Corte di cassazione
Sezione VI civile
Ordinanza 17 maggio 2018, n. 12046

Presidente: Schirò - Relatore: D'Ascola

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. È impugnata per revocazione l'ordinanza n. 11002 del 2014 resa il 20 maggio 2014 dalla sottosezione tributaria della Sesta sezione di questa Corte, sul ricorso promosso dall'Agenzia delle entrate contro Agricola Bucolica Biotec di Melia Caterina e C. soc. semplice.

L'ordinanza 11002 ha cassato la sentenza 21 dicembre 2011 della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale accogliendo il ricorso del contribuente aveva riconosciuto l'illegittimità di un avviso di liquidazione di imposte di registro e catastale per decadenza dalle agevolazioni fiscali previste per l'imprenditore agricolo professionale ex art. 1 del d.lgs. n. 99 del 2004.

L'ordinanza qui impugnata ha rinviato la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio.

L'Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione tardiva al fine di eventuale partecipazione all'udienza di discussione.

Dopo un prima fissazione di trattazione camerale, che ha dato luogo al provvedimento di rinvio n. 7383/2017, la sottosezione tributaria della Sesta Sezione con ordinanza interlocutoria n. 16019/2017 ha rilevato che in giurisprudenza è emerso un orientamento che nega in ogni caso l'ammissibilità della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. e 391-bis c.p.c. delle sentenze di cassazione che abbiano cassato con rinvio al giudice di merito, potendo avanti a quest'ultimo esser fatto valere ogni eventuale errore revocatorio.

Ha pertanto rimesso l'esame della questione, potenzialmente risolutiva, al presidente titolare della Sezione, il quale ha riassegnato la causa al Collegio previsto dai punti 41.2 delle tabelle 2014/2016 della Corte di cassazione, collegio composto dal Presidente e dai coordinatori delle sottosezioni, che è deputato a conoscere delle questioni processuali che implichino l'enunciazione di principi di diritto di portata generale che siano di competenza della Sezione.

È stata fissata ex art. 380-bis c.p.c. l'odierna adunanza camerale, preceduta da proposta del relatore nel senso della inammissibilità del ricorso per revocazione.

2. Il tema da risolvere preliminarmente è quello della inammissibilità del ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c. allorquando sia stata resa dalla Corte di cassazione pronuncia di cassazione con rinvio.

Si tratta di questione che ha potenziale decisività sull'ammissibilità del ricorso di cui si tratta e che va risolta per individuare un principio di portata generale in materia processuale che interpella direttamente la Sesta sezione: è essa infatti che di regola è chiamata dall'art. 391-bis c.p.c. secondo comma (testo anteriore alla l. 197/2016) a pronunciare con ordinanza l'inammissibilità del ricorso, nell'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 380-bis, dovendo altrimenti rinviare alla «pubblica udienza», che è quella della «sezione semplice», come chiarito dalla novella del 2016 al penultimo comma dell'art. 380-bis c.p.c. (sulla controversa trattazione dei ricorsi per revocazione cfr. utilmente per il passato Cass. 2181/2001, Cass. 2535/2009 e, dopo la più recente riforma, Cass. 18278/2017).

2.1. Il contrasto segnalato dall'ordinanza interlocutoria di rimessione è tra un orientamento più recente, che esclude in ogni caso il ricorso per revocazione allorquando la sentenza revocanda abbia pronunciato la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e un orientamento più risalente (Cass. 15660/2003; 13790/2001), secondo il quale il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c. è inammissibile soltanto se l'errore revocatorio denunciato abbia portato all'omesso esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio.

2.1.1. L'orientamento più recente (Cass. 20393/2015) prende le mosse da Cass. 16184/2011, la quale ha affermato che, in caso di pronuncia di cassazione con rinvio, anche il vizio processuale fondato su errore di fatto relativo alla notifica del ricorso per cassazione può trovare rimedio solo attraverso la deduzione del vizio stesso nel processo di rinvio e non mediante la revocazione prevista dagli art. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c.

La Corte ha in quell'occasione ritenuto che tale soluzione si pone in linea con i principi del giusto processo, favorendo l'accertamento della verità materiale nella sede di rinvio.

A ben vedere questa pronuncia, criticata in dottrina perché ha ammesso una sorta di sindacato sulla sentenza di cassazione da parte del giudice di merito in sede di rinvio, non ha quindi escluso del tutto che sia configurabile la revocazione di sentenze di cassazione di accoglimento con rinvio, ma ha solo ampliato la sfera dell'inammissibilità, già parzialmente riconosciuta dall'orientamento precedente, alle ipotesi di vizi processuali determinati da errori di fatto.

