Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 21 marzo 2018, n. 19687
Presidente: Di Nicola - Estensore: Di Stasi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28 settembre 2016 la Corte di appello di Messina confermava la sentenza del 16 marzo 2015 del Tribunale di Patti, con la quale T. Francesco era stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 349 c.p. e condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 500,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione T. Francesco, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.
Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, e 530, commi 1 e 2, c.p.p. e 349 c.p., lamentando che il Giudice di appello aveva confermato la sentenza di primo grado senza rispondere in maniera specifica alle doglianze sollevate con l'appello, doglianze che facevano espresso riferimento al contratto di appalto con la EDIL IAC e comprovavano l'insussistenza del fatto.
Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 157 c.p., deducendo che il reato si era estinto prima della pronuncia impugnata, che aveva erroneamente indicato il periodo di sospensione del corso della prescrizione in mesi otto in luogo di quello esatto di quattro mesi, considerando erroneamente l'intero periodo del rinvio al 16 febbraio 2012 al 28 giugno 2012 e di quello dal 28 giugno 2012 al 22 novembre 2012, entrambi rinvii disposti per legittimo impedimento del difensore.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 175 c.p. censurando il diniego del beneficio della non menzione della sentenza richiesto con l'atto di appello.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
È pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15 luglio 2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15 febbraio 2013, Sammarco, Rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9 febbraio 2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15 maggio 2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3 luglio 2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30 settembre 2004, Burzotta, Rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22 febbraio 2002, Palma, Rv. 221693; sez. 3, n. 44882 del 18 luglio 2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 5, n. 28011 del 15 febbraio 2013, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29 gennaio 2014, Rv. 259425).
Va, poi, evidenziato che ci si trova di fronte ad una "doppia conforme" affermazione di responsabilità e che, legittimamente, in tale caso, è pienamente ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
È, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 1, 22 novembre 1993-4 febbraio 1994, n. 1309, Albergamo, Rv. 197250; Sez. 3, 14 febbraio-23 aprile 1994, n. 4700, Scauri, Rv. 197497; Sez. 2, 2 marzo-4 maggio 1994, n. 5112, Palazzotto, Rv. 198487; Sez. 2, 13 novembre-5 dicembre 1997, n. 11220, Ambrosino, Rv. 209145; Sez. 6, 20 gennaio-13 marzo 2003, n. 224079). Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest'ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall'appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimità si estenderà alla verifica della congruità e logicità delle risposte fornite alle predette censure.
Nella specie, le motivazioni delle due sentenze di affermazione della responsabilità dell'imputato si saldano fornendo un'unica e complessa trama argomentativa, non scalfita dalle censure mosse dal ricorrente che ripropone gli stessi motivi dedotti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado.
La Corte di appello, infatti, non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto specificamente alla doglianza oggi riproposte, con argomentazioni adeguate e logiche e, quindi, esenti da censure in questa sede (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
Il ricorrente, peraltro, si limita sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il reato contestato al ricorrente - art. 349 c.p. - risulta consumato in data 4 novembre 2008 ed il termine prescrizionale (pari a sette anni e sei mesi ex artt. 157 e 161 c.p.), sarebbe maturato alla data del 4 maggio 2016, ma tenuto conto dei periodi di sospensione verificatisi nel procedimento di primo grado, esso non era ancora spirato alla data di pronuncia della sentenza impugnata.
Come si rileva dall'esame degli atti processuali, ai quali questa Corte ha accesso vertendosi in ipotesi di vizio processuale, emerge, innanzitutto, che all'udienza del 22 novembre 2012 si disponeva rinvio all'udienza del 28 marzo 2013 per dichiarazione di adesione alla astensione dalle udienze da parte del difensore dell'imputato ed all'udienza dell'11 luglio 2013 analogo rinvio veniva disposto per l'udienza del 12 novembre 2013.
Il corso della prescrizione, quindi, deve considerarsi sospeso per l'intero periodo di differimento delle udienze, pari a 8 mesi e 5 giorni.
Costituisce, infatti, ius receptum, in tema di sospensione della prescrizione, che il limite di sessanta giorni previsto dall'art. 159, comma primo, n. 3, c.p., non si applica nel caso in cui il differimento dell'udienza sia determinato dalla scelta del difensore di aderire alla manifestazione di protesta indetta dalle Camere penali, non costituendo un impedimento a comparire in senso tecnico, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può essere sospeso per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell'Ufficio procedente (Sez. 3, n. 11671 del 24 febbraio 2015, Rv. 263052; Sez. 4, n. 10621 del 29 gennaio 2013, Rv. 256067; Sez. 5, n. 18071 dell'8 febbraio 2010, Rv. 247142; Sez. 1, n. 25714 del 17 giugno 2008, Rv. 240460).
Anche i precedenti rinvii dal 16 febbraio 2012 al 28 giugno 2012 e dal 28 giugno 2012 al 22 novembre 2012, pari a mesi nove e giorni cinque, richiesti per concomitante impegno professionale del difensore, vanno computati per intero nel periodo di sospensione del corso della prescrizione.
Va ricordato che, come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte - n. 4909 del 18 dicembre 2014, dep. 2 febbraio 2015, Torchio Rv. 262912 -, l'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell'art. 420-ter, comma quinto, c.p.p., a condizione che il difensore: a) prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato; d) rappresenti l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio.
