Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 21 marzo 2018, n. 19127

Presidente: Villoni - Estensore: Tronci

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di fiducia di Antonio S. impugna l'ordinanza con cui il g.i.p. del Tribunale di Cassino, all'esito dell'udienza fissata a seguito dell'opposizione formalizzata da talune parti offese avverso la richiesta di archiviazione avanzata dal p.m. in relazione al procedimento iscritto a carico del prevenuto, nonché di Arduino F. e Giovanni C., indagati tutti per violazione degli artt. 314 e 640 c.p., ha disposto l'imputazione coatta nei confronti degli indagati.

2. Assume in primo luogo il ricorrente che, avendo il p.m. presente in detta udienza - diverso da quello titolare delle indagini - sollecitato egli stesso la pronuncia del provvedimento poi adottato dal g.i.p., ciò avrebbe dovuto correttamente essere inteso come revoca della precedente richiesta di archiviazione - che la giurisprudenza di legittimità afferma essere sempre possibile, fino a quando il giudice non si sia pronunciato sull'istanza originaria - con conseguente obbligo per il g.i.p. di far luogo alla trasmissione degli atti all'ufficio procedente. Ergo, il provvedimento qui impugnato, in quanto adottato in sostanziale carenza di potere, si sarebbe risolto nell'indebito esercizio delle prerogative concernenti l'esercizio dell'azione penale, che sono proprie in via esclusiva del p.m., con altrettanto indebita lesione dei diritti della difesa, per effetto del venir meno delle garanzie connesse alla mancata possibilità di avvalersi delle facoltà riconosciute dall'art. 415-bis c.p.p., conclusivamente connotandosi per la sua abnormità.

Secondariamente, il difensore deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione svolta dal g.i.p.: l'aver egli stesso dato atto della possibilità di revoca dell'iniziale richiesta di archiviazione avrebbe dovuto condurlo a riconoscere tale significato implicito alle conclusioni rassegnate dal p.m. d'udienza, per il resto non essendovi alcun obbligo discendente dall'avvenuta instaurazione del contraddittorio fra le parti, tanto meno nel senso di una necessitata pronuncia, a conclusione dell'udienza celebratasi ai sensi dell'art. 127 del codice di rito, nell'esercizio di poteri che si asseriscono comunque esistenti in capo al giudice.

3. Il P.G. in sede ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso, stante l'impossibilità di inquadrare il provvedimento di cui trattasi in seno allo schema dell'abnormità, sia strutturale che funzionale.

4. In data 6 marzo u.s. è stata depositata memoria nell'interesse delle parti offese Abdulkadir Ahmed H. e Abdalla S.A. con cui, esclusa la dedotta abnormità del provvedimento del g.i.p., ritenuto in nessun caso lesivo del principio del contraddittorio, e ritenuta l'inammissibilità del motivo in tema di vizio di motivazione, ha sollecitato il rigetto del ricorso proposto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso si palesa inammissibile, alla stregua delle considerazioni che seguono.

2. Si premette che, per giurisprudenza consolidata, "È inammissibile il ricorso per cassazione dell'indagato, avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che non accolga la richiesta di archiviazione e disponga la formulazione dell'imputazione, ex art. 409, comma quinto, c.p.p., in quanto unico soggetto legittimato ad impugnare è, in tal caso, il pubblico ministero" (così, da ultimo, Sez. 3, sent. n. 15251 del 14 dicembre 2016 - dep. 28 marzo 2017, Rv. 269649).

Fermo quanto sopra, in linea generale è notorio come l'abnormità sia una categoria di matrice giurisprudenziale, nell'ambito della quale rientrano atti la cui radicale eccentricità rispetto al sistema dà conto della mancata previsione dell'impugnazione degli stessi, appunto in ragione della difficoltà di tipizzazione e della connessa impossibilità di ricondurli agli schemi processuali riconosciuti e disciplinati: donde la deroga ai principi cardine della tassatività delle nullità e dei mezzi di i[m]pugnazione - di cui, rispettivamente, agli artt. 177 e 568 c.p.p. - che lascia fermo tuttavia il carattere di assoluta eccezionalità della categoria, in seno alla quale vanno collocati solo quegli atti che siano totalmente avulsi dal sistema (abnormità strutturale), ovvero siano tali da determinare l'insuperabile stasi e quindi l'impossibilità di prosecuzione del processo (abnormità funzionale). Il che giustifica la particolare prudenza con cui l'interprete deve affrontare la materia, onde non dilatare l'ambito di una categoria che si ribadisce costituire una indubbia anomalia e che va pertanto ravvisata solo ove il sistema non consenta in alcun modo di porre rimedio alle disfunzioni provocate da un determinato atto.