2.2. Il Collegio ritiene che la lettura più ampia dell'ambito di inammissibilità della revocazione, pur apprezzabilmente ispirata dalla finalità di offrire maggior spazio al riesame delle questioni, non sia condivisibile e che debba invece essere riaffermato il precedente orientamento, che nega la revocazione solo nel caso in cui l'errore denunciato abbia comportato un vizio relativo a questioni liberamente valutabili dal giudice del rinvio.

Per illustrare questa opzione mette conto in primo luogo rimuovere il primo convincimento da cui è partita la sentenza del 2011, la quale ha attribuito peso all'avverbio "altresì" contenuto nell'art. 391-ter c.p.c. con il quale nel 2006 è stato disposto che «il provvedimento con il quale la Corte ha deciso la causa nel merito è, altresì, impugnabile per revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell'articolo 395 e per opposizione di terzo».

Questa disposizione è stata introdotta per ovviare all'incongruenza segnalata dalla dottrina tra la possibilità di decisioni della causa nel merito da parte della cassazione (l. 353/1990) e il limite della revocabilità solo per errore di fatto sancito dall'art. 391-bis c.p.c.

Se pianamente interpretato, il termine "altresì", che significa "inoltre", ha quindi solo il valore di ampliare le possibilità di revocazione relative ai provvedimenti della Suprema Corte che decidano la causa nel merito. Non vi è motivo per credere (in tal senso Cass. 16184/2011) che il legislatore abbia voluto riferirsi anche alle ipotesi di revocazione di cui al n. 4 dell'art. 395 relative a vizi processuali e che abbia inteso per esse demandare al giudice di rinvio ogni accertamento di fatto relativo all'ipotizzato errore di rito.

Allorquando la Corte di cassazione deve pronunciarsi su un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa (ex multis Cass. 2771/2017; 17653/2012; Sez. un., 68077/2012; Cass. 13514/2007), cosicché nel caso di revocazione della sentenza di cassazione, poiché il preteso errore è addebitato alla Corte, è essa stessa che è investita, con cognizione piena, della possibilità di esaminare la questione posta con il ricorso per revocazione. Non sembra pertanto accorto rimettere al giudice del rinvio, officiato del riesame nel merito a causa dell'accoglimento del ricorso, la valutazione del presunto errore commesso dal giudice di legittimità.

Va invece rammentato che in tali casi dovrà essere particolarmente penetrante il controllo sul requisito della decisività dell'errore di fatto denunciato, cioè sul nesso causale tra il fatto processuale e il fondamento della decisione (v. Cass. 16361/2006; 16615/2010; 23832/2015; 16038/2016).

3. A far propendere per la tesi che ammette la revocazione delle sentenze di Cassazione, viziate da errore di fatto, che siano pronunce di accoglimento con rinvio, salva l'ipotesi di rimessione per un nuovo accertamento pieno anche sulla questione incisa dal preteso errore di fatto, si pone soprattutto il rapporto tra accertamento svolto in sede di legittimità e giudizio di rinvio.

È noto che il giudice di rinvio, nell'esercizio del potere-dovere che gli compete relativo alla ricostruzione del fatto processuale, è vincolato al rispetto non solo del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, ma anche dei presupposti di fatto - se, nella sentenza rescindente, possono essere stati considerati già accertati definitivamente in sede di merito - e logico-giuridici indispensabili del principio di diritto medesimo, quali risultanti dalla sentenza di cassazione con rinvio, mentre ben può riconsiderare quegli elementi che non costituiscono l'oggetto di autonome statuizioni della sentenza di merito annullata dalla Corte di cassazione, né la premessa logica indispensabile della sentenza di cassazione con rinvio (cfr. Cass. n. 11716 del 26 maggio 2014 relativa a pronuncia di cassazione di accoglimento per omessa pronuncia).

Il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà vita infatti ad un nuovo ed ulteriore procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico ed unitario (Sez. un., 19701/2010; Cass. 1301/2017). È, come si dice abitualmente, un giudizio chiuso, nel quale, qualora vi sia stato annullamento per violazione o falsa applicazione di legge, il giudice deve limitarsi a completare il sillogismo giudiziale applicando il dictum della Cassazione a un materiale di cognizione già completo, cosicché le parti sono obbligate a riproporre la controversia negli stessi termini e nello stesso stato d'istruzione anteriore alla sentenza cassata (cfr. Cass. 8357/2005), salvo le deroghe imposte da fatti sopravvenuti o dalla stessa sentenza di cassazione che abbia imposto l'acquisizione di nuovo materiale istruttorio (v. Cass. n. 21587 del 12 ottobre 2009; 3186/2012; 19424/2015).

