Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 15 maggio 2018, n. 11849

Presidente: Petitti - Estensore: Manna

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Jole Edvige O., erede di Giulia O., e in tale qualità dichiarandosi creditrice di Lina R., cittadina italiana residente in Svizzera e ivi deceduta, domandava al Tribunale di Chiavari la separazione di beni mobili della de cuius, ai sensi degli artt. 512 e 517 c.c.

Attivatosi il contraddittorio nei confronti di Giuseppe e Guido G.S., chiamati all'eredità in qualità di figli della R., entrambi eccepivano la carenza della giurisdizione del giudice italiano e il secondo contestava anche la propria qualità di erede, avendo rinunciato all'eredità materna.

Il Tribunale, senza provvedere sulla questione di giurisdizione, rigettava nel merito la domanda poiché era stata giudizialmente accertata in altra sede l'inesistenza della ragione di credito dedotta dalla ricorrente.

Il reclamo proposto dalla O. era dichiarato inammissibile dalla Corte d'appello, la quale riteneva fondata l'eccezione di difetto della giurisdizione italiana, reiterata in detta fase da Giuseppe G.S. E "in via di subordine", riteneva altresì indimostrata la qualità di creditrice vantata dalla reclamante. A base della pronuncia, la circostanza che la successione si era aperta in Svizzera, l'ultimo domicilio della de cuius essendo in Lugano, e che gli artt. 46 e ss. l. n. 218/1995 erano inapplicabili alla fattispecie poiché la controversia sulla separazione dei beni del defunto, ai sensi degli artt. 512 e ss. c.c., non era qualificabile come di natura successoria. Nel merito e "in via subordinata", condivideva il giudizio espresso dal primo giudice sull'avvenuto accertamento negativo, in separata sede contenziosa, del credito vantato dalla O.

Avverso tale decreto Jole Edvige O. propone ricorso affidato a due motivi.

Vi resiste con controricorso Giuseppe G.S.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Con ordinanza del 2 novembre 2017 la seconda sezione civile di questa Corte, rilevata l'inerenza del primo motivo di ricorso ad una questione di giurisdizione, ha rimesso la causa al Primo Presidente, che l'ha assegnata a queste Sezioni unite.

In prossimità dell'udienza, la ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va rilevata l'inammissibilità del deposito dei documenti allegati alla memoria di parte ricorrente, non rientrando la loro allegazione nell'ipotesi di cui all'art. 372 c.p.c.

2. Col primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 456, 517 e 2909 c.c., 50 l. n. 218/1995 e 22 e 101 c.p.c. Parte ricorrente deduce che la Corte distrettuale avrebbe dichiarato il difetto di giurisdizione in violazione dell'opposto giudicato interno formatosi al riguardo. Implicitamente affermata dal Tribunale, che ha deciso la controversia nel merito, la giurisdizione del giudice italiano non ha formato oggetto di reclamo al giudice d'appello, atteso che Giuseppe G.S. aveva risollevato tardivamente la relativa questione, essendosi costituito soltanto all'udienza di comparizione innanzi alla Corte ligure. Ad ogni modo, parte ricorrente lamenta che sulla relativa questione quest'ultima avrebbe dovuto provocare il contraddittorio ai sensi dell'art. 101, cpv., c.p.c. Deduce, inoltre, che la Corte d'appello ha erroneamente dedotto la carenza di giurisdizione dalle norme sulla competenza, mentre avrebbe dovuto affermarne l'esistenza alla stregua dei criteri di collegamento di cui all'art. 50, lett. a), c) ed e), della l. n. 218/1995, in quanto la de cuius era cittadina italiana, la maggior parte dei beni ereditari è ubicata in Italia ed essi sono oggetto della domanda.

3. Il secondo motivo allega la contraddittorietà del decreto impugnato, perché la Corte territoriale ha dapprima negato la giurisdizione e, poi, non di meno esaminato il merito; e la violazione degli artt. 512 e ss. c.c., in quanto la legittimazione a domandare la separazione dei beni del defunto può basarsi anche su di un credito contestato.

4. Tale secondo motivo, avente ad oggetto la seconda e "subordinata" ratio decidendi del decreto impugnato, che ha negato l'esistenza del credito della O., è inammissibile per difetto d'interesse.

Infatti, secondo l'ormai costante orientamento di questa Corte, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Sez. un., n. 3840/2007; conformi, nn. 13997/2007, 15234/2007, 17004/2015 e 30393/2017).

5. Il ricorso è da qualificare straordinario ex art. 111 Cost., essendo stato proposto avverso un decreto e non contro una sentenza; ed è ammissibile.

5.1. Preliminarmente deve escludersi l'esistenza d'un giudicato interno dichiarativo della giurisdizione del giudice italiano, in virtù del provvedimento del Tribunale di Chiavari. È vero che, assente una pronuncia espressa sulla giurisdizione, la decisione nel merito (che non sia dettata dal criterio della ragione più liquida) afferma l'esistenza della potestas iudicandi per implicazione logica (cfr. la costante giurisprudenza di questa Corte a partire da Sez. un., n. 24883/2008); tuttavia, poiché nei procedimenti di volontaria giurisdizione (su ciò v. meglio infra) regolati dai soli artt. 737 e ss. c.p.c. la costituzione (recte, partecipazione in funzione di audizione) del reclamato, per il carattere deformalizzato della procedura camerale (pacifico e altresì argomentabile a contrario da Cass. n. 6900/1996) non è soggetta a termini di decadenza, anche il reclamo incidentale non soggiace alle forme ordinarie, ma si desume dal contenuto delle difese svolte e delle conclusioni formulate dalla parte reclamata.

5.1.1. Le ragioni anzi dette valgono anche ad escludere ogni ipotesi di violazione dell'art. 101 c.p.c., essendo il tema della giurisdizione comune alla fase di reclamo.

5.2. È ferma e nota la giurisprudenza di questa Corte Suprema sull'inammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. nell'ambito della volontaria giurisdizione propriamente detta (cioè non contenziosa in senso tecnico), per essere di regola i relativi provvedimenti privi del requisito di decisorietà e di idoneità al giudicato.

Così è stato ritenuto, in tema di accettazione beneficiata dell'eredità, che il provvedimento che decide sul reclamo proposto avverso i provvedimenti emessi a seguito di istanza di modifica del decreto di autorizzazione alla redazione dell'inventario, non è impugnabile col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto riconducibile, al pari del decreto di cui all'art. 769 c.p.c., alla giurisdizione volontaria e, pertanto, privo del carattere della decisorietà e della idoneità al passaggio in giudicato (Cass. n. 5460/2017).

Allo stesso modo, il decreto che autorizza la formazione dell'inventario, ai sensi dell'art. 769 c.p.c., e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763 c.p.c.; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà, modificabili e revocabili e come tali inidonei a passare in giudicato; pertanto essi non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione (cfr. Cass. nn. 922/2010 e 10446/2002; ed ancora, sempre in materia di inventario ex art. 769 e ss. c.p.c., v. Cass. nn. 6451/1992 e 6997/1983; v. inoltre, Cass. n. 20132/2014, che ha escluso l'impugnabilità straordinaria del decreto con cui il tribunale rigetta l'istanza di proroga del termine ex art. 500 c.c. per completare la procedura di liquidazione dell'eredità beneficiata).

5.2.1. Ciò non di meno, non mancano casi residuali in cui dall'irretrattabilità degli effetti di un provvedimento, incisivo su diritti e non revocabile né modificabile, è stata evinta la soluzione opposta.

Infatti, si è ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto dagli ulteriori chiamati all'eredità contro il decreto del tribunale pronunziato ai sensi dell'art. 739 c.p.c., in sede di reclamo avverso alcuni provvedimenti con i quali, in tema di accettazione beneficiata dell'eredità, erano state concesse più proroghe per la redazione dell'inventario, in contrasto con l'art 485 c.c. che prevede la proroga per una volta sola (Cass. n. 2617/1979). Ancora, il rimedio in questione è stato ammesso contro l'ordinanza con cui il tribunale pronuncia - con l'osservanza della procedura prevista dall'art. 749, terzo comma, c.p.c. "previa audizione degli interessati", - sul reclamo avverso il decreto pretorile di fissazione di un termine al chiamato per l'accettazione (nella specie revocandolo perché avente ad oggetto una seconda, non consentita, proroga del termine già assegnato con la conseguente inefficacia della accettazione dell'eredità), decreto che ha carattere decisorio e definitivo, in quanto volto a dirimere un conflitto fra diritti soggettivi e non suscettibile di modifica o di revoca ai sensi del combinato disposto degli artt. 742 e 742-bis c.p.c. (Cass. n. 4897/1987; contra la più risalente Cass. n. 751/1970). Pure ammissibile, infine, è stato ritenuto il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso il provvedimento con il quale il tribunale, pronunciando in sede di reclamo ex art. 749 c.p.c., disponga la revoca della proroga del termine assegnato ex art. 500 c.c. all'erede accettante con beneficio di inventario per liquidare le attività ereditarie e formare lo stato di graduazione, trattandosi di provvedimento idoneo ad incidere su posizioni sostanziali di diritto soggettivo dell'erede medesimo (per la previsione, in particolare, della decadenza dal beneficio di inventario conseguente al mancato compimento, nel termine stabilito, delle menzionate operazioni), in contrapposizione a creditori del defunto e legatari (Cass., Sez. un., n. 1521/2005).

Può dunque ritenersi acquisito che, soprattutto in materia ereditaria e, in particolare, di accettazione beneficiata, nelle pieghe di procedimenti concepiti dal legislatore in funzione gestoria, senza alcuna idoneità al giudicato e, dunque, al di fuori d'ogni attività tecnicamente decisoria, si possano annidare isole di incisività su diritti soggettivi, cui consegue l'espansione del rimedio straordinario ex art. 111 Cost.

5.3. La separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede, disciplinata dagli artt. 512 e ss. c.p.c. [recte: c.c. - n.d.r.], è per certi aspetti speculare all'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario (le cui problematiche - si è appena è visto - hanno dato luogo a taluni casi di ricorso straordinario). Qui la separazione opera in funzione dell'interesse del creditore a conservare intatta la garanzia patrimoniale su cui aveva fatto affidamento, lì dove invece nell'eredità beneficiata essa tutela l'interesse dell'erede a non subire gli effetti pregiudizievoli di un'eredità passiva (tale parallelismo è colto da Cass. n. 2007/1971).

Il relativo diritto del creditore alla separazione ha natura potestativa e il suo esercizio non determina la formazione di un patrimonio separato (in ciò cogliendosi una differenza con l'accettazione beneficiata), poiché non è impedito ai creditori separatisti di soddisfarsi sui beni personali dell'erede (art. 512, ultimo comma, c.c.). Tale diritto si attua per i beni mobili mediante domanda al giudice, che ne ordina l'inventario se non è stato già fatto (art. 517, secondo comma, c.c.). L'effetto, secondo autorevole dottrina, è quello di costituire a favore del creditore separatista un diritto reale di garanzia sui beni separati (realità che a sua volta si desume dalla disciplina della separazione dei beni immobili, la quale ultima si esercita con le forme dell'iscrizione ipotecaria: art. 518 c.c.).

Il procedimento cui si richiama l'art. 517 c.c., indipendentemente dalla circostanza che vi partecipino o non gli eredi o altri interessati (questione che ai limitati fini che qui rilevano non mette conto approfondire), ha senz'altro e ad ogni modo natura volontaria e non già contenziosa, come si ricava da un duplice ordine di considerazioni.

Da un lato, infatti, il giudice non è chiamato ad accertare il credito, ma solo a verificarne in maniera sommaria l'esistenza quale titolo di legittimazione attiva del ricorrente, e a dettare le disposizioni eventualmente necessarie alla conservazione dei beni da separare. Ne deriva che in un futuro giudizio dichiarativo l'esistenza del credito del separatista può essere integralmente rimessa in discussione, non godendo di alcuno statuto favorevole.

Dall'altro lato, la separazione dei beni mobili mette capo, per il rimando operato dall'art. 777 c.p.c., ad un altro, caratteristico procedimento di volontaria giurisdizione, che è quello disciplinato dagli artt. 769 e ss. c.p.c. in tema di inventario.

Escluso, dunque, qualsivoglia effetto di giudicato ricollegabile al decreto con cui il giudice dispone la separazione dei beni mobili, non v'è dubbio che tale provvedimento si sottragga al regime dell'impugnazione straordinaria per cassazione. Né l'erede, per il carattere propriamente potestativo del diritto del creditore a separare i beni, può lamentare alcuna incisione della propria posizione soggettiva; non senza osservare che ogni possibile questione derivante dalla consegna o dalla conservazione dei mobili si dirime attraverso l'audizione delle parti prevista dall'art. 776 c.p.c. (per gli immobili il richiamo alle norme sulle ipoteche, operato dall'art. 519, ultimo comma, c.c., rende applicabili le disposizioni in tema di riduzione e restrizione ai sensi dell'art. 2872 c.c.).

