Corte di giustizia dell'Unione Europea
Prima Sezione
Sentenza 25 luglio 2018

«Rinvio pregiudiziale - Procedimento pregiudiziale d'urgenza - Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale - Mandato d'arresto europeo - Decisione quadro 2002/584/GAI - Articolo 1, paragrafo 3 - Procedure di consegna tra Stati membri - Condizioni di esecuzione - Motivi di non esecuzione - Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Articolo 4 - Divieto di trattamenti inumani o degradanti - Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente - Portata dell'esame effettuato dalle autorità giudiziarie dell'esecuzione - Esistenza di un ricorso nello Stato membro emittente - Garanzia fornita dalle autorità di tale Stato membro».

Nella causa C-220/18 PPU, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dallo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema, Germania) con decisione del 27 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il medesimo giorno, nell'ambito del procedimento relativo all'esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso nei confronti di ML con l'intervento di: Generalstaatsanwaltschaft Bremen.

[...]

1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta») nonché dell'articolo 1, paragrafo 3, dell'articolo 5 e dell'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/JAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro»).

2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito dell'esecuzione, in Germania, di un mandato d'arresto europeo emesso il 31 ottobre 2017 dal Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) nei confronti di ML ai fini dell'esecuzione, in Ungheria, di una pena privativa della libertà.

Contesto normativo

Diritto dell'Unione

La Carta

3. Ai sensi dell'articolo 4 della Carta, rubricato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti»:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

4. Le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17) precisano che «[i]l diritto di cui all'articolo 4 corrisponde a quello garantito dall'articolo 3 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la "CEDU")], la cui formulazione è identica (...). Ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3 della Carta, esso ha pertanto significato e portata identici a quelli del suddetto articolo».

5. L'articolo 47 della Carta, rubricato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», prevede quanto segue:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

(...)».

6. L'articolo 51 della Carta, rubricato «Ambito di applicazione», al suo paragrafo 1 dispone come segue:

«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. (...)».

7. L'articolo 52 della Carta, rubricato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», al suo paragrafo 3 enuncia:

«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa».

Decisione quadro

8. I considerando da 5 e 7 della decisione quadro sono del seguente tenore:

«(5) (...) [L]'introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell'esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all'azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. (...)

(6) Il mandato d'arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria.

(7) Poiché l'obiettivo di sostituire il sistema multilaterale di estradizione creato sulla base della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 non può essere sufficientemente realizzato unilateralmente dagli Stati membri e può dunque, a causa della dimensione e dell'effetto, essere realizzato meglio a livello dell'Unione, il Consiglio può adottare misure, nel rispetto del principio di sussidiarietà menzionato all'articolo 2 [UE] e all'articolo 5 [CE]. La presente decisione quadro si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».

9. L'articolo 1 della decisione quadro, rubricato «Definizione del mandato d'arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», prevede quanto segue:

«1. Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d'arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

3. L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

10. Gli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro espongono i motivi di non esecuzione obbligatoria e facoltativa del mandato d'arresto europeo. In particolare, ai sensi dell'articolo 4, punto 6, della decisione quadro, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d'arresto europeo «se il mandato d'arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».

11. Ai sensi dell'articolo 5 della decisione quadro, rubricato «Garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari»:

«L'esecuzione del mandato d'arresto europeo da parte dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione può essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione ad una delle seguenti condizioni:

(...)

2) se il reato in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita, l'esecuzione di tale mandato può essere subordinata alla condizione che lo Stato membro emittente preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena [inflitta] - su richiesta o al più tardi dopo 20 anni - oppure l'applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro emittente, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite.

3) Se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di un'azione penale è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente».

12. L'articolo 6 della decisione quadro, rubricato «Determinazione delle autorità giudiziarie competenti», al suo paragrafo 1 enuncia:

«Per autorità giudiziaria emittente si intende l'autorità giudiziaria dello Stato membro emittente che, in base alla legge di detto Stato, è competente a emettere un mandato d'arresto europeo».

13. L'articolo 7 della decisione quadro, rubricato «Ricorso all'autorità centrale», prevede quanto segue:

«Ciascuno Stato membro può designare un'autorità centrale o, quando il suo ordinamento giuridico lo prevede, delle autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti».

14. L'articolo 15 della decisione quadro, rubricato «Decisione sulla consegna», dispone come segue:

«1. L'autorità giudiziaria dell'esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro.

2. L'autorità giudiziaria dell'esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell'esigenza di rispettare i termini fissati all'articolo 17.

3. L'autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all'autorità giudiziaria dell'esecuzione».

15. L'articolo 17 della decisione quadro, rubricato «Termini e modalità della decisione di esecuzione del mandato di arresto europeo», prevede quanto segue:

«1. Un mandato d'arresto europeo deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza.

2. Nei casi in cui il ricercato acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto europeo dovrebbe essere presa entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso.

3. Negli altri casi, la decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto europeo dovrebbe essere presa entro 60 giorni dall'arresto del ricercato.

4. In casi particolari, se il mandato d'arresto europeo non può essere eseguito entro i termini di cui ai paragrafi 2 o 3, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione ne informa immediatamente l'autorità giudiziaria emittente e ne indica i motivi. In questi casi i termini possono essere prorogati di 30 giorni.

5. Fintanto che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non prende una decisione definitiva sull'esecuzione del mandato d'arresto europeo, essa si accerterà che siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva.

(...)

7. Se, in circostanze eccezionali, uno Stato membro non è in grado di rispettare i termini stabiliti dal presente articolo, esso ne informa l'Eurojust, indicando i motivi del ritardo. Inoltre, uno Stato membro che ha subito ritardi ripetuti nell'esecuzione dei mandati d'arresto da parte di un altro Stato membro ne informa il Consiglio affinché sia valutata l'attuazione della presente decisione quadro a livello degli Stati membri».

Diritto tedesco

16. La decisione quadro è stata recepita nell'ordinamento giuridico tedesco dagli articoli da 78 a 83 k del Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (legge sull'assistenza giudiziaria internazionale in materia penale) del 23 dicembre 1982, come modificata dall'Europäisches Haftbefehlsgesetz (legge sul mandato d'arresto europeo), del 20 luglio 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1721) (in prosieguo: l'«IRG»).

17. A norma dell'articolo 29, paragrafo 1, dell'IRG, l'Oberlandesgericht (Tribunale superiore del Land, Germania) si pronuncia, dietro richiesta del pubblico ministero, sulla legittimità dell'estradizione qualora l'imputato non abbia acconsentito all'estradizione. La decisione è resa mediante ordinanza, conformemente all'articolo 32 dell'IRG.

18. L'articolo 73 dell'IRG recita:

«In mancanza di una richiesta in tal senso, l'assistenza giudiziaria e la trasmissione di informazioni sono illegittime se contrastano con principi essenziali dell'ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta in base alle parti ottava, nona e decima, l'assistenza giudiziaria è illegittima se contrasta con i principi sanciti dall'articolo 6 TUE».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19. Il 2 agosto 2017, il Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) ha emesso un mandato d'arresto europeo nei confronti di ML, cittadino ungherese, ai fini di sottoporlo ad azione penale per percosse e lesioni, danneggiamento, truffa semplice e furto con scasso, commessi a Nyiregyhéza (Ungheria) tra il mese di febbraio e il mese di luglio 2016.

