Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 4 aprile 2018, n. 8326

Presidente: Ambrosio - Estensore: Falabella

FATTI DI CAUSA

1. Con propria delibera 18506/2013, la Consob applicava sanzioni amministrative, pecuniarie e interdittive, ex art. 187-ter ss. t.u.f. (d.lgs. n. 58/1998), a più soggetti, tra cui Burani Walter. A quest'ultimo erano, in particolare, imputate: la manipolazione del mercato con diffusione di false o fuorvianti informazioni, in concorso con altri, con riferimento alle informazioni diffuse da Mariella Burani Fashion Group s.p.a. (di seguito: MBFG); la manipolazione del mercato con diffusione di false o fuorvianti informazioni, in concorso con altri, con riferimento ai risultati economico patrimoniali di Antichi Pellettieri s.p.a. (di seguito: AP); la manipolazione del mercato con diffusione di false o fuorvianti informazioni, in concorso con altro soggetto, con riferimento alla determinazione del corrispettivo, in Euro 17,50 per azione, dell'Opa lanciata l'8 agosto 2008 da Mariella Burani Family Holding s.p.a. (di seguito: MBFH) sul 15% delle azioni MBFG (ciò con riguardo alle notizie propalate da MBFH); la manipolazione del mercato con diffusione di false o fuorvianti informazioni, in concorso con altro soggetto, con riferimento alla congruità del corrispettivo di Euro 17,50 per azione dell'Opa lanciata l'8 agosto 2008 da MBFH 15% delle azioni MBFG (ciò con riguardo alle notizie propalate da MBFG); la manipolazione del mercato con diffusione di false o fuorvianti informazioni, in concorso con altro soggetto, con riferimento all'informativa resa al pubblico da MBFG dal 1° aprile 2009 al 18 maggio 2009 sull'andamento corrente e prospettico del fatturato 2009; la manipolazione del mercato con operazioni fuorvianti su offerta, domanda o prezzo di strumenti finanziari e con operazioni che consentivano di fissare in modo anomalo o artificiale il prezzo di mercato degli strumenti finanziari, in concorso con altro soggetto, con riferimento all'operatività posta in essere da MBFG su azioni proprie da ottobre 2008 a marzo 2009. Nella predetta delibera era illustrato che Burani Walter era presidente, amministratore delegato e azionista di controllo di MBFG, nonché consigliere e azionista di controllo di AP e inserito nel gruppo «Mariella Burani». Venivano poi evidenziate, nello specifico, le seguenti condotte illecite: la rappresentazione al pubblico, in modo non corretto, di almeno 16 operazioni, in cui era stata evidenziata una situazione di MBFG migliore di quella reale; la rappresentazione, sempre in modo non corretto, di due operazioni di AP; la diffusione di false informazioni su determinazione e congruità del prezzo dell'Opa lanciata l'8 agosto 2008 (in particolare, secondo la Consob, era risultato che nel documento di offerta di MBFH erano riportati i dati della relazione semestrale consolidata 2008 e dell'esercizio 2007 di MBFG e che alcuni di tali dati erano materialmente falsi); la diffusione di un comunicato stampa del 1° aprile 2009 recante stime ingiustificatamente ottimistiche sul fatturato del periodo gennaio-febbraio 2009 e sulla campagna di vendite del periodo autunno-inverno 2009-2010 (dati, questi ultimi, idonei ad incidere sulla valutazione del titolo MBFG); l'operatività di MBFG su azioni proprie, con l'adozione di una strategia manipolativa idonea a sostenere artificialmente il prezzo del titolo. Si rilevava, inoltre, che Burani Walter e Burani Giovanni Valter avevano ricoperto un ruolo centrale delle singole operazioni, condividendo ogni scelta e sottoscrivendo tutti gli ordini di bonifico o di trasferimento.

2. Walter Burani proponeva opposizione al provvedimento sanzionatorio di Consob: opposizione che, nella resistenza di quest'ultima, la Corte di appello di Bologna respingeva con sentenza pubblicata il 3 marzo 2015.

