Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 2 marzo 2018, n. 21274

Presidente: Andreazza - Estensore: Gai

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 febbraio 2017, la Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia che, per quanto qui di rilievo in connessione con i motivi di impugnazione, aveva condannato T.T., alla pena di mesi nove di reclusione, per i reati di cui agli artt. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché, quale legale rappresentanza di [omissis], non versava l'imposta sul valore aggiunto dovuta sulla base della dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un ammontare complessivo di euro 557.230,00 (annualità 2008) e euro 430.058,00 (annualità 2010), fatti commessi il 28 dicembre 2009 e 27 dicembre 2011.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso T.T., a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:

2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 45 c.p. e il vizio di motivazione.

Argomenta la ricorrente che la Corte d'appello avrebbe con motivazione contraddittoria affermato la responsabilità penale in presenza di forza maggiore costituita dalla crisi finanziaria della società generata da fatti oggettivi (blocco della produzione a seguito di controlli dell'ARPA), e non addebitabili ad errori gestionali dell'imputata.

La corte territoriale avrebbe erroneamente pretermesso la valutazione di tali elementi confermando la decisione di condanna sul rilievo che l'inadempimento sarebbe frutto di una scelta imprenditoriale di destinare le risorse al pagamento dei creditori strategici, non considerando che l'imputata non avrebbe avuto scelta nell'agire, situazione che concretizzerebbe la forza maggiore.

2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo. Alcuna libertà di scelta avrebbe avuto l'imputata, sicché illogica sarebbe anche la motivazione della corte che avrebbe ritenuto provato l'elemento soggettivo del dolo quantomeno nella forma del dolo eventuale. Tale motivazione sarebbe in contrasto con lo stesso dato fattuale ricostruito nella sentenza del Tribunale che aveva dato atto che l'imputata aveva destinato le risorse provenienti dall'iva alla sopravvivenza dell'azienda, disponendo il pagamento dei fornitori confidando di poter poi provvedere al pagamento del debito tributario, sicché l'inadempimento successivo non si potrebbe ascrivere in termini di dolo anche nelle forme del c.d. dolo eventuale, avendo agito nella sicura convinzione di poter adempiere entro il termie più lungo concesso dalla norma penale. In conclusione, la ricorrente avrebbe, al più, agito con colpa cosciente.

3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi, anche ripetitivi di quelli già devoluti, manifestamente infondati.

5. Manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, anche ripetitivo della stessa doglianza già devoluta e disattesa dal giudice dell'impugnazione, con il quale la ricorrente censura la sentenza con riguardo alla rilevanza della situazione di crisi economica e finanziaria generata dal blocco della produzione a seguito di controllo amministrativo, ai fini di esclusione dell'elemento soggettivo del reato, quale forza maggiore ex art. 45 c.p.

Con riferimento al tema della rilevanza della circostanza di forza maggiore quale causa di esclusione della punibilità, la giurisprudenza di legittimità ha, con indirizzo ermeneutico costante (anche richiamato nella sentenza impugnata) affermato che essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez. 4, n. 8089 del 13 maggio 1982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26 marzo 1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19 gennaio 1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4, n. 284 del 18 febbraio 1964, Acchiardi, Rv. 099191) e rileva come causa esclusiva dell'evento, ma mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23 novembre 1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 6 dicembre 1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4, n. 2138 del 5 dicembre 1980, Biagini, Rv. 148018). Presupposto indefettibile per la verificazione di una causa di forza maggiore è l'individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto e non prevedibile, estraneo alla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile l'evento costituito e comporta, nei reati omissivi, qual è quello in esame, l'assoluta impossibilità del comportamento doveroso omesso.

Da tali affermazione discende, quale corollario, che nei reati omissivi integra causa di forza maggiore solo l'assoluta impossibilità e non la semplice difficoltà a porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23 marzo 1990, Iannone, Rv. 184856).

6. La sentenza impugnata, in continuità con quella del Tribunale, ha accertato, in punto di fatto, che era stata incassata l'iva esposte nelle fatture, e che l'imputata aveva consapevolmente trattenuto le somme da versare mensilmente destinandole al pagamento dei fornitori strategici, accettando il rischio di non poter onorare il debito verso l'erario nel maggior termine consentito, sicché la condotta era frutto non già di forza maggiore, ma di scelta dolosa, quantomeno nella forma del dolo eventuale, di non far fronte all'adempimento tributario. Motivazione congrua che non presenta profili di illogicità ed è corretta sul piano del diritto.

La scelta di pagare i fornitori strategici, in una situazione nella quale non si dubita dell'incasso dell'Iva esposta nelle fatture, esclude in radice la circostanza di forza maggiore essendo incompatibile la scelta imprenditoriale assunta dalla ricorrente, con il requisito del fatto imponderabile ex art. 45 c.p.

Ben inteso, occorre sgombrare il campo da un possibile equivoco. Ciò che rileva, nella esclusione di una circostanza di forza maggiore, non è il fatto imponderabile del controllo amministrativo che aveva determinato il blocco della produzione, ma il fatto che l'omissione nel maggior termine di scadenza del versamento dell'imposta (termine entro cui deve avvenire il versamento dell'acconto relativo all'anno di imposta successivo) è stata frutto di una scelta di destinare quanto ricevuto in pagamento, comprensivo di Iva, al pagamento dei fornitori anziché di accantonarla in vista della scelta del versamento nel maggior termine concesso dalla legge. Al momento della scadenza del termine alcun fatto imponderabile estraneo alla sfera di azione è sussistente.

In tale contesto del tutto priva di rilievo è la circostanza che la situazione di crisi non fosse correlata all'incapacità gestione della ricorrente, poiché, si ribadisce, ciò che viene in rilievo è l'omissione consapevole del versamento del termine di legge della somma dovute a titolo Iva, omissione conseguente ad una scelta operata dalla ricorrente nella convinzione, secondo i giudici del merito, di poter adempiere all'obbligazione nel maggior termine rispetto a quello imposto dalla norma tributaria (mensile nel caso in esame), situazione che si traduce nel dolo del reato (dolo generico) al momento della scadenza.

Poiché il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto ha natura istantanea ed unisussistente, esso è integrato dalla volontà dell'omesso versamento con riguardo al momento della scadenza e non in momenti ad esso antecedenti (Sez. 3, n. 8352 del 24 giugno 2014, Schirosi, Rv. 263126) ed è integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato, sicché la scelta di non pagare lo integra.

Da tale affermazione si trae la conclusione che la scelta rivendicata dalla ricorrente di aver optato per il mancato versamento periodico dell'Iva, in base ad una scelta imprenditoriale, non solo vale a dimostrare una gestione della crisi di liquidità estranea all'ambito di rilevanza della forza maggiore, ma rivela anche la consapevolezza e la volontà della condotta omissiva alla scadenza del maggior termine che è la prova del dolo del reato, sicché l'invocata ricorrenza della colpa cosciente, di cui al secondo motivo di ricorso, appare manifestamente infondata.

7. Deve riaffermarsi il principio secondo cui l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti contingenti e imprevedibili non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico, dovendosi escludere la predetta causa di esclusione del dolo nel caso di situazione di difficoltà economica anche derivante da eventi estranei e non imputabili alla gestione ordinaria dell'impresa, nella quale l'omissione del versamento Iva alla scadenza è preceduta dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e, dunque, da una situazione di illegittimità che non può integrare la causa di forza maggiore.

8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Depositata il 14 maggio 2018.

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