Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 8 agosto 2018, n. 20647

Presidente: Petitti - Estensore: Criscuolo

FATTI DI CAUSA

M. Gloria proponeva opposizione innanzi al Tribunale di Milano avverso l'ordinanza con la quale il Ministero dell'Economia e delle Finanze le aveva ingiunto, in solido con Intrafid S.r.l., società fiduciaria appartenente al gruppo bancario Popolare di Intra, poi confluito nel gruppo Veneto Banca, il pagamento di una sanzione amministrativa pari ad euro 6.711.183,00, in quanto ritenuta responsabile, unitamente ai presidenti del consiglio di amministrazione ed all'altro amministratore delegato della società, D.G. Marco, dell'illecito di cui all'art. 3 della l. n. 197/1991, all'esito di accertamenti eseguiti dall'Ufficio Italiano Cambi che aveva riscontrato una serie di operazioni sospette della società, in relazione alle quali gli ingiunti non avevano provveduto a trasmettere le prescritte segnalazioni.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 4247/2014 del 31 marzo 2014 rigettava l'opposizione, ed avverso tale pronuncia proponeva appello la M.

La Corte d'Appello di Milano, nella resistenza del Ministero, rigettava l'appello con la sentenza n. 4000 del 16 dicembre 2014.

Dopo avere respinto il motivo di appello, con il quale si lamentava la violazione dell'art. 7 del d.lgs. n. 56/2004 per l'assenza del parere dell'UIC, atteso che nella fattispecie la stessa segnalazione dell'illecito proveniva da accertamenti compiuti dall'organo deputato a fornire il parere, disattendeva altresì il motivo di appello volto a reiterare la denuncia della violazione dell'art. 14 della l. n. 689/1981, ritenendo i giudici di appello che la contestazione fosse avvenuta tempestivamente avuto riguardo al tempo necessario per completare gli accertamenti, non potendosi a tal fine fare riferimento alla data in cui erano terminati gli accertamenti ispettivi presso la società.

Passando quindi alla disamina della dedotta violazione dell'art. 3 della l. n. 197/1991, sotto il profilo del difetto di motivazione dell'ordinanza opposta e della sentenza di prime cure, la decisione di appello osservava che le doglianze erano prive di fondamento.

In primo luogo, non poteva reputarsi viziata la sentenza di primo grado laddove aveva recepito per relationem, facendole proprie, le argomentazioni poste a sostegno dell'ordinanza oggetto di opposizione.

Quindi, passando a riscontrare la presenza di operazioni sospette che avrebbero obbligato l'opponente ad effettuare una tempestiva segnalazione, la pronuncia di appello esaminava partitamente tutti i mandati fiduciari che erano richiamati nel provvedimento impugnato, riscontrando per ognuno di essi, previa succinta descrizione dei fatti che li interessavano, la presenza di operazioni anomale e sospette, evidenziando come tali caratteristiche trovassero conferma nelle prescrizioni contenute nel cd. Decalogo della Banca d'Italia, aggiungendo anche che molte delle operazioni erano state riscontrate come affette da anomalia a seguito di verifica svolta da una società di revisione chiamata dalla capogruppo ad effettuare controlli, anche a mezzo dell'esame dei fascicoli fiduciari, e che nonostante tale segnalazione, la M. avesse continuato a ribadire la irrilevanza delle anomalie contestate.

Quanto al profilo soggettivo dell'illecito contestato, la Corte distrettuale evidenziava che si trattava di un illecito di pericolo, finalizzato a reprimere quelle condotte che per caratteristiche, entità, natura o per qualsivoglia altra circostanza inducano a ritenere la possibile provenienza del denaro, beni o utilità oggetto delle operazioni, come provenienti da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648-bis e 648-ter.

Ricostruito quindi il sistema delineato dall'art. 3 che prevede un duplice obbligo di segnalazione, parimenti sanzionato, ribadiva che il responsabile della dipendenza, dell'ufficio o di altro punto operativo è tenuto ad effettuare la segnalazione al titolare dell'attività, al legale rappresentante o ad un suo delegato, di ogni operazione che possa far ritenere la provenienza illecita delle sostanze coinvolte, spettando invece al titolare dell'attività la valutazione circa la ulteriore segnalazione all'UIC.

Pertanto l'opponente aveva una ridotta discrezionalità, che appariva limitata anche dal contenuto delle Istruzioni operative dettate dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 3-bis della l. n. 197/1991, proprio al fine di superare la genericità della disciplina applicativa della Direttiva 91/208/CEE, in attuazione della quale era stata emanata la l. n. 197/1991.

Ne derivava che la segnalazione delle operazioni non era subordinata all'evidenziazione dalle indagini dell'operatore di un quadro indiziario di riciclaggio né poteva essere esclusa sulla base del personale convincimento dell'operatore dell'estraneità dell'operazione rispetto ad una attività delittuosa, essendo invece ancorata ad un giudizio di carattere tecnico tendenzialmente oggettivo.

In presenza quindi di numerose anomalie formali era onere della M. procedere alle segnalazioni, nemmeno spiegando rilevanza la circostanza che non fosse chiarito con precisione in base a quali elementi sussistesse il sospetto che il denaro utilizzato fosse il provento di eventuali reati tributari.

Quanto alla posizione soggettiva della M. all'interno della società, la Corte d'Appello osservava che la stessa ricopriva la carica di amministratore delegato, insieme con D.G. Marco, ed all'interno di una società dalla struttura estremamente esigua, in quanto connotata dalla presenza dei soli due amministratori delegati, come uniche risorse qualificate, e da altri due soggetti non aventi rapporti con la clientela.

Pertanto, poiché nella procedura interna mancava la designazione di un responsabile antiriciclaggio, corretta era l'attribuzione all'opponente della qualifica di responsabile di primo livello ai fini dell'art. 3, comma 1, della l. n. 197/1991, essendo irrilevante l'esistenza di un'eventuale delega.

Quanto infine all'entità della sanzione irrogata, la sentenza d'appello rilevava che era corretta la sua determinazione nella percentuale del 25% dell'importo delle operazioni sospette non segnalate, trattandosi di una commisurazione rispettosa dei limiti edittali, e che appariva congrua alla luce del numero e del valore delle operazioni sospette, del ruolo di rilievo dell'opponente, ed infine del suo comportamento, atteso che, benché fosse stata notiziata dapprima nel 2005 dall'Audit interno del gruppo e poi nel 2006 dal rapporto della società di revisione del carattere anomalo delle operazioni, non aveva effettuato alcun accertamento o segnalazione.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso M. Gloria sulla base di cinque motivi.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 3, comma 1, del d.l. n. 143/1991, conv. nella l. n. 197/1991 nonché degli artt. 3 e 5 della l. n. 689/1981.

Deduce la ricorrente che aveva mosso in appello alcune specifiche contestazioni circa la carenza di motivazione in ordine alla ricorrenza della violazione contestata ed alla sussistenza dell'elemento soggettivo, dovendo quindi reputarsi erronea l'affermazione dei giudici di appello secondo cui non sarebbe stata avanzata alcuna censura sul punto.

Nel merito si evidenzia che non può ravvisarsi la colpevole negligenza della ricorrente in ordine all'omissione delle segnalazioni delle operazioni sospette, o comunque di tutte le operazioni ritenute tali, occorrendo a tal fine tenere conto della circostanza che la società fiduciaria aveva due amministratori delegati, ognuno dei quali poteva rispondere solo delle operazioni personalmente effettuate.

Viceversa l'ordinanza opposta ha accomunato la M. ed il D.G. senza compiere tale dovuta distinzione.

Ne discende che vi è un'assoluta incertezza quanto all'individuazione dell'autore delle operazioni che andavano segnalate, con la conseguenza che la ricorrente è stata chiamata a rispondere anche per le colpe dell'altro amministratore delegato, in violazione di quanto previsto dall'art. 3 della l. n. 689/1981, ipotizzando un concorso ex art. 5 della stessa legge, che invece evidentemente non ricorre.

Il motivo è infondato.

L'art. 3 della l. n. 197/1991 prevede ai primi due commi che: "1. Il responsabile della dipendenza, dell'ufficio o di altro punto operativo di uno dei soggetti di cui all'art. 4, indipendentemente dall'abilitazione ad effettuare le operazioni di trasferimento di cui all'art. 1, ha l'obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell'attività o al legale rappresentante o a un suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale. Tra le caratteristiche di cui al periodo precedente è compresa, in particolare, l'effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall'attività svolta da parte della medesima persona, ovvero, ove se ne abbia conoscenza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa o comunque da parte di interposta persona.

2. Il titolare dell'attività, il legale rappresentante o un suo delegato esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto dell'insieme degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall'archivio di cui all'art. 2, comma 1, le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l'operazione, anche in via informatica e telematica, all'Ufficio italiano dei cambi senza alcuna indicazione dei nominativi dei segnalanti".

Lo scopo cui tende la normativa in esame è quello di contrastare i fenomeni criminali, limitando l'uso del denaro contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenendo "l'utilizzazione dei sistema finanziario a scopo di riciclaggio"; a tal fine, il legislatore - recependo anche direttive europee (cfr. d.lgs. n. 153 del 1997) - intende reprimere alcune condotte di pericolo (Cass. n. 6647/2007) fra le quali quelle operazioni che "per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza, induca(no) a ritenere" la possibile provenienza di denaro, beni o utilità, oggetto di dette operazioni, da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648-bis e 648-ter c.p.

È necessario sottolineare che tenuto a segnalare simili operazioni è "il responsabile della dipendenza", il quale ne riferisce al "titolare dell'attività"; quest'ultimo "esamina le segnalazioni pervenutegli e qualora le ritenga fondate tenendo conto dell'insieme degli elementi a sua disposizione, ... le trasmette senza ritardo al questore del luogo dell'operazione, il quale ne informa l'Alto commissario e il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza" (art. 3 cit., comma 2). Altrimenti le archivia.

Nelle ipotesi contemplate dall'art. 3, ossia nel caso di operazioni sospettabili di riciclaggio, la legge prevede dunque un duplice obbligo di segnalazione (cfr. Cass. n. 25134/2008), ugualmente sanzionato dal d.l. n. 143 del 1991, art. 5, comma 5: da parte del responsabile della dipendenza al titolare dell'attività, ossia all'organo direttivo della banca (art. 3, comma 1), e da parte di quest'ultimo al questore (comma 2).

È del tutto evidente che il potere di valutare le segnalazioni e di trasmetterle al questore solo se le ritenga fondate, in base all'insieme degli elementi a disposizione, spetta solo al titolare dell'attività; mentre il responsabile della dipendenza, come l'odierna ricorrente, ha un margine di discrezionalità più ridotto (come si avrà modo di chiarire in occasione della disamina di diverso motivo di ricorso), dovendo segnalare al suo superiore "ogni" operazione che lo "induca a ritenere" che l'oggetto di essa "possa provenire" da reati attinenti al riciclaggio.

Tornando al caso in esame, la M. è stata ritenuta responsabile della violazione di cui al primo comma dell'art. 3, in quanto responsabile di primo livello, che aveva omesso di segnalare la natura sospetta di plurime operazioni al titolare dell'attività, e tale affermazione è contestata con il motivo in esame sul presupposto che non fosse possibile attribuire tale qualità alla ricorrente per tutte le operazioni che sono state prese poi in considerazione ai fini dell'applicazione della sanzione.

Ed, invero, come già rilevato da questa Corte, in occasione del diverso ricorso proposto dal Presidente della medesima società fiduciaria della quale la M. era amministratrice (Cass. n. 1528/2018), la censura si traduce in una critica di merito, e non di violazione di legge, rispetto alla sentenza impugnata. In altri termini, di fronte alla valutazione della corte d'appello per cui, quale amministratrice delegata della fiduciaria, la ricorrente debba ritenersi tenuta alla segnalazione di primo livello, questa auspica un diverso risultato valutativo; con ciò sollecitando a questa Corte un riesame di merito della lite, inesigibile in sede di legittimità.

Osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha puntualmente rimarcato la ristrettezza della compagine della società, rilevando che del personale, limitato a sole quattro persone, solo due, e cioè gli stessi amministratori delegati, M. e D.G., erano valutabili come risorse qualificate, dovendo escludersi che gli altri due dipendenti potessero assumere il ruolo di responsabile, essendo peraltro privi di rapporti diretti con la clientela.

La sentenza ha altresì rilevato che la struttura societaria, che non contemplava una specifica figura di responsabile antiriciclaggio, imponeva di ritenere che entrambi gli amministratori fossero tenuti ad effettuare le segnalazioni e relativamente a tutti i mandati, emergendo peraltro dalla stessa narrazione contenuta in ricorso il fatto che spesso entrambi firmassero degli atti relativi ai mandati coinvolti negli accertamenti (si veda ex multis quanto riferito in ordine al mandato n. 951 o al mandato n. 917), avendo altresì entrambi reso relazioni al Consiglio di amministrazione nelle sedute del 18 settembre 2006 e del 16 marzo 2007.

L'affermazione secondo cui entrambi gli amministratori erano tenuti ad effettuare le segnalazioni delle operazioni sospette, e per tutti i mandati interessati dall'attività ispettiva, in quanto frutto di una valutazione in fatto, non suscettibile di sindacato, non è censurabile in questa sede, ed esclude altresì la fondatezza della dedotta violazione dell'art. 5 della l. n. 689/1981, avendo tutti e due concorso con l'omissione dell'attività da ognuno singolarmente dovuta, alla realizzazione dell'illecito contestato, essendo altresì escluso che nella fattispecie uno sia chiamato a rispondere della colpa dell'altro.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 3 (commi 1 e 2) 5 (comma 5) della l. n. 197/1991 e dell'art. 11 della l. n. 689/1981.

Deduce la M. che il Ministero ha irrogato la sanzione ritenendo che tutte le operazioni riscontrate in occasione della disamina dei mandati oggetto di ispezione fossero state oggetto di indebita omessa segnalazione, trascurando per converso che occorre prendere in esame ogni singola condotta, sicché la sanzione può applicarsi solo per la singola operazione per la quale sussiste l'evidenza in quel momento degli estremi dell'illecito contestato.

A tal fine si rileva che le varie operazioni oggetto della contestazione si sono svolte in un arco temporale che va dal 2002 al 2007, sicché tenuto conto del dettato dell'art. 3 della citata legge, che fa riferimento ad "ogni operazione", la segnalazione doveva essere effettuata senza ritardo solo per quelle operazioni che nel momento della loro esecuzione si palesavano come sospette.

Nel caso in esame sono state contemplate ai fini della commisurazione della sanzione anche le operazioni iniziali eseguite nell'ambito dei singoli mandati fiduciari, e ciò anche quando le stesse, attesa l'epoca di esecuzione, non palesavano ancora il connotato di essere sospette.

L'unificazione delle varie operazioni contraddice la volontà della legge, con la conseguente violazione delle norme in rubrica.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

La censura che in larga misura, anche in tal caso, si risolve in una critica all'apprezzamento in fatto compiuto dai giudice di merito circa l'individuazione delle operazioni sospette, omette di considerare che in presenza di plurime operazioni, il carattere doveroso della segnalazione ben può emergere solo con il progressivo andamento del rapporto con l'intermediario, il quale può avvedersi della anomalia della situazione, anche alla luce dell'accavallarsi delle operazioni e delle modalità di loro esecuzione.

