Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
Sentenza 21 maggio 2018, n. 296
Presidente: Silvestri - Estensore: De Falco
FATTO E DIRITTO
Con ricorso notificato in data 18 gennaio 2018 e depositato il successivo 26 gennaio, M. Zuzana ha agito per l'annullamento del silenzio rigetto formatosi sull'istanza di accesso agli atti del 5 dicembre 2017, volta a prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti e documenti relativi al credito vantato dal Consorzio di Libere Imprese Società Cooperativa Onlus nei confronti della Regione Molise.
La ricorrente espone di aver avviato innanzi al Tribunale civile di Campobasso un procedimento di esecuzione mobiliare di pignoramento presso terzi nei confronti del Consorzio di Libere Imprese Società Cooperativa Onlus, proprio debitore per crediti di lavoro in forza della Sentenza n. 187/2015 del medesimo Tribunale.
La Regione, benché regolarmente intimata, non rendeva la prescritta dichiarazione e veniva avviato il procedimento per l'accertamento dell'obbligo del terzo di cui all'art. 548 c.p.c., nell'ambito del quale il Giudice dell'esecuzione prescriveva alla ricorrente di fornire la quantificazione del credito del debitore esecutato nei confronti della Regione.
Per tale motivo la ricorrente formulava la richiesta di accesso del 5 dicembre 2017 volta appunto ad accertare tale debito regionale, ma la Regione non dava alcun riscontro e la ricorrente impugnava il silenzio rigetto sulla base del seguente motivo.
Violazione degli artt. 1, 2, 3, 22, comma 1, lett. b), e 24, comma 7, della l. n. 241/1990; violazione dell'art. 97 Cost. e dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della p.a. e dell'azione amministrativa; eccesso di potere per difetto di motivazione; sviamento; perplessità.
In estrema sintesi parte ricorrente contesta la legittimità del diniego a fronte di un'obiettiva e rappresentata esigenza di difesa giudiziale puntualmente evidenziata nell'istanza di accesso, per la tutela di un credito di lavoro dell'esponente. In ogni caso, non vi sarebbe altro mezzo per corrispondere alla richiesta del Giudice dell'esecuzione rivolta alla ricorrente di fornire la prova del credito del debitore esecutato verso la Regione.
Con atto depositato in data 29 gennaio 2018 si è costituita in giudizio la Regione che con successiva memoria ha articolato le proprie difese chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 21 marzo 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso non è fondato.
Il Collegio riconosce che anche un atto di carattere privatistico può soggiacere all'art. 22, comma 5, l. 241/1990, se l'istante "invochi (sia pur indirettamente e sostanzialmente) la 'copertura' dell'art. 97 Cost. e i principi di imparzialità e legalità in esso inscritti" (TAR Campania, V sezione, sent. n. 1009/2010).
Tuttavia, come correttamente rilevato dalla difesa regionale, l'accesso agli atti si situa, di diritto, nell'ambito di quella serie di strumenti di cui il privato dispone al fine di verificare che l'attività amministrativa sia retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza ex art. 1 l. 241/1990.
L'accesso costituisce, quindi, strumento attraverso cui si fornisce attuazione ai principi costituzionali di buon andamento dell'agire amministrativo, ma pur sempre nell'ottica dei rapporti tra pubblica Amministrazione e privati e non già per surrogare gli strumenti probatori civilistici, come avviene nella specie, atteso che il diritto d'accesso non può concernere atti e documenti "inerenti ad un rapporto jure privatorum intercorrente con altro soggetto privato, di cui si domandi l'accesso allo scopo di precostituire prova documentale da far valere in sede civilistica al fine di accertare il debito del terzo ex art. 548 c.p.c." (cfr. Tar Campania, V sezione, sent. n. 1009/2010; Tar Campania, V sezione, sent. n. 3801/2009; Tar Campania, V sezione, sent. n. 6112/2008).
Orbene, nel caso di specie, la ricorrente vanta un diritto di credito nei confronti dell'Amministrazione resistente non inerente a un interesse pubblico curato dall'Amministrazione medesima e, strumentalmente a un procedimento di altro ordine giudiziale, richiede l'accesso di atti funzionali a comprovare tale diritto in sede civile, con una forma di inammissibile surrogazione dei mezzi istruttori garantiti nell'ambito di quel procedimento.
E infatti, se si ammettesse l'accesso anche in tali casi potrebbe essere messa in pericolo la stessa parità delle armi tra le parti in giudizio, potendo le parti private contare su un rimedio ulteriore rispetto all'ordinario strumentario probatorio, tra cui l'ordinaria istanza per l'adozione di un ordine di esibizione; si fornirebbe, quindi, ad una delle parti tra cui pende una controversia un obiettivo indebito vantaggio rispetto all'altra per il solo fatto di essere coinvolta un'Amministrazione.
D'altra parte la stessa Amministrazione, se fosse invariabilmente chiamata a produrre in giudizio atti inerenti a rapporti con privati con i quali sussistono liti attuali o potenziali al di fuori dell'esercizio dei pubblici poteri, si troverebbe in una posizione di obiettivo svantaggio processuale.
Con ciò non si intende certamente creare una nuova categoria di documenti sottratti all'accesso, ma riaffermare il principio per il quale l'accesso costituisce uno strumento di trasparenza dell'azione amministrativa, ma non anche un modo per ottenere vantaggi probatori sul piano processuale al di fuori degli strumenti tipicamente previsti in tal senso.
Eventuali esigenze probatorie nel processo amministrativo possono essere soddisfatte mediante l'istanza ex art. 116 c.p.a., a cui corrisponde l'ordine di esibizione nel processo civile, ma come correttamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato, sempre nell'ambito di una vicenda processuale pendente innanzi al medesimo Giudice e rispetto alla quale presenti obiettiva strumentalità e connessione.
Né le conclusioni cui si è qui pervenuti muterebbero per effetto dell'istituto dell'accesso civico, volto a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e a promuovere la partecipazione al dibattito pubblico (in ciò differenziandosi dal requisito dell'interesse qualificato che regge l'accesso tradizionale), ma nei confronti specificamente dell'apparato della Pubblica Amministrazione in senso stretto. La Pubblica Amministrazione deve ritenersi destinataria dell'accesso civico generalizzato sia nelle sue attività preparatorie che in quelle provvedimentali finali, ma anche in questo caso per quella che è l'attività sua propria, in quanto diretta alla cura imparziale ed efficiente degli interessi individuati dalla legge.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
La particolare rilevanza degli interessi fatti valere e alcuni profili di novità sottesi al giudizio giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.