5.4. Un diverso problema si pone allorché la separazione non sia disposta. Fatta salva la facoltà di riproporre la domanda ove il breve termine dell'art. 516 c.c., pacificamente stabilito a pena di decadenza, non sia ancora decorso, il relativo diritto del creditore non ha altra chance di tutela. E dunque il provvedimento reiettivo in tal caso incide su di esso, escludendolo, di guisa che il creditore subisce in maniera irretrattabile gli effetti del concorso senza preferenza con i creditori particolari dell'erede.

Analogamente avviene ove - ed è il caso che qui ne occupa - la giurisdizione sia declinata a favore di un giudice straniero. Non operando tra giudici stranieri il meccanismo della translatio iudicii, che l'art. 59, primo comma, della l. n. 69/2009 prevede solo tra giudici nazionali, la giurisdizione in tal caso perde la propria natura di presupposto processuale per acquisire quella di requisito di ammissibilità della domanda. Esclusi gli effetti conservativi della translatio e non essendo più riproponibile la domanda allorché - ed anche questo è il caso di specie - sia decorso il termine decadenziale di cui all'art. 516 c.c., si consolida la negazione del diritto alla separazione.

Tale incisione rende dunque ammissibile l'impugnazione straordinaria per cassazione contro il provvedimento declinatorio della giurisdizione del giudice nazionale, e ciò in via d'eccezione rispetto alla regola che la esclude in materia di giurisdizione volontaria.

6. Il ricorso è, poi, fondato, e ciò in base a due ragioni.

La prima è che i criteri di collegamento previsti dall'art. 3 l. n. 218/1995 (e già dall'art. 4 c.p.c., abrogato dall'art. 73 stessa legge) condizionano l'esistenza della giurisdizione italiana soltanto nell'ipotesi in cui sia convenuto in giudizio uno straniero, ma non valgono come limite alla giurisdizione nei confronti del cittadino italiano (affermazione contenuta in Cass., Sez. un., n. 46/2001, relativamente ad un caso in cui attore era uno straniero).

La seconda ragione deriva dall'applicabilità della Convenzione di stabilimento e consolato, conclusa a Berna fra l'Italia e la Svizzera il 22 luglio 1868 e resa esecutiva in Italia con r.d. 5 maggio 1869, n. 5052, nonché a stregua del successivo protocollo di esecuzione 1° maggio 1869.

Dispone l'art. 17 di detta Convenzione: "Se un Italiano sarà morto nella Svizzera senza lasciare eredi conosciuti o esecutori testamentari, le autorità svizzere cui incombe, giusta le leggi del lor paese, la cura all'eredità, ne daranno avviso alla Legazione o al funzionario consolare italiano nel cui circondario sarà accaduto il decesso, affinché trasmettano agli interessati le necessarie informazioni. Il medesimo avviso sarà dato dalle autorità competenti italiane alla Legazione o ai funzionari consolari svizzeri, se uno Svizzero sarà morto in Italia senza lasciare eredi conosciuti o esecutori testamentari. Le controversie che potessero nascere tra gli eredi di un Italiano morto in Svizzera riguardo alla eredità da lui relitta, saranno portate davanti al giudice dell'ultimo domicilio che l'Italiano aveva in Italia. La reciprocità avrà luogo nelle controversie che potessero nascere tra gli eredi di uno Svizzero morto in Italia".

Tale Convenzione attribuisce tutte le controversie relative alla successione mortis causa di un cittadino italiano o svizzero, defunto in uno qualsiasi dei paesi stipulanti, e comunque insorte fra gli eredi, i legatari o altri soggetti interessati alla successione, al giudice dell'ultimo domicilio che il de cuius aveva nel suo paese di origine (cfr. Sez. un., nn. 8081/1992, 2409/1975 e 1711/1967).

Nella specie, non essendo contestata la cittadinanza italiana tanto della de cuius quanto del suo erede, nulla si frapponeva alla giurisdizione italiana, non ostandovi la circostanza che Lina R. fosse deceduta in Svizzera.

7. Pertanto, in accoglimento del ricorso, il decreto impugnato va cassato, dichiarandosi la giurisdizione italiana, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Genova, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, dichiara la giurisdizione italiana e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Genova, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P. Valensise e al. (curr.)

Il codice della crisi

Giappichelli, 2024

F. Bartolini, L. Alibrandi, P. Corso (curr.)

Quattro codici

La Tribuna, 2024

R. Garofoli

Codice amministrativo ragionato

Neldiritto, 2024