Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 12 giugno 2018, n. 15339

Presidente: Matera - Relatore: Penta

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., V. Emanuela conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino la Coges S.p.A., chiedendo: accertarsi l'usurarietà del contratto di prestito (dal punto di vista del t.a.e.g.) del 14 maggio 2004 da lei stipulato con la convenuta; dichiararsi che nulla doveva alla Coges per interessi, commissioni, spese e remunerazioni a qualsivoglia titolo previste nel detto contratto di prestito; dichiararsi nulla e inefficace o, comunque, invalida la cessione pro solvendo delle quote della retribuzione mensile di cui era creditrice nei confronti del proprio datore di lavoro (l'Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista di Torino); condannarsi la Coges S.p.A. alla restituzione della somma di euro 3.793,82, pari alla differenza fra quanto da lei già corrisposto e la somma mutuata in forza del contratto di prestito.

Si costituiva in giudizio la Coges S.p.A., contestando le pretese avversarie e richiedendo la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 75 c.p.p. e il rigetto delle domande della ricorrente.

Nel corso dell'istruttoria veniva disposta una consulenza tecnica d'ufficio di natura contabile.

Con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., emessa in data 21 luglio 2011, il Tribunale condannava la Coges a pagare alla V. la somma di Euro 11.151,66, oltre interessi; poneva, inoltre, a carico della Coges le spese di lite e i costi di ctu.

Segnatamente il Tribunale sosteneva che, ai sensi dell'art. 644 c.p., occorreva tener conto del Taeg, inclusivo dei costi assicurativi, e non già del Teg, il che, eseguiti tutti i conteggi e le compensazioni tra i rispettivi crediti delle parti, comportava la determinazione della somma poi indicata nel dispositivo.

Con atto notificato in data 4 gennaio 2012, la Coges s.p.a. proponeva appello avverso il detto provvedimento, chiedendone la riforma e riproponendo le questioni già trattate in primo grado.

L'appellante assumeva che: essendo pendente un procedimento penale a carico del legale rappresentante della Coges per addebiti relativi agli stessi fatti, si sarebbe dovuto sospendere il processo ex art. 75, comma 3, c.p.p.; la consulenza era affetta da nullità, avendo il perito tenuto conto delle osservazioni dei consulenti della V.; seguendo le istruzioni della Banca d'Italia, si sarebbe dovuto aver riguardo al Teg, non inclusivo dei costi assicurativi comunque imposti dalla legge, dovendosi, per l'effetto, ricalcolare il tasso medio di riferimento; in ogni caso, la V. avrebbe dovuto sostenere i costi connessi alle spese e alle commissioni.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 10 febbraio 2014, ha dichiarato inammissibile il gravame sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che in sede di comparsa conclusionale la difesa dell'appellata aveva eccepito l'inammissibilità dell'appello sulla base della produzione di una certificazione della cancelleria attestante la data di comunicazione dell'ordinanza impugnata, occorreva procedere all'accertamento d'ufficio, pieno e del tutto autonomo, dell'esistenza e della portata del giudicato interno, a seguito del diretto riesame degli atti del processo e tramite accertamenti anche di fatto disposti dall'autorità giudiziaria decidente;

2) pertanto, a seguito di segnalazione della parte, la Corte ben avrebbe potuto richiedere l'attestazione prodotta tardivamente dagli appellati;

3) dall'attestazione prodotta emergeva che in data 25 luglio 2011 era stata "notificata", per via telematica, per esteso l'ordinanza oggetto di gravame, sicché non si era in presenza della mera segnalazione di deposito del provvedimento;

4) l'appello non era, pertanto, stato notificato entro il termine di 30 giorni decorrenti dal 25 luglio 2011, pur considerando la sospensione feriale dei termini processuali.

Per la cassazione della sentenza di primo grado ha proposto ricorso la Coges s.p.a., sulla base di un unico motivo. V. Emanuela ha resistito con controricorso.

In prossimità dell'udienza, poi differita, con ordinanza interlocutoria, all'udienza camerale del 13 aprile 2018, la resistente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l'unico, articolato motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 325, 327, 345 e 702-quater c.p.c. e 2697 c.c. (con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per aver la corte d'appello dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione sulla base di documentazione irrilevante a tal fine, tardivamente prodotta ed irritualmente presa in esame in violazione anche del generale principio del contraddittorio.

In particolare, la ricorrente sostiene che la corte territoriale non avrebbe considerato che la certificazione di cancelleria era stata prodotta dalla controparte solo con la comparsa conclusionale e che si trattava di un mero documento equipollente alla comunicazione, da parte della cancelleria, dell'ordinanza emessa all'esito del procedimento sommario (e non già della copia autentica del provvedimento impugnato con la relata di avvenuta notificazione).