Quest'ultima ipotesi si realizza sovente qualora sia stata accolta una censura per vizio di motivazione, che implica nuovi accertamenti in punto di fatto, o per falsa applicazione di legge in relazione a un fatto che sia stato sussunto in una determinata fattispecie senza le verifiche indispensabili per poterlo ricostruire adeguatamente.

Cass. n. 13719 del 14 giugno 2006, che ha tratteggiato queste differenze, ha specificato che il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è comunque tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati.

Le Sezioni unite nel 2016, nell'ambito di un approfondimento coerenziatore al quale va fatto rinvio (Sez. un., 11844/2016), hanno sancito come i limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio sono indubbiamente diversi a seconda dell'ipotesi di annullamento; hanno ribadito significativamente che «è in questa "cristallizzazione" della posizione delle parti, nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione, che si coglie quella che viene definita la natura "chiusa" del giudizio di rinvio».

4. Va quindi ritenuto che la tesi attribuita a Cass. 20393/2015 e al suo citato precedente è infondata, perché contrastante con la dimensione del giudizio di rinvio, il quale non solo è "chiuso", ma deve essere finalizzato al restringimento dell'area residua della lite, senza margini di ambiguità o incertezze, soprattutto, come avverte la dottrina, in un processo civile retto da un regime di preclusioni. Quei margini potrebbero essere male interpretati in sede di rinvio e ciò sarebbe quanto mai inopportuno in relazione a possibili enunciati che non siano nitidamente oggetto della rimessione al giudice di rinvio.

Ne consegue che l'orientamento che risale a Cass. 15660/2003 è in linea con l'art. 111 Cost. novellato e con il principio della ragionevole durata del processo, giacché consente che non si discuta superfluamente di revocazione se la materia su cui deve cadere l'accertamento del giudice di rinvio include (espressamente o implicitamente) la materia che si pretende essere incisa dall'errore di fatto del giudice di legittimità.

Per contro qualora tale apertura complessiva non vi sia stata, la revocazione della sentenza di cassazione di annullamento con rinvio risponde alla esigenza di verificare da parte dello stesso giudice se vi sia stato errore di fatto.

4.1. Tale errore può essere molto rilevante in relazione alla tipologia di vizio che ha portato alla cassazione con rinvio. La cassazione ex art. 360, n. 3, implica infatti una «preclusione processuale che opera su tutte le questioni costituenti il presupposto logico e inderogabile della pronuncia di cassazione, prospettate dalle parti o rilevate d'ufficio», cioè presuppone che i fatti siano accertati, perché il giudizio di fatto precede quello di diritto.

Il giudizio di rinvio non potrebbe quindi mai ingerirsi su un presupposto di fatto assunto come decisivo dalla Corte ai fini dell'enunciazione di quel principio di diritto.

Quanto all'annullamento per vizio di motivazione, al fine di stabilire se il giudizio di revocazione della sentenza di cassazione per errore di fatto sia superfluo, occorrerà verificare di volta in volta se il giudizio di rinvio possa estendersi senza limiti (come verosimilmente accade nel caso di sentenza d'appello censurata per motivazione apparente) o se nell'economia della sentenza di cassazione siano stati assunti come decisivi i fatti di cui si denuncia l'erronea percezione; ovvero se l'area del vizio motivazionale censurato dalla Cassazione sia stata limitata per effetto della ipotizzata svista percettiva, cosicché la revocazione potrebbe essere funzionale a estendere opportunamente l'area del vizio a suo tempo denunciato e non riscontrato correttamente a causa di errore di fatto.

Tale correzione non può che restare nel governo decisorio del giudice di legittimità.

Tutte le ragioni anzi dette giustificano l'orientamento precedente, che limita la astratta ipotizzabilità della revocazione per errore di fatto della sentenza di cassazione di accoglimento con rinvio alla sola eventualità che al giudice di rinvio sia demandato l'esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una sua nuova, libera ed autonoma valutazione.

