Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 22 giugno 2018, n. 3828

Presidente: Frattini - Estensore: Ferrari

FATTO

1. Il dottor [omissis] ha ricoperto la carica di Sindaco del Comune di [omissis] a seguito delle elezioni amministrative del 27 e 28 maggio 2007.

Con decreto 28 luglio 2008 il Prefetto di Vibo Valentia ha incaricato una Commissione d'accesso di accertare se la vita amministrativa del Comune fosse libera da condizionamenti mafiosi. In costanza di tale accertamento, in data 10 novembre 2008 il Sindaco, dottor [omissis], ha rassegnato le proprie dimissioni richiamando la notizia, apparsa sulla stampa locale, delle dimissioni di tre consiglieri della maggioranza. In conseguenza di tale accadimento, il 2 dicembre 2008 il Prefetto ha sospeso il Consiglio comunale per 90 giorni ed ha nominato, ai sensi dell'art. 141, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, un Commissario prefettizio per l'ordinaria gestione. Con d.P.R. 8 gennaio 2009 il Consiglio comunale è stato sciolto ed è stato nominato, per la provvisoria gestione del Comune, un Commissario straordinario. Il successivo 19 marzo 2009 il Prefetto, viste le risultanze alle quali era intanto pervenuta la Commissione di accesso, ha proposto al Ministero dell'interno lo scioglimento dell'ente ai sensi dell'art. 143, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, scioglimento effettivamente disposto con d.P.R. 23 aprile 2009, con il quale è stata anche nominata la Commissione straordinaria per la gestione dell'ente.

Con istanza del 29 maggio 2010 il dottor [omissis] ha chiesto il rilascio della relazione prefettizia del 19 marzo 2009, sulla cui base era stato determinato lo scioglimento degli organi elettivi del Comune di [omissis], disposto con d.P.R. 23 aprile 2009. La richiesta è stata rigettata sull'assunto che il documento richiesto è classificato "Riservato". Il ricorso proposto al Tar Catanzaro avverso il diniego è stato respinto, con sentenza n. [omissis], riformata dal Consiglio di Stato che, con sentenza n. [omissis], ha riconosciuto il diritto al rilascio della richiesta relazione. Presane visione, il dottor [omissis] si è determinato a ricorrere al Tar Catanzaro per ottenere il ristoro dei danni subiti per effetto del collegamento del proprio nome alla causa dello scioglimento del Consiglio comunale, danni quantificati in euro 200.000,00, di cui euro 100.000,00 per il danno alla persona e all'immagine e euro 100.000,00 per il danno morale, relazionabile alle sofferenze patite.

Il ricorso è stato respinto dal Tar Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, con sentenza n. [omissis].

2. Avverso detta sentenza il dottor [omissis] ha proposto appello, notificato il 10 febbraio 2015 e depositato il successivo 24 febbraio.

Erroneamente, ad avviso del dottor [omissis], il Tar ha affermato che "l'eventuale insussistenza dei presupposti per la redazione della relazione, d'altro canto, non sarebbe di per sé idonea a determinare il diritto al risarcimento del danno...". Ove tale affermazione fosse fondata, qualunque verifica sulla legittimità degli atti, nonché qualunque ipotesi risarcitoria, in subiecta materia, verrebbero frustrate in radice. L'Amministrazione verrebbe a disporre, in simili vicende, di una discrezionalità assoluta, scevra da qualunque limite di ragionevolezza, congruità, proporzionalità ed adeguatezza.

Il Tar, inoltre, nell'affermare che "la natura peculiare della relazione e le difficoltà di attribuire una rilevanza giuridica a determinati fatti ovvero di svolgere specifiche valutazioni su determinate situazioni in atto in luoghi in cui è particolarmente intenso il rischio di infiltrazioni di stampo mafioso", sembra concludere che in alcune realtà territoriali dove è più presente "il rischio di infiltrazioni di stampo mafioso", non sarebbero possibili verifiche certe circa la rilevanza giuridica dei fatti, consentendo pertanto conclusioni libere dai vincoli della prudenza, dell'obiettività, dell'inerenza e della continenza.