20. Il 16 agosto 2017, il Ministero della Giustizia ungherese ha trasmesso detto mandato d'arresto europeo alla Generalstaatsanwaltschaft Bremen (pubblico ministero di Brema, Germania).

21. Con sentenza del 14 settembre 2017, il Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) ha condannato ML in contumacia a una pena privativa della libertà di un anno e otto mesi.

22. Con lettera del 20 settembre 2017, il Ministero della Giustizia ungherese ha informato il pubblico Ministero di Brema, in risposta ad una richiesta di quest'ultimo, che, in caso di consegna, ML sarebbe stato dapprima detenuto nell'istituto penitenziario di Budapest (Ungheria) per la durata della procedura di consegna, e, successivamente, nell'istituto penitenziario regionale di Szombathely (Ungheria). Il Ministero ha garantito inoltre che ML non avrebbe subito alcun trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta, a causa della detenzione prevista in Ungheria. Esso ha aggiunto che una tale garanzia poteva essere fornita anche nel caso di trasferimento di ML in un altro istituto penitenziario.

23. Il 31 ottobre 2017, il Nyíregyházi Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyíregyháza) ha emesso un nuovo mandato d'arresto europeo nei confronti di ML ai fini, questa volta, dell'esecuzione della condanna alla pena privativa della libertà inflitta dal medesimo Tribunale il 14 settembre 2017.

24. Il 23 novembre 2017, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema, Germania) ha disposto l'arresto provvisorio a fini estradizionali di ML nell'ambito dell'esecuzione del mandato d'arresto europeo emesso il 2 agosto 2017. A partire da tale data, ML è detenuto nell'istituto penitenziario di Bremen-Oslebshausen (Germania).

25. Il 12 dicembre 2017, l'Amtsgericht Bremen (Tribunale circoscrizionale di Brema, Germania) ha disposto nei confronti di ML l'arresto provvisorio a fini estradizionali sulla base del mandato d'arresto europeo emesso il 31 ottobre 2017, in attesa della sua eventuale consegna alle autorità ungheresi. ML non acconsentiva alla propria consegna.

26. Con ordinanza del 19 dicembre 2017, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha disposto il mantenimento dell'arresto provvisorio di ML a fini estradizionali sulla base di detto mandato d'arresto. Tuttavia, allo scopo di valutare la regolarità della consegna alla luce delle condizioni di detenzione esistenti negli istituti penitenziari ungheresi, detto Tribunale riteneva necessario ottenere ulteriori informazioni.

27. Nella sua decisione del 9 gennaio 2018, detto Tribunale ha dichiarato a tal riguardo che, sulla base delle informazioni di cui dispone, l'esecuzione della pena inflitta a ML nell'istituto penitenziario di Szombathely non sollevava obiezioni. Tuttavia, dato che, nella sua lettera del 20 settembre 2017, il Ministero della Giustizia ungherese aveva accennato alla possibilità di un trasferimento ad altri istituti penitenziari, detto Tribunale aveva ritenuto necessario inviare a quest'ultimo una richiesta di informazioni contenente un elenco di 78 domande sulle condizioni di detenzione delle persone nell'istituto penitenziario di Budapest nonché in altri istituti verso i quali ML potrebbe essere trasferito.

28. Il 10 gennaio 2018, il pubblico ministero di Brema ha trasmesso siffatta richiesta al Ministero della Giustizia ungherese.

29. Il 12 gennaio 2018, in risposta a tale domanda, quest'ultimo ha indicato che il legislatore nazionale, mediante la legge n. CX adottata il 25 ottobre 2016, recante modifica, in particolare, della legge n. CCXL del 2013 sull'esecuzione delle pene e delle misure penali, di talune misure coercitive e del trattenimento amministrativo (in prosieguo: la «legge del 2016»), ha introdotto, da un lato, un mezzo di ricorso che permette ai detenuti di contestare la legittimità delle condizioni della loro detenzione e, dall'altro, una nuova modalità di detenzione, detta di «reinserimento». Nell'ambito di quest'ultimo, i detenuti che non hanno ancora integralmente scontato la pena privativa della libertà loro inflitta, possono ottenere che la detenzione sia commutata in arresti domiciliari. Il Ministero della Giustizia ungherese ha aggiunto inoltre che, dal 2015, la creazione di oltre 1 000 nuovi posti negli istituti penitenziari aveva contribuito a ridurre il sovraffollamento delle carceri.

30. In un messaggio di posta elettronica del 1° febbraio 2018, inviato al pubblico ministero di Brema, un funzionario del Ministero della Giustizia ungherese ha indicato che, fatte salve circostanze ostative, ML sarà accolto nel penitenziario di Budapest per un periodo da una a tre settimane, allo scopo di consentire l'adozione nei suoi confronti di misure non meglio specificate aventi ad oggetto l'esecuzione della consegna.

31. Con ordinanza del 12 febbraio 2018, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha chiesto alle autorità ungheresi di fornire, entro il 28 febbraio 2018, informazioni sulle condizioni nelle quali le persone sono detenute, da un lato, nell'istituto penitenziario di Budapest, e, dall'altro, negli altri istituti penitenziari dove ML potrebbe essere trasferito. Detto Tribunale ha chiesto altresì di conoscere gli elementi sulla base dei quali possa verificare le condizioni alle quali le persone sono ivi detenute.

32. Il 15 febbraio 2018, il pubblico ministero di Brema ha trasmesso siffatta richiesta al Ministero della Giustizia ungherese.

33. Il 27 marzo 2018, il Ministero della Giustizia ungherese, di concerto con la Direzione generale per l'esecuzione delle pene, ha fornito nuovamente la garanzia che ML, durante la sua detenzione in Ungheria, non sarà sottoposto a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell'articolo 4 della Carta, a prescindere dall'istituto penitenziario nel quale sarà accolto.

34. Nella sua ordinanza di rinvio, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha rilevato che ML non ha un interesse meritevole di tutela a che la pena inflittagli venga eseguita in Germania. In effetti, dato che ML non conosce la lingua tedesca e che la sua compagna non ha né lavoro né diritto a prestazioni sociali in questo Stato membro, il fatto di scontare la sua pena nel territorio nazionale non può accrescere le sue possibilità di reinserimento sociale. ML dovrebbe quindi, in linea di principio, essere consegnato all'Ungheria.

35. Tuttavia, prima di adottare una decisione definitiva al riguardo, detto Tribunale ritiene di essere tenuto a verificare se gli elementi forniti dalle autorità ungheresi in risposta alle sue richieste di informazioni siano sufficienti ad escludere, nell'ambito dell'applicazione dell'articolo 73 dell'IRG, e tenendo conto dell'interpretazione dell'articolo 1, paragrafo 3, dell'articolo 5 e dell'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro nonché dell'articolo 4 della Carta, l'esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante.

