetto al consumatore: posizione di "supremazia", o di "preminenza strutturale", derivante dalla significativa asimmetria riscontrabile nell'ambito della commercializzazione dei servizi finanziari, su cui si fa leva per estorcere al consumatore un consenso che altrimenti non avrebbe prestato.

Il motivo è infondato e va respinto.

Sono corrette e vanno condivise le argomentazioni e le statuizioni del TAR sul carattere non aggressivo della pratica.

La valutazione dell'AGCM, come è stato correttamente osservato dal giudice di primo grado, non è condivisibile, proprio in considerazione della motivazione addotta dall'AGCM ai punti 23. e seguenti del provvedimento sanzionatorio, nella parte in cui l'Autorità ha giudicato aggressiva, ai sensi degli artt. 24 e 25, lett. a), del Codice del consumo, la condotta del professionista, avendo riguardo alla natura della condotta, al luogo e ai tempi che caratterizzano la fase di conclusione del contratto.

Al riguardo, pare anzitutto il caso di rammentare che il concetto di pratica aggressiva è tipizzato dall'art. 24 del Codice del consumo, secondo il quale "è considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Come è stato più volte affermato da questa Sezione, anche e proprio sul tema dei "finanziamenti revolving" (v. C.d.S., VI, n. 3904 del 2012 e n. 3763 del 2011), la disposizione citata descrive la pratica aggressiva come una condotta fortemente invasiva, per le pressioni in cui si sostanzia, sulla libertà di scelta del consumatore.

Tale condotta non incide, quanto meno necessariamente, sulla possibilità per il consumatore di acquisire gli elementi conoscitivi necessari circa il contenuto dell'operazione commerciale, ma sulla stessa volontà di concluderla, pur in presenza di un giudizio negativo sulla sua convenienza.

È evidente che la pratica commerciale aggressiva si distingue dalla pratica ingannevole.

Mediante quest'ultima, infatti, il professionista scorretto si propone di ottenere la stipula di un contratto del cui contenuto il consumatore non è ben consapevole; mediante la pratica aggressiva, invece, l'agente si propone di condizionare la volontà del consumatore, facendogli concludere un contratto della cui convenienza quest'ultimo non è convinto.

Come già rilevato riguardo a controversie analoghe, anche nella vicenda odierna il comportamento del professionista non può essere inquadrato nella fattispecie della "pratica aggressiva".

Se, invero, la condotta delle parti appellate ha inciso sul procedimento di conoscenza preliminare alla formazione della volontà contrattuale, impedendo al consumatore di apprezzare in maniera compiuta il contenuto del contratto, d'altra parte non risulta comprovata alcuna coartazione negativa della volontà.

"La mera ambiguità informativa o il contesto ambientale di riferimento (diverso da quello in cui normalmente si acquistano servizi finanziari) o, al limite, lo sfruttamento del c.d. effetto sorpresa del consumatore non trasmodano, di per sé, in un "indebito condizionamento", perché non fanno fulcro su alcuna situazione necessitante, come sarebbe una presumibile situazione di bisogno. E nemmeno, si aggiunge, ricorre il caso (art. 25) dello sfruttamento di una circostanza tragica o di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore; o dell'ostacolo incongruo all'esercizio dei diritti contrattuali del consumatore..." (così, con argomentazione che ben si attaglia al caso in esame, C.d.S., VI, n. 3904 del 2012).

La sentenza impugnata ha correttamente rilevato che il deficit informativo nei confronti del consumatore non potrebbe integrare da solo gli estremi della fattispecie della "pratica commerciale aggressiva".

Infatti, ai sensi degli artt. 24 e 25 del d.lgs. n. 206 del 2005 - Codice del consumo, vi è aggressività quando questa può farsi rientrare in una delle tre fattispecie tipizzate dal legislatore (vale a dire molestie, coercizione, indebito condizionamento); contestualmente, essa deve essere tale da "limitare considerevolmente" la libertà di scelta del consumatore, "estorcendo" allo stesso una decisione che non avrebbe altrimenti assunto.

Così però, come si è detto, non è stato nel caso di specie.

Infatti, nella vicenda odierna, l'asimmetria informativa addebitata alla Rinascente non presenta i requisiti normativi richiesti, segnatamente non la molestia o la coercizione e neppure l'indebito condizionamento, da intendersi come la situazione per cui il professionista sfrutta una posizione giuridica di potere (reale o semplicemente prospettata) o anche di mero fatto (consistente anche nello sfruttamento di una preesistente situazione di debolezza ed inferiorità del consumatore) allo scopo di esercitare una pressione che limiti notevolmente la capacità del consumatore di prendere una decisione di natura commerciale consapevole (cfr. artt. 18 e 25 del Codice del consumo). È pertanto corretto, e va condiviso, l'argomentare del TAR sul punto, con cui si rileva, al p. 7.2. (pag. 55 sent.), che l'"indicata casistica non appare, invero, suscettibile di applicazione alla descritta pratica commerciale; non ravvisandosi in essa elemento alcuno in(d)iziante la presenza di fattispecie che, ai sensi dell'art. 26 del D.Lgs. 206/2005, possano, ulteriormente, indurre un giudizio di aggressività della condotta posta in essere dall'operatore commerciale", non potendosi ravvisare, nella specie, il carattere estorsivo che caratterizza le condotte qualificabili come aggressive ai sensi degli artt. 24 e 25 del Codice del consumo, atteso che una condotta caratterizzata da asimmetria informativa non può di per sé essere considerata idonea ad assumere una valenza estorsiva tale da costituire uno sfruttamento indebito di una non meglio identificata posizione di forza in capo al professionista.

Non può parlarsi perciò di "posizione di supremazia" ricollegabile, di per sé sola, alla proposizione dell'offerta della Rinascentecard all'interno dei locali commerciali.

La situazione dei luoghi - ossia i locali commerciali della Rinascente - sarebbe dovuta essere stata tale da impedirne o da renderne difficoltoso l'abbandono da parte del consumatore, senza avere prima proceduto all'acquisto del prodotto o del servizio.

È corretto rimarcare che se di recente (v. TAR Lazio, sent. n. 9916 del 2017) è stata riconosciuta la sussistenza di un condizionamento indebito nelle situazioni di vendita (e "visite") a domicilio ove ricorra l'"effetto sorpresa", nel caso odierno non è possibile rinvenire un effetto sorpresa dato che era il consumatore stesso che si recava "in autonomia" nei locali del professionista.

Ed è corretto soggiungere, come fanno le parti appellate, che, seguendo la tesi dell'Autorità appellante, si concretizzerebbe il rischio di una unificazione impropria delle pratiche commerciali ingannevoli e aggressive, tenute invece chiaramente separate dal legislatore e dalla giurisprudenza di questa Sezione, dato che qualsiasi fattispecie addebitabile a un professionista e contraddistinta da omissioni o da incompletezze informative dovrebbe essere considerata "aggressiva".

In conclusione, il TAR ha correttamente interpretato e applicato la normativa del Codice del consumo al caso di specie.

La statuizione del TAR "in punto (non) aggressività" dev'essere dunque confermata.

6.2. Appelli incidentali. Sulle violazioni procedimentali.

Sui dedotti vizi procedimentali, si è accennato sopra, al p. 2., che il TAR (v. p. 4., da pag. 37 sent.) ha respinto le censure, la cui consistenza, per la ricorrente Findomestic, avrebbe compromesso una attuazione effettiva del principio del contraddittorio con conseguente restringimento del diritto di difesa del professionista.

Nell'appello incidentale (v. da pag. 21 a pag. 39) Findomestic deduce che sarebbero illegittimi, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., con taluni "principi difensivi" contenuti nella l. n. 689 del 1981, con l'art. 27, comma 11, del Codice del consumo e, in definitiva, coi principi sul contraddittorio e sulla "parità delle armi", gli artt. 6 e 16 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, approvato dall'AGCM con provvedimento del 15 novembre 2007, disposizioni regolamentari sulla base delle quali si è svolto il procedimento in discussione. Nel ripercorrere in dettaglio i singoli passaggi del procedimento, a partire dalla "comunicazione di avvio" dell'11 dicembre 2008, Findomestic ritiene che il provvedimento finale dell'Autorità sarebbe stato emanato senza alcuna preventiva contestazione, alla società, in ordine alla pratica commerciale asseritamente "aggressiva" e, con riferimento all'intero procedimento, senza che Findomestic abbia potuto svolgere le proprie difese entro 30 giorni dalla contestazione, come previsto nella materia delle sanzioni amministrative. Sotto un profilo parzialmente differente, Findomestic lamenta la mancata comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) e delle conclusioni alle quali è pervenuto il responsabile del procedimento. In tema di CRI, troverebbe applicazione la norma di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 217 del 1998. Inoltre, il professionista sottoposto al procedimento si è trovato a dover presentare la propria memoria difensiva finale senza avere preso conoscenza né della "richiesta di parere" inoltrata dall'AGCM all'AGCOM, né del parere dato da quest'ultima Autorità. Sbaglia il TAR nell'affermare che il parere dell'AGCOM non doveva essere conosciuto dalla Findomestic prima della conclusione del procedimento e della adozione del provvedimento finale. Si soggiunge che l'Autorità, nell'emanare il provvedimento sanzionatorio, non avrebbe tenuto conto delle memorie procedimentali presentate, con conseguente inosservanza di principi sulla motivazione e violazione, in particolare, dell'art. 10, lett. b), della l. n. 241 del 1990. Ancora, in violazione dell'art. 12, comma 2, del regolamento sulle procedure istruttorie, non risulta essere stata disposta alcuna audizione, sicché, in definitiva, l'AGCM non ha garantito, a Findomestic, né "una condizione di parità", né un "effettivo contraddittorio", e neppure una "piena difesa" della parte privata.

Nella memoria in data 19 febbraio 2018 Findomestic ha richiamato le sentenze C.d.S., VI, nn. 1595 e 1596 del 2015, pronunciate nel settore, "contiguo", delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB, e con le quali è stato annullato il regolamento della CONSOB sulla disciplina dei procedimenti sanzionatori, per contrasto con i principi del contraddittorio e della piena conoscenza degli atti, allo scopo di avvalorare la tesi dell'illegittimità delle disposizioni del Regolamento del 2007 sulle procedure istruttorie, nella parte in cui viene preclusa una effettiva interlocuzione tra il soggetto destinatario della contestazione degli addebiti e l'organo preposto all'esercizio della funzione decisoria.

Tutti i profili di censura di natura procedimentale articolati da Findomestic sono infondati e vanno respinti.

La tesi di fondo di Findomestic è che il Regolamento di procedura adottato dall'AGCM nel 2007, applicabile ratione temporis alla controversia, si porrebbe al di sotto dello standard di contraddittorio fissato dal Legislatore posto che nella fase istruttoria non viene garantito un vero e proprio diritto di difesa, con contraddittorio pieno.

In particolare, non è previsto che la relazione istruttoria-proposta di provvedimento, redatta dalla Direzione, sia comunicata alle controparti e che su di essa si instauri un contraddittorio davanti al Collegio dell'Autorità, con la conseguenza che mancherebbe qualsiasi interlocuzione tra l'ufficio titolare del potere di decisione finale e il soggetto che quella decisione subirà.

L'interessato deve avere la possibilità di conoscere la proposta dell'ufficio competente a irrogare la sanzione e di replicare prima che il Collegio decida: di qui, la violazione del contraddittorio voluto dal Legislatore, posto che il contraddittorio dovrebbe esplicarsi in ogni fase del procedimento.

Inoltre, il professionista non ha avuto modo di conoscere il parere dato dall'AGCOM il 25 maggio 2009, vale a dire dopo la conclusione della fase istruttoria.

Ora, in punto di fatto è bene rammentare che, come si ricava in particolare dai punti 4., 12. e 17. del provvedimento impugnato in primo grado, l'avviso di avvio del procedimento è dell'11 dicembre 2008, e fa seguito alle segnalazioni pervenute all'Autorità nei mesi di maggio e di agosto del 2008; indi, gli uffici dell'AGCM hanno compiuto accertamenti ispettivi, e le parti hanno presentato deduzioni l'8 gennaio e il 4 maggio del 2009; con comunicazione in data 6 marzo 2009 l'Autorità ha chiesto ai professionisti chiarimenti ulteriori, ricevendo risposta con note del 18 e del 23 marzo 2009; la comunicazione del termine della fase istruttoria, ai sensi dell'art. 16 del Regolamento, porta la data del 22 aprile 2009 e risulta comunicata il 4 maggio 2009; il parere dell'AGCOM è pervenuto all'AGCM il 25 maggio del 2009. Il provvedimento finale è del 4 giugno 2009.

Ciò posto, va rilevato che questa Sezione, con le sentenze nn. 2918 del 2017 e n. 5253 del 2015, nel respingere censure di carenza di contradditorio procedimentale per certi versi simili a quella odierna, basata anch'essa sul richiamo al "precedente Consob" di cui a C.d.S., sez. VI, n. 1596 del 2015, hanno affermato, in modo condivisibile, che "se... si può parlare di contraddittorio rafforzato per il procedimento sanzionatorio che si svolge in ambito Consob, a dette conclusioni non può giungersi per i procedimenti davanti all'AGCM (disciplinati dal regolamento sulle procedure istruttorie, adottato con delibera dell'Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589 - applicabile ratione temporis alla controversia odierna: attualmente, v. delibera AGCM n. 25411 del 1° aprile 2015, n. d. est.; ma il disposto di cui all'art. 12 del regolamento del 2015 non è dissimile rispetto all'art. 12 del regolamento del 2007); infatti, per questi ultimi procedimenti non è stata ancora introdotta una normativa speciale primaria, ma vengono estesi alla stessa i principi generali sanciti dalla legge generale sul procedimento amministrativo. Tanto è vero che l'art. 27, comma 11, del Codice del consumo richiama espressamente i principi generali della l. 241 del 1990 stabilendo che "l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con proprio regolamento, disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione"... l'AGCM - come si evince dagli atti di causa e dai documenti depositati - ha concesso termine alle società sottoposte a procedimento sanzionatorio per il deposito di memorie scritte, mentre non ha fatto luogo all'audizione dei rappresentanti delle società (benché detto diritto sia espressamente disciplinato dall'art. 12, comma 2, del regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa della stessa AGCM), in difetto di domanda in tal senso da parte dei soggetti interessati. Quanto allo svolgimento successivo del procedimento sanzionatorio, risulta che AGCM abbia puntualmente osservato le prescrizioni regolamentari uniformandosi alle previsioni dell'art. 16 del predetto regolamento, il quale stabilisce che il responsabile del procedimento comunichi la conclusione della fase istruttoria alle parti indicando loro un termine, non inferiore a dieci giorni, per presentare memorie conclusive o documenti e che, conclusa la fase istruttoria, rimetta gli atti al Collegio per l'adozione del provvedimento finale.

È vero che, come lamentato dall'appellante, in tale paradigma procedimentale non sia effettivamente rispettata l'osservanza del principio dell'immediatezza (tra accusa e difesa), ma tale manchevolezza a livello di fonte regolamentare appare coerente e simmetrica rispetto alla mancata previsione di un meccanismo che assicuri l'effettività di quel principio nella fonte regolatrice superiore (art. 27 del Codice del consumo)...".

Passando adesso alla controversia odierna, il Collegio ritiene che il regolamento di procedura del 2007 e, segnatamente, gli artt. 12 e 16 del regolamento medesimo, non si pongano al di sotto dello "standard di contraddittorio" stabilito dal Legislatore all'art. 27, comma 11, del Codice del consumo, dato che consentono in modo ampio all'incolpato di interloquire con l'Autorità attraverso la produzione di documentazione, per cui non sembra tra l'altro che l'audizione personale sia di per sé un presidio incomprimibile di partecipazione procedimentale (conf., su quest'ultimo punto, C.d.S., sez. VI, n. 2256 del 2011).

Ancora, su fattispecie analoga a quella odierna la Sezione (sent. n. 38 del 2016, p. 3.2.1.1.) ha rilevato che "gli artt. 6 e 16 del Regolamento dell'AGCM sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette (approvato con delibera dell'Autorità 15 novembre 2007 n. 17589 e ratione temporis rilevante nella presente vicenda contenziosa) neppure prevedono in via necessaria la predisposizione di una comunicazione delle risultanze istruttorie (diversamente da quanto previsto in materia Antitrust dall'art. 14 del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 - Regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato - secondo cui la predisposizione di tale documento è resa obbligatoria, così come la sua trasmissione all'incolpato).

Occorre al riguardo verificare:

i) se la mancata previsione, nell'ambito del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, della predisposizione e comunicazione all'interessato della comunicazione delle risultanze istruttorie, implichi una violazione dell'art. 27, comma 11, del Codice del consumo (secondo cui "[l'Autorità], con proprio regolamento disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione");

ii) se, a prescindere dalla legittimità in parte qua del Regolamento del 15 novembre 2007, laddove nei procedimenti istruttori in tema di pratiche commerciali scorrette la CRI sia stata comunque predisposta, la sua mancata comunicazione al professionista incolpato comporti comunque una violazione delle generali prerogative partecipative di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241.

Al quesito sub i) deve essere fornita risposta negativa...".

Al riguardo, nel rinviare, ai sensi degli artt. 60 e 74 c.p.a., e comunque per non appesantire troppo la struttura motivazionale di questa decisione, alle argomentazioni addotte dalla Sezione sul punto, si rammenta che in quella occasione questo giudice di appello ebbe ad affermare "che non vi (siano) dati o ragioni per ritenere che (in assenza di univoci indici normativi in senso contrario) la tipologia di contraddittorio richiamata dall'art. 27, comma 11, del Codice del consumo sia caratterizzata da presidi procedimentali ulteriori e diversi rispetto a quelli 'di tipo verticale' della l. n. 241 del 1990; e che, in particolare, la mancata previsione regolamentare dello strumento della CRI (e della sua necessaria comunicazione al professionista incolpato) costituisca indice di violazione di ineludibili prerogative procedimentali.

3.2.1.2. Per ragioni analoghe deve rispondersi negativamente anche al quesito sub ii) (relativo al se la mancata comunicazione delle CRI che siano state comunque predisposte, pur nel silenzio sul punto da parte del Regolamento del novembre 2007, comporti un error in procedendo tale da determinare l'integrale caducazione della serie procedimentale).

Si osserva al riguardo che le prerogative procedimentali comunque assicurate dal richiamato Regolamento (nonché l'ampia garanzia del contraddittorio ivi assicurata, al pari della piena conoscenza della pertinente documentazione istruttoria) sono comunque idonee ad assicurare in modo adeguato le garanzie procedimentali proprie di un contraddittorio di carattere verticale, senza che la mancata previa trasmissione delle CRI possa determinare effetti vizianti o caducanti...".

Quanto, poi, nello specifico, alla comunicazione di avvio del procedimento, ai fini della legittimità dello stesso e dell'osservanza del principio del contraddittorio, è sufficiente che l'atto iniziale, coerentemente con quanto dispone l'art. 6 del Regolamento, riporti gli elementi essenziali utili a consentire al professionista l'individuazione delle pratiche commerciali scorrette oggetto di accertamento, avuto riguardo sia agli elementi costitutivi di fatto, e sia al richiamo ai parametri normativi della cui violazione si fa questione: il che, nella specie, è puntualmente avvenuto.

Non occorre, cioè, che la comunicazione d'avvio abbia un maggior grado di dettaglio, posto che il carattere analitico delle argomentazioni riguarderà la fase conclusiva del procedimento, ossia l'esito della fase istruttoria. Viceversa, nella fase di avvio è sufficiente che siano individuati i soli profili della pratica commerciale oggetto dell'indagine, per porre in grado il professionista di partecipare in modo consapevole e proficuo all'istruttoria.

Dunque, come correttamente rilevato in sentenza (v. p. 7., da pag. 37 a pag. 39), la "disciplina partecipativa" delineata nel Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette è idonea ad assicurare una partecipazione effettiva dell'interessato.

Ancora, sulla asserita omessa confutazione analitica, da parte dell'Autorità, delle argomentazioni contenute nelle memorie presentate dalle parti nel corso del procedimento, dal che discenderebbe la violazione dell'art. 10/b) della l. n. 241 del 1990, è appena il caso di ribadire, con la giurisprudenza amministrativa predominante, il che esime questo Collegio dal compiere citazioni specifiche, che il dovere di esame delle memorie prodotte dall'interessato a seguito della comunicazione di avvio del procedimento non comporta la confutazione analitica delle deduzioni presentate dall'interessato, purché il provvedimento finale sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibili le ragioni del mancato adeguamento dell'azione amministrativa a quelle osservazioni: pertanto l'Amministrazione, nell'adottare un provvedimento, non è tenuta a riportare il testo integrale delle deduzioni del destinatario, essendo sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee: il che, nella specie, è accaduto, tenuto conto dell'ampia motivazione che sorregge il provvedimento finale.

Infine, come puntualmente osservato in sentenza (da pag. 39), la richiesta, e l'espressione, del parere dell'AGCOM dopo la chiusura dell'istruttoria, è conforme sia alla previsione regolamentare di cui all'art. 16 e sia alla disposizione di cui all'art. 27, comma 6, del Codice del consumo, per la quale "quando la pratica commerciale è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione, l'Autorità prima di provvedere, richiede il parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni".

Quest'ultima disposizione, peraltro, come segnalato dal TAR, non appare irragionevole, "in quanto il contradditorio tra le parti deve formarsi (esclusivamente) sui fatti in ordine ai quali il procedimento è stato avviato, come in sintesi indicati nella comunicazione di avvio dello stesso; e non anche, ulteriormente, sul contenuto del parere dell'organo consultivo chiamato ad intervenire nel procedimento (e se) entrambe le parti hanno avuto modo, nel corso del procedimento istruttorio, di addurre all'attenzione dell'Autorità le proprie difese e di controdedurre rispetto agli addebiti mossi (essendo esse state, comunque, poste concretamente nella condizioni di esporre documentalmente le proprie argomentazioni), deve conclusivamente escludersi la fondatezza" delle censure di natura procedimentale.

6.3. Sulla ingannevolezza delle condotte e sulla imputabilità delle stesse a entrambi i professionisti. Sulla affermata carenza di legittimazione passiva in capo alla Rinascente.

Sul piano sostanziale, entrambi i professionisti appellanti in via incidentale deducono il vizio di carenza di presupposto, contestando il carattere ingannevole della pratica commerciale oggetto di valutazione (cfr. punti da 19. a 23. del provvedimento impugnato in primo grado, oltre che da 1. a 11. per una più ampia descrizione della pratica; v. anche il p. 6. sent., da pag. 45 a pag. 53).

Come si è anticipato sopra, al p. 3., La Rinascente sostiene che il TAR avrebbe errato nell'ignorare e, di conseguenza, nel respingere le argomentazioni del professionista, basate anzitutto sulla carenza di legittimazione passiva della Rinascente in relazione alle condotte oggetto del provvedimento dell'AGCM, e sulla imputabilità delle condotte illecite esclusivamente in capo a Findomestic; avrebbe sbagliato nel considerare le condotte contestate riconducibili a entrambi i professionisti.

Le contestazioni dell'AGCM riguardano infatti attività rispetto alle quali La Rinascente non può svolgere alcun ruolo, anche alla luce del Protocollo di accordo sottoscritto nel dicembre del 2006 con Findomestic.

"In relazione alla presunta natura ingannevole del prodotto Rinascentecard" l'appellante in via incidentale critica le conclusioni alle quali è giunto il TAR circa la sussistenza di informazioni inadeguate, incomplete e omesse su natura, caratteristiche, condizioni e modalità di utilizzo della Rinascentecard (su cui si rinvia ai punti 20. e seguenti del provvedimento impugnato), e al carattere ingannevole delle azioni e omissioni descritte nel provvedimento stesso.

Contrariamente a quanto assume l'AGCM, con l'avallo del TAR, sulla base della cartellonistica pubblicitaria e promozionale e della "guida all'utilizzo" era da considerare sufficientemente chiaro, per i clienti, che la Rinascentecard avesse due modalità di pagamento, con saldo a fine mese e con pagamento rateale - revolving.

L'appellante incidentale ribadisce che il TAR, nel confermare la insufficienza delle informazioni riportate nella "guida", non avrebbe nemmeno in questa situazione soppesato in modo corretto il differente ruolo dei due professionisti, risultando evidente come La Rinascente rimandasse, per le spiegazioni sul funzionamento e sulle modalità di pagamento della card, alla documentazione redatta da Findomestic, concentrandosi sugli aspetti promozionali e fidelizzanti della carta.

La Rinascente critica le conclusioni dell'Autorità (e del giudice di prima istanza) sul carattere ingannevole della pratica commerciale, riconosciuto sussistente, e insiste nell'affermare che ai consumatori sono state fornite informazioni rispondenti al vero e complete su natura, caratteristiche e condizioni di utilizzo della card, e sulla circostanza che, a tutto concedere, eventuali inesattezze od omissioni parziali non sarebbero state comunque tali da indurre il consumatore medio in errore e da fargli assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (senza considerare che, come detto e ripetuto, ogni - eventuale - inadeguatezza e/o omissione informativa, ove confermata da questo Consiglio di Stato, non potrebbe che gravare in via esclusiva su Findomestic).

Poco dissimili, nella sostanza, ancorché imperniate, formalmente, sul vizio di "travisamento delle risultanze istruttorie" e di violazione degli artt. 20 e seguenti del Codice del consumo, le argomentazioni critiche formulate da Findomestic contro le "valutazioni conclusive" dell'AGCM, e avverso la statuizione del TAR contenuta, specialmente, al p. 6.3. della sentenza, da pag. 50 a pag. 53.

Per Findomestic, la card è stata ideata, pubblicizzata e distribuita con lo scopo principale di fidelizzare la clientela dei negozi Rinascente, ed è stata perciò qualificata in maniera erronea come carta di credito c.d. revolving.

Ancora, le funzioni di messa a disposizione di un importo di denaro, di flessibilità dei pagamenti in varie modalità, la possibilità di utilizzare la carta al di fuori degli esercizi della Rinascente convenzionati Visa e quant'altro previsto contrattualmente costituirebbero funzioni della carta nel complesso marginali, sicché appare pretestuoso e scorretto sostenere, come fa l'Autorità, con l'avallo del TAR, che la Rinascentecard è una "carta di credito c.d. revolving".

In particolare, la netta distinzione, quanto alla "flessibilità" dei pagamenti presso i punti vendita della Rinascente, tra la possibilità di un saldo a fine mese per pagare l'importo degli acquisti, in un'unica soluzione e senza interessi, e la possibilità di pagamento rateale, è più che sufficiente per rendere informato il "consumatore medio" del fatto implicito che il pagamento rateale, sia per gli acquisti presso gli esercizi convenzionati Visa, sia per la restituzione di somme di denaro, comporta l'addebito di interessi.

L'omessa specificazione "con addebito di interessi" avrebbe dunque una rilevanza minima e sarebbe praticamente priva di effetti per il consumatore medio.

La mancata espressa indicazione del c.d. "effetto revolving", limitato a talune funzioni accessorie della card, appare irrilevante e certamente non tale da modificare la scelta del consumatore medio, risultando illogico ipotizzare e sostenere che tale consumatore, ove informato in maniera esplicita sull'esistenza dell'effetto revolving, peraltro limitato a singole funzioni, avrebbe rinunciato ai ben più importanti vantaggi derivanti dall'essere titolare della carta.

In ogni caso, non è mancata una informativa per ricordare ai clienti che avevano a disposizione diverse modalità di pagamento.

A fronte di tutte queste argomentazioni il giudice di primo grado ha però respinto i motivi, limitandosi a utilizzare formule di stile specialmente ai punti 6.2. e 6.3. della sentenza, e pervenendo "a conclusioni particolarmente rigide finendo così per travisare sia le risultanze dell'istruttoria, sia la reale portata delle norme richiamate".

Insomma, i professionisti avrebbero dimostrato di avere fornito tutte le informazioni necessarie e sufficienti - rispondenti al vero, esatte e complete - per consentire ai consumatori di essere pienamente edotti in ordine alle caratteristiche della Rinascentecard, riguardo alla sua duplice natura di "carta fedeltà" (Findomestric definisce la card "strumento di fidelizzazione") e, secondariamente, di "carta revolving".

Tutt'al più, potrebbe venire in considerazione una omissione informativa di non particolare rilevanza, subito sanata nel successivo colloquio con l'ufficio clienti, nel corso del quale sono (state) messe a disposizione dei consumatori interessati tutte le informazioni complete: una inesattezza, od omissione, non tale da indurre i consumatori in errore e da far loro assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso (arg. ex art. 21, comma 1, del Codice del consumo).

Le considerazioni svolte sopra, e dettagliate in modo ulteriore nelle memorie, non consentono però di sovvertire la decisione del giudice di primo grado.

Il TAR ha verificato i presupposti di fatto e ha sindacato la ragionevolezza, logicità, coerenza e rispondenza ai risultati dell'istruttoria, delle argomentazioni, valutazioni e conclusioni dell'Autorità sul carattere ingannevole della pratica commerciale de qua, in maniera resistente alle critiche formulate dalle appellanti.

Bene il giudice di primo grado ha condiviso le argomentazioni con le quali l'AGCM ha considerato sussistente una pratica commerciale scorretta con riguardo alla "violazione dell'obbligo di diligente e completa informazione del consumatore", con particolare riferimento alla inosservanza dell'obbligo di chiarezza del messaggio pubblicitario sin dal primo contatto.

Va sottolineato che il provvedimento dell'AGCM n. 19928 del 4 giugno 2009 è stato adottato a seguito di una estesa e approfondita istruttoria, sulla base di un'ampia documentazione acquisita in sede di accertamenti ispettivi presso le sedi delle appellanti in via incidentale, e senza che l'Autorità sia incorsa in travisamenti, il che ha consentito di ricostruire in modo corretto, e comunque immune dai rilievi sollevati dai privati, natura, caratteristiche e condizioni economiche che contraddistinguevano l'offerta della Rinascentecard.

E bisogna convenire con il TAR là dove il primo giudice (v. p. 6.3., da pag. 50 sent.), conformemente a quanto deciso dall'Autorità, ai punti 19. e seguenti del provvedimento n. 19928, e fermo il divieto, per il giudice amministrativo, di sostituire valutazioni e apprezzamenti dell'Autorità, caratterizzati da margini di opinabilità, con una "valutazione giudiziale" propria, ha considerato né irragionevole e né sproporzionata la "valutazione conclusiva" compiuta dall'AGCM, di "inadeguatezza e incompletezza" delle informazioni, attinenti:

- alla natura revolving della card e della linea di credito a essa collegata, e alla necessità, per il cliente, di rimborsare necessariamente in modalità revolving gli utilizzi della carta compiuti al di fuori dei punti vendita La Rinascente;

- al fatto che la "guida all'utilizzo", distribuita presso i punti vendita La Rinascente (e ulteriormente accessibile dal sito internet www.rinascente.it), forniva informazioni incomplete sull'effettiva natura della carta e del fido nonché sulle modalità di rimborso al di fuori del circuito Rinascente, venendo enfatizzata la connotazione di Rinascentecard come una «carta di credito esclusiva», una «carta di credito completa», una «Card», senza - peraltro - esplicitare il doveroso riferimento alla natura revolving della carta e del fido sul quale la stessa era destinata ad insistere;

- alla espressione «il fido diminuisce quando utilizzi la tua Card ma, grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi» (presente nella sezione della guida denominata "un fido sempre per te"), non idonea a dare al consumatore una informazione chiara ed esaustiva circa la natura revolving della linea di credito e, in particolare, in ordine alla circostanza per cui la modalità di rimborso rateale avrebbe potuto "ricostituire" il fido per la sola quota capitale della rata;

- al fatto che la versione della guida diffusa fino al mese di aprile del 2008 ometteva "di specificare che presso gli esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa o in alcuni corner e ristoranti presenti nei punti vendita Rinascente la modalità di rimborso prevista in automatico era quella rateale con interessi (c.d. revolving);

- al fatto che la seconda versione della guida all'utilizzo (diffusa dal mese di maggio 2008), pur riportando l'espressione «Ti segnaliamo che la Rinascentecard fuori dai punti vendita la Rinascente attiva in automatico la formula di pagamento revolving (pagamento rateale per i tuoi acquisiti)», non specificava però che la carta avrebbe attivato automaticamente la modalità di rimborso revolving anche presso alcuni corner (Louis Vuitton, Centro TIM e Nespresso) e presso i Ristoranti interni ai punti vendita Rinascente (della versione aggiornata della "guida" si terrà conto però quale "elemento attenuante" al fine di ridurre l'ammontare della sanzione pecuniaria comminata);

- alla circostanza che le medesime omissioni informative sono riscontrabili, sulla base di quanto emerso a seguito della istruttoria, anche nella documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta di rilascio della carta e nella comunicazione di accompagnamento all'invio della Rinascentecard al domicilio del consumatore, dal momento che i moduli contrattuali e la lettera di accompagnamento della carta non recano indicazioni in merito alla natura revolving della Rinascentecard e della linea di credito sulla quale la stessa insiste, nonché in merito alla necessità di rimborsare mediante rate mensili minime gli utilizzi della carta effettuati presso altri esercizi commerciali convenzionati Visa. Né il modulo contrattuale predisposto per la compilazione cartacea (mediante le espressioni «modulo richiesta card», riportata sul frontespizio, e «domanda di apertura carta», che compariva nella parte dedicata alla raccolta dei dati del cliente), permetteva al consumatore di comprendere l'effettivo oggetto della richiesta, rappresentato dall'apertura di una linea di credito rotativa (revolving) a tempo indeterminato, utilizzabile con la Rinascentecard anche al fine di richiedere prestiti personali o effettuare prelievi bancomat.

Alle considerazioni esposte sopra, qui condivise, occorre aggiungere, anche alla luce degli argomenti difensivi aggiunti in grado di appello, che:

- l'apprezzamento compiuto dall'AGCM non poteva non tenere conto del fatto che, anche per le caratteristiche delle attività dei professionisti e per la tipologia di card offerta, contraddistinte da una forte asimmetria informativa tra operatori economici e consumatori, riconducibile alla complessità tecnica della materia e alla scarsa conoscenza del consumatore rispetto a un servizio al quale, all'epoca, si ricorreva non di frequente, lo standard di chiarezza del messaggio esigibile in concreto non poteva non essere elevato e rigoroso, sicché l'omessa specificazione dell'addebito di interessi e dell'effetto revolving, nei limiti suindicati, che includevano però anche l'automatismo, in talune ipotesi, della modalità di rimborso revolving, con la ricostituzione del fido solo per la quota capitale della carta (cfr. p. 21. del provvedimento impugnato), non poteva non assumere un rilievo significativo per il "consumatore medio";

- è vero che dagli atti emerge anche una "funzione fidelizzante" della carta; d'altra parte, è fuori discussione l'utilizzo della card come carta di credito revolving, sicché la cartellonistica esposta nei punti vendita risulta del tutto inidonea a far comprendere al cliente medio i termini esatti della operazione. La "guida" presenta la Rinascentecard come una "carta di credito esclusiva", una "carta di credito completa", una Card, ma non vi è alcun riferimento alla natura revolving della carta e del fido sul quale la stessa insiste;

- la natura revolving della carta dovrebbe desumersi dall'espressione «il fido diminuisce quando utilizzi la tua Card ma, grazie ai tuoi rimborsi mensili, si ricostituisce ed è subito pronto a nuovi utilizzi», presente nella sezione della "guida" denominata "un fido sempre per te". Tale espressione, tuttavia, per il contesto in cui è inserita, non può essere considerata idonea a rendere chiaramente edotto il consumatore medio in ordine alla natura revolving della linea di credito e, in particolare, in merito alla circostanza per cui la modalità di rimborso rateale ricostituisce il fido solo per la quota capitale della rata;

- l'ingannevolezza è correlata anche alle omissioni relative alle modalità di rimborso previste nel caso di utilizzo della carta fuori dal circuito La Rinascente. La versione della guida diffusa fino al mese di aprile 2008 omette di precisare che presso gli esercizi commerciali che aderiscono al circuito Visa o in alcuni corner e ristoranti presenti nei punti vendita La Rinascente, la modalità di rimborso prevista in automatico è quella rateale con interessi (c.d. revolving). E anche la seconda versione, come rilevato, continua a non specificare che la carta attiva in automatico la modalità di rimborso revolving anche presso alcuni corner e presso i ristoranti interni ai punti vendita La Rinascente. Pertanto una qualche ingannevolezza oggettivamente permane;

- si tratta di omissioni informative rilevanti in quanto esse si riferiscono a caratteristiche salienti del prodotto e appaiono idonee a far assumere al consumatore una decisione che altrimenti non avrebbe preso.

Quanto infine al profilo di censura della Rinascente incentrato sulla necessità di imputare le condotte contestate non ad ambedue i professionisti coinvolti nel procedimento ma soltanto a Findomestic, con la conseguente "carenza di legittimazione passiva" della società distributrice commerciale, è corretto e va condiviso il rilievo dell'Autorità appellata per cui la natura co-branded della carta - ossia l'apposizione sulla stessa del marchio dell'intermediario finanziario emittente e gestore della carta, in abbinamento a quello della distributrice - è elemento bastante per affermare la natura congiunta della pratica commerciale sanzionata e il co- interesse di Findomestic e La Rinascente alla commercializzazione della "card": dal che l'imputabilità, anche alla distributrice commerciale, delle omissioni e delle opacità di condotta accertate e sanzionate.

La Rinascente ha svolto un contributo attivo - e, come detto, tutt'altro che "ancillare" - nella realizzazione complessiva delle iniziative commerciali sanzionate dall'Autorità, conseguendone un vantaggio economico.

Al riguardo, bene l'Autorità rammenta che l'art. 18, comma 1, lett. b), del Codice del consumo intende per "professionista" "qualsiasi persona fisica o giuridica che nelle pratiche commerciali agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome e per conto di un professionista"; e che tale nozione, "per garantire l'effetto utile della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette", estende la figura del professionista a ogni soggetto che, a qualunque titolo, partecipi alla realizzazione della pratica, traendone uno specifico e diretto vantaggio economico e/o commerciale. Nella realizzazione dell'illecito consumeristico è dunque ben possibile configurare un concorso di persone, il che - come affermato da questa Sezione nella sentenza n. 38 del 2016, pronunciata su una controversia per alcuni aspetti analoga a quella odierna - consente di qualificare come "professionista" anche il "coautore", ossia colui il quale ha contribuito attivamente alla diffusione e promozione dell'illecito amministrativo.

Nella specie, dalle risultanze dell'istruttoria emerge la riconducibilità della Rinascente alla figura del "coautore" dell'illecito (in quanto tale, pienamente consapevole del contenuto e degli effetti della pratica commerciale che contribuiva ad eseguire e a diffondere) (così, C.d.S., VI, n. 38 del 2016 cit.), non potendo giungersi a conclusioni diverse in base alla "circostanza per cui le condizioni dei contratti di finanziamento (erano state) concretamente predisposte da altro coautore dell'illecito (la società Findomestic) e che l'appellante incidentale si (era limitato) ad eseguirne puntualmente il contenuto... tali circostanze avvalorano la tesi dell'illecito in concorso e si limitano a confermare che, pur nell'ambito dell'unitarietà della fattispecie, i soggetti coinvolti vi contribuissero con apporti diversi, ma nondimeno finalizzati al conseguimento del medesimo risultato finale..." (così, C.d.S., VI, 38/2016 cit., con affermazioni trasferibili alla controversia odierna).

Di qui, la corretta qualificazione della Rinascente come soggetto co-autore della pratica commerciale contestata.

6.4. Sulla dedotta incompetenza dell'AGCM.

Resta da esaminare la censura, sintetizzata sopra, al p. 2., relativa alla affermata violazione dei principi in materia di riparto di competenze tra autorità indipendenti, con riferimento, in particolare, alla rilevata incompetenza a provvedere dell'AGCM.

Il TAR, come detto, ha respinto il motivo con il quale era stato contestato il potere di intervento dell'AGCM in un ambito, quello della offerta di prodotti finanziari, presidiato da una normazione di settore e dalla presenza di una Autorità, la Banca d'Italia, preposta alla vigilanza in materia di servizi bancari e creditizi (v. p. 3. sent., pagg. 35 e 36).

Il giudice di primo grado ha rilevato la "compresenza" di quadri normativi differenziati ed eterogenei, evidenziando che la tutela del Codice del consumo viene ad aggiungersi a strumenti legati alla esistenza di discipline specifiche riferite a settori oggetto di regolazione, sicché nella fattispecie in esame non è configurabile alcuna sovrapposizione né alcun conflitto di competenze.

Nell'appello incidentale, La Rinascente ritiene che alla sola Banca d'Italia sia affidato dall'Ordinamento il compito di verificare e sanzionare la trasparenza e la correttezza informativa dei prodotti offerti dagli intermediari soggetti alla sua vigilanza, tra i quali vi è Findomestic. Le conclusioni cui è giunto il TAR sulla competenza in materia sanzionatoria dell'Antitrust contrasterebbero con la normativa nazionale e comunitaria applicabile, dato che il Titolo VI del Testo unico bancario (d.lgs. n. 385 del 1993 - TUB, artt. 116 e seguenti) ha come finalità primaria proprio la tutela del consumatore attraverso la trasparenza del rapporto negoziale tra la banca, o l'intermediario finanziario, e i clienti (conf., su questione analoga, parere C.d.S. n. 3999 del 2008, sulla sovrapposizione tra la disciplina di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, recante il testo unico sulle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF, e il Codice del consumo, con riferimento alla correttezza e alla trasparenza delle informazioni relative alla vendita dei valori mobiliari). Diversamente da quanto ritenuto dal TAR, trasferendo il principio di specialità al caso oggi in discussione emerge l'incompetenza dell'AGCM ad applicare la normativa sulle pratiche commerciali scorrette anche nella fattispecie, simile a quella trattata in sede consultiva da questo Consiglio, in cui la disciplina di settore, vale a dire il TUB, affida alla Banca d'Italia compiti di vigilanza sull'operato degli intermediari finanziari.

Con memoria in data 20 febbraio 2018, La Rinascente ha anzitutto riepilogato brevemente gli sviluppi giurisprudenziali e normativi dipanatisi nel corso del giudizio: dalla sentenza C.d.S., Ad. plen., n. 14 del 2012, sulla applicabilità del principio di specialità, alla procedura di infrazione comunitaria n. 2013/2169, per violazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, che ha portato il legislatore interno a introdurre il comma 1-bis all'art. 27 del Codice del consumo, disposizione con la quale si è stabilito che "Anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3 - per cui "in caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici" - la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze" (sui protocolli di intesa tra AGCM e Autorità di regolazione sembra il caso di precisare che il Protocollo tra la Banca d'Italia e l'AGCM, del 14 ottobre 2014, sulla tutela dei consumatori nel mercato bancario e finanziario, sostituisce il precedente Protocollo di intesa tra la Banca d'Italia e l'AGCM del 22 febbraio 2011).

Dalle c.d. "sentenze gemelle" dell'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, nn. 3 e 4 del 2016, con le quali è stata risolta la questione delle competenze dell'AGCM e della Autorità di regolazione, valorizzando le condotte specificamente contestate e rilevando in particolare che la fattispecie sub judice integrava "una condotta anticoncorrenziale ai sensi (del Codice del consumo), pur attuata mediante l'inosservanza di obblighi imposti dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dalla normativa ad esso riferibile" (si trattava di "pratiche commerciali aggressive messe in opera attraverso la violazione di obblighi informativi circa i servizi telefonici reimpostati"); al rinvio pregiudiziale, ex art. 267 del TFUE, alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, disposto da questa Sezione, con ordinanza n. 167 del 2017, in relazione a disposizioni euro-unitarie applicabili al settore delle comunicazioni elettroniche, con riferimento a una fattispecie definita dall'appellante incidentale "assimilabile" a quella per cui è causa, attinente ad omissioni e asimmetrie informative del professionista (ordinanza Sez. VI n. 167/2017, alla quale, puntualizza La Rinascente, hanno fatto seguito ordinanze analoghe, ex art. 267 cit., relative a un altro settore regolato, segnatamente quello delle forniture di energia elettrica e di gas naturale: cfr. TAR Lazio, ord. n. 2547 del 2017, e altre).

La Rinascente ha poi sottolineato come la questione della sovrapposizione delle discipline normative esistenti tra fattispecie regolata e vigilata, dalla Banca d'Italia, sulla base di norme di settore, e la pratica commerciale sleale sanzionata dall'AGCM sulla base delle disposizioni generali del Codice del consumo, debba considerarsi tutt'altro che risolta.

In particolare, l'appellante incidentale ritiene che occorra tenere conto del fatto che la direttiva 2005/29/CE, per quanto qui interessa, al "considerando" 10 dispone che "È necessario garantire un rapporto coerente tra la presente Direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici... Di conseguenza, la presente Direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore..." e che la stessa Direttiva all'art. 3, comma 4, prevede che "In caso di contrasto tra le disposizioni della presente Direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici".

Attuative di tale normativa europea sono le norme del Codice del consumo, ovvero per quanto di interesse gli artt. 19 e 27, comma 1-bis, del d.lgs. n. 206 del 2005, trascritti sopra.

E poiché l'AGCM esercita i propri poteri sanzionatori per ogni ipotesi di pratica commerciale scorretta, anche se posta in essere da imprese attive in settori per i quali esiste un'autorità di vigilanza specifica, occorre verificare se in casi come questo non sia la Banca d'Italia a dover esercitare la competenza suddetta, venendo in considerazione, nella materia della vigilanza, le norme di cui agli artt. 4 e 5 della Direttiva 2013/36/UE (Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento), e l'art. 20 della Direttiva 2008/48/CE (Direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, che abroga la Direttiva 87/102/CEE).

In particolare, l'art. 4 della Direttiva 2013/36/UE prevede che "Gli Stati membri designano le autorità competenti incaricate di esercitare le funzioni e le attribuzioni previste dalla presente direttiva" e che "le autorità competenti siano dotate delle competenze, delle risorse, delle capacità operative, dei poteri e dell'indipendenza necessari all'esercizio delle funzioni relative alla vigilanza prudenziale, alle indagini e alle sanzioni di cui alla presente direttiva". Inoltre, la medesima disposizione prevede che "le funzioni di vigilanza (...) ed eventuali altre funzioni delle autorità competenti siano separate e indipendenti dalle funzioni connesse alla risoluzione [...]", nonché "qualora autorità diverse dalle autorità competenti abbiano il potere di risoluzione, tali altre autorità cooperino strettamente e si consultino con le autorità competenti riguardo alla preparazione dei piani di risoluzione".

L'art. 5 della Direttiva 2013/36/UE prevede che "Allorché negli Stati membri esistono più autorità competenti a esercitare la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, sulle imprese di investimento e sugli enti finanziari, gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari allo scopo di organizzare il coordinamento tra tali autorità".

L'art. 20 della Direttiva 2008/48/CE prevede che "Gli Stati membri provvedono affinché i creditori siano controllati da un organismo o da un'autorità indipendente da istituzioni finanziarie o siano oggetto di una regolamentazione". L'autorità in questione, secondo le norme indicate, deve essere dotata "dei poteri di indagine e di controllo nonché delle risorse adeguate necessari all'adempimento efficiente ed efficace delle loro funzioni", fermo che qualora "nel loro territorio esistano più autorità competenti, gli Stati membri provvedono a che le loro funzioni rispettive siano chiaramente definite e a far sì che dette autorità operino in stretta collaborazione per garantire l'efficace espletamento delle rispettive funzioni".

Nel nostro ordinamento - prosegue La Rinascente - l'Autorità di settore competente a intervenire è la Banca d'Italia che, in base al combinato disposto di cui agli artt. 144 e 107 del TUB, esercita il potere di vigilanza sulla condotta degli operatori di cui all'art. 107 TUB e, in particolare, è titolare dei poteri sanzionatori per gli illeciti nel settore, e quindi anche per la repressione delle violazioni di cui al combinato disposto degli artt. 123 e 116 del TUB, di cui al Titolo VI, in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti, concernenti le pratiche commerciali scorrette poste in essere mediante la violazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza informativa alla clientela.

Il TUB costituisce pertanto disciplina di settore che regolamenta gli "aspetti specifici" delle pratiche commerciali de quibus e che, come tale, prevale, in base al citato art. 3, comma 4, della Direttiva 2005/29/CE, sull'art. 27, comma 1-bis, del Codice del consumo.

Tutto ciò considerato, La Rinascente, in via subordinata, ove, cioè, questa Sezione non ravvisi la denunciata incompetenza a provvedere dell'AGCM, ha chiesto di sollevare questione pregiudiziale, davanti alla Corte di giustizia della UE, ai sensi dell'art. 267 del TFUE, formulando quesiti che ricalcano nella sostanza quelli proposti dalla Sezione con la citata ordinanza n. 167 del 2017 (v. p. 15. e seguenti), fermo il peculiare riferimento, contenuto nell'ord. n. 167 cit., a direttive comunitarie settoriali in materia di comunicazioni elettroniche.

Per quanto riguarda il contesto entro cui è maturato l'illecito consumeristico e le ragioni poste a base della qualificazione di scorrettezza, sub specie di ingannevolezza, della pratica commerciale in discorso, pare sufficiente rinviare al riassunto dei principali passaggi motivazionali del provvedimento sanzionatorio, compiuto sopra, al p. 2.

Sul piano della ricognizione del quadro normativo di riferimento sembra utile rammentare, alla luce del principio tempus regit actum, secondo cui la verifica della legittimità del provvedimento impugnato va condotta "con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione"» (sentenza n. 49 del 2016; si veda anche sentenza n. 30 del 2016)" - così Corte cost., n. 224 del 2016, che:

- in base all'art. 5 del TUB, intitolato Finalità e destinatari della vigilanza, "Le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia. 2. La vigilanza si esercita nei confronti delle banche, dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari. 3. Le autorità creditizie esercitano altresì gli altri poteri a esse attribuiti dalla legge";

- stando all'art. 116 del TUB - Pubblicità "1. In ciascun locale aperto al pubblico sono pubblicizzati i tassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla clientela e ogni altra condizione economica relativa alle operazioni e ai servizi offerti, ivi compresi gli interessi di mora e le valute applicate per l'imputazione degli interessi. Per le operazioni di finanziamento, comunque denominate, è pubblicizzato il tasso effettivo globale medio previsto dall'articolo 2, commi 1 e 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108...

3. Il CICR: a) individua le operazioni e i servizi da sottoporre a pubblicità; b) detta disposizioni relative alla forma, al contenuto, alle modalità della pubblicità e alla conservazione agli atti dei documenti comprovanti le informazioni pubblicizzate; c) stabilisce criteri uniformi per l'indicazione dei tassi d'interesse e per il calcolo degli interessi e degli altri elementi che incidono sul contenuto economico dei rapporti; d) individua gli elementi essenziali, fra quelli previsti dal comma 1, che devono essere indicati negli annunci pubblicitari e nelle offerte, con qualsiasi mezzo effettuati, con cui i soggetti indicati nell'art. 115 rendono nota la disponibilità delle operazioni e dei servizi";

- secondo l'art. 117 - Contratti "1. I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. 2. Il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma. 3. Nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo. 4. I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora. 5. La possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con clausola approvata specificamente dal cliente. 6. Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati. 7. In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive; b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della durata del rapporto per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto. 8. La Banca d'Italia, d'intesa con la CONSOB, può prescrivere che determinati contratti o titoli, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti e i titoli difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell'intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d'Italia, adottate d'intesa con la CONSOB";

- l'art. 123 del TUB, intitolato "Pubblicità", prevede che "1. Alle operazioni di credito al consumo si applica l'art. 116. La pubblicità è, in ogni caso, integrata con l'indicazione del TAEG e del relativo periodo di validità. 2. Gli annunci pubblicitari e le offerte, effettuati con qualsiasi mezzo, con cui un soggetto dichiara il tasso d'interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, indicano il TAEG e il relativo periodo di validità. Il CICR individua i casi in cui, per motivate ragioni tecniche, il TAEG può essere indicato mediante un esempio tipico";

- l'art. 124 - Contratti, dispone a sua volta che "1. Ai contratti di credito al consumo si applica l'art. 117, commi 1 e 3. 2. I contratti di credito al consumo indicano: a) l'ammontare e le modalità del finanziamento; b) il numero, gli importi e la scadenza delle singole rate; c) il TAEG; d) il dettaglio delle condizioni analitiche secondo cui il TAEG può essere eventualmente modificato; e) l'importo e la causale degli oneri che sono esclusi dal calcolo del TAEG. Nei casi in cui non sia possibile indicare esattamente tali oneri, deve esserne fornita una stima realistica; oltre essi, nulla è dovuto dal consumatore; f) le eventuali garanzie richieste; g) le eventuali coperture assicurative richieste al consumatore e non incluse nel calcolo del TAEG. 3. Oltre a quanto indicato nel comma 2, i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l'acquisto di determinati beni o servizi contengono, a pena di nullità: a) la descrizione analitica dei beni e dei servizi; b) il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito dal contratto e l'ammontare dell'eventuale acconto; c) le condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato. 4. Nessuna somma può essere richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni contrattuali. Le clausole di rinvio agli usi per la determinazione delle condizioni economiche applicate sono nulle e si considerano non apposte. 5. Nei casi di assenza o nullità delle clausole contrattuali, queste ultime sono sostituite di diritto secondo i seguenti criteri: a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; b) la scadenza del credito è a trenta mesi; c) nessuna garanzia o copertura assicurativa viene costituita in favore del finanziatore".

Sul piano strettamente sanzionatorio:

- in base all'art. 128 - Controlli, "1. Al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del presente titolo (vale a dire, dall'art. 116 del T.U., n. d. est.), la Banca d'Italia può acquisire informazioni, atti e documenti ed eseguire ispezioni presso le banche e gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107...

In caso di ripetute violazioni delle disposizioni concernenti gli obblighi di pubblicità, il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia o dell'UIC o delle altre autorità indicate dai CICR ai sensi del comma 4, nell'ambito delle rispettive competenze, può disporre la sospensione dell'attività, anche di singole sedi secondarie per un periodo non superiore a trenta giorni";

- secondo l'art. 144, comma 3 ("altre sanzioni amministrative pecuniarie"), "Nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, dei dipendenti, nonché dei soggetti indicati nell'art. 121, comma 3 (vale a dire dei soggetti che si interpongono nella attività di credito al consumo - n. d. est.) è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire venticinque milioni per l'inosservanza delle norme contenute negli articoli 116 e 123 o delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie. 4. Nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione, dei dipendenti, nonché dei soggetti indicati nell'art. 121, comma 3 è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria fino a lire cento milioni per l'inosservanza delle norme contenute nell'art. 128, comma 1, ovvero nel caso di ostacolo all'esercizio delle funzioni di controllo previste dal medesimo art. 128...";

- in base all'art. 145 - Procedura sanzionatoria, "1. Per le violazioni previste nel presente titolo cui è applicabile una sanzione amministrativa, la Banca d'Italia o l'UIC, nell'ambito delle rispettive competenze, contestati gli addebiti alle persone e alla banca, alla società o all'ente interessati e valutate le deduzioni presentate entro trenta giorni, tenuto conto del complesso delle informazioni raccolte applicano le sanzioni con provvedimento motivato...".

Con il d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, successivo quindi al provvedimento sanzionatorio impugnato, recante "Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) - articoli 121 e seguenti, in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi", sono state in particolare apportate modifiche al TUB (artt. 121 e seguenti) in tema di credito ai consumatori.

Pare poi opportuno menzionare, ratione temporis:

- la delibera in data 4 marzo 2003 del CICR sulla trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, emanata in attuazione degli artt. 115 e 116 del TUB;

- il provvedimento della Banca d'Italia in data 29 luglio 2009 sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi finanziari al fine di attenuare i rischi legali reputazionali e di concorrere alla sana e prudente gestione degli intermediari. Nel provvedimento si precisa che le disposizioni sulla trasparenza sono applicabili anche ai servizi di natura finanziaria di credito al consumo.

Inoltre, come si è accennato sopra, il 22 febbraio 2011, vale a dire ben dopo l'adozione del provvedimento sanzionatorio, è stato concluso un Protocollo di intesa tra la Banca d'Italia e l'AGCM in materia di tutela dei consumatori nel mercato bancario e finanziario, con il quale è stato previsto in particolare l'obbligo di informazioni scambievoli dall'AGCM alla Banca d'Italia, e viceversa, in ordine all'avvio di procedimenti diretti a verificare, rispettivamente, la sussistenza di pratiche commerciali scorrette poste in essere da uno o più intermediari oppure violazioni delle disposizioni sulla trasparenza e correttezza da parte di uno o più intermediari. È stato inoltre previsto l'obbligo, reciproco, di trasmissione di provvedimenti sanzionatori adottati ai sensi dell'art. 27 del Codice del consumo con riferimento ai fatti segnalati, oppure per violazioni delle disposizioni sulla trasparenza e correttezza da parte di uno o più intermediari;

- il Protocollo di intesa del 2011 è stato superato dal Protocollo AGCM/Banca d'Italia del 14 ottobre 2014 il quale prevede attività più strette di cooperazione tra le due Autorità sotto forma di coordinamento di interventi e di segnalazioni (v. art. 2) e, all'art. 3, sancisce che "al termine dell'istruttoria svolta ai sensi del regolamento sulle procedure, l'AGCM chiede alla Banca d'Italia il parere di cui all'articolo 27, comma 1-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, trasmettendo altresì la documentazione rilevante. La Banca d'Italia si pronuncia entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta di parere e della relativa documentazione".

[Nella specie, il provvedimento sanzionatorio dell'AGCM, adottato nel giugno del 2009, non è stato preceduto da alcun parere della Banca d'Italia. È stata invece l'AGCOM a rendere parere, conforme, ai sensi dell'art. 27, comma 6, del Codice del consumo, poiché la pratica commerciale oggetto del provvedimento era stata diffusa anche attraverso internet].

Ciò posto, questo giudice di ultima istanza ritiene da una parte che la dedotta incompetenza dell'AGCM non sussista e, dall'altra, che non possa avere séguito la richiesta di rinvio pregiudiziale, ex art. 267 del TFUE, formulata dall'appellante incidentale in via subordinata, per le ragioni che si esporranno e avuto riguardo all'epoca della adozione del provvedimento sanzionatorio impugnato e alla disciplina applicabile.

Se può essere vero che nella fattispecie oggetto della controversia si prende le mosse da, e si fa questione di, violazioni di obblighi informativi, come emerge dalla lettura dei punti 20. e seguenti del provvedimento sanzionatorio, là dove l'AGCM "rileva" informative inadeguate e incomplete, e omissioni informative, su natura, caratteristiche, condizioni e modalità di utilizzo della card, anche nell'ambito della documentazione contrattuale utilizzata per la richiesta dalla carta e messa a disposizione da Findomestic nei punti vendita della Rinascente, il che potrebbe giustificare una qualche prossimità alla disciplina del TUB, vigente all'epoca e sopra trascritta, contenuta nel combinato disposto di cui agli artt. 116, 117, 123 e 124 del Testo unico; è altrettanto evidente che, come si ricava dalla lettura del provvedimento dell'AGCM, la linea di azione e il "tema di indagine" dell'Antitrust sono assai più ampi.

Essi muovono anzitutto dalla considerazione del "contesto commerciale" entro il quale è maturata la pratica sanzionata; attengono alle modalità di promozione pubblicitaria, sul sito internet della Rinascente, mediante cartellonistica esposta presso i punti vendita e attraverso la "guida all'utilizzo", di quella che viene presentata, anzitutto, come una "carta fedeltà" (le stesse parti private rimarcano che lo scopo principale della carta è di fidelizzazione della clientela); presentano un collegamento strettissimo con decisioni del consumatore di natura essenzialmente commerciale, vale a dire con l'acquisito di beni, specie presso la catena di negozi della Rinascente: in definitiva riguardano, in modo pieno e in via diretta, il "modello di professionista diligente", desumibile dal Codice del consumo, che l'Autorità Antitrust deve tenere presente come paradigma nell'azione di accertamento e di sanzione delle pratiche commerciali sleali.

Non solo.

Occorre aggiungere che la finalità della attività di vigilanza demandata alle autorità creditizie va individuata, sulla base di quanto dispone l'art. 5 del TUB, essenzialmente nell'assicurare la "sana e prudente gestione dei soggetti vigilati", la "stabilità complessiva" e "l'efficienza e... competitività del sistema finanziario" nonché "l'osservanza delle disposizioni in materia creditizia".

Il TUB, "nella versione vigente all'epoca dei fatti per cui è causa non contiene alcuna disposizione intesa a perseguire, direttamente o indirettamente, finalità di tutela del consumatore" (conf. C.d.S., Ad. plen., n. 14 del 2012 - Agos, riguardante una pratica commerciale scorretta, non priva di elementi di somiglianza con quella odierna, sanzionata nel 2008).

L'interesse pubblico primario affidato alla Autorità di settore riguarda dunque la conformazione del mercato del credito, attraverso i poteri di vigilanza e di regolazione, agli obiettivi suindicati di stabilità, competitività ed efficienza del sistema.

Ribadito che alla fattispecie in esame è inapplicabile, ratione temporis, la disciplina innovativa introdotta dal d.lgs. n. 141 del 2010, relativa ai contratti di credito ai consumatori, è da ritenere che le (precedenti) "disposizioni del t.u.b., intese a regolamentare gli obblighi di informazione incombenti agli istituti di credito e agli intermediari finanziari, all'interno dei propri uffici o sportelli, in ordine ai contenuti ed alle condizioni dei propri prodotti, non si prestino a essere ricondotte alla medesima ratio ispiratrice della generale disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette" (cfr. C.d.S., Ad. plen., n. 14 del 2012).

È pertanto alla luce del criterio e della funzione delineati sopra che debbono essere vagliate le disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e di correttezza dei rapporti con la clientela.

Diversamente da quanto ritiene la società appellante incidentale, che considera esistente e applicabile, al caso in esame, una disciplina compiuta nella materia del credito al consumo, che prevede obblighi di trasparenza e regole di comportamento, in capo ai soggetti operanti nel settore finanziario, con riguardo all'intero "spettro" delle condotte contestate e sanzionate dall'AGCM, occorre rilevare che, nel caso in trattazione, considerando anche il momento (2009) dell'adozione del provvedimento impugnato (il quale, difatti, è preceduto dal parere dell'AGCOM ma non da quello della Banca d'Italia), non sono configurabili sovrapposizioni di piani e di tutele né conflitti di competenze tra le due Autorità, a nulla rilevando in contrario la disposizione di cui all'art. 43 del Codice del consumo, il quale fa rinvio all'art. 115 e seguenti del TUB per la restante disciplina del credito al consumo.

Detto altrimenti, nel caso in esame non viene in considerazione una fattispecie attinente a funzioni di vigilanza e a poteri sanzionatori riferiti a presunte carenze e ambiguità informative contenute nelle condizioni economiche del finanziamento erogato.

Si disputa, invece, in modo più esteso e, per dir così, "radicale", su comportamenti ingannevoli (e aggressivi, anche se l'AGCM ha errato nel considerare "aggressiva" la pratica commerciale) posti in essere dai professionisti ricorrenti nelle fasi della promozione pubblicitaria della Rinascentecard e della conclusione del rapporto contrattuale (cfr. le "valutazioni conclusive" del provvedimento impugnato in primo grado, p. 19 e seguenti).

Appaiono pertinenti quindi sia il richiamo, compiuto dalla difesa dell'AGCM, a C.d.S., Ad. plen., n. 14 del 2012, secondo cui "con riferimento a condotte anteriori all'entrata in vigore del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, rientra nella competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato l'applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette poste in essere da un operatore del mercato finanziario, assoggettato alla disciplina del testo unico bancario, che offre ai consumatori servizi accessori all'acquisto di beni presso esercizi commerciali"; e "non è esclusa l'applicazione della disciplina generale delle pratiche scorrette a pratiche attinenti alla stipula di un contratto di credito o all'acquisto di un prodotto finanziario, pur soggetti alla disciplina del credito al consumo, contenuta nel t.u.b., laddove tali operazioni si connotino precipuamente per la loro stretta correlazione con l'acquisto di beni presso esercizi commerciali, rispetto al quale appaiono chiaramente accessori e marginali"; e sia la citazione di C.d.S., Ad. plen., nn. 3 e 4 del 2016, con cui si è statuito che "la pratica commerciale aggressiva è inequivocabilmente attratta nell'area di competenza dell'Autorità Antitrust" e che "è indubbia la competenza dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette...", oltre a osservare, sulla questione della compatibilità comunitaria della normativa italiana, "che in numerose occasioni la Corte di Giustizia ha affermato l'indifferenza dell'ordinamento europeo rispetto all'articolazione delle competenze amministrative all'interno degli Stati membri (cfr. ex multis, Corte di Giustizia, sentenza 25 maggio 1982, Commissione delle Comunità europee c. Regno dei Paesi Bassi, causa C-96/81, in Raccolta 1982, p. 1791; sentenza 17 giugno 1986, Commissione delle Comunità europee c. Regno del Belgio, causa 1/86, in Raccolta 1987, p. 2797; sentenza 13 dicembre 1991, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana, causa C-33/90, in Raccolta 1991, p. I-5987). Il principio sul quale si incentrano queste decisioni è una dichiarazione di indifferenza del giudice comunitario rispetto alla distribuzione delle competenze attuative all'interno degli Stati membri dell'UE: ciò che la Corte di giustizia intende sottolineare è soprattutto la volontà di non ascoltare giustificazioni ad inadempimenti di obblighi comunitari che invochino meccanismi interni di riparto delle competenze...". Di qui la conclusione secondo cui "la competenza ad irrogare la sanzione per "pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva" è sempre individuabile nell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato".

Rimanendo ancora un momento sul piano dei "precedenti giurisprudenziali", è il caso di aggiungere che anche il riferimento, operato dalla difesa erariale, alla sentenza del TAR del Lazio, I Sezione, n. 12676 del 2017 - Agos Ducato (e, ivi, rif. ulteriori a TAR Lazio, I, n. 449/2011 - Coincard), sulla non configurabilità di una, anche solo virtuale, sovrapposizione di competenze tra Autorità di settore e Autorità preposta alla tutela del consumatore, è pertinente, va condivisa e si attaglia alla fattispecie odierna. Su condotte ingannevoli anteriori alla entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2010 si può fare rinvio anche a TAR Lazio, sent. n. 6325 del 2012).

Né potrebbe parlarsi utilmente di sovrapposizioni nel riparto di competenze in relazione alla ipotesi in cui l'intervento dell'AGCM non si limiti a sanzionare, in concreto, una pratica commerciale sleale, ma finisca con l'introdurre, in maniera surrettizia, misure di carattere regolatorio che, come tali, rientrano nelle prerogative dell'Autorità di settore.

Da quanto si è esposto sopra risulta infatti evidente che nel caso in esame l'AGCM, lungi dall'introdurre misure di carattere regolatorio, tali da sovrapporsi alla regolazione di settore, ha posto in essere accertamenti specifici su condotte concrete e circostanziate, qualificandole come scorrette ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 20 e seguenti del Codice del consumo, individuando in modo puntuale le fattispecie illecite, sicché, anche sotto questo profilo, non viene in considerazione alcun conflitto di competenze.

In definitiva, è corretto e condivisibile il rilievo compiuto dal TAR, nella sentenza impugnata, sulla compresenza di quadri normativi differenziati ed eterogenei, e sulla inesistenza di sovrapposizioni di attribuzioni e di conflitti di competenze tra Autorità.

E non può avere seguito la richiesta di proporre domanda di pronuncia pregiudiziale, ex art. 267 del TFUE, stante la irrilevanza della questione nei termini prospettati.

6.5. Sulla quantificazione delle sanzioni, la pretesa delle parti private può essere accolta, sia pure solo in parte.

Al riguardo, il TAR del Lazio ha fatto discendere, dalla errata qualificazione in termini di aggressività della pratica commerciale relativa alla Rinascentecard, l'eccessività della misura delle sanzioni pecuniarie applicate, che al p. 8. della sentenza (v. da pag. 58 a pag. 62) sono state ridotte abbattendo gli importi base, identici, di Euro 150.000, nella misura del 25%, e giungendo quindi a un importo-base diminuito di Euro 112.500, comune a entrambi i professionisti.

Sull'importo-base così diminuito sono stati computati "gli adeguamenti incrementali e decrementali" rispettivi, per una rideterminazione finale della sanzione a carico di Findomestic Banca nella misura di Euro 142.500, pari a Euro 112.500 + 30.000, essendosi tenuto conto della recidiva, e di Euro 92.500 nei confronti della Rinascente, a favore della quale è stata viceversa considerata l'esistenza della circostanza attenuante della perdita di esercizio (v. p. 27. del provvedimento impugnato; pag. 62 sent.).

Ancora preliminarmente, va rilevato che il giudice amministrativo in questa materia è munito di giurisdizione con cognizione estesa al merito, in base a quanto dispone l'art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a., che consente al TAR e al Consiglio di Stato di modificare, in base a una propria valutazione, gli importi delle sanzioni pecuniarie comminate dall'AGCM, senza rinviare gli atti all'Autorità affinché la stessa quantifichi gli importi medesimi conformandosi alle indicazioni della sentenza, ma rideterminando in via diretta il quantum della sanzione da applicare, in misura ridotta rispetto a quanto stabilito dall'AGCM.

Ciò posto, gli appelli incidentali possono essere accolti in parte, dal che conseguono la riforma parziale della sentenza impugnata, l'accoglimento in parte dei ricorsi di primo grado, e diminuzioni ulteriori degli importi delle sanzioni pecuniarie irrogate.

6.5.1. Per quanto riguarda la posizione della Rinascente (ma si tratta di profilo comune anche a Findomestic), ferma l'attribuzione di responsabilità analoghe a carico di entrambi i professionisti, e questo per le ragioni rilevate sopra, al p. 6.3., seconda parte, anche se, come si dirà più avanti, la "combinazione di circostanze aggravanti e attenuanti" comporterà distanziamenti tra i due professionisti nelle riduzioni degli importi complessivi da applicare, la diminuzione dell'importo-base, di Euro 150.000, nella misura del 25%, disposta in sentenza, a seguito e in ragione della dichiarata "non aggressività" della pratica commerciale, appare insufficiente.

Se sembra eccessiva e sproporzionata, specie se valutata nei suoi risultati pratici, la tesi per cui, per effetto dell'eliminazione "in via giurisdizionale" della connotazione di aggressività delle condotte, ferma la ingannevolezza dei comportamenti, la sanzione irrogata per entrambi i professionisti avrebbe dovuto, e dovrebbe, essere ridotta del 50%, con un abbattimento, pertanto, dell'importo-base, da Euro 150.000 a Euro 75.000; si ritiene, tuttavia, maggiormente proporzionata e adeguata alle circostanze del caso concreto una diminuzione dell'importo-base nella misura del 30%, sicché l'importo-base stesso va ridotto - per entrambe le parti - da Euro 150.000 a Euro 105.000 (anziché, come ha fatto il TAR, a Euro 112.500).

In secondo luogo, l'AGCM ha valutato a favore della Rinascente l'esistenza della circostanza attenuante rappresentata dalla perdita di esercizio, "pesandola" nella percentuale del 13%, calcolata sulla sanzione base di Euro 150.000, pervenendo così a una riduzione della sanzione medesima da Euro 150.000 a Euro 130.000.

A questo riguardo, il Collegio concorda con la difesa della Rinascente nel considerare insufficiente tale diminuzione, anche alla luce di alcune delibere dell'AGCM, più o meno coeve rispetto a quella impugnata, e puntualmente indicate in atti, con le quali la perdita di esercizio era stata "quotata" nella misura del 20%. Vero che il margine di discrezionalità di cui dispone l'Autorità nell'irrogare in concreto la sanzione è assai ampio, e che l'AGCM applica la sanzione tenendo conto di tutti i criteri di cui all'art. 11 della l. n. 689/1981. Tuttavia, nella specie questo Collegio stima equo riconoscere alla Rinascente, a titolo di perdita di esercizio, una riduzione della sanzione del 20% (percentuale calcolata sull'importo originario di Euro 150.000: quindi, 30.000 euro), e si giunge così alla cifra di Euro 75.000, pari a 105.000 - 30.000.

Quanto alla durata della infrazione, la base di calcolo della sanzione va parametrata non all'intero periodo considerato, vale a dire settembre 2007-maggio 2009, ma, quantomeno sotto taluni aspetti, di cui subito si dirà, a un periodo più breve, corrispondente ai sette mesi che vanno dal settembre del 2007 all'aprile del 2008, in coincidenza con l'uscita della versione aggiornata della "guida".

Sulle differenze di contenuto tra la prima e la seconda versione della "guida" si è già detto.

Se dagli atti risulta che, a fronte della dichiarata modifica della "guida" a partire dall'aprile del 2008, nel dicembre del 2008 la "guida" reperita in occasione dell'accertamento ispettivo presso il punto vendita della Rinascente di Roma era ancora quella "ante modifica", appare tuttavia plausibile ritenere che a partire dal mese di aprile del 2008 e comunque per un periodo di tempo ragguardevole prima dell'adozione del provvedimento sanzionatorio sia stata messa a disposizione dei clienti la "seconda versione" contenente l'avviso esplicito sul c.d. "effetto revolving" attivato in via automatica per gli acquisti compiuti al di fuori dei punti vendita della Rinascente.

E se è vero che anche la seconda versione della guida non specificava che la carta avrebbe attivato automaticamente la modalità di rimborso revolving presso alcuni corner e i ristoranti interni ai punti vendita La Rinascente, pure, non pare del tutto corretto, in presenza di questa "rettifica" che potrebbe essere considerata come "opera svolta dalla impresa per attenuare l'infrazione", l'aver commisurato la durata dell'illecito per l'intero periodo settembre 2007-maggio 2009 con la "medesima intensità" e identici parametri.

Viceversa, secondo logica e ragionevolezza, è da ritenere che a partire dall'aprile del 2008 La Rinascente, nel diramare la seconda versione della guida all'utilizzo, abbia svolto un'opera diretta ad "attenuare l'infrazione".

Tale circostanza merita di essere valutata positivamente in una qualche misura (ulteriore), sicché l'importo-base originario, di 150.00 Euro, poteva e può considerarsi suscettibile di una riduzione nella misura del 5%, pari a 7.500 Euro.

Per le ragioni evidenziate sopra l'importo finale della sanzione da irrogare alla Rinascente dev'essere fissato nella misura di 67.500 Euro.

6.5.2. Quanto a Findomestic, ferma la diminuzione dell'importo-base nella misura del 30%, da Euro 150.000 a Euro 105.000, come è stato deciso a favore della Rinascente, va applicato anche alla Banca il criterio di riduzione del 5% legato alla "uscita", nell'aprile del 2008, della versione aggiornata della "guida", sicché la sanzione va ridotta da Euro 105.000 a Euro 97.500.

Appare invece corretta la commisurazione dell'aumento, per la recidiva, ragguagliata all'importo originario di Euro 150.000, così come le diminuzioni sono state raffrontate all'importo-base, sicché dai 180.000 Euro irrogati dall'AGCM si passa ai 142.500 del TAR e ai 127.500, pari a 97.500 + 30.000, per la recidiva, che questa Sezione ritiene di dover stabilire.

Ogni altra considerazione, sulla misura della sanzione, non può trovare accoglimento.

In particolare, quanto alla deduzione sullo scarso impatto che la pratica commerciale scorretta avrebbe avuto sui consumatori, posto che l'Autorità non avrebbe verificato, in concreto, l'idoneità della pratica a falsare il comportamento economico del consumatore nella sua scelta di acquisto, pare il caso di ribadire che l'illecito consumeristico è un illecito di pericolo.

Come affermato in più occasioni da questo Consiglio di Stato (v., di recente, Sez. VI, 19 settembre 2017, n. 4878, 6 settembre 2017, n. 4245 e 16 agosto 2017, n. 4011), ai fini dell'illiceità di una pratica commerciale ai sensi del Codice del consumo non occorre dimostrare che essa abbia avuto una concreta attuazione pregiudizievole per i consumatori, essendo sufficiente una sua lesività potenziale tale da ascriverla nell'ambito dell'illecito, non già di danno, ma di mero pericolo.

In conclusione, gli importi sanzionatori vanno fissati nelle misure che seguono: La Rinascente, Euro 67.500; Findomestic, Euro 127.500.

Rimane così salvaguardata la funzione punitivo-dissuasiva-deterrente delle sanzioni applicate dall'Autorità, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

6.6. In conclusione, l'appello principale dell'AGCM va respinto, mentre gli appelli incidentali della Rinascente e di Findomestic vanno accolti in parte e, in riforma parziale della sentenza impugnata e in parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado, le sanzioni finali vanno rideterminate nelle misure specificate sopra.

In considerazione dell'esito complessivo degli appelli, principale e incidentali, oltre che della complessità perlomeno di talune delle questioni trattate, si ritiene di dover disporre in via eccezionale la compensazione integrale tra le parti delle spese di entrambi i gradi dei giudizi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, principale e incidentali, come in epigrafe proposti, così provvede:

- respinge l'appello principale dell'AGCM;

- accoglie in parte, per le ragioni ed entro i limiti di cui in motivazione (v. p. 6.5.), gli appelli incidentali della Rinascente e di Findomestic e, per l'effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata e in parziale accoglimento dei ricorsi di primo grado ridetermina in diminuzione (ulteriore) gli importi finali delle sanzioni da irrogare, come da motivazione.

Spese del doppio grado del giudizio compensate.

Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.