In definitiva, simili territori - e gli amministratori ivi operanti - verrebbero estraniati dalle garanzie costituzionali e sarebbe giustificata la deroga alle regole dello Stato di diritto.

Non condivisibile, sempre ad avviso dell'appellante, è anche il capo della sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che l'asserito danno non sarebbe provato.

Dimostrata l'inappropriatezza dei fatti posti a base dello scioglimento del Consiglio comunale, la lesione dei beni della vita dedotti in giudizio, anche perché riferiti alla figura di vertice dell'amministrazione ingiustamente disciolta, è strettamente conseguenziale. Il danno all'immagine ed alla reputazione non va dimostrato, essendo notoriamente in re ipsa, conseguenza immediata e diretta delle declaratorie censurate.

Erroneamente il giudice di primo grado non ha tenuto conto dei vizi che erano stati sollevati avverso la relazione prefettizia, che ha portato allo scioglimento del Consiglio comunale.

3. Con appello incidentale, notificato il 14 aprile 2015 e depositato il successivo 22 aprile, la Prefettura di Vibo Valentia, il Ministero dell'interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno chiesto la riforma della sentenza del Tar Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, n. [omissis] nella parte in cui ha respinto l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sollevata dall'Amministrazione per mancata impugnazione dell'atto di cui si assume l'illegittimità, sul presupposto del superamento e del principio della c.d. pregiudizialità amministrativa. Gli atti, dai quali si fa scaturire il danno asseritamente subito, sono stati, infatti, adottati prima dell'entrata in vigore del Codice del processo amministravo, che ha superato il predetto principio, introducendo la possibilità di esperire autonoma azione risarcitoria.

Aggiungasi che nella specie manca la prova del danno subito e la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.

La Prefettura di Vibo Valentia, il Ministero dell'interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno poi riaffermato l'infondatezza, nel merito, del ricorso di primo grado.

4. Alla pubblica udienza del 14 giugno 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il dottor [omissis] - capolista candidato alla carica di Sindaco per la [omissis], risultata vincitrice alle elezioni amministrative del 27 e 28 maggio 2007 - ha agito in giudizio per la condanna delle Amministrazioni resistenti a risarcire il danno subito in conseguenza dello scioglimento degli organi elettivi del Comune di [omissis], disposto con d.P.R. 23 aprile 2009 a seguito delle risultanze degli accertamenti svolti da una Commissione di accesso, nominata dal Prefetto di Vibo Valentia con decreto del 28 luglio 2008, che ha constatato la presenza di interferenze della criminalità organizzata, riconducibile alla famiglia mafiosa [omissis], che ha condizionato il governo del Comune, come rappresentato nella relazione prefettizia del 19 marzo 2009.

Con ricorso dinanzi al Tar Catanzaro, e successivo appello, il signor [omissis] ha agito in giudizio, ai sensi dell'art. 30, comma 3, c.p.a., per ottenere la condanna delle Amministrazioni resistenti a risarcire i danni da lui subiti per effetto del collegamento del suo nome alla causa dello scioglimento del Consiglio comunale, danni quantificati in euro 200.000,00, di cui euro 100.000,00 per il danno alla persona e all'immagine e euro 100.000,00 per il danno morale, relazionabile alle sofferenze patite.

Presupposto per pronunciare sulla spettanza del risarcimento - reclamato senza aver prima chiesto ed ottenuto l'annullamento del d.P.R. 23 aprile 2009 di scioglimento del Consiglio comunale ex art. 143, d.lgs. 18 marzo 2000, n. 267 - è l'accertamento incidentale dell'illegittimità di tale decreto presidenziale, foriero dell'asserito danno perché ricollega la gestione dell'appellante ai condizionamenti mafiosi.

2. Preliminare è l'esame dell'appello incidentale, proposto dalla Prefettura di Vibo Valentia, dal Ministero dell'interno e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la riforma della sentenza del Tar Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, n. [omissis] nella parte in cui ha respinto l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sollevata dall'Amministrazione per mancata impugnazione dell'atto che si assume illegittimo, necessaria atteso che la relazione ministeriale, che sarebbe foriera del danno asseritamente patito, è del marzo 2009, e dunque antecedente l'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, che all'art. 30, comma 3, c.p.a. ha introdotto la possibilità di chiedere il risarcimento del danno senza il previo annullamento del provvedimento lesivo.