3. Burani ora ricorre per cassazione con un ricorso articolato in quattro motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso Consob.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo vengono dedotte la violazione e falsa applicazione dell'art. 187-ter, ultimo comma, t.u.f. e dell'art. 14 l. n. 699/1981 [recte: 689/1981 - n.d.r.]. Il ricorrente deduce come sia nel procedimento amministrativo che in quello di opposizione fosse stata eccepita la nullità del provvedimento per la decadenza in cui era incorsa l'autorità amministrativa per aver notificato la contestazione degli addebiti oltre il termine previsto dal primo comma dell'art. 187-septies t.u.f. Viene spiegato che Consob aveva iniziato le indagini nel 2009 e notificato il provvedimento di contestazione degli addebiti solo il 16 aprile 2012, quando era scaduto il termine di 180 giorni decorrente dal momento in cui l'ente avrebbe ragionevolmente potuto e dovuto pervenire all'accertamento degli illeciti. Viene evidenziato, in particolare, che la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare se Consob, sin dal 13 settembre 2010, ovvero da una data comunque molto anteriore rispetto alle ultime fasi istruttorie, disponesse di tutti gli elementi per muovere la contestazione che era stata poi mossa. Infatti il decorso dei termini per il compimento degli atti di competenza di Consob andava apprezzato senza che si potesse tener conto di ingiustificati ritardi derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati agli organi competenti.

1.1. Il secondo mezzo denuncia violazione dell'art. 111 Cost., dell'art. 187-septies e dell'art. 14 l. n. 689/1981, oltre che omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Rileva l'istante che la Corte di Bologna aveva mancato di individuare il momento in cui, sulla base del materiale istruttorio che Consob aveva acquisito, fosse ragionevolmente possibile considerare compiuto l'accertamento dell'illecito.

1.2. I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, non sono fondati.

La Corte di appello ha rilevato come, a seguito delle due delibere emesse il 24 marzo 2010, erano state disposte ed eseguite ulteriori attività ispettive: attività che avevano portato all'acquisizione di nuovi elementi e che si erano concluse con la trasmissione di documentazione da parte della Procura della Repubblica, cui erano state richieste informazioni. Ha sottolineato la Corte di appello che rispetto all'attività conclusa da Consob nel 2010 era stata «posta in essere un'ulteriore attività istruttoria che evidenziò criticità anche per periodi diversi e ulteriori (dall'agosto 2007 al dicembre 2009) e valutativa, demandata ad altro ufficio della Consob che aveva verificato se le irregolarità contabili potevano configurarsi o avere riflessi in tema di manipolazione dei mercati; le violazioni erano state quindi accertate ed estese per AP alla semestrale consolidata 2008, trimestrale consolidata a 30.9.2008, progetto di bilancio consolidato 2008, trimestrale consolidata 31.3.2009; per MBFG alle ulteriori trimestrali, semestrali e bilanci del 2007 (dal giugno) e a tutti i documenti contabili (trimestrali, semestrali, bilanci) sino al 30.9.2009 oltre ai già evidenziati aspetti del bilancio d'esercizio e consolidato 2008 e della semestrale consolidata 2009». La Corte territoriale ha pure sottolineato come gli atti acquisiti dall'indagine penale avessero corroborato ed integrato le istruttorie Consob con l'acquisizione di ulteriori elementi, tra cui verbali di interrogatorio, assunzione di informazioni e annotazioni di polizia giudiziaria. Sempre secondo il giudice distrettuale si era poi resa opportuna un'attività di indagine internazionale, in relazione alla necessità di approfondire i temi della possibile concentrazione dei soggetti aderenti all'Opa e del loro collegamento con i Burani. Infine, la Corte di appello ha sottolineato come «parcellizzare e separatamente concludere diversi filoni dell'indagine sarebbe stato non solo contrario al principio di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, ma avrebbe anche pregiudicato la complessiva visione di insieme e la valutazione dell'unitario disegno e strategia sottostanti gli illeciti contestati dal punto di vista oggettivo e soggettivo»: in definitiva, ha spiegato, «solo all'esito della complessiva attività di indagine e valutativa conseguente è apparso evidente che in effetti ci si trovava di fronte ad un unico modus operandi volto a sostenere i titoli [...] e comunque a far apparire la situazione del gruppo migliore di quella reale, con una complessiva strategia comprendente anche AP e che doveva essere dettata e condivisa dal vertice del gruppo». Da ultimo, la Corte emiliana ha evidenziato come con riferimento alla conduzione dell'istruttoria, non fossero emersi irragionevoli o artificiosi ritardi.