Ciò posto, mentre la sub-categoria dell'abnormità funzionale non dà luogo a perplessità di sorta dal punto di vista della sua definizione astratta, nei termini che si sono in precedenza rappresentati - essendo semmai solo il caso di puntualizzare, a proposito dell'impossibilità di proseguire il processo, che essa potrà essere eccepita nel caso in cui l'atto in questione imponga (tipicamente al p.m.) un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel futuro sviluppo del procedimento o del processo - relativamente all'altra sub-categoria, dell'abnormità strutturale, giova puntualizzare che essa può manifestarsi sia attraverso l'esercizio, da parte del giudice, di un potere di cui egli non è tributario, perché non riconosciutogli dall'ordinamento (carenza di potere in astratto), sia per effetto di un atto che costituisca deviazione rispetto allo scopo di modello legale (carenza di potere in concreto), essendosi quindi al cospetto dell'esercizio di un potere previsto dall'ordinamento, "ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite" (così, in parte motiva, Sez. un. sent. n. 25957 del 26 marzo 2009).

3. Alla luce delle pur sintetiche annotazioni che precedono, è agevole rilevare che il provvedimento adottato dal g.i.p. del Tribunale di Cassino non rientra in alcuna delle due sub-categorie testé ricordate, in particolare non in quella dell'abnormità strutturale, di fatto evocata dall'odierno ricorrente: non v'è dubbio, infatti, che al g.i.p. spetti il potere di ordinare l'imputazione coatta, surrogandosi eccezionalmente al p.m., nel caso in cui non condivida la richiesta di archiviazione dallo stesso formalizzata, richiesta che il g.i.p. medesimo ha chiaramente reputato in essere, al di là delle conclusioni rassegnate dal p.m. d'udienza, in difetto di una formale revoca.

Per vero, così come si assume dal ricorrente, ben potrebbe assegnarsi alle anzidette conclusioni la valenza di atto di revoca implicita, per facta concludentia, ma palesemente errate sono comunque le conclusioni che da ciò egli intende trarre.

Invero, poiché il p.m. dell'udienza camerale non ha richiesto la restituzione degli atti al proprio ufficio, per poi modificare la propria richiesta - come più correttamente avrebbe dovuto essere: cfr., sia pur per la diversa ipotesi di richiesta camerale di rinvio a giudizio, a fronte dell'originaria istanza di archiviazione, la parte motiva di Sez. 2, sent. n. 18774 del 18 aprile 2007, Rv. 236405, che ha dichiarato abnorme l'ordinanza di archiviazione in quel caso adottata - bensì ha sollecitato la formulazione dell'imputazione coatta in funzione, di fatto, del successivo rinvio a giudizio dell'imputato, la pronuncia della conforme ordinanza ad opera del g.i.p. non può in alcun modo, ancora una volta, essere ricondotta negli schemi del provvedimento abnorme, non essendosi certo neppure nell'ipotesi di esercizio del potere (esistente) al di fuori dei casi consentiti.

Né, d'altro canto, il provvedimento qui impugnato comporta alcuna stasi del procedimento e neppure concretizza alcuna insuperabile lesione del diritto di difesa - che, comunque, si pone al di là del perimetro dell'abnormità - atteso che, per insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità, l'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. è finalizzato alla realizzazione di un contraddittorio anticipato con la difesa che, nel caso di udienza camerale fissata per effetto dell'opposizione alla richiesta di archiviazione - come, appunto, nel caso che ne occupa - si è già realizzato in quella sede (cfr., ex multis, Sez. 6, sentenza n. 45126 del 22 ottobre 2014, Rv. 260824 e, ancor più di recente, Sez. 6, sent. n. 49093 dell'11 ottobre 2017, Rv. 271499).

Le considerazioni che precedono hanno valenza assorbente rispetto al secondo profilo di doglianza, peraltro e preliminarmente di per sé inammissibile, poiché non inerente ad alcun profilo di abnormità, valendo dunque il già rilevato difetto di legittimazione in capo all'imputato.

In definitiva, dunque, è possibile enunciare i seguenti principi di diritto:

L'ordine d'imputazione coatta è legittimamente formulato dal g.i.p. ove la richiesta di archiviazione non sia formalmente revocata dal p.m. procedente.

La richiesta di formulazione dell'imputazione coatta, avanzata in sede di udienza camerale dallo stesso ufficio del p.m., ha, di fatto, il significato di revoca dell'originaria istanza di archiviazione, in funzione della successiva richiesta di rinvio a giudizio, onde il g.i.p. che abbia pronunciato ordinanza conforme a detta ultima richiesta non pone in essere alcun atto abnorme, poiché esercita il potere suo proprio.

4. All'anticipata declaratoria seguono le statuizioni previste dall'art. 616 c.p.p., nella misura di giustizia indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 3 maggio 2018.