Il ricorso incidentale è infondato.

Giova premettere che l'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato (23 marzo 2011, n. 3) ha affermato che l'omessa attivazione degli strumenti previsti dall'ordinamento a tutela delle posizioni di interesse legittimo, nel caso in cui essa avrebbe impedito il consolidarsi di effetti dannosi, costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, elemento valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza.

L'Adunanza plenaria ha peraltro sottolineato che il Codice (art. 30, comma 3, ultimo alinea), pur negando la sussistenza di una pregiudizialità di rito, ha chiarito che l'omessa impugnazione dell'atto asseritamente illegittimo costituisce fatto valutabile per escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione nei confronti del provvedimento potenzialmente lesivo sia in via giudiziale (con l'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del provvedimento) che in via amministrativa (con la richiesta di autotutela). È questo un implicito, ma chiaro richiamo all'art. 1227, comma 2, c.c. (richiamato invece espressamente nell'art. 124, comma 2, c.p.a.), secondo cui l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, un dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l'omessa impugnazione non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile. Ne deriva che l'utilizzo del rimedio appropriato, coniato dal legislatore proprio al fine di raggiungere gli obiettivi della tutela specifica delle posizioni incise e della prevenzione del danno possibile, costituisce, in linea di principio, condotta esigibile alla luce del dovere di solidale cooperazione di cui alla norma civilistica in esame. A diversa conclusione si perviene, invece, nel caso in cui la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio è frutto di un'opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto l'interesse all'annullamento oggettivamente non esiste, è venuto meno o, in generale, non è adeguatamente suscettibile di soddisfazione (è, ad es., il caso dell'ordine di demolizione già eseguito).

L'Adunanza plenaria ha anche specificato che la regola introdotta da quest'ultima disposizione è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del comma 2 dell'art. 1227 citato. Tale regola è applicabile pertanto anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l'evolversi degli eventi.

Non si pone in contrasto con tale conclusione dell'alto Consesso della Giustizia amministrativa l'ordinanza della Corte costituzionale 31 marzo 2015, n. 57 che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tar Liguria per irragionevole compressione del diritto di difesa in giudizio della parte danneggiata, conseguente all'introduzione, con il comma 5 dell'art. 30 c.p.a., di un termine decadenziale in tema di azione risarcitoria - ha richiamato la disciplina transitoria dettata dall'art. 2 del Titolo II dell'Allegato 3 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che ha approvato il Codice del processo amministrativo, estendendo la sua riferibilità anche (e a maggior ragione) all'ipotesi di successione tra un termine sostanziale, quale è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 cit., con argomentazioni quindi non estensibili alla questione della pregiudizialità. Come chiarito dall'Adunanza plenaria n. 3 del 2011, infatti, l'art. 30 c.p.a., nel prevedere la possibilità di proporre azione di condanna senza aver prima chiesto ed ottenuto l'annullamento del provvedimento foriero del danno asseritamente subito, non ha introdotto un novum, ma ha solo codificato un principio già immanente nel sistema.

4. Respinto l'appello incidentale, vanno esaminati i motivi dedotti con l'appello principale, volti ad escludere la presenza di influenze mafiose nel governo del Comune di [omissis] e, di conseguenza, l'illegittimità dello scioglimento del Consiglio comunale e, soprattutto, dell'addebitabilità di un ruolo importante dell'appellante, Sindaco del Comune di [omissis], nei fatti sintomatici dell'infiltrazione mafiosa.