36. A tal fine, il giudice del rinvio si interroga, in primo luogo, sulla portata dell'esame che è tenuto ad effettuare, tenendo conto del fatto che ormai in Ungheria esiste un mezzo di ricorso che consente ai detenuti di contestare le loro condizioni di detenzione a fronte dei diritti fondamentali. Più in particolare, esso si chiede se tale mezzo di ricorso consenta di escludere ogni rischio reale di trattamento inumano o degradante qualora esistano - come risulta, in particolare, dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria (CE: ECHR:2015:0310JUD001409712, §§ da 79 a 92) - prove dell'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Ungheria. A tal riguardo, detto giudice si interroga sulla rilevanza da riconoscere al fatto che la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia recentemente considerato, nella sentenza del 14 novembre 2107, Domján c. Ungheria (CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, § 22), che non risulta dimostrato che il suddetto mezzo di ricorso non offrirà prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni inadeguate in cui le persone sono detenute, al fine di rispettare i requisiti di cui all'articolo 3 della CEDU.

37. Nell'ipotesi in cui il medesimo mezzo di ricorso non fosse idoneo ad escludere il rischio che un detenuto subisca un trattamento inumano o degradante a causa delle sue condizioni di detenzione, il giudice del rinvio si interroga, in secondo luogo, sulla portata, alla luce delle informazioni e delle garanzie ottenute dalle autorità ungheresi, del suo eventuale obbligo di verificare le modalità e le condizioni di detenzione in tutti gli istituti penitenziari nei quali ML potrebbe essere detenuto.

38. A tal riguardo, il giudice del rinvio si chiede, anzitutto, se la verifica delle condizioni di detenzione debba estendersi a tutti gli istituti penitenziari nei quali ML potrebbe essere detenuto, in particolare a quelli utilizzati a titolo provvisorio o temporaneo, oppure se detta verifica possa limitarsi a quelli dove, in base alle informazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente, è probabile che ML sarà detenuto per la parte sostanziale della sua pena. Infatti, se detto giudice è in grado di escludere qualsiasi rischio di trattamento inumano o degradante nell'istituto penitenziario di Szombathely, le informazioni comunicate dalle autorità ungheresi sarebbero insufficienti per compiere una simile constatazione riguardo all'istituto penitenziario di Budapest nonché agli altri istituti verso i quali le predette autorità si sono riservate la possibilità di un successivo trasferimento di ML. Inoltre, il giudice del rinvio si interroga sulla portata e sui criteri dell'esame da effettuare a tal riguardo. Segnatamente, si chiede se è tenuto a prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, quale risultante dalla sua sentenza del 20 ottobre 2016, Muršic c. Croazia (CE:ECHR:2016:1020JUD000733413).

39. Inoltre, nel caso in cui le autorità giudiziarie dell'esecuzione dovessero esaminare tutti gli istituti penitenziari dove ML potrebbe essere detenuto, il giudice del rinvio si chiede, in primis, se possa accontentarsi delle dichiarazioni generali fornite dalle autorità ungheresi, secondo le quali ML non sarà esposto a un rischio di trattamenti inumani o degradanti, oppure se possa subordinare la consegna di ML unicamente alla condizione che costui non sarà esposto a siffatti trattamenti. In caso contrario, il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, quale importanza debba attribuire al fatto che le autorità ungheresi hanno indicato che la detenzione di ML a titolo transitorio non supererà le tre settimane, posto che tale affermazione è formulata facendo salve «circostanze ostative». Dall'altro lato, si chiede se possa prendere in considerazione informazioni riguardo alle quali non sia possibile verificare se provengano dalla stessa autorità giudiziaria dell'emissione, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1 della decisione quadro, oppure da un'autorità centrale che agisce su richiesta dell'autorità giudiziaria emittente, ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 1, di tale decisione quadro.

40. In tale contesto, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Quale rilievo abbia, nell'ambito dell'interpretazione [dell'articolo 1, paragrafo 3, dell'articolo 5 e dell'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro, letti in combinato disposto con il divieto di trattamenti inumani o degradanti sancito all'articolo 4 della Carta], il fatto che nello Stato membro emittente ci siano mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi con riguardo alle loro condizioni di detenzione.

a) Ove siano dedotte alle autorità giudiziarie dell'esecuzione prove dell'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente che colpiscono determinati gruppi di persone oppure determinati istituti penitenziari, se, nel rispetto delle norme summenzionate, già per la disponibilità di siffatti mezzi di ricorso debba essere escluso un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna in caso di sua estradizione, il quale osti all'ammissibilità di quest'ultima, senza che sia necessario un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione.

b) Se sia rilevante a tal riguardo la circostanza che, in ordine a detti mezzi di ricorso, la Corte europea dei diritti dell'uomo non abbia rinvenuto elementi a favore del fatto che tali rimedi non offrano ai reclusi prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione inadeguate.

2) Qualora la risposta alla questione pregiudiziale sub 1) dovesse essere nel senso che l'esistenza di tali mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi non sia idonea ad escludere un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna senza un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell'esecuzione:

a) Se le norme summenzionate debbano essere interpretate in modo tale che l'esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell'esecuzione si estenda a tutti gli istituti penitenziari o altre strutture carcerarie in cui la persona di cui è chiesta la consegna potrebbe essere eventualmente accolto. Se ciò trovi applicazione anche qualora si tratti di detenzione in determinati istituti penitenziari a titolo provvisorio oppure a fini di trasferimento. Oppure se l'esame possa limitarsi a quell'istituto penitenziario in cui la persona di cui è chiesta la consegna, in base a quanto indicato dalle autorità dello Stato membro emittente, dovrebbe essere probabilmente accolto per la maggior parte del periodo.

b) Se sia a tal proposito necessario di volta in volta un esame completo delle rispettive condizioni di detenzione volto ad accertare sia la superficie dello spazio individuale per detenuto sia le altre condizioni della reclusione. Se occorra tener conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di cui alla decisione Muršic/Croazia del 20 ottobre 2016, n. 2016/13 [CE:ECHR:2016: 1020JUD000733413] nella valutazione delle condizioni di detenzione così accertate.

3) Qualora anche la risposta alla questione pregiudiziale sub 2) fosse nel senso che occorre riconoscere un'estensione degli obblighi di esame delle autorità giudiziarie dell'esecuzione a tutti gli istituti penitenziari [verso i quali l'interessato potrebbe essere trasferito]:

a) Se l'esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario da parte delle autorità giudiziarie dell'esecuzione possa non risultare necessario nel caso in cui lo Stato membro emittente garantisca, in generale, che la persona di cui è chiesta la consegna non correrà il rischio di un trattamento inumano o degradante.

b) Oppure se, invece di un esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario in questione, la decisione delle autorità giudiziarie dell'esecuzione circa l'ammissibilità dell'estradizione possa essere condizionata al fatto che l'imputato non venga sottoposto ad un siffatto trattamento.

