Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 5 luglio 2018, n. 17586
Presidente: Chiarini - Estensore: Di Florio
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Angelo F. evocò in giudizio dinanzi al giudice di pace di Roma la H3G e, premesso di aver sottoscritto in data 21 aprile 2005 una proposta di abbonamento per telefono mobile con l'opzione Mobile Number Portability (da ora MNP) e che detto servizio non era mai stato attivato dal nuovo gestore, chiedeva che venisse dichiarata la risoluzione della proposta di abbonamento per grave inadempimento contrattuale, azzerando gli oneri a proprio carico successivi alla comunicazione di recesso, con condanna della società convenuta al risarcimento dei danni da lui subiti.
2. Il primo giudice accolse tutte le domande dell'attore, respingendo la riconvenzionale spiegata della H3G.
Il Tribunale di Roma riformò la sentenza impugnata, condannando il F. anche al pagamento di quanto dovuto per le fatture insolute.
3. Il ricorso avverso la predetta sentenza è affidato ad otto motivi.
La H3G ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 33, commi 1 e 2, lett. b), 34, commi 1 e 5, 20, 21, 22 Codice del consumo e dell'art. 3 Direttiva CEE 13/1993. Lamenta che il Tribunale aveva omesso di considerare che il F. era stato qualificato come consumatore dal primo giudice, che tale statuizione era rimasta incontestata e che da ciò non era stata tratta alcuna conseguenza in relazione alla vessatorietà delle clausole contenute nel contratto stipulato.
Censura altresì la decisione nella parte in cui aveva ritenuto che l'opzione MNP avesse carattere accessorio.
2. Con gli altri motivi il ricorrente propone le seguenti doglianze, sintetizzate sulla base della loro connessione logica:
a) ex art. 360, n. 5, c.p.c., deduce l'omesso esame del fatto decisivo e discusso fra le parti concernente la massiccia pubblicità ingannevole sulla clausola MNP, di cui il giudice d'appello non aveva affatto tenuto conto (secondo motivo); ed, ex art. 360, n. 3, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1381 c.c. e 106 c.p.c. in quanto il giudice d'appello non aveva tenuto conto che nel corso della campagna pubblicitaria, il nuovo gestore si era impegnato per il fatto di un terzo e ne era pertanto responsabile (quarto motivo);
b) ex art. 360, n. 3, c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2702, 2707 ed art. 345 c.p.c.: lamenta che il Tribunale aveva erroneamente valutato la condotta dell'HG3, ritenendo solo sulla base di documenti provenienti dalla parte interessata e destinati al soggetto terzo donating (TIM) che avesse adempiuto all'obbligo assunto (come recipient) con l'opzione sottoscritta (terzo motivo); e, con riferimento agli artt. 1218, 1337, 1176 c.c., assume che il giudice aveva erroneamente individuato le attività che connotavano l'adempimento del recipient, con ciò interpretando restrittivamente le condizioni generali di contratto (quinto motivo) ed omettendo di esaminare la disciplina della Delibera 4/CIR/99 che dettava le "Regole per la fornitura della portabilità del numero fra operatori" (sesto motivo);
c) ex art. 360, n. 3, c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1455 c.c., avendo il giudice omesso di considerare l'importanza che la trasferibilità del numero assumeva nell'intero contratto (settimo motivo, strettamente collegato al primo);
d) ex art. 360, n. 5, c.p.c., censura l'omesso esame di un fatto decisivo e cioè la sostanziale confessione, contenuta negli scritti difensivi della H3G in ordine alla avvenuta disattivazione dell'utenza già dal dicembre 2005, con la conseguente ingiusta condanna al pagamento delle fatture emesse in epoca successiva (ottavo motivo).
Il primo motivo è fondato.
Si osserva, infatti, quanto segue.
Il giudice d'appello, nel ribaltare la sentenza di primo grado, ha statuito, focalizzando la sua indagine soltanto sulla formulazione letterale delle condizioni generali di contratto, che:
1) la clausola MNP - descritta come un servizio che consente al cliente di cambiare l'operatore di telefonia, mantenendo lo stesso numero telefonico - conteneva un obbligo che risultava "accessorio" rispetto a quello principale di fornitura del servizio di telecomunicazione e non poteva, quindi, essere considerata essenziale;
2) essa prevedeva, per la sua realizzazione, anche la condotta positiva e collaborativa del gestore donating (TIM) visto che le attività che doveva svolgere il recipient erano, di per sé, insufficienti per la realizzazione del trasferimento; assumeva che, comunque, risultava pacifico dagli atti che la HG3 le avesse compiute per la parte di sua competenza (pag. 7 sentenza);
3) il contratto, quindi, non poteva essere dichiarato risolto per inadempimento ed a ciò conseguiva anche la riforma della statuizione risarcitoria del primo giudice, nonché la condanna al pagamento degli importi portati nelle fatture rispetto alle quali il ricorrente risultava inadempiente.