Peraltro, prima di passare all'esame di tali motivi dedotti avverso le singole contestazioni, al fine del decidere appare al Collegio utile richiamare i principi che la giurisprudenza del giudice amministrativo e, ancora prima, quella del giudice delle leggi, hanno univocamente enunciato con specifico riferimento all'ipotesi di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori comunali con la criminalità organizzata locale ovvero al condizionamento dei primi ad opera della seconda, il tutto per effetto della presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio:

a) ha premesso la Corte costituzionale 19 marzo 1993, n. 103 che lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, per i quali siano emersi collegamenti con i fenomeni mafiosi, è volto ad evitare che il loro permanere alla guida degli enti esponenziali delle comunità locali sia di pregiudizio per i legittimi interessi di queste.

Il giudice delle leggi ha anche precisato che il potere di scioglimento in questione deve essere esercitato in presenza di situazioni di fatto che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi, suffragate da risultanze obiettive e con il supporto di adeguata motivazione; tuttavia, la presenza di risultanze obiettive esplicitate nella motivazione, anche ob relationem, del provvedimento di scioglimento non deve coincidere con la rilevanza penale dei fatti, né deve essere influenzata dall'esito degli eventuali procedimenti penali. Detta misura, ai sensi dell'art. 143, t.u. 18 agosto 2000, n. 267, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, è sufficiente - come meglio si chiarirà - la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente considerato infiltrato (C.d.S., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 96; id. 7 dicembre 2017, n. 5782).

In questa logica che, come acutamente osserva C.d.S., sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590, non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell'amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all'influenza della criminalità organizzata, trovano giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l'Amministrazione e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni, ecc.;

b) lo scioglimento dell'organo elettivo si connota quale misura di carattere straordinario per fronteggiare un'emergenza straordinaria; di conseguenza sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell'Amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, anche quando, come si è detto sub a, il valore indiziario dei dati non è sufficiente per l'avvio dell'azione penale, essendo assi portanti della valutazione di scioglimento, da un lato, l'accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall'altro, le precarie condizioni di funzionalità dell'ente in conseguenza del condizionamento criminale. L'art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000 delinea, in sintesi, un modello di valutazione prognostica in funzione di un deciso avanzamento del livello istituzionale di prevenzione, con riguardo ad un evento di pericolo per l'ordine pubblico quale desumibile dal complesso degli effetti derivanti dai "collegamenti" o dalle "forme di condizionamento" in termini di compromissione della "libera determinazione degli organi elettivi", del "buon andamento delle amministrazioni" nonché del "regolare funzionamento dei servizi", ovvero in termini di "grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica": perciò, anche per "situazioni che non rivelino né lascino presumere l'intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata", giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l'avvio dell'azione penale o, almeno, per l'applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità (C.d.S., sez. V, 15 luglio 2005, n. 3784; id., sez. IV, 10 marzo 2004, n. 1156). Come ripetutamente chiarito, rispetto alla pur riscontrata commissione di atti illegittimi da parte dell'Amministrazione, è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrata dall'Amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obiettive risultanze che diano attendibilità alle ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole, per i legittimi interessi della comunità locale, il permanere alla sua guida degli organi elettivi. Ciò in quanto l'art. 143 t.u.e.l. precisa le caratteristiche di obiettività delle risultanze da identificare, richiedendo che esse siano concrete, e perciò fattuali, univoche, ovvero non di ambivalente interpretazione, rilevanti, in quanto significative di forme di condizionamento (Corte cost. 19 marzo 1993, n. 103; id. [recte: C.d.S. - n.d.r.], sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1547; id. 24 aprile 2009, n. 2615; id. 21 maggio 2007, n. 2583; id., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547; id. 17 gennaio 2011, n. 227; id. 15 marzo 2010, n. 1490).

Peraltro, come chiarito dal Consiglio di Stato (sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340), proprio la straordinarietà di tale misura e la sua fondamentale funzione di contrasto alla ormai capillare diffusione della criminalità mafiosa sull'intero territorio nazionale hanno portato a ritenere che "la modifica normativa al t.u.e.l., per la quale gli elementi fondanti i provvedimenti di scioglimento devono essere 'concreti, univoci e rilevanti', non implica la regressione della ratio sottesa alla disposizione", poiché "la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell'ingerenza delle organizzazioni criminali sull'azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo" (C.d.S., sez. III, 23 aprile 2014, n. 2038). Ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità e, dunque, di condizionamento fra le organizzazioni criminali e la sfera pubblica e nella necessità di evitare, con immediatezza, che l'amministrazione dell'ente locale rimanga permeabile all'influenza della criminalità organizzata.