Secondo quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, in materia di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l'attività di intermediazione finanziaria, la distinzione tra gli organi della Consob, deputati, rispettivamente, alla constatazione ed alla valutazione dei fatti costituenti violazioni amministrative, è ininfluente ai fini della decorrenza del termine da rispettare per la contestazione degli illeciti, che va individuata nel giorno in cui la Commissione in composizione collegiale, dopo l'esaurimento dell'attività ispettiva e di quella istruttoria, è in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tenere conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati ai suddetti organi (Cass., Sez. un., 9 marzo 2007, n. 5395). Infatti, la «constatazione» dei fatti non comporta di per sé il loro «accertamento»: ne consegue che mentre la redazione della relazione ed il suo esame debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa (Cass. 2 dicembre 2011, n. 25836).

Poiché, poi, il momento dell'accertamento, come si è visto, non può essere condizionato da ingiustificati ritardi, compete al giudice del merito valutare la congruità del tempo utilizzato per l'accertamento stesso, in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (con riferimento ad altre ipotesi di illeciti amministrativi cfr. ad es.: Cass. 18 aprile 2007, n. 9311; Cass. 21 aprile 2009, n. 9454; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26734). Si è osservato, in particolare, che nell'effettuare questa verifica il giudice del merito deve valutare, appunto, la congruità del tempo impiegato per gli accertamenti, non potendo però sostituire le proprie valutazioni, in ordine alla opportunità di porre in essere singole attività di indagine, a quelle dell'autorità amministrativa procedente, a meno che non si evidenzi l'assoluta superfluità delle stesse per essere manifestamente già accertati tempi, entità ed altre modalità delle violazioni: sicché, in definitiva, il giudice non può surrogarsi all'Amministrazione nel valutare la convenienza di atti istruttori collegati ad altri, senza apprezzabile intervallo temporale (Cass. 8 agosto 2005, n. 16642; in senso conforme, proprio in tema di sanzioni irrogate dalla Consob: Cass. 28 novembre 2012, n. 21114, non massimata; cfr. pure Cass. 22 aprile 2016, n. 8204, non massimata). In linea con tale insegnamento si è affermato, altresì, sempre con riguardo alle infrazioni alla disciplina in materia di intermediazione finanziaria, che non è ipotizzabile un sindacato di legittimità in ordine all'opportunità o meno dello svolgimento di accertamenti integrativi, implicando una tale valutazione apprezzamenti di fatto incensurabili in cassazione (Cass. 28 novembre 2012, n. 21114, cit.).

È stato pure chiarito che in caso di più violazioni connesse tra di loro, il giudice dell'opposizione debba valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall'amministrazione procedente e la congruità del tempo complessivamente impiegato in relazione alla complessità dell'attività di indagine (Cass. 28 novembre 2012, n. 21114 cit.): tanto più che, come è stato rilevato, ragioni di economia possono indurre la P.A. alla raccolta di ulteriori elementi atti a dimostrare la sussistenza, accanto alle violazioni già risultanti dagli atti raccolti, di altre violazioni amministrative, al fine di emettere un unica ordinanza ingiunzione per più illeciti connessi (così, in motivazione, la cit. Cass. 8 agosto 2005, n. 16642).

Avendo riguardo ai suddetti principi, il giudizio espresso dalla Corte di appello - che, per un verso, è fondato sulla valorizzazione di un supplemento investigativo atto a far emergere ulteriori profili di illegittimità e a dar conto di come le plurime condotte poste in essere risultassero espressione di una strategia comune, e che è basato, per altro verso, sulla precisa esclusione di quei ritardi ingiustificati che le Sezioni unite reputano inidonei a prolungare i tempi dell'accertamento dell'illecito - si sottrae a censura.

Da disattendere, è, del resto, anche l'assunto per cui la Corte di appello avrebbe omesso di considerare il momento in cui, sulla base del materiale istruttorio acquisito, potesse ritenersi, secondo ragionevolezza, che gli illeciti poi contestati fossero stati accertati. Infatti, è la stessa sentenza impugnata a chiarire che il complesso di attività svolta fino al 23 dicembre 2011 si rese indispensabile per appurare, nella loro completezza, i profili di responsabilità connessi alla vicenda in esame (e quindi al disegno strategico mirante alla manipolazione del mercato da parte dei diversi soggetti operanti all'interno del «gruppo Mariella Burani»).

2. Con il terzo motivo vengono lamentate la violazione e falsa applicazione dell'art. 187-ter, comma 1, e comma 3, t.u.f. Viene dedotto che la sentenza aveva confermato l'artificiosa suddivisione delle infrazioni operata da Consob ai fini del trattamento sanzionatorio; si sostiene che la Corte distrettuale avrebbe applicato non correttamente la norma che definisce l'illecito di aggiotaggio, considerando solo parzialmente, in modo oltretutto contraddittorio e illogico, l'accorpamento dei vari comportamenti contestati e arrivando a duplicare le diverse sanzioni. In altri termini, era stata disattesa la deduzione dell'appellante secondo cui le diverse condotte avrebbero integrato un «disegno manipolativo unitario»: il che avrebbe dovuto comportare che la sanzione, pur commisurata alla gravità della condotta, avrebbe dovuto essere applicata una sola volta.

2.1. Il motivo non merita accoglimento.

La censura non si misura con la ratio decidendi della pronuncia, secondo cui le condotte contestate andavano distinte prendendo in considerazione le società cui si riferivano le false o fuorvianti informazioni, il numero e il contenuto dei documenti costituenti l'oggetto materiale degli illeciti e la specifica consistenza delle singole infrazioni. E in realtà, Consob ha provveduto a contestare illeciti distinti, avendo riguardo a condotte specificamente individuate sulla scorta dei suddetti elementi qualificanti.

D'altro canto, come correttamente spiegato nella sentenza impugnata, l'art. 8 l. n. 689/1981 trova applicazione nel solo caso di concorso formale delle infrazioni amministrative. È poi incontestabile che il principio applicato dal giudice dell'opposizione sia corretto: come riconosciuto da questa Corte, infatti, in tema di sanzioni amministrative, allorché siano poste in essere inequivocabilmente più condotte realizzatrici della medesima violazione, non è applicabile in via analogica l'istituto della continuazione di cui all'art. 81, comma 2, c.p., ma esclusivamente quello del concorso formale, in quanto espressamente previsto dall'art. 8 della l. 24 novembre 1981, n. 689, il quale richiede l'unicità dell'azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni: la disciplina stabilita dal citato art. 8 non subisce del resto deroghe neppure in base alla successiva previsione di cui all'art. 8-bis della medesima legge, che, salve le ipotesi eccezionali del secondo comma, ha escluso, sussistendo determinati presupposti, la computabilità delle violazioni amministrative successive alla prima solo al fine di rendere inoperanti le ulteriori conseguenze sanzionatorie della reiterazione (Cass. 16 dicembre 2014, n. 26434; Cass. 4 marzo 2011, n. 5252).

Sul tema della continuazione si sono pronunciate anche le Sezioni unite di questa corte, le quali hanno ribadito come l'art. 8 della l. n. 689 del 1981, nel prevedere l'applicabilità dell'istituto del cd. «cumulo giuridico» tra sanzioni nella sola ipotesi di concorso formale (omogeneo od eterogeneo) tra le violazioni contestate, ovvero per le sole ipotesi di violazioni plurime, ma commesse con un'unica azione od omissione, non è legittimamente invocabile con riferimento alla diversa ipotesi di concorso materiale, ossia di concorso tra violazioni commesse con più azioni od omissioni, senza che possa, ancora, ritenersi applicabile a tale ultima ipotesi, in via analogica, la normativa dettata dall'art. 81 c.p., in tema di continuazione tra reati: infatti - è stato precisato - l'art. 8 cit. prevede espressamente tale possibilità soltanto per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza; inoltre, la differenza morfologica tra reato penale ed illecito amministrativo non consente che, attraverso un procedimento di integrazione analogica, le norme di favore previste in materia penale vengano tout court estese alla materia degli illeciti amministrativi (Cass., sez. un., 28 luglio 2016, n. 15669).