La mera concomitanza di altri impegni professionali non integra di per sé un legittimo impedimento, atteso che, così opinando, si rimetterebbe all'arbitrio del difensore la decisione in merito a quale dei due procedimenti privilegiare. Il rinvio per concomitante impegno professionale del patrono non costituisce, dunque, un fenomeno di mera "scelta" del difensore, rimessa alle individuali - e incontrollabili - strategie difensive, ma si tratta di una condizione "obiettiva" (come tale positivamente scrutinata dal giudice) di impossibilità assoluta di prestare la propria opera in una sede processuale, in quanto "compromessa" da un concomitante e (in quel momento) "prevalente" impegno difensivo.
L'obbligo di comunicare prontamente, ex art. 420-ter, comma quinto, c.p.p., il legittimo impedimento a comparire, per concorrente impegno professionale, si intende puntualmente adempiuto dal difensore quando questi, non appena ricevuta la notificazione della fissazione dell'udienza nella quale intenda far valere il legittimo impedimento, verifichi la sussistenza di un precedente impegno professionale davanti a diversa autorità giudiziaria cui deve accordare prevalenza. Ne consegue che la tempestività della comunicazione predetta va determinata con riferimento al momento in cui il difensore ha conoscenza dell'impedimento (Sez. 5, n. 27174 del 22 aprile 2014, Rv. 260579).
Inoltre, il difensore ha l'onere di corredare la richiesta di differimento dell'udienza per concomitante impegno professionale con la giustificazione della impossibilità di nominare un sostituto, non essendo sufficiente a tal fine né la mera affermazione di non potervi provvedere, né un apodittico richiamo alla "delicatezza dei provvedimenti" (Sez. 3, n. 19458 del 8 aprile 2014, Rv. 259757; Sez. 3, n. 26408 del 2 maggio 2013, Rv. 256294; Sez. 2, n. 25754 dell'11 giugno 2008, Rv. 241457; Sez. 5, n. 41148 del 28 ottobre 2010, Rv. 248905).
Ed il difensore che chiede il rinvio del dibattimento per assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento per concomitante impegno professionale, inoltre, non può limitarsi a documentare la contemporanea esistenza di questo, ma deve fornire l'attestazione dell'assenza di un codifensore nell'altro procedimento e prospettare le specifiche ragioni per le quali non possa farsi sostituire nell'uno o nell'altro dei due processi contemporanei, nonché i motivi che impongono la sua presenza nell'altro processo, in relazione alla particolare natura dell'attività che deve svolgervi, al fine di dimostrare che l'impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie (Sez. 5, n. 7418 del 6 novembre 2013, dep. 17 febbraio 2014, Rv. 259520).
Nella specie, entrambe le richieste di rinvio non documentavano la tempestività della comunicazione di impedimento, non attestavano l'assenza di un codifensore nell'altro procedimento e non prospettavano le specifiche ragioni dell'impossibilità di nominare un sostituto, con la conseguenza che i rinvii devono ritenersi disposti in adesione a richiesta non giustificata da un legittimo impedimento e che il corso della prescrizione deve operare per tutto il periodo del differimento.
Va, infatti, ricordato che, in tema di prescrizione del reato, i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione previsti dall'art. 159, comma primo, n. 3, c.p., nel testo introdotto dall'art. 6 della l. 5 dicembre 2005, n. 251, operano soltanto qualora il procedimento sia sospeso per impedimento delle parti o dei difensori e non anche, quindi, quando la sospensione sia disposta in adesione a richiesta non giustificata da un impedimento, rimanendo in tale ultimo caso sospeso il corso della prescrizione per tutto il periodo del differimento (Sez. un., n. 4909 del 18 dicembre 2014, dep. 2 febbraio 2015, Torchio Rv. 262914; Sez. 1, n. 5956 del 4 febbraio 2009, Rv. 243374; Sez. 1, n. 25714 del 17 giugno 2008, Rv. 240460; Sez. 2, n. 20574 del 12 febbraio 2008, Rv. 239890; Sez. 3, n. 4071 del 17 ottobre 2007, dep. 28 gennaio 2008, Rv. 238544; Sez. 5, n. 44924 del 14 novembre 2007, Rv. 237914).
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: "ai fini della sospensione del corso della prescrizione del reato, la Corte di cassazione deve sindacare le valutazioni compiute dal Giudice di merito, che abbia ritenuto sussistente il legittimo impedimento del difensore per concomitante impegno professionale pur in difetto delle relative condizioni di legittimità, con la conseguenza che il corso della prescrizione dovrà intendersi sospeso per tutto il periodo del differimento".
In definitiva, considerati i periodi di sospensione suindicati, per complessivi anni uno, mesi cinque e dieci giorni, il termine di prescrizione maturava in data 14 ottobre 2017, successivamente alla deliberazione della sentenza di appello (28 settembre 2016).
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo prospetta deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte (p. 3) nella sentenza impugnata a fondamento del diniego del beneficio della non menzione e trova dunque applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 19951 del 15 maggio 2008, Rv. 240109; Sez. 5, n. 28011 del 15 febbraio 2013, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29 gennaio 2014, Rv. 259425, cit.).
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. L'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez. un., n. 12602 del 25 marzo 2016, Ricci; Sez. 2, n. 28848 dell'8 maggio 2013, Rv. 256463; Sez. un., n. 23428 del 22 marzo 2005, Rv. 231164; Sez. 4, n. 18641 del 22 aprile 2004).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Depositata il 7 maggio 2018.