4) Qualora anche la risposta alla questione pregiudiziale sub 3) fosse nel senso che le garanzie e le condizioni non sono idonee a rendere superfluo l'esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario [verso il quale l'interessato potrebbe essere trasferito] nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell'esecuzione:

a) Se l'obbligo di esame delle autorità giudiziarie dell'esecuzione debba estendersi alle condizioni di detenzione di ciascuno dei possibili istituti penitenziari anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dello Stato membro emittente comunichino che la durata della reclusione in un determinato istituto della persona di cui è chiesta la consegna sarà limitata ad un periodo massimo di tre settimane, fatto salvo però il verificarsi di circostanze ostative.

b) Se ciò trovi applicazione anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dell'esecuzione non possano sapere se tali dati siano stati dichiarati dall'autorità giudiziaria emittente ovvero se essi provengano da una delle autorità centrali dello Stato membro emittente le quali si siano attivate a seguito di richiesta di assistenza da parte dell'autorità giudiziaria emittente».

Sul procedimento pregiudiziale d'urgenza

41. Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre il presente rinvio pregiudiziale al procedimento pregiudiziale d'urgenza previsto dall'articolo 107, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte.

42. A sostegno di tale richiesta, detto giudice ha indicato che la persona interessata è privata della libertà dal 23 novembre 2017 a titolo dell'esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie ungheresi. Inoltre, detto giudice ritiene che, se fosse tenuto ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari di transito o negli altri istituti dove tale persona potrebbe essere successivamente trasferita, esso dovrebbe inferirne che la consegna richiesta è illegittima, a meno di essere in grado di escludere qualsiasi rischio di trattamento inumano o degradante. Di conseguenza, sarebbe altresì tenuto a revocare l'arresto provvisorio a fini estradizionali.

43. A tale riguardo, occorre constatare, in primo luogo, che il presente rinvio pregiudiziale verte sull'interpretazione della decisione quadro, la quale rientra nei settori disciplinati dal titolo V della terza parte del Trattato FUE, relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. A tale rinvio può dunque essere applicato il procedimento pregiudiziale d'urgenza.

44. In secondo luogo, quanto al criterio relativo all'urgenza, occorre, sulla scorta della giurisprudenza costante della Corte, prendere in considerazione la circostanza che la persona interessata sia attualmente privata della libertà e che il suo mantenimento in detenzione dipenda dalla soluzione della controversia principale. Inoltre, la situazione di tale persona dev'essere valutata così come essa si presenta alla data dell'esame della domanda diretta ad ottenere che al rinvio pregiudiziale sia applicato il procedimento d'urgenza (sentenza del 22 dicembre 2017, Ardic, C-571/17 PPU, EU:C:2017:1026, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

45. Orbene, nel caso di specie, da un lato, è pacifico che, a tale data, la persona interessata, trovandosi in stato di detenzione, fosse privata della libertà. Dall'altro, come risulta dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, il mantenimento in detenzione di quest'ultima dipende dall'esito del procedimento principale. Difatti, la misura di detenzione cui tale persona è sottoposta è stata ordinata nell'ambito dell'esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso nei suoi confronti. Ne consegue che la decisione di detto giudice sulla sua eventuale consegna alle autorità ungheresi è in funzione delle risposte che la Corte darà alle presenti questioni pregiudiziali.

46. Alla luce di tali circostanze, la Prima Sezione della Corte ha deciso, il 17 aprile 2018, su proposta del giudice relatore, sentito l'avvocato generale, di accogliere la richiesta del giudice del rinvio di trattare il presente rinvio pregiudiziale con procedimento d'urgenza.

Sulle questioni pregiudiziali

47. Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 1, paragrafo 3, l'articolo 5 e l'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che, qualora disponga di elementi comprovanti l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all'interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione possa escludere l'esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta, per il solo motivo che tale persona dispone, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, e, in caso di risposta negativa, se detta autorità sia allora tenuta ad esaminare le condizioni di detenzione esistenti all'interno di tutti gli istituti penitenziari nei quali tale persona potrebbe eventualmente essere detenuta, ivi incluso a titolo temporaneo o transitorio, oppure soltanto le condizioni di detenzione esistenti nell'istituto dove, secondo le informazioni a disposizione di detta autorità, è probabile che essa sarà detenuta per la parte sostanziale della sua pena. Detto giudice chiede, inoltre, se le medesime disposizioni debbano essere interpretate nel senso che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione debba esaminare l'insieme delle condizioni di detenzione e se, nell'ambito di siffatto esame, questa autorità possa prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall'autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta.

Osservazioni preliminari

48. Per rispondere alle questioni sollevate, occorre rammentare che il diritto dell'Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l'Unione si fonda, così come precisato all'articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l'esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell'Unione che li attua [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

49. Tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto il principio del mutuo riconoscimento, che si fonda a sua volta sulla fiducia reciproca tra questi ultimi, rivestono un'importanza fondamentale nel diritto dell'Unione, dato che consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 36 e giurisprudenza ivi citata].

50. Quando attuano il diritto dell'Unione, gli Stati membri possono quindi essere tenuti, in forza di tale diritto, a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, con la conseguenza che risulta loro preclusa la possibilità non solo di esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell'Unione, ma anche, salvo in casi eccezionali, di verificare se tale altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dall'Unione [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

51. Emerge dal considerando 6 della decisione quadro che il mandato d'arresto europeo da essa previsto costituisce la prima concretizzazione, nel settore del diritto penale, del principio di riconoscimento reciproco. [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 38].

52. Come risulta, in particolare, dall'articolo 1, paragrafi 1 e 2, e dai considerando 5 e 7, della decisione quadro, quest'ultima è intesa a sostituire il sistema multilaterale di estradizione fondato sulla convenzione europea di estradizione, del 13 dicembre 1957, con un sistema di consegna tra le autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate, ai fini dell'esecuzione di sentenze o dell'esercizio di azioni penali, sistema quest'ultimo che è basato sul principio del riconoscimento reciproco [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 39 e giurisprudenza ivi citata].

53. La decisione quadro è quindi diretta, mediante l'instaurazione di un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l'obiettivo assegnato all'Unione di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull'elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 40 e giurisprudenza ivi citata].

54. Nel settore disciplinato dalla decisione quadro, il principio di riconoscimento reciproco, che costituisce, come risulta in particolare dal considerando 6 della stessa, il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale, trova applicazione all'articolo 1, paragrafo 2, di tale decisione quadro, che sancisce la regola secondo cui gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a ogni mandato d'arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della medesima decisione quadro. Le autorità giudiziarie dell'esecuzione possono, dunque, in via di principio, rifiutare di eseguire un siffatto mandato solo per i motivi di non esecuzione, tassativamente elencati, previsti dalla decisione quadro e possono subordinare l'esecuzione del mandato d'arresto europeo esclusivamente a una delle condizioni tassativamente previste all'articolo 5 di tale decisione quadro. Di conseguenza, mentre l'esecuzione del mandato d'arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione è concepito come un'eccezione che deve essere oggetto di interpretazione restrittiva [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 41 e giurisprudenza ivi citata].

55. Così, la decisione quadro enuncia espressamente i motivi di non esecuzione obbligatoria (articolo 3) e facoltativa (articoli 4 e 4 bis) del mandato d'arresto europeo, nonché le garanzie che lo Stato membro emittente deve fornire in casi particolari (articolo 5) [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

56. Cionondimeno, la Corte ha ammesso che limitazioni ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci tra Stati membri possano essere apportate «in circostanze eccezionali» [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 43 e giurisprudenza ivi citata].