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di impugnazione, incombe sulla parte cui sia stato notificato l'atto di impugnazione entro il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c., qualora eccepisca la necessità dell'osservanza del termine breve e l'avvenuto superamento del medesimo, l'onere di provarne il momento di decorrenza, a tal fine producendo copia autentica della sentenza impugnata corredata della relata di notificazione nonché - in caso di notificazione a mezzo posta - dell'avviso di ricevimento della raccomandata, che non ammette equipollenti, con la conseguenza che la mancata produzione di tali documenti determina l'inesistenza della notifica della sentenza, impedendo il decorso del termine breve di impugnazione (Sez. 6-3, Ordinanza n. 25062 del 7 dicembre 2016).

In particolare, se è vero che è onere dell'impugnante dare la prova della tempestività dell'impugnazione, tuttavia, a norma dell'art. 2697 c.c., la parte che nell'impugnazione di una sentenza intenda avvalersi del termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c. ha solo l'onere di dimostrare - attraverso la produzione della sentenza munita della certificazione della sua pubblicazione - che questa è avvenuta entro l'anno precedente l'atto impugnatorio e non anche che la sentenza stessa non le sia stata notificata (prova negativa impossibile, non prevedendo il sistema processuale l'annotazione, sull'originale della sentenza, della sua notificazione, ma solo - all'art. 123 disp. att. c.p.c. - della sua eventuale impugnazione; cfr. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7761 del 5 aprile 2011).

Tuttavia, i principi in precedenza riportati devono essere adattati al nuovo processo civile telematico, in virtù del quale la relata di notifica è sostituita dalla ricevuta di avvenuta consegna generata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario.

È opportuno, in proposito, evidenziare che la novella del secondo comma dell'art. 133 c.p.c., operata con l'art. 45, comma 1, lett. b), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni in l. 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 c.p.c., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come l'art. 702-quater, primo comma, c.p.c., nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre l'appello avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell'ordinanza), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, senza che rilevi che la comunicazione sia integrale o meno (Sez. 6-3, Ordinanza n. 23526 del 5 novembre 2014).

Orbene, nel caso di specie, la ricorrente, a pagina 21 del ricorso, si è limitata a riprodurre la prima pagina del documento richiamato nella sentenza impugnata (che, effettivamente, si limita a dare atto dell'avvenuta notifica, in data 26 luglio 2011, dell'ordinanza ai difensori delle parti a mezzo pec), e non anche la seconda pagina, che corrisponde, invece, alla copia del registro telematico dal quale risulta l'avvenuta consegna, in data 25 luglio 2011, mediante pec dell'ordinanza ex art. 702-quater c.p.c. all'indirizzo indicato dai difensori delle parti negli atti di causa.

Da ciò consegue che, essendo stato l'atto di citazione in appello notificato in data 28 dicembre 2011, il gravame era senz'altro tardivo.

1.2. Resta da scrutinare se il deposito, avvenuto solo con la comparsa conclusionale in secondo grado, del predetto documento della cancelleria dovesse considerarsi tardivo.

L'esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d'ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo (tale principio è stato affermato da Sez. 6-1, Ordinanza n. 12159 del 6 giugno 2011 ai sensi dell'art. 360-bis, primo comma, c.p.c.). In particolare, il giudicato va assimilato agli elementi normativi, cosicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell'esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, e gli eventuali errori interpretativi sono sindacabili sotto il profilo della violazione di legge (Sez. 1, Sentenza n. 21200 del 5 ottobre 2009). L'accertamento del giudicato, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23 dicembre 2010).

Allorché l'impugnante nulla abbia provato in ordine alla comunicazione dell'ordinanza che ha deciso un procedimento sommario ordinario, il giudice d'appello può accertare d'ufficio tale questione "anche attingendo informazioni d'ufficio". Pertanto, ove - in esito a tale accertamento - risulti che il provvedimento sia stato regolarmente comunicato all'impugnante, il termine per impugnare non è quello previsto dall'art. 327 c.p.c., bensì quello di cui all'art. 325, comma 1, c.p.c. (cfr., in tal senso, in una fattispecie del tutto analoga, Sez. 6-3, Ordinanza n. 24666 del 19 ottobre 2017).

In ogni caso, le Sezioni unite di questa Corte hanno già avuto modo di chiarire che il rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Sez. un., Ordinanza interlocutoria n. 10531 del 7 maggio 2013; conf. Sez. 3, Sentenza n. 4548 del 26 febbraio 2014).

Deve, pertanto, ormai ritenersi superato quell'orientamento secondo cui il potere di rilevazione, anche d'ufficio, delle eccezioni in senso lato poteva essere esercitato dal giudice d'appello solo sulla base di elementi probatori ritualmente e tempestivamente allegati agli atti (Sez. lav., Sentenza n. 2420 del 1° febbraio 2013).

2. In definitiva, il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei resistenti, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per spese, oltre rimborso del 15% per spese forfettarie ed accessori di legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002.