Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 7 giugno 2018, n. 14842

Presidente: Schirò - Estensore: Cirillo

FATTI DI CAUSA

1. Rosaria O. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi degli artt. 2 e 4 della l. 13 aprile 1988, n. 117, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al comportamento, asseritamente doloso e/o colposo, di alcuni magistrati del Tribunale e della Corte d'appello di Cagliari, nonché della Corte di cassazione.

A sostegno della domanda espose la vicenda processuale che l'aveva riguardata (in primo grado, in secondo grado e davanti alla Corte Suprema) e le ragioni per le quali, a suo dire, erano ravvisabili gli estremi del dolo o della colpa nelle decisioni assunte da quei magistrati, tali da giustificare l'azione risarcitoria.

Si costituì in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, eccependo in via preliminare l'incompetenza per territorio del Tribunale e la tardività della domanda, della quale chiese comunque il rigetto nel merito.

Il Tribunale, con ordinanza del 2 febbraio 2017, accolse l'eccezione preliminare e dichiarò la propria incompetenza per territorio, ritenendo competente il Tribunale di Perugia.

Osservò quel Giudice che la questione doveva essere decisa alla luce delle ordinanze 5 giugno 2012, n. 8997, e 11 gennaio 2013, n. 668, della Corte di cassazione, secondo le quali l'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988 - che individua la competenza territoriale nelle cause di responsabilità dei magistrati - trova applicazione anche per i magistrati inseriti in un ufficio di vertice, qual è la Corte di cassazione.

Il Tribunale, richiamata l'ordinanza 16 marzo 2010, n. 6307, delle Sezioni unite della Corte di cassazione, dettata a proposito della c.d. legge Pinto, sostenne che i criteri indicati in quella pronuncia non potevano valere nel caso in esame, data l'evidente diversità tra la domanda risarcitoria conseguente all'eccessiva lunghezza dei giudizi e quella conseguente alla responsabilità civile dei magistrati giudicanti. Dopo aver ricordato che l'art. 3, comma 1, della l. 24 marzo 2001, n. 89, è stato totalmente modificato dall'art. 1, comma 777, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, il Tribunale aggiunse che nel giudizio di responsabilità dei magistrati «appare comprensibilmente più forte l'esigenza di creare un distanziamento territoriale tra i giudici la cui condotta viene singolarmente e specificamente valutata e quelli chiamati ad applicare la l. n. 117 del 1988, cosicché il criterio deve trovare applicazione anche per i magistrati di livello apicale che operano a Roma». Pertanto, poiché non sarebbe rispondente a logica scindere il giudizio di responsabilità nei confronti dei magistrati di Cagliari da quello nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione - perché l'unicità dell'evento dannoso impone la trattazione unitaria, anche per evitare il pericolo di decisioni difformi - il Tribunale concluse di essere incompetente a giudicare delle condotte dei magistrati della Corte Suprema, senza che in ciò potessero ravvisarsi dubbi di legittimità costituzionale. Osservò infine il Tribunale che il trasferimento della competenza da Roma a Perugia anche per i magistrati del distretto di Cagliari - che avevano trattato in primo grado ed in appello la causa della O. - non poteva creare alcuna violazione delle regole di competenza inderogabile; ciò in quanto l'individuazione della competenza di Roma si giustifica per la necessità di individuare un criterio predeterminato per legge, ma non trova una «giustificazione sostanziale nella opportunità di far giudicare sulle condotte dei magistrati del distretto di Cagliari da colleghi del Tribunale di Roma, piuttosto che dal Tribunale di Perugia».

2. L'ordinanza del Tribunale di Roma è stata impugnata dalla O. con regolamento di competenza affidato a cinque motivi e in questa sede hanno depositato atto di costituzione la Presidenza del Consiglio dei ministri per conto dello Stato italiano e l'Agenzia delle entrate, al solo fine di partecipare all'udienza di discussione.

3. Chiamata a decidere il regolamento di competenza, la Sesta Sezione Civile - 3 di questa Corte, con ordinanza 3 novembre 2017, n. 26237, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite della questione di massima di particolare importanza relativa all'individuazione del giudice competente per territorio nelle cause di responsabilità civile promosse nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione, ai sensi della citata l. n. 117 del 1988, ritenendo esistente una giurisprudenza non sempre univoca sull'argomento.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso.

1. Col primo motivo di ricorso la O. lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4) e n. 5), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, n. 4), e 277 c.p.c., per omessa pronuncia e omessa motivazione, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, su argomentazioni da lei svolte in sede di merito, che si assumono decisive per escludere la competenza del Tribunale di Perugia; con il secondo, si duole, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell'art. 11 c.p.p., dell'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, della l. n. 420 del 1998, nonché dell'art. 132, n. 4), c.p.c. e dell'art. 111, sesto comma, della Costituzione, oltre che della violazione dei principi di cui all'ordinanza 16 marzo 2010, n. 6307, delle Sezioni unite di questa Corte, in relazione alle deroghe alla competenza per territorio previste per i magistrati ed applicabili anche a quelli della Corte di cassazione; con il terzo denuncia, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 11 c.p.p., dell'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, nonché dell'art. 132, n. 4), c.p.c., dell'art. 111, sesto comma, della Costituzione, dell'art. 24 della l. 11 marzo 1953, n. 87, nonché della pronuncia n. 6307 del 2010 delle Sezioni unite, in relazione alla ritenuta insussistenza di analogia con riferimento alla regola prevista dalla c.d. legge Pinto e a quella contemplata in tema di responsabilità civile dei magistrati; con il quarto lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 12 delle preleggi, dell'art. 11 c.p.p., dell'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, nonché dell'art. 132, n. 4), c.p.c., dell'art. 111, sesto comma, della Costituzione, e dei principi di cui alla citata pronuncia n. 6307 del 2010 delle Sezioni unite, in relazione all'asserita competenza del Tribunale di Perugia anche per i magistrati del distretto di Cagliari; con il quinto si duole, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sul rilievo che il Tribunale di Roma non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni contenute nella memoria 15-16 gennaio 2017 depositata nel corso del giudizio.

Fondamentale è, leggendo i motivi nella loro globalità, la censura per cui la tesi sostenuta dal Tribunale di Roma, oltre a non essere in sintonia con quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nell'ordinanza n. 6307 del 2010, avrebbe la conseguenza paradossale di trasferire presso la sede giudiziaria di Perugia le cause di responsabilità civile dei magistrati provenienti da tutta l'Italia, e ciò per il solo fatto che l'azione risarcitoria abbia come destinatari anche i magistrati della Corte di cassazione.

La questione rimessa dall'ordinanza interlocutoria.

2. La Sesta Sezione - dopo aver riportato alcuni passaggi delle conclusioni rassegnate per iscritto dal P.M. presso questa Corte, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., nella fase camerale di trattazione del regolamento di competenza - ha premesso che i principi enunciati dalle ordinanze n. 8997 del 2012 e n. 668 del 2013 citate dal Tribunale di Roma, cui doveva aggiungersi anche l'ulteriore ordinanza 16 maggio 2012, n. 10224, erano solo in apparenza conformi rispetto a quelli enunciati dalle Sezioni unite con l'ordinanza n. 6307 del 2010. In realtà, invece, si tratterebbe «di un principio del tutto innovativo in tema di responsabilità di cui alla legge n. 117 del 1988». Le Sezioni unite, infatti, si erano pronunciate in ordine al problema dell'individuazione del giudice competente per territorio nelle cause di cui alla l. n. 89 del 2001, e tanto avevano fatto in relazione al testo dell'art. 3 di quest'ultima legge nella versione anteriore a quella, oggi vigente, introdotta dall'art. 1, comma 777, della l. n. 208 del 2015.

In relazione, invece, alle cause aventi ad oggetto la responsabilità civile dei magistrati, la giurisprudenza di questa Corte, sia civile che penale, aveva affermato «principi di segno contrario», stabilendo che l'individuazione del giudice competente per territorio ai sensi dell'art. 11 c.p.p. non poteva trovare applicazione in riferimento ai magistrati della Corte di cassazione, «trattandosi di un ufficio giudiziario avente competenza nazionale». In particolare, già la sentenza 6 aprile 1996, n. 3243, aveva escluso tale possibilità, dovendosi considerare operanti in quel caso le regole comuni; ed altrettanto era stato affermato in sede penale, con la sentenza 23 luglio 2009, n. 30760. Il che, del resto, trova un'ulteriore conferma nel fatto che l'art. 11 c.p.p. prevede un sistema che fa eccezione rispetto alle regole generali in tema di competenza ed è, perciò, non suscettibile di interpretazione analogica.

Tanto premesso, l'ordinanza interlocutoria ha osservato che la deroga fissata dall'art. 11 cit. si costruisce in riferimento al distretto di corte d'appello nel quale il magistrato esercita le sue funzioni o le esercitava al momento del fatto, mentre sarebbe evidente che per i magistrati della Corte di cassazione non esiste un distretto, essendo i medesimi chiamati ad operare a livello nazionale. Ne consegue che la possibilità, riconosciuta dall'ordinanza n. 6307 del 2010, di interpretare il termine distretto come riferibile anche a realtà territoriali diverse, come quelle in cui opera la magistratura amministrativa, non equivarrebbe a riconoscere che tale estensione possa valere anche per un ufficio di portata nazionale, come appunto la Corte di cassazione. In quest'ultimo caso, infatti, non si tratterebbe di interpretazione estensiva (consentita), bensì di interpretazione analogica, vietata dalla natura eccezionale della norma di deroga.

In riferimento, poi, al contenuto dell'ordinanza di incompetenza pronunciata dal Tribunale di Roma, il Collegio ha posto in luce «gli inconvenienti conseguenti all'attribuzione della competenza al Tribunale di Perugia, laddove vi sia stata pronuncia della Corte di cassazione, con lo spostamento di un notevole contenzioso (comprendente anche le cause ivi già trattate in primo grado) presso tale Tribunale, ufficio di dimensioni inferiori rispetto a quelle del Tribunale di Roma, che sarebbe competente rispetto ai giudici delle giurisdizioni superiori se si negasse per essi l'applicazione dell'art. 11 c.p.p.». Ed ha anche ricordato che l'obiettivo che l'ordinanza n. 6307 del 2010 delle Sezioni unite si prefiggeva di raggiungere in relazione alla c.d. legge Pinto era proprio quello di favorire «la diffusione del contenzioso sull'intero sistema delle corti d'appello, anziché una sua elevata concentrazione su Roma»; mentre lo spostamento della competenza, nel caso in esame, dalla sede di Roma a quella di Perugia non farebbe che aggravare «il rischio astratto di lesione dell'immagine di terzietà ed imparzialità dei giudici chiamati a decidere». Ad ulteriore conferma dell'opportunità di un'approfondita riflessione sulla questione, l'ordinanza interlocutoria ha ricordato che l'art. 3 della l. n. 89 del 2001 è stato modificato nel senso che la competenza territoriale spetta alla corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice dinanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.

L'applicabilità dell'art. 11 c.p.p. ai magistrati della Corte di cassazione.

3. Per poter rispondere alla complessa questione che l'ordinanza interlocutoria pone, le Sezioni unite, esaminati congiuntamente, in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, i motivi dedotti a sostegno dell'istanza per regolamento di competenza, sono chiamate ad affrontare i problemi secondo un preciso ordine logico. In tale ordine, la prima questione riguarda la necessità di stabilire se la particolare regola di competenza di cui all'art. 11 c.p.p., espressamente richiamata dall'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988 a proposito della responsabilità civile dei magistrati, sia applicabile o meno anche ai magistrati che svolgono le loro funzioni presso la Corte di cassazione.

Su tale questione la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in alcune occasioni, fra le quali vanno richiamati i casi decisi con le sentenze 6 aprile 1996, n. 3243, e 15 aprile 2005, n. 7922. In entrambe le ipotesi si trattava di un giudizio di responsabilità civile promosso soltanto contro i magistrati della Corte di cassazione e le sentenze ora indicate si sono trovate concordi nell'escludere che l'art. 11 c.p.p. e, di conseguenza, l'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, possano trovare applicazione per i magistrati di legittimità.

La sentenza n. 3243 del 1996 cit. ha chiarito che l'art. 4, comma 1, cit. «trova applicazione, con riguardo ai componenti di questa Corte, solo per quanto attiene alla competenza per materia del tribunale, non anche in ordine al criterio territoriale, perché la Corte medesima, per organizzazione e compiti giurisdizionali, opera su livello nazionale, e comunque, non è "ufficio compreso" in un distretto d'appello». Ha aggiunto quella sentenza che «un'interpretazione estensiva della disposizione in esame, nel senso di ritenere la Corte di cassazione, sia pure soltanto ai fini in discorso, inclusa nel distretto della Corte d'appello di Roma, per il mero fatto della sua collocazione geografica, non è autorizzata dalla lettera della norma, la quale, con le parole "ufficio compreso", adotta un'espressione tecnica dell'ordinamento giudiziario, rivolta ad identificare l'organo che si inserisca per funzioni all'interno di una determinata corte d'appello, e, del resto, non trova supporto nella ratio legis»; sicché l'individuazione del tribunale competente per la cause di responsabilità rivolte contro i magistrati della Corte di cassazione «va effettuata sulla base delle norme comuni».

Ad analoga conclusione è pervenuta la sentenza n. 7922 del 2005, rilevando che la motivazione della precedente sentenza n. 3243 del 1996 cit. non veniva ad essere modificata a seguito delle novità introdotte dalla l. 2 dicembre 1998, n. 420, «essendo evidente che con il richiamo al distretto la norma non intende alludere alla mera collocazione territoriale dell'ufficio, ma allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali, nel senso che deve trattarsi di magistrato incardinato in uno degli uffici giudiziari componenti il distretto della Corte d'appello, ciò che appunto non può dirsi per i magistrati della Corte di cassazione». Per cui - ha concluso la sentenza in esame - non trovando applicazione la regola dell'art. 4, comma 1, cit., la competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile avanzate contro i magistrati della Corte Suprema deve essere individuata facendo applicazione dell'art. 25 del codice di rito civile (conforme è anche la sentenza 29 marzo 2005, n. 6551).

È appena il caso di aggiungere che siffatta conclusione è stata in più occasioni condivisa dalla giurisprudenza penale di questa Corte, la quale ha stabilito che la disciplina dell'art. 11 c.p.p. non trova applicazione con riguardo ai magistrati della Corte di cassazione, trattandosi di un ufficio di competenza nazionale (v., per tutte, la sentenza 13 maggio 2009, n. 30760, Neretti e altro).

3.1. Ritengono queste Sezioni unite di dover dare continuità a tale orientamento, con le precisazioni che seguono.

La Corte di cassazione è, infatti, un ufficio di rilevanza nazionale, riguardo al quale non è prospettabile alcun collegamento con un distretto di corte d'appello geograficamente inteso. La circostanza che la Suprema Corte operi a Roma, come previsto dall'art. 65, secondo comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, si collega al fatto che essa è «organo supremo di giustizia» che «assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» (art. 65, primo comma, cit.); e la sua collocazione è conseguente al ruolo di capitale d'Italia che spetta alla città di Roma.

Ciò non significa, però, che la Corte di legittimità faccia parte o abbia qualche forma di collegamento con il distretto della Corte d'appello di Roma. Tale conclusione viene ad essere oggi ulteriormente confermata, da un punto di vista amministrativo, dalla circostanza per cui i provvedimenti che riguardano i magistrati della Corte di cassazione e della Procura generale presso la medesima (trasferimenti, incarichi, progressioni di carriera) vengono esaminati, prima di essere definitivamente deliberati dal Consiglio superiore della magistratura, dal Consiglio direttivo appositamente istituito dal d.lgs. 27 gennaio 2006, n. 25, presso la stessa Corte (art. 7); il che è un ulteriore indizio dell'assenza di ogni legame con la Corte d'appello di Roma e con il Consiglio giudiziario esistente presso quest'ultima.

Le Sezioni unite, pertanto, rispondono al primo problema da affrontare affermando che lo spostamento di competenza per territorio di cui all'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, non ha applicazione nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione.

Non possono trovare seguito, perciò, le ordinanze n. 8997 del 2012 e n. 668 del 2013 di questa Corte (citate dal Tribunale di Roma nell'ordinanza impugnata) che hanno affermato un principio opposto; né l'approdo ermeneutico oggi raggiunto è in contrasto con quanto affermato in passato a proposito della c.d. legge Pinto, come nel prosieguo si dirà (v. le ordinanze delle Sezioni unite 16 marzo 2010, n. 6306, n. 6307 e n. 6308).

Individuazione della competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile promosse nei confronti dei magistrati di merito e di legittimità in relazione alla stessa vicenda.

4. Una volta stabilita l'inapplicabilità dell'art. 11 c.p.p. nei termini ora indicati, si deve andare al passaggio logico successivo.

Occorre decidere, cioè, come vada individuata la competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile dei magistrati qualora la domanda abbia ad oggetto contemporaneamente il comportamento dei magistrati di merito e di legittimità; il che avviene quando vengono ipotizzati comportamenti dolosi o colposi, ai sensi dell'art. 2 della l. n. 117 del 1988, in rapporto alla medesima vicenda giudiziaria nei vari gradi del giudizio. È appena il caso di evidenziare che questo caso è proprio quello che si è verificato nel giudizio odierno, nel quale la parte ricorrente ha convenuto in giudizio lo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, per chiedere il risarcimento dei danni conseguenti a comportamenti, asseritamente illegittimi per dolo o colpa grave, dei magistrati del Tribunale e della Corte d'appello di Cagliari e della Corte di cassazione.

4.1. La risposta al quesito obbliga alla risoluzione di una questione che è, logicamente, precedente, e cioè quella di stabilire se simili cause debbano ricevere una trattazione unitaria ovvero separata. La possibilità di scindere le cause, infatti, consentirebbe di superare ogni problema, perché la causa contro i magistrati di merito potrebbe essere separata da quella contro i giudici di legittimità, applicando a ciascuna un diverso criterio di competenza per territorio.

La soluzione della separazione, però, è inaccettabile per una serie di convergenti ragioni.

Occorre innanzitutto rilevare che nel sistema delineato dalla l. n. 117 del 1988 (art. 2), colui il quale abbia subito «un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni»; non è prevista, com'è noto, un'azione diretta del danneggiato contro il magistrato, dovendo essere convenuto in giudizio lo Stato, e per esso il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo il successivo esercizio dell'azione di rivalsa nei confronti del magistrato dopo che si sia concluso il giudizio risarcitorio (artt. 7 e 8 della l. n. 117 del 1988). Ne consegue che, ove il giudizio risarcitorio sia promosso in relazione all'operato di più magistrati nella stessa vicenda giudiziaria, il convenuto è uno solo, cioè il Presidente del Consiglio dei ministri. L'illecito commesso dal magistrato è, in questa fase, non ancora perseguibile direttamente e, perciò, non si presenta come scindibile in rapporto alle varie fasi del giudizio, il che costituisce un primo argomento che va nel senso della necessità di una trattazione unitaria.

Un secondo argomento è costituito dal fatto che la l. n. 117 del 1988 costruisce il giudizio di responsabilità civile nei confronti del magistrato come una sorta di extrema ratio da perseguire nell'ipotesi in cui il sistema non sia riuscito a correggere gli errori, anche dolosi o colposi, con l'ordinario sistema delle impugnazioni. L'art. 4, comma 2, della legge in questione dispone, infatti, che l'azione di risarcimento del danno «può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno» (salva la particolare ipotesi di cui al comma 3 del medesimo art. 4, che però costituisce un'ipotesi eccezionale). In altri termini, poiché l'errore del giudice inferiore deve essere di regola corretto da quello superiore attraverso il normale sistema delle impugnazioni, è solo a conclusione dell'intero iter processuale che l'errore commesso non è più correggibile e può scattare la conseguenza del giudizio di responsabilità civile contro i magistrati; e ciò è un'ulteriore ragione a sostegno della tesi della necessità di una trattazione congiunta.

Come questa Corte ha già riconosciuto nell'ordinanza 22 maggio 2004, n. 9880, «soltanto quando il provvedimento è divenuto definitivo può essere determinato, nell'an e nel quantum, il danno del quale lo Stato deve rispondere in relazione alla attività giurisdizionale di uno o più magistrati, resa nell'ambito di uno o più gradi del giudizio. Pertanto, non solo è unico l'eventus damni, ma è unico anche il fatto costitutivo rappresentato dalle distinte condotte dei magistrati che convergono tutte ad integrare un'unica fattispecie illecita della quale lo Stato risponde secondo lo schema disciplinato dall'art. 28 della Costituzione». Da ciò consegue, sempre seguendo l'ordinanza ora citata, che «la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti dello Stato in relazione alla attività giurisdizionale, dolosa o gravemente colposa, svolta da più magistrati in diversi gradi dello stesso giudizio ha carattere unitario e non può scindersi in una pluralità di azioni ciascuna delle quali fondata sulla specifica attività svolta nel corso del giudizio da uno o più magistrati».

A queste argomentazioni, già di per sé decisive, ne vanno aggiunte altre due, parimenti rilevanti: da un lato, che il frazionamento del giudizio di responsabilità nei confronti dei magistrati di merito e di cassazione in relazione alla medesima vicenda è contrario ai principi di economia processuale, perché costringe il soggetto che si ritiene danneggiato a promuovere due diversi giudizi anche in sedi diverse, con aggravio di spese; dall'altro, che simile scelta porta con sé l'inevitabile rischio di un contrasto di giudicati.

Ritengono queste Sezioni unite, pertanto, di dover affermare che in un caso del genere la causa risarcitoria è unica e deve essere promossa davanti ad un unico tribunale che è il solo competente per territorio.

4.2. Se, quindi, alla luce di quanto detto fin qui, la causa deve essere unitaria, si pone il problema di stabilire quale sia il criterio di individuazione della competenza per territorio.

Si contendono il campo, per così dire, due fori entrambi inderogabili: da un lato, quello dell'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, che richiama l'art. 11 c.p.p.; dall'altro, quello dell'art. 25 c.p.c. L'eventualità che vi sia un potenziale conflitto tra due fori inderogabili non costituisce un fatto senza precedenti, ma tuttavia impone di scegliere e di individuare quale tra i due prevalga sull'altro.

Ritengono queste Sezioni unite che il foro speciale dell'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988 prevalga rispetto a quello dell'art. 25 c.p.c. nell'ipotesi di un giudizio di responsabilità civile promosso nei confronti dei magistrati di merito e di legittimità in riferimento alla medesima vicenda processuale. Militano in questo senso la previsione di un foro inderogabile nella legge speciale appositamente dedicata alla materia della responsabilità civile dei magistrati, attraverso l'individuazione, nella Tabella A allegata alle norme di attuazione del codice di procedura penale, dello spostamento della competenza dall'uno all'altro distretto a seconda del luogo dove il magistrato eserciti le sue funzioni o le esercitava al momento del fatto; e, in secondo luogo, il silenzio, nella legge speciale, di una norma specifica per la Corte di cassazione.

Tale conclusione è supportata da alcune ulteriori considerazioni.

Il foro inderogabile dell'art. 25 c.p.c. ha una valenza generale, investendo, in linea di principio, tutte le ipotesi in cui sia parte un'amministrazione dello Stato; oltre a ciò, si tratta di un criterio mobile, perché l'art. 25 cit. stabilisce che nelle cause nelle quali è parte un'amministrazione dello Stato la competenza spetta al giudice «del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie», specificando che, se l'amministrazione è convenuta, il distretto si determina «con riguardo al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione». In altre parole, la presenza in causa di un'amministrazione statale sposta la competenza per territorio nella sede distrettuale, ma sempre assumendo, a monte, i normali criteri di individuazione della competenza.

Il criterio di cui all'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988, invece, è specifico ed è dettato proprio per le cause di responsabilità civile dei magistrati. Riguardo a queste, il legislatore ha sentito come pressante ed imprescindibile l'esigenza di porre una separazione di luoghi tra la sede dove il magistrato del cui operato si discute ha svolto o svolge le sue funzioni e la sede dei colleghi che saranno chiamati a giudicare su di lui, anche se con lo schermo della presenza in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri. Come la Corte costituzionale ha avvertito nella sentenza n. 147 del 2004, infatti, gli artt. 4 e 8 della l. n. 117 del 1988, sottraendo alle ordinarie regole di competenza territoriale le controversie civili riguardanti l'operato dei magistrati, «intendono evitare ogni rischio di incidenza sulla serenità del giudice, conseguente alla preesistenza di rapporti personali con il magistrato interessato alla causa». Tali norme, quindi, si fondano sul bilanciamento «fra i due interessi, entrambi costituzionalmente garantiti, all'imparzialità-terzietà del giudice ed all'effettività della tutela giurisdizionale nella specifica categoria di controversie». È il caso di evidenziare che l'art. 4, comma 1, in esame esclude ogni possibilità di individuazione del giudice competente secondo le regole ordinarie; rispetto ai criteri generali degli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., che sono alternativi, la legge speciale non consente alcuna scelta e radica la competenza assumendo come unico parametro il locus commissi delicti, in relazione al quale si determina lo spostamento nella sede vicina appositamente ed obbligatoriamente individuata.

Ciò comporta che il criterio di competenza fissato dall'art. 4, comma 1, cit., è da ritenere dotato di una forza particolare, tale da renderlo prevalente rispetto a quello del foro erariale.

4.3. Si deve a questo punto chiarire, riprendendo l'accenno già fatto in precedenza, che non vi è contrasto tra l'odierna decisione e le tre ordinanze n. 6306, n. 6307 e n. 6308 del 2010 pronunciate da queste Sezioni unite a proposito della l. n. 89 del 2001.

È bene ricordare che tali precedenti si basavano su una norma diversa da quella attuale. L'art. 3, comma 1, della l. n. 89 del 2001, infatti, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 777, della l. n. 208 del 2015 attualmente in vigore, non contiene più alcun riferimento all'art. 11 c.p.p. e dispone che la domanda di equa riparazione sia proposta «al presidente della corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto».

Nei giudizi decisi dalle suindicate ordinanze, inoltre, si trattava di ritardi nella durata del processo riscontrati in giudizi celebrati sia davanti ai giudici ordinari che ai giudici speciali. Ne consegue che il ragionamento svolto dalle Sezioni unite aveva come primo obiettivo quello di dimostrare che il riferimento al termine "distretto" contenuto nella legge citata non doveva essere inteso come esclusivo della magistratura ordinaria. Ma, dopo aver chiarito che la norma era applicabile a tutte le magistrature, le Sezioni unite hanno anche posto in luce che l'interpretazione accolta favoriva «la diffusione del contenzioso sull'intero sistema delle corti di appello, anziché una sua elevata concentrazione su quella di Roma, resa possibile dal fatto di avervi sede gli organi di vertice dei diversi ordini giudiziari, ordinario e speciale». La riprova più evidente è che nel caso deciso dall'ordinanza n. 6307 - in cui si discuteva di eccessiva durata di un giudizio svoltosi tra il TAR di Catanzaro ed il Consiglio di Stato - la competenza è stata radicata nella Corte d'appello di Salerno; mentre in quello deciso dall'ordinanza n. 6306 - in cui si discuteva di eccessiva durata di un giudizio svoltosi tra il Pretore di La Spezia, la Corte d'appello di Genova e la Corte di cassazione - la competenza è stata radicata nella Corte d'appello di Torino. Decisioni, queste, che individuano il giudice in base ai criteri della Tabella A allegata alle norme di attuazione del codice di procedura penale; il che è ovvio, considerando che in quei giudizi erano coinvolti tutti i magistrati che avevano emesso pronunce, per cui la competenza per territorio è stata regolata anche per i magistrati delle giurisdizioni di vertice seguendo il foro competente per i colleghi del merito.

4.4. Concludendo su tale questione, e riprendendo quanto già detto al punto 3.1, ove il giudizio di responsabilità abbia ad oggetto una medesima vicenda e coinvolga l'operato di giudici di merito e di giudici della Corte di cassazione, lo spostamento di competenza di cui all'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988 si applica, in via eccezionale, anche ai giudici di legittimità; si tratta, come detto, di una competenza unica, inderogabile e tale da non consentire al danneggiato alcuna facoltà di scelta.

Simile opzione ermeneutica, tra l'altro, consente di evitare la concentrazione di cause del genere presso un unico distretto e si dimostra per tale ragione in piena sintonia con le ordinanze del 2010 appena richiamate.

Individuazione della competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile promosse nei confronti dei soli magistrati della Corte di cassazione.

5. Rimane da affrontare, a questo punto, un'ulteriore questione, consistente nello stabilire quale sia il criterio di regolazione della competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile che abbiano ad oggetto soltanto l'operato dei magistrati della Corte di cassazione.

Tale ipotesi, è bene ribadirlo, non è quella del giudizio odierno; e tuttavia le Sezioni unite ritengono di dover offrire una parola di chiarezza anche in ordine a questo problema.

La premessa, alla stregua di quanto detto fin qui, è che lo spostamento di competenza dettato dall'art. 4, comma 1, citato non può valere nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione, né in via di interpretazione analogica né estensiva.

La soluzione deriva da quanto si è detto in precedenza in ordine alla mancanza di riferimento e collegamento della Corte di cassazione con il distretto della Corte di appello di Roma.

Osservano peraltro queste Sezioni unite che detto art. 4, attraverso il richiamo all'art. 11 c.p.p., fissa un principio di carattere generale, valevole per tutti i giudizi di responsabilità nei confronti dei magistrati, in forza del quale la competenza territoriale di base, su cui si innesta solo per i magistrati di merito lo spostamento di competenza, è individuata con riferimento esclusivo al forum commissi delicti.

Se la ratio della legge speciale è, come si è visto, nel senso di una centralità del luogo di commissione dell'illecito, tale criterio, pur non costituendo una regola di competenza in relazione all'ipotesi qui in esame, individua comunque un principio generale. Ciò comporta che deve essere esclusa l'operatività del forum destinatae solutionis previsto dall'art. 25 c.p.c., che, nella fattispecie in esame, opera in un modo che potrebbe definirsi limitato, dovendosi comunque assumere come riferimento esclusivo il luogo di commissione dell'illecito.

Ciò significa, in conclusione, che la competenza per territorio in giudizi di questo genere viene a radicarsi presso il Tribunale di Roma.

Le Sezioni unite sono consapevoli del fatto che in questo modo potrebbe, in astratto, porsi un problema di concentrazione del contenzioso presso un'unica sede giudiziaria. Si tratta, però, di un rischio contenuto, perché tale ipotesi riguarda una parte limitata dei giudizi di responsabilità civile, cioè appunto quelli che hanno ad oggetto i comportamenti dei soli magistrati della Corte di cassazione con esclusione di quelli di merito; e la dimensione degli uffici giudiziari romani è tale da poter ragionevolmente assorbire queste cause senza riceverne un contraccolpo eccessivo in termini di carichi di lavoro. D'altra parte, non risponde alla ratio legis consentire alla parte danneggiata una scelta tra diversi fori, creando quel fenomeno che è stato incisivamente in altre occasioni definito come forum shopping.

Il principio di diritto.

6. Le Sezioni unite enunciano, pertanto, il seguente principio di diritto:

«Nei giudizi di responsabilità civile promossi contro lo Stato, ai sensi della l. 17 [recte: 13 - n.d.r.] aprile 1988, n. 117, per il risarcimento dei danni conseguenti a comportamenti, atti o provvedimenti posti in essere da magistrati con dolo o colpa grave nell'esercizio delle loro funzioni, quando più giudici, di merito e di legittimità, cooperino a fatti dolosi o colposi anche diversi nell'ambito della stessa vicenda giudiziaria, la causa è necessariamente unitaria e la competenza per territorio deve essere attribuita per tutti in base al criterio di cui all'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 4, comma 1, della l. n. 117 del 1988; qualora, invece, tale giudizio abbia ad oggetto solo i comportamenti, atti o provvedimenti dei magistrati della Corte di cassazione, non applicandosi in tal caso lo spostamento di competenza previsto dal citato art. 11 c.p.p., la competenza per territorio è attribuita secondo la regola del forum commissi delicti, sicché spetta in ogni caso al Tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 25 c.p.c., quale foro del luogo in cui è sorta l'obbligazione».

La decisione del regolamento di competenza in esame.

7. Si può, dunque, procedere alla soluzione del caso in esame.

Come correttamente ha ricordato l'odierna ricorrente nei motivi di censura, la decisione assunta dal Tribunale di Roma offre il fianco ad evidenti distorsioni. Da un lato, quella di concentrare nel Tribunale perugino, di medie dimensioni, tutte le cause che vedano coinvolti congiuntamente i giudici di merito e quelli di legittimità; con la conseguenza che le cause di questo genere, da qualunque ufficio giudiziario provengano, finirebbero con l'essere devolute alla competenza per territorio di Perugia per il solo fatto che siano coinvolti anche magistrati della Corte Suprema. Conclusione, questa, in evidente contrasto con l'obiettivo di distribuzione territoriale del contenzioso che è alla base delle citate ordinanze di queste Sezioni unite a proposito della cosiddetta legge Pinto. Da un altro lato - portando alle estreme conseguenze l'orientamento seguito dalle ordinanze n. 8997 del 2012 e n. 668 del 2013 di questa Corte, alle quali si è ispirato il Tribunale di Roma - si dovrebbe pervenire al risultato di rimettere al Tribunale di Perugia anche le cause di responsabilità civile che avessero ad oggetto i comportamenti, dolosi o colposi, dei magistrati di quella sede, qualora relativi ad un'unica vicenda giudiziaria che coinvolga anche i magistrati di legittimità. Il che determinerebbe un effetto paradossale in evidente contrasto con lo spirito ed il dettato della l. n. 117 del 1988.

L'ordinanza con la quale il Tribunale di Roma ha declinato la propria competenza in favore del Tribunale di Perugia, pertanto, va cassata, dichiarandosi la competenza per territorio del Tribunale di Roma. Ed è opportuno precisare che tale competenza sussiste perché il giudizio odierno ha ad oggetto comportamenti, asseritamente dolosi e colposi, dei magistrati di questa Corte, nonché del Tribunale e della Corte d'appello di Cagliari; e la sede competente per tale distretto è appunto quella di Roma, ai sensi Tabella A allegata al d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), richiamata dall'art. 1 di detto decreto legislativo agli effetti di quanto stabilito dall'art. 11 c.p.p.

La delicatezza e complessità delle questioni trattate e l'esistenza di incertezze giurisprudenziali in argomento impongono la compensazione integrale delle spese del presente regolamento di competenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l'ordinanza impugnata, dichiara la competenza per territorio del Tribunale di Roma e compensa integralmente le spese del presente regolamento.