57. In tale contesto, la Corte ha riconosciuto, a determinate condizioni, la facoltà per l'autorità giudiziaria dell'esecuzione di porre fine alla procedura di consegna istituita dalla decisione quadro qualora una siffatta consegna rischi di comportare un trattamento inumano o degradante del ricercato, ai sensi dell'articolo 4 della Carta [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 44 e giurisprudenza ivi citata].

58. A tal fine, la Corte si è fondata, da un lato, sull'articolo 1, paragrafo 3, di tale decisione quadro, che prevede che quest'ultima non può comportare la modifica dell'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti agli articoli 2 e 6 TUE e, dall'altro, sul carattere assoluto del diritto fondamentale garantito dall'articolo 4 della Carta [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 45 e giurisprudenza ivi citata].

59. Così, se l'autorità giudiziaria dello Stato membro d'esecuzione dispone di elementi che attestano un rischio reale di trattamento inumano o degradante delle persone detenute nello Stato membro emittente, tenuto conto del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell'Unione e, in particolare, dall'articolo 4 della Carta, essa è tenuta a valutare l'esistenza di tale rischio quando deve decidere sulla consegna della persona colpita da un mandato d'arresto europeo alle autorità dello Stato membro emittente. Invero, l'esecuzione di un siffatto mandato non può condurre a un trattamento inumano o degradante di tale persona (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 88).

60. A tal fine, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve, anzitutto, fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati sulle condizioni di detenzione all'interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente che dimostrino la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati istituti penitenziari. Tali elementi possono risultare, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89).

61. Tuttavia, l'accertamento dell'esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante a causa delle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente non può condurre, di per sé, al rifiuto di dare esecuzione a un mandato d'arresto europeo. Infatti, la mera esistenza di elementi che attestano carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati istituti penitenziari nello Stato membro emittente, non comporta necessariamente che, in un caso concreto, la persona interessata sia sottoposta a un trattamento inumano o degradante in caso di consegna alle autorità di tale Stato membro (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 91 e 93).

62. Quindi, per garantire il rispetto dell'articolo 4 della Carta nel caso specifico di una persona oggetto del mandato d'arresto europeo, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, a fronte di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti l'esistenza di siffatte carenze, è tenuta, in seguito, a verificare in modo concreto e preciso se, nelle circostanze della fattispecie, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che, dopo la sua consegna al suddetto Stato membro, tale persona correrà un rischio reale di essere ivi sottoposta a un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo in parola, a causa delle condizioni nelle quali sarà detenuta nello Stato membro emittente (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 92 e 94).

63. A tal fine, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, detta autorità deve chiedere all'autorità giudiziaria dello Stato membro emittente di fornire con urgenza ogni informazione complementare necessaria riguardante le condizioni alle quali si prevede di detenere la persona interessata all'interno di tale Stato membro. Siffatta richiesta può anche riguardare l'esistenza, nello Stato membro emittente, di eventuali procedimenti e meccanismi nazionali o internazionali di controllo delle condizioni di detenzione collegati, ad esempio, a visite negli istituti penitenziari, che consentano di valutare lo stato attuale delle condizioni di detenzione in tali istituti (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 95 e 96).

64. L'autorità giudiziaria emittente è tenuta a fornire tali informazioni all'autorità giudiziaria dell'esecuzione (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 97).

65. Se, tenuto conto delle informazioni fornite in forza dell'articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, nonché di ogni altra informazione in possesso dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione, quest'ultima constata che sussiste, rispetto alla persona oggetto del mandato d'arresto europeo, un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta, l'esecuzione del mandato in parola deve essere rinviata ma non può essere abbandonata (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 98).

66. Per contro, nell'ipotesi in cui le informazioni ricevute dall'autorità giudiziaria dell'esecuzione da parte dell'autorità giudiziaria emittente inducano ad escludere l'esistenza di un rischio reale che la persona interessata sia oggetto di un trattamento inumano o degradante nello Stato membro emittente, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve adottare, entro i termini fissati dalla decisione quadro, la propria decisione sull'esecuzione del mandato d'arresto europeo, fatta salva la possibilità per la persona interessata, una volta consegnata, di esperire nell'ordinamento giuridico dello Stato membro emittente i mezzi di ricorso che gli permettono di contestare, se del caso, la legittimità delle sue condizioni di detenzione in un istituto penitenziario di tale Stato membro (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 103).

67. Nel caso di specie, il giudice del rinvio ritiene di disporre di elementi comprovanti l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Ungheria. Infatti, secondo detto giudice, dalla sentenza della Corte EDU del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria (CE:ECHR:2015:0310JUD001409712, §§ da 79 a 92) risulta che, poiché tale Stato membro sperimenta una situazione di sovraffollamento delle carceri, sussiste un rischio che le persone ivi detenute subiscano un trattamento inumano o degradante. Il giudice del rinvio considera che, alla data della pronuncia della decisione di rinvio, tale situazione perdurerebbe, in quanto, secondo le autorità ungheresi, sarebbero stati creati 1 000 posti negli istituti penitenziari, mentre il numero di posti mancanti sarebbe di 5 500. Peraltro, secondo detto giudice, è difficile valutare l'incidenza effettiva sulla riduzione del sovraffollamento delle carceri in Ungheria della possibilità di commutare la detenzione in arresti domiciliari, introdotta dalla legge del 2016.

68. Nelle sue osservazioni scritte e in sede di udienza, l'Ungheria ha contestato l'esistenza di tali carenze relative alle condizioni di detenzione sul suo territorio. Tale Stato membro ritiene che il giudice del rinvio riconosca a torto un'importanza smisurata alla sentenza della Corte EDU del 10 marzo 2015,Varga e altri c. Ungheria (CE:ECHR:2015:0310JUD001409712), senza tener conto dei fatti successivi alla pronuncia di tale sentenza. In particolare, detto giudice non avrebbe preso in considerazione né i miglioramenti apportati alla vita carceraria, né le modifiche legislative ai fini dell'ottemperanza alla suddetta sentenza o alle più recenti decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.

69. A tal riguardo, occorre tuttavia sottolineare che, nell'ambito del presente rinvio, la Corte non è interrogata in merito all'esistenza di carenze sistematiche o generalizzate delle condizioni di detenzione in Ungheria.

70. Difatti, tramite le sue questioni, il giudice del rinvio, fondandosi sulla premessa dell'esistenza di simili carenze, mira, in sostanza, a determinare, alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti da 61 a 66 della presente sentenza, se i vari elementi d'informazione che gli sono stati trasmessi dalle autorità dello Stato membro emittente siano tali da consentirgli di escludere l'esistenza di un rischio reale che la persona interessata sia sottoposta, nel suddetto Stato membro, a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta.

71. Occorre pertanto rispondere a tali questioni partendo dalla premessa su cui si è fondato il giudice del rinvio, sotto la sua esclusiva responsabilità, e della quale è tenuto a verificare l'esattezza tenendo conto di dati debitamente aggiornati, come è stato rilevato al punto 60 della presente sentenza, alla luce, in particolare, dell'attuazione, a partire dal 1° gennaio 2017, delle disposizioni della legge del 2016, dato che queste ultime sono potenzialmente in grado di rimettere in discussione tale premessa.

