Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 21 marzo 2018, n. 18082

Presidente: Villoni - Estensore: Vigna

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale di Cosenza dichiarava nullo per violazione del diritto di difesa il decreto del Pubblico ministero del 3 maggio 2017 che aveva rigettato la richiesta della difesa di G. Nicola Giuseppe di avere copia di tutti i files delle intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuati in sede di indagine nel processo e disponeva il rilascio delle relative copie al difensore.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica di Cosenza, sostenendo la abnormità strutturale e funzionale dell'ordinanza.

L'ordinanza risulterebbe, infatti, avulsa dal sistema per singolarità e stranezza del suo contenuto, posto che, disponendo rilascio di copia integrale di tutte le intercettazioni, il giudice si sarebbe surrogato all'organo di accusa cui è rimessa la gestione delle intercettazioni.

Il provvedimento sarebbe, inoltre, abnorme anche dal punto di vista funzionale, determinandosi una stasi laddove la difesa non decidesse di procedere all'ascolto. Il provvedimento imporrebbe inoltre al Pubblico ministero la violazione di legge derivante dalla imposizione di un diverso e non consentito modo di dare applicazione alla disciplina di cui all'art. 268 c.p.p.

3. Il Procuratore Generale, in data 23 febbraio 2018, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile non potendosi ritenere abnorme il provvedimento impugnato.

2. In via preliminare, occorre rilevare che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell'abnormità (Sez. un., n. 19 del 18 giugno 1993, P.M. in proc. Garonzi, Rv. 194059; Sez. un., n. 8 del 24 marzo 1995, P.M. in proc. Cirulli, Rv. 201545; Sez. un., n. 10 del 9 luglio 1997, P.M. in proc. Baldan, Rv. 208220; Sez. un., n. 11 del 9 luglio 1997, P.M. in proc. Quarantelli, Rv. 208221; Sez. un., n. 26 del 24 novembre 1999 - dep. 26 gennaio 2000, Magnani, Rv. 215094; Sez. un., n. 4 del 31 gennaio 2001, P.M. in proc. Romano, Rv. 217760; Sez. un., n. 28807 del 29 maggio 2002, Manca, Rv. 221999; Sez. un., n. 19289 del 25 febbraio 2004, P.M. in proc. Lustri, Rv. 227355; Sez. un., n. 5307 del 20 dicembre 2007 - dep. 2008, Battistella, Rv. 238239).

Al riguardo, si è affermato che è affetto da vizio di abnormità il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, nonché quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite; l'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo ovvero una inammissibile regressione dello stesso ad una fase ormai esaurita.

3. Deve, però, evidenziarsi che, nel comporre un contrasto giurisprudenziale insorto all'interno della giurisprudenza di legittimità, sul tema specifico della dichiarazione di nullità del decreto di citazione a giudizio per invalidità afferenti i requisiti necessari ovvero per mancata notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis c.p.p., la decisione delle Sezioni unite n. 25957 del 26 marzo 2009, Toni, Rv. 243590 ha ridotto notevolmente l'ambito di rilevanza del vizio di abnormità dell'atto processuale, limitando l'ipotesi di abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall'ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).

L'abnormità funzionale, riconosciuta nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, è stata, del pari, limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.

Rileva il Supremo Collegio nella sua espressione più autorevole che «Solo in siffatta ipotesi il Pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi, secondo l'insegnamento delle Sezioni unite, egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice. Non è invece caratterizzante dell'abnormità la regressione del procedimento, nel senso di "ritorno" dalla fase del dibattimento a quella delle indagini preliminari. L'esercizio legittimo dei poteri del giudice può comportare siffatta regressione. Se si consente al Pubblico ministero di invocare il sindacato della Cassazione in ogni caso in cui essa è stata disposta dal giudice, si rende possibile tale sindacato avverso tutti i provvedimenti di siffatto tipo, eludendosi così il principio di tassatività delle impugnazioni. Deve, quindi, ribadirsi che se l'atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall'ordinamento, si è in presenza di un regresso «consentito», anche se i presupposti che ne legittimano l'emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto «abnorme».

4. Il Pubblico ministero ricorrente ravvisa l'abnormità strutturale del provvedimento impugnato nella circostanza che, disponendo rilascio di copia integrale di tutte le intercettazioni, il giudice si sarebbe surrogato all'organo di accusa cui è rimessa alla gestione delle intercettazioni: così prospettata, come correttamente messo in evidenza dal Procuratore Generale, non pare sussistere la dedotta abnormità posto che è potere del giudice del dibattimento disporre il rilascio di copia degli atti e anche dei files delle conversazioni captate.