5. Il ricorso per revocazione introdotto dalla Biotec formula preliminarmente tre rilievi.

Con il primo, parte ricorrente si duole della mancata declaratoria di inammissibilità del ricorso 6624/12, deciso dall'ordinanza 11002/2014, in forza del disposto di cui all'art. 348-ter, u.c., c.p.c. che inibisce il ricorso avverso le decisioni di appello che confermano la decisione di primo grado sulla base delle stesse questioni di fatto valorizzate in primo grado.

Il rilievo non ha fondamento perché il ricorso accolto verte su una dettagliata ipotesi di falsa applicazione di legge, come tale accolta dalla sentenza impugnata, che ha fissato il principio di diritto cui la CTR dovrà attenersi in sede di rinvio.

5.1. Il secondo rilievo lamenta il mancato rinvio della causa 6624/12 alla pubblica udienza, sebbene la relazione preliminare del consigliere relatore fosse difforme dalla soluzione adottata, poiché era stato proposto il rigetto del ricorso.

Il rilievo è privo di fondamento giuridico, atteso che la relazione ex art. 380-bis c.p.c. è priva di valore vincolante e ben può essere disattesa dall'organo giudicante, ossia dal collegio in camera di consiglio, che mantiene pieno potere decisorio (Sez. un., n. 7433 del 27 marzo 2009 e, dopo la riforma del 2016, Cass. n. 7605 del 23 marzo 2017).

Entrambi i rilievi sono comunque inammissibili, perché non rientrano nelle ipotesi di cui all'art. 391-bis c.p.c.

Se ne è dato conto solo perché il terzo rilievo solleva, per l'ipotesi di loro rigetto, questione di legittimità costituzionale degli artt. 391-bis e 395 c.p.c., in relazione agli artt. 348-ter e 380-bis c.p.c., nella parte in cui non prevedono la proponibilità del ricorso per revocazione nei casi in cui la Corte di cassazione non abbia dichiarato l'inammissibilità del ricorso per la ragione di cui al primo rilievo o abbia deciso il ricorso senza rimettere a pubblica udienza.

La questione, prospettata in considerazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione è irrilevante e manifestamente infondata.

È irrilevante perché il primo rilievo postula una realtà processuale diversa da quella che è stata apprezzata dal giudice di legittimità. È manifestamente infondata, perché si scontra con il consolidato sistema processuale civile, che mira alla formazione del giudicato e non consente l'illimitata moltiplicazione delle impugnazioni.

Il ricorrente sollecita infatti una inedita configurazione del giudizio civile, con tendenziale aspirazione al continuo riesame di questioni di diritto, nella specie processuali, decise dai giudici aditi. L'ampliamento delle ipotesi di revocazione che viene ipotizzato per via additiva della Corte costituzionale costituirebbe vistosa violazione dei principi basilari del giusto processo, che esige un contemperamento, rimesso al legislatore, di ragionevole durata e facoltà di impugnazioni ordinarie e straordinarie.

6. La revocazione della ordinanza 11002 è chiesta inoltre «per avere la Corte, per errore di fatto, considerato come esistenti fatti incontrastabilmente inesistenti, e cioè che fossero state dedotte nelle fasi di merito e potessero quindi essere esaminate in sede di legittimità la asserita necessità della presenza nella società affittuaria di almeno un socio con la qualifica di imprenditore agricolo professionale e la presenza di una siffatta deduzione nell'atto di appello dell'Agenzia delle Entrate, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio».

Il ricorso è manifestamente inammissibile.

Esso ripercorre le difese svolta dall'Agenzia nei tre gradi di giudizio e critica (pag. 6) la parte dell'ordinanza 11002 in cui, condividendo il ricorso dell'Agenzia, ha affermato (par. 2.1) che presupposto per il mantenimento dell'agevolazione era che nella società affittuaria vi fosse «almeno un socio in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale». Biotec deduce che questo rilievo oltre che nuovo sarebbe in contrasto con il disposto dell'art. 11, comma 23, del d.lgs. 228/2001.

Ora, quanto all'interpretazione del complesso normativo che configura l'agevolazione, va detto che il ragionamento della Corte, partito dal par. 2.1 a pag. 3 dell'ordinanza, si è sviluppato attraverso una ricostruzione delle disposizioni di legge e di due precedenti giurisprudenziali, pervenendo, a pag. 5, alla conclusione che la sentenza di appello non era conforme a diritto perché aveva assegnato rilevanza soltanto (si era «limitata») ai vincoli di parentela tra socio della concedente avente la qualifica di imprenditore agricolo professionale e componenti delle due società, senza verificare tutti i presupposti necessari per la conservazione del beneficio fiscale in un caso di affitto del fondo acquistato con agevolazioni fiscali.

La Corte pertanto ha deciso la causa sulla base di una individuazione della norma applicabile alla materia del contendere, che non può essere oggetto di ricorso per revocazione. Quest'ultimo deve basarsi infatti su un errore di fatto, cioè su una svista percettiva che abbia indotto il giudicante a credere esistente un fatto insussistente o viceversa (tra le tante cfr. Sez. un., n. 26022 del 30 ottobre 2008; Cass. 16136 del 9 luglio 2009; 22868 del 12 dicembre 2012), ma non può investire la qualificazione della materia controversa o l'individuazione della norma applicabile o l'interpretazione di essa, con le inevitabili ricadute che esse possono comportare, come nella specie, ai fini della verifica dei necessari presupposti di fatto rimasti incerti, in caso di accoglimento del ricorso.

Mette conto aggiungere che è stata parte ricorrente nella memoria 25 marzo 2014 a sostenere che il motivo di ricorso per cassazione includeva due profili relativi a difetto di motivazione concernenti la composizione delle compagini societarie che avevano dato vita all'affitto dei fondi acquistati con i benefici fiscali. In realtà trattavasi di questione che dipendeva dall'individuazione e interpretazione della norma applicabile, che era prospettata dal ricorso non solo nelle forme riduttive che il controricorso o la memoria gli avevano attribuito, ma con un ventaglio di critiche che includeva anche l'ipotesi interpretativa accolta, che si legge a pag. 11 del ricorso per cassazione dell'Agenzia, a chiusura della esposizione del ricorso.

Si è quindi non solo nell'ambito della risoluzione di questione di diritto, ma anche di punto che era controverso e sul quale la sentenza si è pronunciata; ciò comporta l'inammissibilità della revocazione anche per difetto dell'ultimo presupposto che l'art. 395, n. 4, richiede nell'ultimo suo inciso e cioè che la materia non sia stata l'oggetto del contendere.

6.1. Va aggiunto che non può essere consentito in sede di revocazione un riesame dei profili di ammissibilità del ricorso originario, in riferimento alla pretesa novità della questione.

Anche questi profili, in sede propria rilevabili dalla parte interessata (e nella specie nella memoria 25 marzo 2014 a pag. 2 Biotec aveva esposto almeno un profilo di asserita novità), attengono eminentemente a un ambito strettamente "valutativo e di giudizio", che non è soggetto a un secondo sindacato in sede di legittimità.

La stessa parte oggi ricorrente, che ne è consapevole, ha infatti ipotizzato, a fine pag. 8 dell'odierno ricorso, una subordinata questione di legittimità costituzionale degli artt. 391-bis e 395 c.p.c. «nella parte in cui non prevedono la possibilità di promuovere ricorso per revocazione nei casi di errore valutativo e di giudizio, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. della Costituzione e per contrasto con il principio di ragionevolezza».

Anche questa questione è manifestamente infondata, come l'altra di cui si è detto a chiusura del § 5.1, perché aspira a un'estensione pressocché illimitata dei mezzi di impugnazione, in contrasto con le regole essenziali del processo civile, che mirano al raggiungimento della stabilità del giudicato, in esito al complesso e garantista meccanismo del processo.

Esso è stato edificato dal legislatore del 1940, attentamente rivisitato, in questa materia della revocazione, dalla Corte costituzionale ed emendato più volte dagli interventi normativi del legislatore nell'ambito del suo potere discrezionale di fissare le regole processuali. Non sussistono quindi ragioni per sospettare incostituzionalità di sorta con riguardo alla sollecitazione svolta (in termini v. Cass. n. 8472 del 29 aprile 2016; n. 13181 del 28 maggio 2013; 862 del 14 gennaio 2011; 10807/2006).

7. Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, senza la condanna alla refusione delle spese di lite, atteso che parte intimata, dopo l'atto di mera costituzione, non ha fatto pervenire difese.

Ratione temporis è applicabile il disposto di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della l. n. 228/2012.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della l. n. 228/2012, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

M.N. Bugetti

Amministrazione di sostegno

Zanichelli, 2024

A. Di Tullio D'Elisiis

La riforma dell'udienza preliminare

Maggioli Editore, 2024

L. Iacobellis

Schemi di diritto tributario

Neldiritto, 2024