Sull'esistenza di un mezzo di ricorso nello Stato membro emittente avente ad oggetto la legittimità delle condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali

72. È pacifico che, con la legge del 2016, l'Ungheria ha istituito, a partire dal 1° gennaio 2017, un mezzo di ricorso che permette ai detenuti di contestare, nell'ambito di un ricorso giurisdizionale, la legittimità delle loro condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali.

73. Come fanno valere tutti i soggetti interessati che hanno partecipato al presente procedimento, un simile mezzo di ricorso, benché idoneo a costituire un ricorso giurisdizionale effettivo, ai sensi dell'articolo 47 della Carta, non può, di per sé, essere sufficiente per escludere l'esistenza di un rischio reale che la persona interessata subisca un trattamento inumano o degradante nello Stato membro emittente, ai sensi dell'articolo 4 della suddetta Carta.

74. In effetti, benché un simile sindacato giurisdizionale a posteriori delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente costituisca uno sviluppo importante tale da contribuire ad incoraggiare le autorità di quest'ultimo a migliorare dette condizioni e, di conseguenza, tale da poter essere preso in considerazione dalle autorità giudiziarie dell'esecuzione durante la valutazione complessiva delle previste condizioni di detenzione di una persona oggetto di un mandato d'arresto europeo ai fini di decidere sulla consegna di quest'ultima, esso non è, di per sé, idoneo ad eliminare il rischio che tale persona sia sottoposta, in seguito alla sua consegna, a un trattamento contrario all'articolo 4 della Carta a causa delle sue condizioni di detenzione.

75. Pertanto, anche se lo Stato membro emittente prevede mezzi di ricorso volti a verificare la legittimità delle condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali, le autorità giudiziarie dell'esecuzione restano obbligate a procedere ad un esame individuale della situazione di ciascuna persona interessata, al fine di assicurarsi che la loro decisione sulla consegna di tale persona non esporrà quest'ultima, a causa delle predette condizioni, a un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante ai sensi di tale disposizione.

76. Questa interpretazione non si pone affatto in contraddizione con quanto è stato giudicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria (CE:ECHR:2017:1114DEC000543317). Infatti, in tale sentenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo, da un lato, si è limitata a constatare che, poiché i ricorsi introdotti dalla legge del 2016 garantiscono, in via di principio, una effettiva correzione delle violazioni della CEDU derivanti dal sovraffollamento delle carceri e da altre condizioni di detenzione inadeguate in Ungheria, il ricorso introdotto dinanzi ad essa in quella causa doveva essere respinto in quanto irricevibile fintanto che non fossero stati esauriti i suddetti ricorsi di diritto interno. Dall'altro lato, essa ha precisato che si riservava il diritto di riesaminare l'effettività di tali ricorsi alla luce della loro applicazione pratica.

Sulla portata dell'esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente

Sugli istituti penitenziari da esaminare

77. Sulla scorta della giurisprudenza richiamata ai punti da 61 a 66 della presente sentenza, le autorità giudiziarie dell'esecuzione chiamate a decidere sulla consegna di una persona che è oggetto di un mandato d'arresto europeo devono valutare, in modo concreto e preciso, se, nelle circostanze di specie, esista un rischio reale che nello Stato membro emittente tale persona sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante.

78. Ne consegue che l'esame che tali autorità sono tenute ad effettuare, alla luce del suo carattere concreto e preciso, non può vertere sulle condizioni generali di detenzione esistenti all'interno di tutti gli istituti penitenziari di quest'ultimo Stato membro nei quali la persona interessata potrebbe essere incarcerata.

79. A tale riguardo, si deve sottolineare che la possibilità per le autorità giudiziarie dell'esecuzione, conformemente all'articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, di chiedere urgentemente le informazioni complementari necessarie, qualora non ritengano le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permettere loro di adottare una decisione sulla consegna, è una soluzione di extrema ratio, applicabile ai soli casi eccezionali nei quali l'autorità giudiziaria dell'esecuzione ritenga di non disporre di tutti gli elementi formali necessari ai fini dell'adozione urgente della sua decisione sulla consegna (v., in tal senso, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, EU:C:2018:27, punti 60 e 61).

80. Tale disposizione non può dunque essere utilizzata dalle autorità giudiziarie dell'esecuzione per chiedere, in modo sistematico, alle autorità dello Stato membro emittente informazioni generali concernenti le condizioni di detenzione degli istituti penitenziari nei quali una persona oggetto di un mandato d'arresto europeo potrebbe essere incarcerata.

81. Del resto, una siffatta domanda finirebbe, nella maggior parte dei casi, con il chiedere informazioni su tutti gli istituti penitenziari situati nel territorio dello Stato membro emittente, dato che una persona oggetto di un mandato d'arresto europeo potrebbe, di norma, essere detenuta in qualsiasi istituto penitenziario situato nel territorio di quest'ultimo. Orbene, in generale non è possibile, nella fase di esecuzione di un mandato d'arresto europeo, identificare tutti gli istituti penitenziari nei quali tale persona sarà effettivamente detenuta, giacché un trasferimento da un istituto ad un altro potrebbe essere giustificato dal sopravvenire di circostanze imprevedibili, o addirittura estranee alla persona interessata.

82. Tali considerazioni sono corroborate dall'obiettivo perseguito dalla decisione quadro, il quale, come risulta già dal punto 53 della presente sentenza, consiste, mediante l'instaurazione di un sistema semplificato e più efficace di consegna tra autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare le consegne.

83. Infatti, tale obiettivo è sotteso, in particolare, alla disciplina dei termini per l'emanazione delle decisioni relative al mandato d'arresto europeo, che gli Stati membri devono rispettare e la cui importanza è espressa in diverse disposizioni della decisione quadro, tra le quali, in particolare, il suo articolo 17 (v., in tal senso, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, EU:C:2018:27, punti 55 e 56).

84. Ebbene, l'obbligo per le autorità giudiziarie dell'esecuzione di esaminare le condizioni di detenzione esistenti all'interno di tutti gli istituti penitenziari nei quali la persona interessata potrebbe essere detenuta nello Stato membro emittente è manifestamente eccessivo. Esso è peraltro impossibile da realizzare entro i termini previsti dall'articolo 17 della decisione quadro. Un simile esame sarebbe infatti tale da differire in modo sostanziale la consegna della persona interessata e, pertanto, da privare di ogni effetto utile il funzionamento del sistema del mandato d'arresto europeo.

85. Ne conseguirebbe un rischio di impunità della persona ricercata e ciò tanto più qualora, come nel procedimento principale, che riguarda l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione abbia constatato che non risultano soddisfatte le condizioni di applicazione del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo di cui all'articolo 4, punto 6, della decisione quadro, il quale permette allo Stato membro di esecuzione di impegnarsi ad eseguire esso stesso tale pena conformemente al suo diritto interno, allo scopo, in particolare, di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona interessata (v., in particolare, sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

86. Orbene, una siffatta impunità sarebbe incompatibile con l'obiettivo perseguito tanto dalla decisione quadro (v., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2017, Poplawski, C-579/15, EU:C:2017:503, punto 23) quanto dall'articolo 3, paragrafo 2, TUE, nel cui ambito s'inscrive tale decisione quadro, e secondo il quale l'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, nonché la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima (sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punti 36 e 37).

87. Di conseguenza, in considerazione della fiducia reciproca che deve sussistere tra gli Stati membri, sulla quale si fonda il sistema del mandato d'arresto europeo, e tenuto conto, in particolare, dei termini per l'esecuzione di un tale mandato impartiti alle autorità giudiziarie dell'esecuzione dall'articolo 17 della decisione quadro, dette autorità sono tenute unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali, secondo le informazioni di cui esse dispongono, sia concretamente previsto che tale persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria. La conformità, alla luce dei diritti fondamentali, delle condizioni di detenzione esistenti negli altri istituti penitenziari dove detta persona potrebbe eventualmente essere incarcerata in seguito rientra, sulla scorta della giurisprudenza ricordata al punto 66 della presente sentenza, nella sola competenza degli organi giurisdizionali dello Stato membro emittente.

88. Nel caso di specie, anche se tali informazioni non sono state fornite dall'autorità giudiziaria emittente, è incontestato fra tutti i soggetti che hanno partecipato al presente procedimento che la persona interessata, in caso di consegna alle autorità ungheresi, sarà detenuta inizialmente nell'istituto penitenziario di Budapest per un periodo da una a tre settimane, prima di essere trasferita nell'istituto penitenziario di Szombathely, ma non è stato escluso che la stessa possa essere successivamente trasferita verso un altro istituto penitenziario.

89. Ciò posto, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve controllare le condizioni di detenzione della persona interessata soltanto in tali due istituti penitenziari.

Sull'esame delle condizioni di detenzione

90. In assenza di regole minime, nel diritto dell'Unione, relative alle condizioni di detenzione, si deve ricordare che, come già constatato nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi et Caldararu (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 90), l'articolo 3 della CEDU fa gravare sulle autorità dello Stato sul cui territorio viene eseguita una detenzione un obbligo positivo consistente nell'assicurare che ogni detenuto sia incarcerato in condizioni che garantiscano il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d'intensità che ecceda l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente (Corte EDU, 25 aprile 2017, Rezmives e altri c. Romania, CE:ECHR:2017:0425JUD00614672, § 72).

91. A tal riguardo, al fine di rientrare nell'articolo 3 della CEDU, un maltrattamento deve raggiungere una soglia minima di gravità, che dipende dall'insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, in certi casi, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršic c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, §§ 97 e 122).

92. Tenuto conto dell'importanza attribuita al fattore spaziale nella valutazione globale delle condizioni di detenzione, il fatto che lo spazio personale di cui dispone un detenuto sia inferiore a 3 m² in una cella collettiva fa nascere una forte presunzione di violazione dell'articolo 3 della CEDU (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršic c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, § 124).

93. Tale forte presunzione di violazione dell'articolo 3 della CEDU può, di norma, essere superata solo se: in primo luogo, le riduzioni dello spazio personale in rapporto al minimo obbligatorio di 3 m2 sono brevi, occasionali e minori; in secondo luogo, esse si accompagnano a una libertà di movimento sufficiente fuori della cella e ad attività fuori cella adeguate, e, in terzo luogo, l'istituto offre, in linea generale, condizioni di detenzione dignitose e la persona interessata non è sottoposta ad altri elementi ritenuti circostanze aggravanti delle cattive condizioni di detenzione (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršic c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, § 138).

94. Nel caso di specie, a parere del giudice del rinvio stesso, le informazioni a sua disposizione in merito alle condizioni di detenzione nell'istituto penitenziario di Szombathely, nel quale è pacifico che la persona interessata dovrebbe scontare la parte sostanziale della pena privativa della libertà che le è stata inflitta in Ungheria, inducono ad escludere l'esistenza di un rischio reale che essa sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta, ciò che nessuno degli interessati che hanno partecipato al presente procedimento ha, del resto, contestato.

95. Pertanto, spetta all'autorità giudiziaria dell'esecuzione verificare se la persona interessata sarebbe, invece, esposta a un simile rischio nell'istituto penitenziario di Budapest.

96. Non è decisivo, a tal riguardo, il fatto che la detenzione in tale istituto sia prevista solo per la durata della procedura di consegna e non dovrebbe pertanto eccedere, secondo le informazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente, in via di principio, le tre settimane.

97. È vero che dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo risulta che la durata di un periodo di detenzione può, come risulta già dai punti 91 e 93 della presente sentenza, essere un fattore rilevante ai fini della valutazione della gravità della sofferenza o dell'umiliazione subite da un detenuto a causa delle cattive condizioni di detenzione (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršic c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, § 131).

98. Tuttavia, la brevità relativa di un periodo di detenzione, di per sé, non sottrae automaticamente il trattamento controverso all'ambito di applicazione dell'articolo 3 della CEDU qualora altri elementi siano sufficienti per farlo rientrare nell'ambito di tale disposizione.

99. Inoltre, se la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato che, quando il detenuto dispone di uno spazio inferiore a 3 m², un periodo di detenzione di qualche giorno può essere assimilato a un breve periodo, un periodo di circa 20 giorni, come quello considerato nel procedimento principale dalle autorità dello Stato membro emittente, che non è, per di più, neppure escluso che possa essere prolungato nel caso di sopravvenienza di «circostanze ostative» non altrimenti specificate, non può essere considerato come un periodo breve (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršic c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, §§ 146, 152 e 154).

100. Ne consegue che il carattere temporaneo o transitorio di una detenzione in siffatte condizioni non è idoneo, di per sé solo, ad escludere qualsiasi rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta.

101. Pertanto, come è già stato constatato al punto 63 della presente sentenza, se l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non ritiene le informazioni a sua disposizione sufficienti per permetterle di adottare una decisione sulla consegna, essa può chiedere urgentemente all'autorità giudiziaria emittente, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, di fornire le informazioni complementari da essa ritenute necessarie, in modo da ottenere chiarimenti in merito alle condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata nell'istituto penitenziario di cui trattasi.

102. Nel caso di specie, dagli elementi presentati alla Corte risulta che le autorità ungheresi non hanno fornito risposte alle 78 domande trasmesse il 10 gennaio 2018, in attuazione dell'ordinanza del giudice del rinvio del 9 gennaio 2018, dal pubblico ministero di Brema, e relative alle condizioni di detenzione esistenti nell'istituto penitenziario di Budapest nonché in qualsiasi altro istituto in cui la persona interessata potrebbe, eventualmente, essere incarcerata.

103. Se alcune di queste domande, prese singolarmente, sono rilevanti ai fini dell'esame delle concrete e precise condizioni di detenzione della persona interessata in relazione agli elementi indicati al punto 93 della presente sentenza, risulta tuttavia evidente che, come pure sostanzialmente rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, dette domande, per numero e portata, comprendenti ogni istituto penitenziario in cui la persona interessata potrebbe essere incarcerata, e per contenuto, che copre aspetti della detenzione senza evidente rilevanza ai fini del suddetto esame, quali, fra l'altro, la pratica di un culto, la possibilità di fumare, le modalità di lavaggio dei vestiti nonché l'installazione di barre o di persiane alle finestre delle celle, renderebbero praticamente impossibile qualsiasi risposta utile da parte delle autorità dello Stato membro emittente, tenuto conto, in particolare, dei termini molto brevi previsti all'articolo 17 della decisione quadro per l'esecuzione di un mandato di arresto europeo.