L'operazione in cui consiste l'apprezzamento giudiziale delle collusioni e dei condizionamenti non può essere effettuata, come chiarito sub a), mediante l'estrapolazione di singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l'esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull'operato consiliare; ciò in quanto, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato dalla misura di cui si discute, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l'adozione della misura stessa (C.d.S., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 96; id. 7 dicembre 2017, n. 5782; id. 2 luglio 2014, n. 3340; id. 14 febbraio 2014, n. 727; id., sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573; id. 4 febbraio 2003, n. 562; id., sez. V, 22 marzo 1998, n. 319; id. 3 febbraio 2000, n. 585). Peraltro, idonee a costituire presupposto per lo scioglimento dell'organo comunale sono anche situazioni che, di per sé, non rivelino direttamente, né lascino presumere, l'intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata (C.d.S., sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2615 e id. 6 aprile 2005, n. 1573).

In sostanza, il provvedimento di scioglimento degli organi comunali deve essere la risultante di una ponderazione comparativa tra valori costituzionali parimenti garantiti, quali l'espressione della volontà popolare, da un lato, e, dall'altro, la tutela dei principi di libertà, uguaglianza nella partecipazione alla vita civile, nonché di imparzialità, di buon andamento e di regolare svolgimento dell'attività amministrativa, rafforzando le garanzie offerte dall'ordinamento a tutela delle autonomie locali. Il livello istituzionale degli organi competenti ad adottare tale provvedimento (il provvedimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, formulata con apposita relazione di cui forma parte integrante quella inizialmente elaborata dal prefetto) garantisce l'apprezzamento del merito e la ponderazione degli interessi coinvolti. La giurisprudenza del Consiglio di Stato è andata oltre, osservando (sez. VI, 16 febbraio 2007, n. 665) che nel provvedimento di scioglimento non vi è contrapposizione, ma sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità proprio perché la norma, che legittima lo scioglimento dei consigli, lo condiziona al presupposto dell'emersione, da un'approfondita istruttoria, di forme di pressione della criminalità che non consentono il libero esercizio del mandato elettivo;

Tutto quanto sopra chiarito spiega perché, nell'ipotesi di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, considerato che non si richiede né che la commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l'amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili, dimostrandosi sufficienti elementi univoci e coerenti volti a far ritenere un collegamento tra l'Amministrazione e i gruppi criminali. Il sindacato del giudice amministrativo sulla ricostruzione dei fatti e sulle implicazioni desunte dagli stessi non può quindi spingersi oltre il riscontro della correttezza logica e del non travisamento dei fatti, essendo rimesso il loro apprezzamento alla più ampia discrezionalità dell'autorità amministrativa (C.d.S., sez. III, 26 settembre 2014, n. 4845).

Il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come estrinseco, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all'adeguatezza dell'istruttoria, alla ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine perseguito (C.d.S., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 96). In sede giurisdizionale non è dunque necessario, come si è detto, un puntiglioso e cavilloso accertamento di ogni singolo episodio, più o meno in sé rivelatore della volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né delle responsabilità personali, anche penali, di questi ultimi (C.d.S., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266).

5. Tutto ciò premesso, si può ora passare all'esame dei singoli profili di doglianza rivolti ai diversi elementi sintomatici dell'infiltrazione mafiosa, che sono alla base del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di [omissis].

L'illegittimità di tale provvedimento costituisce, infatti, il primo e imprescindibile presupposto per poter chiedere il risarcimento dei danni.

