Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 8 febbraio 2018, n. 20198

Presidente: Casa - Estensore: Centofanti

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Catanzaro, investito di richiesta di riesame ex art. 309 c.p.p., con l'ordinanza impugnata confermava la misura della custodia cautelare in carcere, applicata dal G.i.p. del medesimo Tribunale, in data 1° giugno 2017, nei confronti di H.A.H., in relazione al delitto di apologia di reato, aggravata ai sensi del terzo e quarto comma dell'art. 414 c.p. (l'apologia essendo stata realizzata anche con mezzi informatici e riguardando delitti di terrorismo).

Secondo il costrutto accusatorio, nella parte recepita dal collegio del riesame, l'indagato aveva condiviso, tramite un profilo Facebook allo stesso riconducibile (anche se registrato sotto altro nome), visualizzato alla data del 17 maggio 2017 da 8.419 utenti, un video, recante sullo sfondo immagini riferibili a combattenti dell'associazione terroristica internazionale denominata Stato islamico, e relativo alla predica di un Imam che enfatizzava le parole del profeta Maometto ed elogiava i martiri ed il martirio; ed inoltre, all'interno della moschea di Crotone, di cui si vantava di avere il controllo, aveva ripetutamente esaltato (in presenza dell'Imam e dei fedeli in ascolto) lo Stato islamico e il Califfato promuovendo la lotta armata; condotte che, per il contenuto intrinseco, le circostanze di fatto e la condizione personale dell'indagato, sarebbero tali da determinare il rischio concreto che gli interlocutori commettano reati lesivi di interessi omologhi a quelli dei crimini esaltati.

2. La gravità indiziarla (unico profilo a venire in rilievo in questa sede) era integrata, per il Tribunale, dal contenuto del «post» su Facebook e, quanto alla condotta in moschea, da una duplice captazione audio-video del 20 marzo 2017, effettuata presso l'alloggio dell'indagato sito nello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Crotone, nella quale il medesimo, interloquendo con persone ivi presenti, o telematicamente collegate da remoto, riferiva le circostanze oggetto di contestazione.

Il Tribunale, dopo aver escluso che tali affermazioni fossero frutto di fantasticheria o vanteria (anche alla luce della frequentazione assidua della moschea da parte dell'indagato), ravvisava nei fatti sopra indicati gli estremi della condotta apologetica punibile, anche sotto il profilo della sua concreta potenzialità offensiva.

Lo stesso giudice notava che i fatti medesimi (a differenza di altri, pur originariamente contestati) erano stati commessi «pubblicamente», ed era pertanto integrata la relativa condizione obiettiva di punibilità, di natura intrinseca, bastando rispetto ad essa (in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata) la rimproverabilità a titolo di colpa.

3. Ricorre per cassazione l'indagato, tramite il difensore di fiducia, sulla base di tre motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. - la violazione dell'art. 414 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sul punto della condizione obiettiva di punibilità.

Il Tribunale sarebbe entrato in contraddizione, sostenendo, da un lato, che la pubblicità sia nota modale della condotta, ed escludendo poi che tale aspetto debba essere investito dal dolo.

Non si tratterebbe affatto di requisito intrinseco, ed errato sarebbe (per argomentare in tal senso) il riferimento analogico all'art. 115 c.p.

La punibilità sussisterebbe invece prescindendo dal fatto se la condizione fosse o meno voluta dall'agente, la cui condotta sarebbe però incriminabile solo se alla sua valenza comunicativa si accompagnasse l'esternazione pubblica; ed il Tribunale di fatto negherebbe ciò nel momento in cui riterrebbe la condizione mera qualità della condotta, anziché modalità della condotta, e nel momento in cui ricondurrebbe la pubblicità a mero aggravamento del reato quale condizione intrinseca.

3.2. Il secondo motivo denuncia - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. - la violazione degli artt. 414 c.p. e 273 c.p.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sul punto dei gravi indizi di colpevolezza.

Sarebbe contraddittorio il ragionamento del Tribunale, lì ove esso da un lato correttamente postula come necessaria per l'incriminazione la pubblicità della condotta apologetica, escludendo quindi la punibilità delle condotte poste in essere privatamente; e dall'altro ritiene la sussistenza della gravità indiziaria, per le condotte in moschea, da intercettazioni aventi ad oggetto conversazioni private dall'indagato.

In ogni caso, la gravità indiziaria sarebbe stata ritenuta sufficiente sulla sola osservazione della provenienza dall'indagato delle affermazioni «confessorie», che sarebbe indizio isolato, come tale non rispondente al paradigma normativo della gravità, precisione e concordanza.