104. Una richiesta di questo tipo, che finisce col paralizzare il funzionamento del mandato d'arresto europeo, non è compatibile con l'obbligo di leale cooperazione sancito all'articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, sul quale deve essere improntato il dialogo tra le autorità giudiziarie dell'esecuzione e le autorità giudiziarie emittenti, in particolare, nell'ambito della comunicazione di informazioni di cui all'articolo 15, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro.

105. In udienza, il pubblico ministero di Brema ha affermato in proposito di non aver mai ricevuto una risposta a questo tipo di richieste di informazioni, che il giudice del rinvio indirizzerebbe sistematicamente alle autorità di tre Stati membri emittenti, tra cui l'Ungheria. Esso ha precisato che una prassi di questo tipo ha per conseguenza che, in assenza di decisioni di approvazione delle consegne da parte di tale giudice, ormai nessun mandato d'arresto europeo emesso da un'autorità giudiziaria di uno di questi tre Stati membri viene più eseguito da tale pubblico ministero.

106. Ciò precisato, consta che, in risposta alla richiesta del 10 gennaio 2018, le autorità ungheresi hanno fornito al pubblico ministero di Brema, nelle loro lettere del 20 settembre 2017 e del 27 marzo 2018, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta, a causa della sua detenzione in Ungheria, ad alcun trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta, a prescindere dall'istituto nel quale sarà incarcerata.

107. Occorre quindi esaminare se, e in quale misura, una simile garanzia possa essere presa in considerazione dall'autorità giudiziaria dell'esecuzione ai fini dell'adozione della sua decisione sulla consegna della persona interessata.

Sulla presa in considerazione delle rassicurazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente

108. Si deve ricordare che l'articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro autorizza espressamente l'autorità giudiziaria dell'esecuzione che non ritenga le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di adottare una decisione sulla consegna, a chiedere urgentemente le informazioni complementari necessarie. Inoltre, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 3, della decisione quadro, l'autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all'autorità giudiziaria dell'esecuzione.

109. Inoltre, in forza del principio di leale cooperazione sancito dall'articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati (sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punto 42).

110. Conformemente a tali disposizioni, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione e l'autorità giudiziaria emittente possono, rispettivamente, chiedere informazioni o fornire garanzie in merito alle condizioni concrete e precise nelle quali la persona interessata sarà detenuta nello Stato membro emittente.

111. La garanzia fornita dalle autorità competenti dello Stato membro emittente circa il fatto che la persona interessata non sarà sottoposta ad un trattamento inumano o degradante a causa delle sue concrete e precise condizioni di detenzione a prescindere dall'istituto penitenziario in cui sarà incarcerata nello Stato membro emittente è un elemento che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non può ignorare. In effetti, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni, la violazione di una simile garanzia, poiché è idonea a vincolare il suo autore, potrebbe essere fatta valere, in caso di sua violazione, dinanzi alle autorità giudiziarie dello Stato membro emittente.

112. Qualora tale garanzia sia stata apportata o, quanto meno, approvata dall'autorità giudiziaria emittente, ove necessario, previa richiesta di assistenza all'autorità centrale o a una delle autorità centrali dello Stato membro emittente ai sensi dell'articolo 7 della decisione quadro, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, tenuto conto della fiducia reciproca che deve sussistere tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, e sulla quale si fonda il sistema del mandato d'arresto europeo, deve fidarsi della prima, perlomeno in assenza di qualsivoglia elemento preciso che permetta di ritenere che le condizioni di detenzione esistenti all'interno di un determinato istituto penitenziario siano contrarie all'articolo 4 della Carta.

113. Nel caso di specie, la garanzia fornita dal Ministero della Giustizia ungherese il 20 settembre 2017, e reiterata il 27 marzo 2018, circa il fatto che la persona interessata non sarà sottoposta ad alcun trattamento inumano o degradante a causa delle sue condizioni di detenzione in Ungheria non è stata, tuttavia, né fornita né approvata dall'autorità giudiziaria emittente, come espressamente confermato dal governo ungherese durante l'udienza.

114. Dal momento che non promana da un'autorità giudiziaria, il contenuto di una simile garanzia deve essere determinato procedendo a una valutazione globale dell'insieme degli elementi a disposizione dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione.

115. Orbene, a tal proposito, si deve osservare che la garanzia fornita dal Ministero della Giustizia ungherese risulta corroborata dalle informazioni di cui dispone il pubblico ministero di Brema. Infatti, in risposta ai quesiti della Corte, quest'ultima ha affermato, in udienza, che tali elementi, risultanti, in particolare, dell'esperienza acquisita durante le procedure di consegna attuate prima della pronuncia della sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), gli permettono di considerare che le condizioni di detenzione nell'istituto penitenziario di Budapest, attraverso il quale transita chiunque sia oggetto di un mandato d'arresto europeo emesso dalle autorità ungheresi, non sono in contrasto con l'articolo 4 della Carta.

116. Ciò posto, la consegna della persona interessata alle autorità ungheresi sembra consentita nel rispetto dell'articolo 4 della Carta, tuttavia la verifica di tale circostanza compete al giudice del rinvio.

117. In considerazione di tutto quanto precede, alle questioni sollevate occorre rispondere nel senso che l'articolo 1, paragrafo 3, l'articolo 5 e l'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro devono essere interpretati nel senso che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, qualora disponga di elementi comprovanti l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all'interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, dei quali compete al giudice del rinvio verificare l'esattezza tenendo conto di tutti i dati aggiornati disponibili:

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non può escludere l'esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta, per il solo motivo che tale persona disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, sebbene l'esistenza di un simile mezzo di ricorso possa essere presa in considerazione da parte della medesima autorità al fine di adottare una decisione sulla consegna della persona interessata;

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione è tenuta unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali è probabile, secondo le informazioni a sua disposizione, che la suddetta persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria;

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve verificare, a tal fine, solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti al fine di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta;

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione può prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall'autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta.

Sulle spese

118. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.
la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L'articolo 1, paragrafo 3, l'articolo 5 e l'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, devono essere interpretati nel senso che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione, qualora disponga di elementi comprovanti l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all'interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, dei quali compete al giudice del rinvio verificare l'esattezza tenendo conto di tutti i dati aggiornati disponibili:

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non può escludere l'esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, per il solo motivo che tale persona disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, sebbene l'esistenza di un simile mezzo di ricorso possa essere presa in considerazione da parte della medesima autorità al fine di adottare una decisione sulla consegna della persona interessata;

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione è tenuta unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali è probabile, secondo le informazioni a sua disposizione, che la suddetta persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria;

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione deve verificare, a tal fine, solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti al fine di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;

- l'autorità giudiziaria dell'esecuzione può prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall'autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.