Corte di cassazione
Sezione I penale
Ordinanza 29 maggio 2018, n. 29562

Presidente e Relatore: Di Tomassi

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe, pronunciata nel corso dell'udienza dibattimentale del 28 febbraio 2018, il Tribunale di Lecce respingeva la richiesta di immediata declaratoria di estinzione, ex art. 162-ter c.p., del reato di truffa contestato all'imputato Daniel T., disponendo procedersi all'apertura del dibattimento e all'articolazione delle richieste di prova.

A ragione osservava che, sebbene non risultasse formalmente richiamato nel capo d'imputazione l'art. 61, comma primo, n. 7, c.p., il fatto contestato doveva ritenersi aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravità, in ragione dei valori economici indicati nello stesso capo d'imputazione, e dunque procedibile d'ufficio. Cosa che escludeva l'applicabilità della causa di estinzione per condotte riparatorie introdotta con l'art. 162-ter c.p. dal legislatore del 2017.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il T. a mezzo del difensore avv. Fulvio Pedone, denunziandone l'abnormità e chiedendone, per l'effetto, l'annullamento.

Afferma, nella sostanza, la congruità delle riparazioni offerte e il clamoroso errore processuale in cui sarebbe incorso il giudice del merito nel ritenere - in contrasto con la contestazione formale - il reato di truffa aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché ha ad oggetto un'ordinanza dibattimentale che, ai sensi dell'art. 586 c.p.p., non è autonomamente impugnabile, essendo invece appellabile solo unitamente alla sentenza di primo grado (cfr., sul tema, in generale, della non autonoma impugnabilità delle ordinanze [con] cui viene respinta la richiesta di proscioglimento anticipato: Sez. 3, n. 35201 del 10 aprile 2017, Rv. 270682; Sez. un., n. 33216 del 31 marzo 2016, Rv. 267237; e, in relazione all'analogo regime previsto dal codice di procedura del 1930: Sez. 2, n. 72 del 19 gennaio 1976, Rv. 133028; Sez. 4, n. 1957 del 24 novembre 1981, Rv. 152068; Sez. 5, n. 5538 del 9 dicembre 1987, Rv. 177961), e che non può in alcun modo ritenersi abnorme.

2. Deve difatti, con riferimento all'istituto in esame, essere ribadito, non solo che nessuna disposizione ne autorizza l'immediata e autonoma impugnabilità, che deve dunque ritenersi soggetta alla regola dell'art. 586 c.p.p., ma che sarebbe assolutamente "irragionevole" ammettere l'impugnabilità immediata dell'ordinanza di rigetto della richiesta di estinzione del reato per condotte riparatorie in assenza di previsione alcuna che autorizzi la sospensione del processo in pendenza dell'impugnazione (cfr., mutatis, Sez. un., n. 33216 del 2016).

3. Quanto alla dedotta abnormità, non basta certamente ad integrarla l'esistenza, ipotizzata, di un errore, per quanto in tesi grave, in cui potrebbe essere incorso il giudice. Perché un provvedimento possa definirsi "abnorme", occorre infatti: o che esso sia stato assunto in assenza di potere; ovvero che risulti affetto da irrimediabile anomalia funzionale, tale da determinare una insanabile situazione di stallo processuale.

E nessuna delle due situazioni ricorre per l'ipotesi di rigetto della richiesta di proscioglimento anticipato avanzata in limine al dibattimento ai sensi dell'art. 469 c.p.p., o nel corso del dibattimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perché si tratta di provvedimento che il giudice ha la potestà di adottare e che è ampiamente giustiziabile con la decisione finale di merito.

Mentre una irragionevole situazione di stallo o di contrasto di giudicati potrebbe all'inverso essere determinata proprio dall'immediato ricorso.

In sintesi, dunque, l'ordinanza emessa in dibattimento (all'inizio o nel corso), di rigetto della richiesta di estinzione del reato, per condotte riparatorie o per qualsiasi altra ragione, comunque motivata, collocandosi all'interno del sistema processuale e non determinando alcuna stasi del procedimento, non può - per definizione - considerarsi affetta da abnormità alcuna, strutturale o funzionale, e non è perciò mai autonomamente impugnabile.

4. L'inammissibilità deve dunque essere dichiarata de plano, ai sensi degli artt. 610, comma 5-bis, e 591, comma 1, lett. b), c.p.p., e ad essa consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione in favore della cassa delle ammende che si stima adeguato determinare in euro duemila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 28 giugno 2018.

A. Bartolini e al. (curr.)

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