Il Pubblico ministero lamenta, inoltre, la palese inosservanza delle fasi e della successione temporale scandita dall'art. 268, commi 6, 7, 8, c.p.p., in quanto il Tribunale di Cosenza aveva ritenuto che il difensore avesse diritto al rilascio di copia integrale delle intercettazioni eseguite dalla polizia giudiziaria e non solo di quelle ritenute rilevanti e trascritte, come previsto dalla normativa.

4.1. Deve rilevarsi, a questo proposito, che il Pubblico ministero non ha mai attivato nel caso in esame lo speciale procedimento di cui all'articolo citato e che, conseguentemente, le deduzioni in merito alla violazione delle fasi e della successione temporale scandita dal legislatore non colgono nel segno.

Conseguentemente, non essendo stata celebrata l'udienza stralcio, tutte le intercettazioni disposte nel procedimento devono ritenersi depositate agli atti.

Il diritto all'ascolto dei files è prerogativa difensiva che può essere fatta valere ovviamente al di là dei limiti dell'incidente cautelare. Una volta che si sia proceduto al deposito ai sensi dell'art. 268, comma 4, c.p.p., i difensori hanno diritto, non suscettibile di limitazione alcuna né di apposita autorizzazione, ad ascoltare i files audio relativi alle registrazioni delle captazioni.

Vero è che il diritto alla copia di tali files sembra, invece, subordinato al meccanismo di filtro reggimentato dall'art. 268, comma 6, c.p.p., sotteso alla tutela della riservatezza inerente dati e soggetti coinvolti nelle captazioni estranei all'interesse immediato del processo; ma nella prassi lo stralcio viene spesso pretermesso - alla luce della non perentorietà dei termini attribuiti alle parti per indicare le captazioni non manifestamente irrilevanti nell'ottica processuale e della assenza di una competenza funzionale in tal senso ascritta al Giudice delle indagini preliminari (cfr. in tal senso Corte costituzionale, n. 255/2012) - per venire assorbito dalle analoghe valutazioni rese in dibattimento; sicché non di rado il diritto alla copia, come nel caso di specie, finisce per essere riconosciuto senza una preventiva, esplicita, eliminazione a monte delle registrazioni manifestamente estranee al processo.

4.2. Da tanto se ne deduce che la violazione del diritto all'ascolto delle registrazioni e quello legato alla copia dei files audio dà luogo ad una compressione del diritto di difesa, tale da concretare una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., perché cade direttamente sulla possibilità di vaglio critico del momento nel quale si concreta la prova, id est le registrazioni e che tale vizio non è esclusivamente riscontrabile in sede cautelare (Sez. 6, n. 41362 dell'11 luglio 2013, Rv. 257804).

4.3. Mette conto rilevare, a questo proposito, come il d.lgs. n. 216 del 29 dicembre 2017 - entrato in vigore il 26 gennaio 2018 e che non trova applicazione ovviamente con riferimento alla fattispecie in esame - si sia mosso anche nell'ottica di tutelare il diritto all'ascolto del difensore. È stato, infatti, alzato da cinque a dieci giorni il termine attributo alle difese per l'esame del materiale intercettato, una volta che questo sia stato depositato, ed è stato anticipato il diritto al rilascio di copia dei verbali di trascrizione sommaria, una volta disposta l'acquisizione ad opera del giudice.

5. Tirando le fila dei principi sopra esposti, deve concludersi che l'ordinanza del Tribunale di Cosenza non può ritenersi abnorme poiché, in quanto corretta nei suoi presupposti e nelle sue conclusioni, non è certo avulsa dall'intero ordinamento processuale e non è stata adottata dal Tribunale in assenza di potere astratto o concreto.

Tale ordinanza non intacca, poi, alcuna prerogativa del Pubblico Ministero, poiché, come si è detto, una volta disposto il rinvio a giudizio, gli atti devono ritenersi depositati e quindi nella disponibilità dell'organo giudicante.

Le difese hanno, quindi, diritto, a valutare la possibilità di chiederne copia, senza con ciò determinare alcuna stasi processuale nel senso sopra chiarito dalle citate pronunce delle Sezioni unite di questa Corte.

6. Ne discende, pertanto, l'inammissibilità del ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Depositata il 23 aprile 2018.