Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 7 giugno 2018, n. 3447
Presidente: Barra Caracciolo - Estensore: Ponte
FATTO
Con l'originario provvedimento n. 13457 del 29 luglio 2004, l'Autorità odierna appellante, riscontrando l'esistenza di un'intesa nel settore del calcestruzzo preconfezionato tra varie imprese - tra cui tre società del "gruppo Holcim" -, infliggeva ai soggetti coinvolti sanzioni pecuniarie per un importo complessivo di circa 40 milioni di euro. In particolare, l'Autorità accertava che l'intesa in questione interessava un'area geografica limitata (provincia di Milano) e aveva avuto per oggetto e per effetto una significativa alterazione della concorrenza, in violazione dell'art. 2, comma 2, lett. a) e lett. c), della l. n. 287/1990.
L'atto sanzionatorio emesso nei confronti di Holcim Cementi e notificato alla stessa il 9 agosto 2004, l'Autorità ordinava di procedere al pagamento del relativo importo entro novanta giorni dalla notifica del provvedimento medesimo (e quindi, entro il 7 novembre 2004) con l'espresso avvertimento che, in caso di ulteriore ritardo nel pagamento eccedente il semestre decorrente da tale termine (e quindi, oltre il 7 maggio 2005), la società sarebbe stata costretta al pagamento della maggiorazione prevista dall'art. 27, comma 6, della l. n. 689/1981, in misura pari a un decimo per ogni semestre di ritardo.
Nelle more il provvedimento veniva tempestivamente impugnato dinanzi al Tar Lazio che, con sentenza n. 12835 del 2 dicembre 2005, annullava parzialmente il provvedimento "nella parte in cui le sanzioni da esso inflitte non risultano proporzionate ai limitati effetti dell'intesa", in ragione del fatto che "... la quantificazione delle sanzioni [risulta essere] inficiata da una sopravvalutazione delle conseguenze pratiche scaturite dall'intesa, ed in particolare da un'illegittima qualificazione della stessa infrazione come 'molto grave' piuttosto che in termini di gravità semplice...".
A fini delle presente controversia assume rilievo preminente la circostanza per cui il relativo dispositivo di sentenza (n. 73/2005) era stato oggetto di precedente pubblicazione, in data 23 marzo 2005, e quindi anteriormente alla scadenza del richiamato periodo di tolleranza (7 maggio 2005).
Avverso la sentenza del Tar Holcim Italia (in qualità di successore di Holcim Cementi), oltre che Holcim Calcestruzzi (in proprio e in qualità di successore di Ambrosiana, nel frattempo fusa per incorporazione nella prima), proponevano ricorso in appello, deciso con sentenza n. 5864 del 29 settembre 2009, nell'ambito di un giudizio in cui non veniva disposta alcuna misura cautelare, con conseguente costante efficacia dell'effetto di annullamento del provvedimento impugnato in primo grado. Con tale decisione, la sezione VI del Consiglio di Stato confermava l'annullamento parziale del provvedimento n. 13457 del 29 luglio 2004 dell'Autorità, anch'essa derubricando la pratica anticoncorrenziale in questione da "molto grave" a "grave"; in sede di appello veniva altresì accolta la censura relativa alla durata dell'intesa, nel senso che, dall'analisi delle risultanze istruttorie raccolte dall'Autorità, non emergevano elementi tali da far ritenere che l'intesa si fosse protratta per più di quindici mesi. In relazione a tale ultima circostanza il Giudice d'appello chiariva quindi che la norma sanzionatoria rilevante nel caso di specie era l'art. 15 della l. n. 287/1990 nella formulazione precedente il 4 aprile 2001.
A seguito dei predetti annullamenti, l'Autorità avviava il procedimento volto alla rideterminazione delle sanzioni irrogate, come da nota n. 24345 del 22 maggio 2013. In tale contesto la stessa Autorità statuiva che "... la nuova quantificazione della sanzione da comminare alle suddette società, deve avvenire in contraddittorio con le parti, sulla base della diversa qualificazione dell'intesa come grave e in applicazione dell'originaria versione dell'articolo 15 della legge n. 287/90, prendendo, dunque, come parametro di riferimento il fatturato realizzato dalle imprese nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, relativamente al solo calcestruzzo, anche al di fuori della provincia di Milano...".
All'esito del relativo procedimento, con delibera del 10 dicembre 2013, n. 24680 l'Autorità applicava una sanzione pari al 2% del fatturato di riferimento per il "gruppo Holcim" (e quindi in misura pari a Euro 362.455,18, in ragione di un fatturato di riferimento nel calcestruzzo pari a Euro 18.122.759 euro) ritenendo che "... Holcim Aggregati Calcestruzzi S.r.l. e Holcim (Italia) S.p.A. sono responsabili in solido per il pagamento della sanzione loro comminata per una quota pari al 60% della stessa, per ciò che riguarda Holcim (Italia) S.p.A., e del restante 40%, per ciò riguarda Holcim Aggregati Calcestruzzi S.r.l. ...". Nella Tabella 3 del provvedimento veniva pertanto indicato in Euro 144.982,07 la sanzione direttamente irrogata alla odierna parte appellata.
