Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 15 giugno 2018, n. 15762

Presidente: Travaglino - Estensore: Di Florio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Antonio S. evocò in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, Fabrizio P. (medico oculista) e la Igea s.r.l. e, premesso di essere stato sottoposto ad un intervento chirurgico postraumatico per cataratta ad occhio sinistro con rimozione e sostituzione del cristallino dal quale, oltre a complicazioni infettive, era derivata una grave compromissione del visus, chiedeva che le parti convenute fossero condannate al risarcimento del danno per responsabilità professionale da colpa medica e per la violazione del suo diritto all'autodeterminazione, non avendo preventivamente prestato il suo consenso informato.

Il Tribunale accolse la domanda condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno per entrambe le voci dedotte oltre alle spese di lite.

2. La Corte d'Appello di Torino, in riforma della sentenza impugnata, respinse la domanda del S., ritenendo che sulla base delle prove documentali ammesse in appello dovesse escludersi sia la mancanza di consenso informato, sia la responsabilità del medico e della struttura per i danni da lui subiti in conseguenza dell'intervento chirurgico al quale era stato sottoposto.

3. Antonio S. ricorre per la cassazione della predetta sentenza affidandosi a quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

MOTIVI DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la nullità della sentenza e la violazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c., in quanto la Corte territoriale aveva ammesso la produzione della dichiarazione contenente il consenso informato, ritenendo che il dedotto tardivo rinvenimento di essa nella cartella clinica costituisse una causa idonea a superare le preclusioni sancite dalla norma sopra richiamata.

Con il secondo, ex art. 360, n. 5, c.p.c., lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo per la soluzione della controversia e cioè l'intestazione del consenso informato ad un medico diverso dalla persona del convenuto che aveva eseguito l'intervento chirurgico.

Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., erroneamente applicati nell'escludere l'inadempimento professionale rispetto alle complicazioni insorte, in violazione della corretta ripartizione degli oneri probatori.

Con la quarta censura, ex art. 360, n. 3, c.p.c., denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 92 c.p.c. e 2495 c.c. per essere stato condannato, a seguito della riforma della sentenza, a restituire le spese di lite alla Provincia Italiana Figlie della Sapienza intervenuta in giudizio in qualità di socio unico della Igea s.r.l., cancellata dal registro delle imprese dopo il deposito della sentenza di primo grado e prima della proposizione dell'appello: assume che, pertanto, la parte intervenuta non aveva titolo per far valere il diritto alla rifusione delle spese sopportate dalla società cessata.

2. I primi due motivi devono essere congiuntamente esaminati per la stretta connessione logica.

Il primo motivo è fondato ed il secondo è logicamente assorbito.

La Corte territoriale ha respinto la domanda del S. per violazione del diritto all'autodeterminazione ammettendo in grado d'appello la produzione del modulo avente per oggetto l'informativa per l'intervento di cataratta sottoscritto dal paziente: l'ammissione della prova documentale tardivamente versata in atti è fondata sulla ritenuta idoneità della giustificazione allegata dalla parte e cioè il temporaneo smarrimento del documento che sarebbe stato inserito per errore in altra cartella clinica.

Tanto premesso, questa Corte rileva che, a seguito della modifica dell'art. 345, comma 3, c.p.c. che ha eliminato la possibilità di produrre tardivamente i documenti ritenuti "indispensabili" ai fini della decisione, è consentito dare ingresso in grado d'appello soltanto a prove che la parte dimostri di non aver tempestivamente prodotto per "causa a sé non imputabile".

2.2. Al riguardo è stato affermato, con orientamento al quale questo Collegio intende dare seguito, che "nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c., quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012 (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l'11 settembre 2012), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l'"indispensabilità" degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile" (cfr. Cass. 26522/2017).

La valutazione della giustificazione addotta rientra nei compiti del giudice di merito che deve darne logica e coerente motivazione, in mancanza della quale può ricorrere il vizio di nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c.

Il concetto di "causa a sé non imputabile" deve essere ricondotto a ragioni ascrivibili a circostanze estranee alla sfera di controllo dell'interessato e non può essere dilatato sino a ricomprendere fatti dipendenti dalla negligenza organizzativa della parte, soprattutto nei casi, come quelli che interessano una struttura sanitaria ed il medico in essa operante, in cui la "buona organizzazione" dovrebbe essere uno dei tratti caratterizzanti della professionalità in discussione: conseguentemente la ragione allegata nel caso in esame a sostegno della tardiva produzione (e cioè aver rinvenuto il documento in altra cartella clinica) non può certamente configurare un impedimento "non imputabile alla parte onerata", dovendo essere ascritto ad una negligente conservazione della documentazione clinica che, in assenza di specifiche e peculiari ragioni rinvenibili in cause di forza maggiore o in fatti estranei al loro operato (ragioni mai allegate), non può che essere imputata alla struttura sanitaria ed al medico interessato: la motivazione resa dalla Corte Torinese, dunque, vanifica del tutto la portata della più stringente formulazione della norma introdotta con la novella del 2012 e si traduce in una motivazione apparente rispetto ai limiti contenuti nell'art. 345 c.p.c. novellato e, dunque, nel vizio di cui all'art. 360, n. 4, c.p.c.

La sentenza, in parte qua, deve pertanto essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Torino che dovrà riesaminarla alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati e di quanto questa Corte ha già avuto modo recentemente di chiarire (cfr. Cass. 7248/2018) in materia di consenso informato.

3. Il terzo motivo è inammissibile.

Con esso il ricorrente critica l'interpretazione del nesso causale elaborata dalla Corte territoriale rispetto alle conseguenze imprevedibili dell'intervento chirurgico, assumendo che l'oculista non aveva comunque assolto l'onere della prova a suo carico e contestando la diversa valutazione che la Corte d'Appello aveva espresso rispetto al convincimento del Tribunale.

Il motivo, ricondotto in rubrica alla violazione di legge con riferimento alle norme poste a presidio della diligenza dell'adempimento e della responsabilità del debitore nell'ambito di una prestazione professionale (artt. 1176 e 1218 c.c.), maschera in realtà una richiesta di rivalutazione delle prove assunte che, invero, la Corte territoriale ha compiuto dando conto in motivazione (cfr. pag. IX, X e XI della sentenza impugnata) sia delle deposizioni testimoniali (dell'assistente di studio del medico ma anche di un'amica del paziente) sia delle risultanze della CTU medico legale ed esprimendo, con ciò, una valutazione complessiva e non atomistica delle risultanze processuali che non è sindacabile in sede di legittimità.

4. Il quarto motivo, concernente la contestata liquidazione delle spese di lite, rimane logicamente assorbito dall'accoglimento della prima censura.

La Corte di rinvio dovrà decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo ed il quarto, e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Torino in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.