Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 23 gennaio 2018, n. 9984
Presidente: Di Tomassi - Estensore: Centofanti
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto in data 28 settembre 2016 il G.i.p. del Tribunale di Torino - giudice dell'esecuzione, in rapporto alla sentenza di condanna, per reati ricadenti nell'ambito dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla l. n. 356 del 1992, emessa dal medesimo Ufficio, in data 5 settembre 2014, irrevocabile il 4 marzo 2015, nei confronti di O.T. - disponeva, ai sensi degli artt. 676 e 667, comma 4, c.p.p., la confisca della somma di denaro di 6.390 euro, sequestrata nell'abitazione del condannato il 3 maggio 2016, in esito ad una perquisizione eseguita nell'ambito di un procedimento penale successivamente aperto e pendente a suo carico.
Il provvedimento era ribadito, con l'ordinanza 13 aprile 2017 in epigrafe, pronunciata all'esito del procedimento camerale partecipato instaurato a seguito dell'opposizione dell'interessato. Il giudice dell'esecuzione riteneva che questi non avesse offerto alcun positivo elemento capace di attestare l'origine lecita della somma, sproporzionata rispetto al reddito da lui dichiarato ed alla sua attività economica.
2. Ricorre per cassazione il condannato, tramite il difensore di fiducia, mediante unico motivo, che denuncia l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla l. n. 356 del 1992, nonché il vizio di motivazione.
Tale disposizione sarebbe stata violata, in quanto essa non consentirebbe la speciale confisca in oggetto in ordine a beni acquistati dal condannato dopo la pronuncia della sentenza irrevocabile a suo carico, né l'ordinanza impugnata spiegherebbe la ragione per la quale una somma di denaro, rinvenuta nel maggio 2016, possa ritenersi entrata a far parte del patrimonio del condannato già alla data del marzo 2015.
3. Nella requisitoria presentata, il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per la reiezione del ricorso, sostenendo - e sul punto sollecitando una rivisitazione dell'esistente orientamento giurisprudenziale di legittimità - che la corretta interpretazione della disposizione in parola dovrebbe indurre a ritenere confiscabili, in sede esecutiva, ricorrendone i presupposti legali e probatori e fatto salvo il limite del tempo ragionevole, tutti i beni del condannato, anche se pervenuti (o a maggior ragione solo scoperti) posteriormente alla sentenza irrevocabile di condanna.
A tale interpretazione dovrebbe indurre la considerazione del ruolo ormai nel sistema riconosciuto al giudice dell'esecuzione, che non è un giudice «minore» rispetto a quello della cognizione e, salve le preclusioni in tale sede maturate, può esercitare tutti i poteri consoni alla sua funzione; né si dovrebbe temere il rischio di sovrapposizione tra confisca atipica, regolata dalla disposizione in esame, e confisca di prevenzione, istituti che rimarrebbero ancorati a presupposti diversi, solo parzialmente coincidenti, restando l'area di parziale reciproca interferenza comunque giustificata dalla moderna complessità dei fenomeni criminologici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto, nei termini di seguito precisati.
2. La misura patrimoniale prevista dall'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla legge 356 del 1992, si colloca nell'alveo delle più moderne forme di contrasto alla criminalità, organizzata e non solo, ideate (anche in prospettiva di diritto uniforme europeo, in rapporto alla direttiva 2014/42/UE, e sovranazionale in genere: v. Corte cost. n. 33 del 2018) per ovviare ai limiti di efficacia prevenzionale della confisca penale «classica», che nascono dalla necessità, altrimenti esistente, di dimostrare il nesso di pertinenza, in termini di strumentalità o di derivazione, tra il bene da confiscare e il singolo reato per cui è pronunciata condanna.
La misura - nella sua funzione di contrasto del possibile reimpiego di risorse illecite per il finanziamento di attività ulteriori di analoga matrice, o anche del loro investimento nel sistema economico legale, con effetti distorsivi della concorrenza e del mercato - si caratterizza dunque per un allentamento del rapporto tra l'oggetto dell'ablazione e il reato, nel quadro del parallelo affievolimento degli oneri probatori da assolvere per disporla.
In coerenza con tale ratio, secondo la consolidata interpretazione del quadro normativo di riferimento, offerta dalla Corte di legittimità (v. Sez. un., n. 920 del 17 dicembre 2003, dep. 2004, Montella, Rv 226490), la condanna per uno dei reati elencati nell'art. 12-sexies, citato, comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato quando - indipendentemente da una diretta connessione tra questi e il reato cui la condanna stessa si riferisce o tra i beni e l'attività criminosa in genere del condannato - per un verso sia provata l'evenienza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, per altro verso, non risulti una giustificazione credibile, fornita dall'interessato circa la loro provenienza.
Riscontrati tali elementi - la condanna, la presenza dei beni di valore sproporzionato, la mancata giustificazione della loro lecita origine, tutti indici di pericolosità attuale - la confiscabilità dei beni medesimi non è esclusa per il fatto che il loro valore superi il provento del delitto per cui la condanna è intervenuta, o che essi siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto (Sez. 2, n. 18951 del 14 marzo 2017, Napoli, Rv. 269657; Sez. 5, n. 19358 del 21 febbraio 2013, Rao, Rv. 255381; Sez. 6, n. 22020 del 22 novembre 2011, Notarangelo, Rv. 252849; Sez. 1, n. 11269 del 18 febbraio 2009, Pelle, Rv. 243493; Sez. 3, n. 38429 del 9 luglio 2008, Sforza, Rv. 241273).