L'Autorità ordinava il pagamento degli importi così determinati entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento prevedendo che "... [e]ntro lo stesso termine devono essere pagate le maggiorazioni dovute ai sensi dell'articolo 27, comma 6, della legge n. 689/81, da computarsi sulla somma della sanzione così come rideterminata per il periodo di ritardo nel pagamento intercorrente dal giorno successivo alla scadenza del termine del pagamento della sanzione originariamente fissato e sino a quello in cui è stata depositata la sentenza n. 5864 del 2009 del Consiglio di Stato che ha demandato all'Autorità la rideterminazione della sanzione".
In data 5 febbraio 2014 la parte odierna appellata procedeva al pagamento dell'importo della sanzione pari a Euro 217.473,11; diversamente, non provvedeva al pagamento della maggiorazione ex art. 27, comma 6, della l. n. 689/1981.
La stessa parte impugnava la nuova determinazione dinanzi al Tar Lazio che, con la sentenza appellata, accoglieva il gravame, con particolare riferimento, ai fini della presente decisione, all'annullamento del provvedimento nella parte relativa alla pretesa applicazione della maggiorazione di cui all'art. 27, comma 6, della l. n. 689/1981, sull'ammontare della sanzione come rideterminata.
Avverso tale capo della sentenza l'Autorità ha proposto l'appello in esame, deducendo i seguenti motivi:
- violazione dell'art. 27 cit. e difetto di motivazione in merito alla ritenuta insussistenza della pretesa creditoria;
- violazione degli artt. 27 e 31 l. 689 cit., 101, 102 e 106 TFUE e 4, par. 3, TUE, e travisamento dei principi processuali in materia di efficacia delle pronunce giurisdizionali.
Le parti appellate si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello.
Alla pubblica udienza del 10 maggio 2018, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
L'appello è infondato, alla luce dei più recenti e condivisi arresti della sezione (cfr. ad es. sentenze nn. 2422/2016, 289/2016, 5425/2015 e 5461/2017).
In proposito, va ribadito che la maggiorazione ex art. 27, comma 6, l. n. 689/1981 - a tenore del quale «[...] in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all'esattore. La maggiorazione assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti» -, ha natura sanzionatoria a funzione deterrente, in quanto volta a colpire il ritardo nell'adempimento della sanzione principale, e «il carattere sanzionatorio è altresì reso palese dal fatto che tale maggiorazione non è frutto di automatismo giuridico connesso al trascorrere vano del tempo, ma ha come presupposti aggiuntivi - rispetto al ritardo - l'imputabilità e colpevolezza dell'inadempimento» (cfr. in termini anche Cass., Sez. un., n. 10411/2014).
La scadenza del termine - peraltro neppure dimostrata nel caso de quo laddove il dispositivo dell'originario annullamento è intervenuto in data anteriore - è solo uno degli elementi costitutivi dell'autonomo illecito scaturente dal mancato pagamento della originaria sanzione amministrativa pecuniaria entro il primo semestre dalla esigibilità di quest'ultima, la cui integrazione comporta l'applicazione della maggiorazione de qua, costituente sanzione accessoria di natura afflittiva, che si «aggiunge» alla sanzione principale.
In altri termini, in applicazione dei principi generali che presiedono al diritto sanzionatorio amministrativo, ai fini dell'integrazione dell'autonomo illecito in oggetto occorre che sussistano: (i) il requisito oggettivo, rappresentato dal «ritardo» nel pagamento della sanzione; (ii) il requisito soggettivo, rappresentato dalla imputabilità del «ritardo» al comportamento doloso e colposo dell'agente (cfr. in termini C.d.S., sez. VI, n. 5425/2015).
Nella fattispecie in esame mancano entrambi i requisiti.
In relazione al primo, il termine per il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata con il provvedimento originario scadeva il 7 maggio 2005.
Il T.a.r. per il Lazio, con dispositivo n. 73/2005 pubblicato il 23 marzo 2005, ha annullato il provvedimento sanzionatorio quanto alla determinazione dell'entità della sanzione, con efficacia provvisoriamente esecutiva (v. artt. 33, comma 2, e 119, comma 6, c.p.a.), mai sospesa.
Tale annullamento giudiziale, comportante l'illiquidità della sanzione pecuniaria amministrativa (ossia, l'indeterminatezza del suo esatto ammontare), ha impedito la scadenza del termine per il pagamento della sanzione principale quale determinata con il provvedimento originario e, dunque, l'esigibilità in senso tecnico della correlativa obbligazione pecuniaria ai fini della produzione dell'ulteriore autonomo effetto sanzionatorio della maggiorazione aggiuntiva; esigibilità che, invece, sarebbe intervenuta solo con la rideterminazione del suo esatto ammontare con il provvedimento definitivo (non importa, se giudiziale o amministrativo).
Con il provvedimento del 10 dicembre, 2013 n. 24680, l'originaria sanzione è stata rideterminata nell'importo indicato ed alla società predetta è stato assegnato (nuovo) termine di novanta giorni dalla notificazione per il pagamento, con l'avvertimento che, decorso tale termine, erano dovuti gli interessi di mora per il periodo del primo semestre e, successivamente, la maggiorazione ex art. 27, comma 6, cit.
Alla luce di quanto sopra, deve escludersi la sussistenza del requisito oggettivo del «ritardo», essendo l'obbligazione pecuniaria divenuta liquida (ossia, determinata nel suo esatto ammontare) ed esigibile solo con il provvedimento di rideterminazione del 2 agosto 2012 (cfr. ad es. Cass. 31 marzo 2006, n. 7696, Cass. 18 marzo 2005, n. 5975, e Cass. 11 gennaio 1986, n. 103, secondo cui gli interessi su un debito pecuniario certo ma non liquido, pur maturando nel corso del giudizio promosso per la sua liquidazione del debito stesso, scadono in senso tecnico, cioè divengono esigibili, solo con la pronuncia giudiziale e, pertanto, possono produrre ulteriori interessi - nella specie, assorbiti dalla maggiorazione ex art. 27, comma 6, l. n. 689/1981 - soltanto dal momento di tale scadenza).
In relazione al secondo requisito, l'annullamento giudiziale della sanzione principale ha determinato la non esigibilità, sotto il profilo soggettivo, della pretesa sanzionatoria (cfr. ad es. C.d.S., sez. VI, n. 636/2008 e 2422/2016).
Infatti, tale annullamento, privando di efficacia il provvedimento che ha irrogato la sanzione principale, ha giustificato il «ritardo», con conseguente insussistenza di una condotta colposa dell'impresa. In altri termini, essendo la sanzione accessoria dovuta per il «ritardo» nel pagamento della sanzione principale, se una decisione giurisdizionale, ancorché non definitiva, dichiara che tale ultima sanzione non è dovuta nella misura originariamente determinata, non può ritenersi colpevole la condotta del soggetto che, in attesa della rideterminazione definitiva (non importa, se direttamente dal giudice, oppure, come nel caso di specie, dalla stessa Autorità), non corrisponde la somma richiesta nella misura originaria, ormai oggetto di annullamento.
In definitiva, non sussiste il «ritardo» e, comunque, esso non può ritenersi di natura colposa.
Inconferente è l'assunto dell'Autorità, laddove si richiama ad un arresto della Sezione (cfr. C.d.S., VI, 25 maggio 2012, n. 3058), giacché quest'ultimo riguardò un caso diametralmente opposto a quello in esame, ove, cioè, si sarebbero voluti sospendere gli effetti d'una sanzione poi ritenuta in via definitiva legittima, nell'an e nel quantum. Nel caso in esame, invece, la sanzione originaria è stata prima resa inefficace e poi definitivamente annullata anche all'esito del giudizio di appello.
Parimenti inconferente è, infine, il richiamo della difesa erariale al principio secondo cui la durata del processo non può andare a carico della parte che ha ragione, esulando l'istituto della maggiorazione ex art. 27, comma 6, l. n. 689/1981 dalla tematica degli effetti sostanziali della domanda giudiziale garantiti dalla retroazione della sentenza di accoglimento al momento dell'inizio del processo: infatti, l'applicazione della maggiorazione non è un effetto della sentenza che dà ragione all'Autorità sulla pretesa sanzionatoria "principale", ma è l'effetto di un'autonoma fattispecie operante sul piano del diritto sostanziale in caso di ritardo colpevole del soggetto nel pagamento della sanzione "principale" oltre il semestre dal momento di esigibilità della prestazione principale, presupponente la persistente efficacia del provvedimento irrogativo della sanzione principale, nella specie venuta meno a far tempo dalla pubblicazione del dispositivo (seguita dalla pubblicazione della sentenza completa di motivazione), provvisoriamente esecutivo, di annullamento parziale del provvedimento sanzionatorio nella parte relativa alla determinazione dell'entità della sanzione, divenuta liquida (ossia, determinata nel suo esatto ammontare) ed esigibile solo in esito alla sua rideterminazione da parte dell'Autorità con assegnazione di un nuovo termine per l'adempimento.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in reiezione dell'appello, s'impone la conferma dell'impugnata sentenza nei sensi di cui in motivazione.
Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.