3. Con il quarto motivo la sentenza è censurata per: violazione e falsa applicazione degli artt. 187-septies t.u.f., nonché degli artt. da 2697 a 2739 c.c., dell'art. 115 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost.; nullità del procedimento e della sentenza per aver considerato, ai fini della decisione, dichiarazioni contestate e pertanto prive di alcun valore probatorio. Il ricorrente osserva che le 16 operazioni contestate erano state ricostruite alla luce delle dichiarazioni di terzi soggetti: dichiarazioni poste dal giudice dell'opposizione a fondamento della propria decisione. Rileva di aver contestato le dette dichiarazioni e il loro contenuto; osserva, poi, che il processo di opposizione deve essere retto dalle regole proprie del giudizio di cognizione e che la Corte di merito aveva violato il principio secondo il quale le dichiarazioni del terzo, ove contestate, non presentano alcun valore probatorio.

3.1. La censura va disattesa.

Essa è anzitutto svolta in modo generico, senza fornire appropriate indicazioni, se non meramente esemplificative (cfr. pagg. 14 s. del ricorso), circa le dichiarazioni contestate.

In linea di principio, va rilevato che la facoltà, da parte di Consob, di procedere all'audizione delle persone informate sui fatti è espressamente prevista dall'art. 187-octies, comma 3, lett. c), t.u.f., nell'ampio quadro dei poteri istruttori funzionali all'accertamento dell'illecito e all'applicazione della sanzione. Le risultanze di tale attività di indagine integrano, poi, le prove dell'illecito che l'ente irrogatore della sanzione pone a fondamento della pretesa punitiva. Trova infatti applicazione il principio, operante in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, per cui vanno esplicitamente considerati fonti di prova della pretesa sanzionatoria dell'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato gli atti di accertamento ritualmente depositati in cancelleria, dovendo il giudice dell'opposizione necessariamente valutare rispetto a tali atti (e non in via meramente astratta od ipotetica) la rilevanza delle eccezioni mosse dall'opponente circa la fondatezza e la legittimità della contestazione (Cass. 29 gennaio 1999, n. 791). Il rilievo che assumono, sul piano probatorio, i verbali che documentano le audizioni non può essere del resto posto in discussione, giacché, come è del tutto evidente, si è in presenza di atti pubblici, i quali, come tali, fanno prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.).

Il tenore del motivo, segnatamente la sua genericità, non consente di ben comprendere se e in che misura il ricorrente si dolga di acquisizioni di prove provenienti da altri giudizi: è comunque noto, al riguardo, che il giudice del merito ben possa legittimamente tenere conto, ai fini della decisione, delle prove di un altro processo, ove la relativa documentazione venga ritualmente acquisita al fine di farne oggetto di valutazione critica delle parti e stimolare la valutazione giudiziale su di esse (Cass. 7 maggio 2014, n. 9843; in materia di sanzioni amministrative: Cass. 10 dicembre 2004, n. 23132).

Nella presente sede di legittimità è infine escluso che sia spendibile una contestazione vertente sull'attendibilità delle dichiarazioni rilasciate dalle persone interrogate (e cioè, sulla veridicità intrinseca delle dichiarazioni rese): infatti - come è ben noto - un tale apprezzamento compete al giudice del merito: il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921). Inoltre, in base alla nuova versione dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (per come novellato dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012), il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito è estraneo alla suddetta previsione e la violazione dell'art. 115 c.p.c. (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

Né potrebbe farsi questione del mancato rispetto dei principi fissati dalla CEDU con riferimento al principio del contraddittorio: è sufficiente osservare, in proposito, che ove si dibatta di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa, nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria, ovvero mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio, adottato in assenza di tali garanzie, ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l'effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacché la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (Cass. 13 gennaio 2017, n. 770).

4. In conclusione, il ricorso è rigettato.

5. Per le spese vale il principio di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

G. Fiandaca, E. Musco

Diritto penale

Zanichelli, 2024

M. Marazza

Diritto sindacale contemporaneo

Giuffrè, 2024

P. Loddo (cur.)

L'amministratore di sostegno

Cedam, 2024