Contrariamente a quanto affermato dall'appellante, è possibile procedere allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa anche dopo l'avvenuto scioglimento per dimissioni, soprattutto nel caso - che si è verificato nella fattispecie in esame - in cui le stesse fossero state rassegnate dopo (il 10 novembre 2008) la nomina (28 luglio 2008), da parte del Prefetto, di una Commissione di accesso, incaricata di verificare se ci fosse una influenza malavitosa nella gestione amministrativa del Comune. Diversamente opinando, infatti, le dimissioni costituirebbero un facile escamotage per paralizzare l'indagine prefettizia e consentire nella nuova tornata elettorale agli stessi candidati, sospettati di vicinanza agli ambienti malavitosi, di ripresentarsi, forti della disinformazione della cittadinanza locale.

6. L'appellante censura poi la fondatezza dei singoli addebiti che sono stati mossi alla sua gestione e a lui personalmente.

Preliminarmente occorre ricordare che - come si è già detto - se anche non tutti questi elementi dimostrassero, singolarmente, la compromissione delle funzioni organizzative e dell'imparziale andamento dell'amministrazione per effetto dell'influenza mafiosa, non per questo verrebbe meno la correttezza del giudizio espresso circa il distorto andamento della Pubblica amministrazione, a cagione dell'influenza mafiosa, sulla base del loro complessivo esame, in una valutazione unitaria e non frazionata delle dinamiche sottese all'agere pubblico nel contesto locale di riferimento.

Di indiscutibile rilievo - ai fini di dimostrare come fosse forte l'influenza della famiglia [omissis] nella gestione dell'ente - è il sostegno del boss [omissis] alla candidatura della lista con capogruppo il signor [omissis]. La propaganda da parte di una famiglia mafiosa per una Lista sottende certamente un affidamento a che la compagine della stessa possa risultare, una volta eletta, permeabile alla sua influenza. Contrariamente a quanto afferma l'appellante, non rileva la circostanza che detto appoggio non abbia sortito un aumento delle preferenze accordate alla lista, quanto piuttosto che tra i diversi candidati alla competizione del 27 e 28 maggio 2007 la famiglia mafiosa abbia ritenuto preferibile che le elezioni fossero vinte dalla [omissis], con capolista - candidato Sindaco il signor [omissis].

Aggiungasi, ed il rilievo assume carattere assorbente, che non risulta provato che il candidato capolista si sia dissociato da tale appoggio.

La gravità di questo episodio assume un peso notevole nella determina prefettizia.

Il Collegio rileva peraltro che altrettanto grave è la circostanza che il Sindaco abbia trasferito competenze, che prima erano degli impiegati comunali, a giovani professionisti, che il Prefetto afferma essere privi di esperienza nella Pubblica amministrazione. Quest'ultimo assunto è contestato dall'appellante, il quale afferma che gli incarichi sono stati dati a "persone qualificate e laureate".

La difesa del signor [omissis] non è tale, ad avviso del Collegio, da smontare la prospettazione prefettizia.

Ed invero, in primo luogo si tratta di affermazioni tutte indimostrate, a fronte di prove facili da portare; sarebbe bastato: a) dimostrare (e non meramente affermare) che gli impiegati che svolgevano alcuni incarichi non erano in grado di proseguire o non era opportuno che lo facessero; b) spiegare come erano stati scelti i professionisti esterni e la particolare competenza nell'incarico affidatogli.

In mancanza di tali prove, l'affidamento a professionisti fiduciariamente incaricati può fare fondatamente pensare ad un comodo strumento per controllare meglio la gestione di alcuni settori di particolare interesse.

Sotto questo profilo, correttamente nella relazione si sottolinea anche l'avocazione, in capo al Sindaco, di compiti di amministrazione attiva presso l'Ufficio tecnico - settore nevralgico in un Comune e di potenziale interesse della malavita - a nulla rilevando che avesse le relative competenze. Anche non volendo dubitare di tale affermazione, dedotta dall'appellante a supporto delle proprie difese, certo è che lo svolgimento in proprio o attraverso persone di fiducia di settori di amministrazione attiva rende meno trasparente - e quindi più facile - l'infiltrazione mafiosa. In capo ad una sola persona, il Sindaco, si sono assommate - direttamente o per il tramite di professionisti di fiducia - funzioni di gestione della macchina dell'ente locale in settori di non poco rilievo.