3. La giurisprudenza di legittimità non ha neppure tardato a riconoscere, in armonia con la generale competenza che il codice di rito intesta al giudice dell'esecuzione in materia di confisca pertinenziale, che anche la confisca dei beni patrimoniali di valore sproporzionato, dei quali il condannato per determinati reati non sia in grado di giustificare la provenienza, prevista dall'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla l. n. 356 del 1992, possa essere disposta in sede esecutiva, tanto de plano (a norma degli artt. 676 e 667, comma 4, c.p.p.) che all'esito della procedura in contraddittorio a norma dell'art. 666 dello stesso codice, salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione con conseguente preclusione processuale (Sez. un., n. 29022 del 30 maggio 2001, Derouach, Rv. 219221; Sez. 6, n. 27343 del 20 maggio 2008, Ciancimino, Rv. 240585; Sez. 1, n. 22752 del 9 marzo 2007, Billeci, Rv. 236876; Sez. 5, n. 45709 del 25 giugno 2003, Bossi, Rv. 226738).
Anzi è stato acutamente osservato (Sez. un., n. 29022 del 2001, cit.) che proprio la fase dell'esecuzione sarebbe la sede elettiva per affrontare la questione della confisca, e deciderla nel contraddittorio potenziale delle parti, in un momento successivo al realizzarsi del requisito soggettivo di condannato per uno dei delitti indicati dalla norma, apparendo tale soluzione la più aderente ai principi costituzionali; ciò in virtù del superamento della presunzione di non colpevolezza e per la più completa garanzia del concreto esercizio del diritto di difesa, in quanto nella fase di cognizione l'imputato avrebbe tutto l'interesse a dimostrare la propria estraneità ai reati dei quali è chiamato a rispondere e a concentrare su questo profilo i suoi argomenti.
4. Se l'acquisto del bene, in relazione a cui la confisca «allargata» è disposta, può essersi realizzato prima od anche dopo la commissione del reato - fermo restando che la presunzione di illegittima accumulazione deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, con esclusione dei beni ictu oculi estranei all'agire criminoso, ad esempio perché acquistati in un periodo di tempo enormemente anteriore (Sez. 1, n. 41100 del 16 aprile 2014, Persichella, Rv. 260529; Sez. 4, n. 35707 del 7 maggio 2013, D'Ettorre, Rv. 256882), dovendosi in tal caso avere riguardo non tanto al momento formale dell'acquisto, quanto al momento in cui il bene viene pagato o, se esso è significativamente incrementato nel suo valore grazie a successivi conferimenti di denaro, al momento in cui detti incrementi di valore sono realizzati (Sez. 1, n. 34136 del 13 giugno 2014, Balsebre, Rv. 261202) - la confisca medesima, ordinata in cognizione, verterà evidentemente sul patrimonio del soggetto, quale esistente al tempo della condanna (o dell'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p.) per uno dei reati indicati dall'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, citato.
Come già perspicuamente rilevato da questa Corte (Sez. 1, n. 36592 del 28 marzo 2017, Barresi), la circostanza che il provvedimento di confisca sia alternativamente emesso da parte del giudice dell'esecuzione, dopo la condanna irrevocabile, non può modificare la prospettiva temporale, che è anche prospettiva ontologica e funzionale, connessa a tale misura.
Il limite, a cui il giudice dell'esecuzione deve attenersi per valutare se l'acquisto sia da presumere di illecita accumulazione da parte dell'imputato, ora condannato, è pur sempre, appunto, la sentenza di condanna; e la confisca in esame non potrà essere disposta per beni entrati solo successivamente nel patrimonio di lui, giacché, diversamente opinando, si annetterebbero al giudice dell'esecuzione compiti di accertamento su un ambito temporale estraneo al vaglio compiuto dal giudice della cognizione, travalicanti quelli che sarebbero stati a quest'ultimo possibili e gli sarebbero in definitiva spettati.
5. Occorre quindi ribadire che la pronuncia della sentenza di condanna costituisce il termine finale di riferimento per operare la confisca dei beni, a norma dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla l. n. 356 del 1992.
E, proprio perché il giudice dell'esecuzione è abilitato a compiere esclusivamente l'attività che avrebbe potuto svolgere il giudice della cognizione, rispetto a cui egli interviene in via surrogatoria, per stabilire l'anteriorità o posteriorità dell'acquisto deve aversi riguardo alla data della sentenza del grado del giudizio di merito nel quale si è perfezionato l'accertamento della responsabilità penale, presupposto dalla confisca (Sez. 1, n. 36592 del 2017, citata; Sez. 1, n. 17539 del 21 ottobre 2016, dep. 2017, Consiglio, Rv. 269866).
Residua giusto l'ipotesi, come pure è stato evidenziato (Sez. 1, n. 51 del 19 dicembre 2016, dep. 2 gennaio 2017, Cecere, Rv. 269293), in cui il bene sia stato acquistato successivamente alla sentenza, ma con risorse finanziarie che risultino essere state in possesso del condannato prima di essa, e che si sarebbero dunque esse stesse potute e dovute confiscare in cognizione, cui può logicamente equipararsi l'ipotesi del bene, che si identifichi con il denaro o che abbia diretta natura finanziaria, preesistente alla sentenza e solo successivamente scoperto o rinvenuto; ipotesi che tuttavia esigono specifica allegazione e adeguato sostegno probatorio.
6. Proprio in relazione a ciò l'ordinanza impugnata, che non si è attenuta a tali principi, appare viziata.
Essa, incurante del limite dei poteri di accertamento esercitabili dal giudice dell'esecuzione, ha ordinato la confisca del denaro rinvenuto dopo la condanna, senza avere adeguatamente riscontrato l'indispensabile presupposto del suo eventuale anteriore ingresso nel patrimonio del soggetto ablato.
Se ne impone pertanto l'annullamento, con rinvio al giudice che l'ha pronunciata per rinnovato esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Gip del Tribunale di Torino.
Depositata il 5 marzo 2018.