3.3. Il terzo motivo denuncia - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. - la violazione dell'art. 414 c.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sul punto concernente l'offensività in concreto della condotta addebitata.

Il collegio del riesame si sarebbe limitato a motivare sull'idoneità del mezzo, e sulla consapevolezza dell'indagato circa la potenzialità diffusiva della comunicazione, astenendosi dal motivare sulla sussistenza dei requisiti ulteriori di questa; se essa sia cioè tale, sulla base del contenuto intrinseco, della condizione personale dell'agente e delle circostanze di fatto, da determinare il rischio effettivo della commissione di altrui reati, aspetti sui quali il Tribunale non direbbe nulla di concreto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Esso, sorretto da passaggi argomentativi in più parti involuti e di non agevole comprensione, addita una serie di presunte contraddizioni logiche del ragionamento del Tribunale, per giungere però a sostenere che il requisito della pubblicità della condotta, stabilito dall'art. 414 c.p., non abbia «nulla a che vedere» con l'elemento psicologico, che potrebbe sussistere «a prescindere».

Il Tribunale, pur aderendo all'opzione ermeneutica, riflessa da risalenti pronunce di questa Corte, che configurano l'anzidetto requisito come condizione obiettiva di punibilità (Sez. 1, n. 13541 dell'11 giugno 1986, Nastri, Rv. 174485; Sez. 1, n. 4519 del 14 dicembre 1973, dep. 1974, Zanche, Rv. 127285), aveva purtuttavia interpretato la fattispecie, in chiave costituzionalmente orientata, nel senso che, ai fini dell'integrazione del reato dal lato soggettivo, il verificarsi della condizione fosse almeno prevedibile e prevenibile da parte dell'agente.

Il motivo, accreditando in definitiva una tesi per costui meno favorevole, non è sorretto da alcun concreto interesse.

In ogni caso, la questione assume un rilievo meramente astratto, perché la condotta contestata è avvenuta all'interno di luogo di culto aperto al pubblico, alla presenza dei fedeli di religione musulmana, ovvero tramite l'uso consapevole di un social media. Tali elementi formavano indubitabilmente oggetto del dolo apologetico, né il ricorrente fa questione alcuna sul punto; sicché non è neppure necessario che il Collegio prenda specifica posizione sul tema della natura giuridica (elemento costitutivo del reato o condizione di punibilità) in seno alla fattispecie di cui all'art. 414 c.p.

2. Manifestamente infondato risulta, altresì, il secondo motivo.

Nulla di illogico vi è, in tutta evidenza, nel sostenere che le condotte apologetiche punibili siano soltanto quelle che avvengono «pubblicamente» (ossia nei luoghi e secondo le modalità indicate nell'art. 266 c.p.), e nel trarre parimenti il convincimento, con riferimento al caso concreto, dell'avvenuta realizzazione di condotte così conformate sulla base di successive e distinte conversazioni private, ritualmente intercettate ed idoneamente rivelatrici dei comportamenti antecedenti.

Quanto alla valenza indiziaria di tali conversazioni, basti qui il richiamo al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (da ultimo ribadito da Sez. un., n. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar, Rv. 263714), per cui le dichiarazioni auto/etero-accusatorie, registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzate, hanno piena attitudine dimostrativa e - pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, come il giudice del riesame non ha mancato di fare nel caso di specie - non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'art. 192, comma 3, c.p.p.

3. Infondato deve infine giudicarsi il terzo motivo.

Il delitto previsto dall'art. 414 c.p. è reato di pericolo concreto, e l'esaltazione di un fatto di reato, o del suo autore, finalizzata a spronare altri all'imitazione, risulta punibile se, per le sue modalità, essa integri un comportamento realmente idoneo a suscitare la commissione di delitti; trattasi di un accertamento riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Sez. 1, n. 47489 del 6 ottobre 2015, Halili, Rv. 265264; Sez. 1, n. 25833 del 23 aprile 2012, Testi, Rv. 253101; Sez. 1, n. 26907 del 5 giugno 2001, Vencato, Rv. 219888).

A tale ragionato accertamento il Tribunale non si è sottratto, avendo l'ordinanza impugnata desunto la concreta offensività della condotta, con argomentazione non illogica, dal contesto in cui essa si era radicata, dalla platea dei suoi destinatari, dalla forza persuasiva del messaggio trasmesso e dall'interesse correlativamente suscitato, così adeguatamente illustrandone - tanto in rapporto alla propaganda via social network, che a quella di tipo tradizionale in moschea - la rilevanza apologetica.

4. Segue la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria curerà l'adempimento di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.

Depositata l'8 maggio 2018.