La prima censura proposta ha per oggetto la violazione delle norme del codice del consumo richiamate sub 1 e dell'art. 3 della Direttiva CEE 13/1993.
Al riguardo, deve precisarsi che il rapporto contrattuale ebbe a svolgersi in epoca antecedente all'entrata in vigore (23 ottobre 2005) del d.lgs. 206/2005, in cui, tuttavia, i contratti stipulati dai consumatori godevano della speciale tutela introdotta dall'art. 25 della l. 52/1996, di attuazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio delle Comunità Europee, concernente le clausole abusive: tale disposizione introdusse gli artt. 1469-bis, ter, quater, quinquies e sexies c.c., attraverso la presunzione di vessatorietà delle pattuizioni che, malgrado la buona fede ma in presenza di alcuni presupposti, potessero alterare il sinallagma contrattuale nei contratti fra consumatore e professionista, con conseguenze pregiudizievoli per il contraente più debole.
La censura mossa dal ricorrente nel primo motivo coglie, dunque, nel segno ma deve essere riferita alla normativa codicistica vigente prima dell'entrata in vigore del codice del consumo che contiene, tuttavia, per ciò che interessa in questa sede, principi ad esso sovrapponibili e trasposti dalla direttiva comunitaria sopra richiamata.
Il Tribunale, nel riformare la sentenza del giudice di pace che aveva qualificato il F. come "consumatore", ha deciso la controversia omettendo di formulare ogni valutazione sulla qualità del contraente, anche in presenza di specifica contestazione (v. pag. 18 ricorso), e analizzando le condizioni di contratto senza alcun riferimento alla normativa allora vigente che risulta, in tal modo, violata: al riguardo, precisato che la qualificazione dei contraenti appare decisiva al fine di individuare la regola del caso concreto, si osserva che questa Corte ha avuto modo di chiarire che "ai fini dell'applicazione della disciplina di cui agli artt. 1469-bis e segg. c.c., deve essere considerato "consumatore" la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di tale attività, mentre deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto "nel quadro" della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del "professionista" non è necessario che il contratto sia posto in essere nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, essendo sufficiente - come si evince dalla parola "quadro" - che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale" (cfr. ex multis Cass. 11933/2006; Cass. 4208/2007; Cass. 13083/2007; Cass. 21763/2013).
Ed è stato altresì statuito che tale valutazione compete al giudice di merito essendo la premessa necessaria della decisione (cfr. Cass. 25212/2011); che, inoltre, trattasi di questione rilevabile d'ufficio (v. al riguardo anche Corte di Giustizia C-243/08 del 4 giugno 2009, Budaörsi Városi Bíróság - Ungheria / Pannon GSM Zrt/Erzsébet Sustikné Gyórfi).
Poiché la censura espressa nel primo motivo costituisce la necessaria premessa per il corretto inquadramento di tutti gli altri rilievi - con particolare riferimento all'applicabilità, alla clausola MPN in esame, dell'art. 1469-bis, nn. 4, 15 e 20, c.c.; al valore di essa (accessorio o essenziale) nell'economia dell'intero contratto; alla responsabilità del gestore recipient in relazione alle omissioni del donating (anche sotto il profilo degli obblighi di cui all'art. 1381 c.c.: cfr. al riguardo Cass. 16225/2003; Cass. 24853/2014) - all'accoglimento di esso segue l'assorbimento di tutti gli altri.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e rinviata al Tribunale di Roma, in persona di diverso giudice, il quale dovrà riesaminare l'intera controversia alla luce del seguente principio di diritto: "Nell'ambito dei contratti di telefonia mobile, al fine di valutare le pattuizioni contenute nelle condizioni generali di contratto e nelle opzioni prescelte dall'utente, il giudice deve preliminarmente, anche d'ufficio, individuare la qualità dei contraenti al fine di valutare correttamente, alla luce del principio sinallagmatico, l'eventuale squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dalle clausole stipulate e la loro vessatorietà con tutte le conseguenze da ciò derivanti".
Il giudice di rinvio dovrà altresì decidere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.