Quanto alla criticità presente nel settore dei rifiuti, il Prefetto precisa che negli anni 2006-2008 di fatto la gestione era in mano alla ditta [omissis], anche dopo la cessione del ramo di azienda. Figura centrale è quella di [omissis], coinvolto nell'inchiesta "[omissis]", che ha portato ad una richiesta di rinvio a giudizio anche per il reato ex art. 416-bis c.p. "per aver costituito e fatto parte di una associazione di tipo mafioso con una cassa comune". Ha aggiunto il Prefetto che "i membri del sodalizio hanno posto in essere una serie di delitti per acquisire, tra l'altro, una partecipazione occulta nel servizio pubblico di raccorda e di trasporto dei rifiuti solidi urbani in molti comuni calabresi tramite le società di [omissis] e le relative azioni nella società [omissis], società mista a partecipazione pubblica, con l'appoggio di esponenti della criminalità organizzata". Sul punto è sufficiente ricordare che, al di là della data delle contestazioni delle inadempienze riscontrate nell'espletamento del servizio, la revoca è stata disposta solo in data 29 agosto 2008, dopo che il 28 luglio 2008 era stata incaricata una Commissione di accesso di accertare se la vita amministrativa del Comune fosse libera da condizionamenti mafiosi.

7. Gli elementi sopra analizzati, acquisiti e messi bene in evidenza sia dalla relazione prefettizia, sulla base dell'istruttoria condotta dalla Commissione d'accesso, che dalla relazione ministeriale, sono dal Collegio ritenuti espressivi di situazioni di condizionamento e di ingerenza, nella gestione dell'ente comunale, nonché rilevanti, in quanto produttivi di una azione amministrativa inadeguata a garantire gli interessi della collettività locale.

Rileva infatti il Collegio che gli stessi sono da soli sufficienti a supportare la decisione di applicare la misura di rigore prevista dall'art. 143, t.u. n. 267 del 2000, rappresentando lo scioglimento del consiglio comunale la risultante di una complessiva valutazione il cui asse portante è - come si è già detto - costituito, da un lato, dall'accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata; dall'altro, dalla carente funzionalità dell'ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero da una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica. Il che legittima l'intervento statale finalizzato al ripristino della legalità ed al recupero della struttura pubblica ai propri fini istituzionali, attività che deve essere valutata con riguardo al determinato momento storico ed al vissuto, allora esistente, rispetto ai quali i fatti sintomatici o presuntivi si erano colorati.

Tale conclusione esonera il Collegio dall'esaminare gli altri specifici episodi individuati nella relazione prefettizia come sintomo della vicinanza dell'apparato amministrativo alla criminalità organizzata, in considerazione del principio, ricordato sub 4), secondo cui la valutazione del giudice adito delle acquisizioni probatorie non può arrestarsi ad una atomistica e riduttiva analisi dei singoli elementi, senza tener conto dell'imprescindibile contesto locale e dei suoi rapporti con l'amministrazione del territorio, ma deve fondarsi sulla permeabilità degli organi elettivi a logiche e condizionamenti mafiosi sulla base di un loro complessivo, unitario e ragionevole vaglio, costituente bilanciata sintesi e non mera somma dei singoli elementi stessi (C.d.S., sez. III, 14 luglio 2015, n. 3520; id. 2 luglio 2014, n. 3340; id. 14 febbraio 2014, n. 727).

8. La mancanza del presupposto dell'illegittimità del provvedimento foriero del danno all'immagine e del danno morale, asseritamente patiti dall'appellante, comporta il rigetto dell'appello; la reiezione dei motivi dedotti avverso lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa impedisce, infatti, che il danno stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall'Amministrazione (C.d.S., sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4588; id., sez. IV, 29 dicembre 2014, n. 6417; id., sez. V, 5 dicembre 2014, n. 6013; id. 27 agosto 2014, n. 4382; id. 13 gennaio 2014, n. 85; id., sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4628; id., sez. V, 15 gennaio 2013, n. 176).

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante alla rifusione delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in euro 2.500,00 (duemila cinquecento euro).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante.