Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 11 giugno 2018, n. 15084

Presidente: Napoletano - Estensore: Marotta

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza non definitiva n. 502/2015, la Corte di appello di L'Aquila, decidendo sui reclami principale e incidentale proposti dalla Ventana s.r.l. e da Dragana S., avverso la sentenza del Tribunale di Padova n. 242/2015 (che, nella fase di opposizione ex art. 1, commi 51 e ss., l. n. 92/2012, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato dalla Ventana s.r.l. alla S. e condannato la convenuta a riassumere la lavoratrice o a corrisponderle un'indennità pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto), respingeva l'eccezione di inammissibilità del ricorso in opposizione proposto innanzi al Tribunale dalla S. ritenendo che la domanda di tutela obbligatoria non fosse oggettivamente diversa da quella originariamente proposta in via principale nella fase sommaria dalla lavoratrice (fungendo il limite dimensionale da elemento negativo della fattispecie e non essendo, perciò, fatto costitutivo della stessa e comunque essendo la domanda originaria comprensiva della minor tutela di cui all'art. 8 della l. n. 604/1966) e che anche in sede di procedimento ex art. 1, comma 48, della l. n. 92/2012 potesse essere conosciuta la domanda di tutela obbligatoria. Disponeva per il prosieguo in ordine alle ulteriori questioni oggetto di causa.

1.2. Con sentenza definitiva n. 688/2015, la Corte territoriale respingeva, quindi, nel merito, il reclamo della società e, in accoglimento del reclamo incidentale e in parziale riforma della sentenza del Tribunale, condannava la Ventana s.r.l. a corrispondere alla S., a titolo di'indennità sostitutiva del preavviso, la somma di euro 3.080,31. Confermava il giudizio del Tribunale in merito al ridimensionamento della condotta addebitata alla dipendente (consistita nell'avere la S. inoltrato al proprio indirizzo di posta elettronica personale e-mails intercorse tra la medesima e colleghi e clienti della società) in particolare ritenendo che il controllo disposto dalla società sulla posta elettronica della lavoratrice avesse violato l'art. 4 dello St. lav. con la conseguente inutilizzabilità delle ulteriori e-mails successive alla prima rinvenuta in data 22 maggio 2013 nella casella di posta elettronica in uso alla dipendente. Quanto a tale unica e-mail oggetto di valida contestazione, evidenziava che la dipendente non avesse carpito la corrispondenza di altri né fatto alcun uso improprio delle e-mails ricevute sulla posta dell'azienda o divulgato segreti aziendali o svolto attività concorrenziale con la Ventana s.r.l. ed inoltre riteneva che non vi fosse stato alcun pregiudizio per l'onorabilità e l'immagine della società. Teneva fermo, pertanto, il capo della sentenza del Tribunale che aveva ritenuto sproporzionato il licenziamento in ragione del fatto che l'unico fatto disciplinarmente rilevante (e cioè l'inoltro non autorizzato ad una propria casella di posta elettronica di una e-mail d'ufficio datata 22 aprile 2013) non giustificava il recesso datoriale in mancanza di prova dell'idoneità a ledere il patrimonio e l'immagine aziendale. Riteneva, infine, che la decisione del Tribunale dovesse essere integrata con la condanna della società a corrispondere l'indennità sostitutiva del preavviso, dovuta in caso di tutela obbligatoria.

2. Per la Cassazione di entrambe le sentenze ricorre la Ventana s.r.l. con quattro motivi.

3. Dragana S. resiste con controricorso.

4. La società ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 47 e 48 della l. n. 92/2012 e dell'art. 8 della l. n. 604/1966 (artt. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.) per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che i fatti costitutivi della domanda subordinata fondata sull'art. 8 della l. n. 604/1966 fossero gli stessi della domanda principale fondata sull'art. 18 St. lav. e per aver ritenuto che il limite dimensionale non facesse parte della fattispecie dell'art. 18 dello St. lav.

1.2. Il motivo è infondato.

Questa Corte intende aderire al più recente orientamento costituito da Cass. 13 giugno 2016, n. 12094 che, discostandosi da Cass., 10 agosto 2015, n. 16662, ha optato per un'interpretazione dell'art. 1, comma 48, della c.d. legge Fornero "utile che dia senso e contenuto alla disposizione", alla luce dei principi generali di strumentalità del processo, di economia processuale e di conservazione dell'efficacia degli atti processuali. Ha così innanzitutto chiarito che non si può condividere l'opinione di chi sostiene che la domanda di impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dalla l. n. 604/1966 sia fondata su fatti costitutivi diversi da quella fondata sull'art. 18 dello Statuto, in quanto il requisito dimensionale dell'impresa non è un elemento costitutivo della domanda del lavoratore (v. Cass., sez. un., 10 gennaio 2016, n. 141). Ha così affermato che la domanda di tutela avverso il licenziamento nelle ipotesi regolate dall'art. 18 St. lav. e quella avente ad oggetto l'impugnativa del medesimo recesso cui possa essere, in via subordinata, riconosciuta la tutela di cui all'art. 8 della l. n. 604/1966, possano essere proposte in unico ricorso, con rito ex art. 1, comma 48, della l. n. 92/2012, in quanto fondate sugli stessi fatti costitutivi, poiché la dimensione dell'impresa non è un elemento costitutivo della domanda del lavoratore, e, la prospettata interpretazione estensiva della disciplina di cui alla l. n. 92/2012, consente di evitare la parcellizzazione dei giudizi in modo che da un'unica vicenda estintiva del rapporto di lavoro possa scaturire un unico processo.

2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 48 della l. n. 92/2012, dell'art. 2118 c.c. (360, nn. 3 e 4, c.p.c.) per avere la Corte territoriale erroneamente applicato il c.d. "rito Fornero" per la domanda subordinata relativa all'indennità sostitutiva del preavviso.

2.2. Il motivo è infondato per quanto già evidenziato con riguardo al primo motivo di ricorso.

Questa Corte ha, peraltro, esplicitamente affermato che nel caso di impugnativa di licenziamento, secondo il rito di cui all'art. 1, comma 48, della l. n. 92/2012, è ammissibile la proposizione in via subordinata, da parte del lavoratore, delle domande di pagamento del t.f.r. e dell'indennità di preavviso, in quanto nascenti dalla cessazione del rapporto, e quindi fondate su fatti costitutivi già dedotti, sicché il relativo esame non comporta un indebito ampliamento del tema sottoposto a decisione, ed evita il frazionamento dei processi o pronunce in mero rito, permettendo, al contrario, che un'unica vicenda estintiva del rapporto di lavoro dia luogo ad un unico processo (v. Cass. 12 agosto 2016, n. 17091).

3.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., dell'art. 3 della l. n. 604/1966 e dell'art. 4 St. lav. (art. 360, n. 3, c.p.c.) per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che la condotta della dipendente non era illecita e per aver conseguentemente escluso il legittimo ricorso del datore di lavoro al controllo difensivo.

3.2. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha escluso la liceità dei controlli effettuati dalla società datrice di lavoro sulla base di un'indagine di fatto concernente la pregressa condotta della lavoratrice che avrebbe asseritamente giustificato i controlli medesimi.

Così, svolto un accertamento non surrogabile in questa sede, ha ritenuto che non fosse stato posto in essere un comportamento antigiuridico idoneo a ledere il patrimonio aziendale ed altresì che non vi fosse stato un qualche pregiudizio per l'azienda derivante dall'unica e-mail girata dalla lavoratrice a se stessa.

Ed allora non vi è stata alcuna violazione dell'[art.] 4 St. lav. posto che il campo di applicazione dell'attività di controllo dallo stesso prevista (al di fuori delle garanzie procedurali imposte dal secondo comma della medesima norma) non ha ad oggetto la prestazione lavorativa ed il suo esatto adempimento ma presuppone l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente non in quanto tali ma solo se idonei a ledere l'immagine e il patrimonio aziendale sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti (nella specie esclusi) - v. Cass. 27 maggio 2015, n. 10955; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722 -.

4.1. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Lamenta il mancato esame dei documenti 5 ("nomina incaricato" del 6 settembre 2006) e 7 (e-mail del 23 settembre 2010 ricevuta anche dalla S.) su cui si fondava il reclamo e che avrebbero provato l'illiceità del fatto commesso.

4.2. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.

Ai sensi dell'art. 348-ter, comma 4 e 5, c.p.c., allorquando la sentenza d'appello confermi la decisione di primo grado il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 del primo comma dell'art. 360 c.p.c.

Questa Corte ha già affermato (v. Cass. 29 ottobre 2014, n. 23021), con indirizzo cui s'intende dare in questa sede continuità, l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 348-ter c.p.c. alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo ex art. 1 l. n. 92/2012. A tale riguardo ha evidenziato come la normativa di riferimento non disciplini il contenuto dell'atto di reclamo, introduttivo del giudizio di secondo grado e che vi è dunque integrazione della disciplina - pur speciale - dettata dalla l. n. 92/2012, art. 1, commi 58 e 61, con quella dell'appello nel rito del lavoro; dalla integrazione deriva la applicazione anche dell'art. 348-ter c.p.c., ed in particolare - per quanto in questa sede rileva - della modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia c.d. "doppia conforme".

A tenore dell'art. 348-ter, comma 5, c.p.c. il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. "doppia conforme", come nella fattispecie di causa.

La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall'11 settembre 2012 (art. 54, comma 2, d.l. n. 83/2012); nel presente giudizio il reclamo è stato depositato in data 8 maggio 2015.

Nel motivo, inoltre, i documenti che si richiamano sono indicati come allegati al reclamo ma non è detto quali deduzioni siano state specificamente formulate in relazione agli stessi né è riprodotto il reclamo nella parte utile a reggere le censure.

In ogni caso il motivo sottopone alla Corte profili relativi al merito della valutazione delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità, quando - come nel caso di specie - risulta che il giudice di merito ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la sua decisione, sicché deve escludersi tanto la "mancanza assoluta della motivazione sotto l'aspetto materiale e grafico", quanto la "motivazione apparente", o il "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili", figure queste - manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione - che circoscrivono l'ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell'art. 360 c.p.c. operata dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori - ai sensi del nuovo testo del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. - non integra, di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Peraltro i rilievi di cui al motivo sono, a monte, assorbiti dalla circostanza che la Corte territoriale, o[l]tre ad evidenziare che la e-mail rispetto alla quale la società pretendeva di aver legittimamente esercitato il controllo ai sensi dell'art. 4 St. lav. fosse priva di un contenuto riservato, ha escluso della stessa ogni diffusione extraziendale (tale e-mail, infatti, che era già nella disponibilità della S., è stata solo inoltrata sulla propria posta elettronica personale, non su quella di altri soggetti estranei o esterni all'ufficio).

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

6. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

7. Va dato atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%, da distrarsi in favore dell'avv. Silvia Vettori, anticipatario.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.