La sentenza di appello ha dato puntualmente conto degli accertamenti compiuti per ognuno dei singoli mandati interessati dalla contestazione evidenziando come in molti casi fosse la stessa situazione originaria a denotare un elevato tasso di anomalia delle operazioni, ignorandosi la reale capacità economica ed imprenditoriale del fiduciante e l'effettiva provenienza delle somme impiegate (cfr. a tal fine quanto rilevato in ordine al mandato n. 906, ovvero alla vicenda di cui ai mandati nn. 618, 625 e 683).

La sentenza di appello ha altresì dato atto che anche a seguito dei controlli eseguiti dalla società di revisione appositamente incaricata di verificare la gestione dei mandati da parte della fiduciaria, e dei rilievi della società capogruppo, la ricorrente avesse ribadito l'irrilevanza delle anomalie contestate, mostrando in tal modo di voler disattendere l'obbligo prescritto dalla legge di segnalazione, nonostante la stessa società capogruppo nutrisse dubbi sulla correttezza dell'andamento dei rapporti fiduciari.

La tesi della ricorrente secondo cui, una volta avvedutisi della natura anomala delle operazioni andrebbero segnalate solo quelle successivamente eseguite, restando invece esenti dalla segnalazione quelle anteriori, risulta invece contraddetta proprio dalla lettera della legge, che pur viene posta a sostegno della fondatezza della censura.

Il riferimento ad "ogni operazione" induce infatti a ritenere che debbano essere segnalate, una volta riscontrato il carattere anomalo, anche quelle operazioni inizialmente non apprezzate come tali, in quanto è solo una visione complessiva dell'andamento dei rapporti, nel caso di specie fiduciari, a poter consentire di avvedersi della sussistenza delle condizioni previste dalla legge per il successivo inoltro all'UIC da parte del soggetto di cui al secondo comma.

La segnalazione delle sole operazioni successive offrirebbe evidentemente un quadro solo parziale della fattispecie, ed impedirebbe quindi di poter apprezzare, da parte del soggetto al quale il legislatore ha effettivamente attribuito una discrezionalità, se debba o meno procedersi alla segnalazione di secondo livello.

Né appare contrastare tale interpretazione il fatto che il primo comma preveda che la segnalazione debba essere effettuata "senza ritardo", non sussistendo impedimenti al ritenere che il connotato dell'urgenza della segnalazione possa estendersi anche alle operazioni pregresse, laddove ci si sia avveduti, in conseguenza dell'andamento della vicenda, del carattere sospetto della complessiva operazione.

Così come del pari non assume connotato di decisività ai fini dell'accoglimento della tesi della ricorrente la circostanza che la segnalazione dovrebbe intervenire prima della sua esecuzione, posto che tale previsione risulta espressamente dettata per la diversa segnalazione di cui al secondo comma dell'art. 3, e non anche per quella che invece incombeva sulla M. ai sensi del primo comma, occorrendo altresì considerare che la sospensione non è una conseguenza automatica della segnalazione, ma è consentita solo ove sia ancora possibile, sicché l'evenienza che sia impossibile sospendere operazioni già eseguite, di per sé non esime dal dover in ogni caso effettuare la segnalazione di quelle che si palesino, ancorché non ab initio, sospette.

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 18 del d.lgs. n. 231/2007, nonché dell'art. 3, commi 1 e 5, della l. n. 197/1991 in relazione all'art. 1 della l. n. 689/1981.

Assume la ricorrente che le è stata addebitata la condotta di omissione dell'adeguata verifica della clientela, così che nei fatti le è stata contestata la violazione della previsione di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 231/2007, che è entrato in vigore in epoca successiva alle condotte interessate dall'ordinanza.

All'epoca dei fatti la M. era tenuta solo agli adempimenti previsti dall'art. 2 della l. n. 197/1991, che consistevano nell'identificare le generalità dei clienti fiducianti e nel registrare le date e le causali delle operazioni, dell'importo dei singoli mezzi di pagamento e delle generalità di chi effettuava le singole operazioni.

Anche tale motivo è da rigettare.

La ricorrente, facendo richiamo alla norma che prevede gli obblighi di registrazione nell'Archivio Unico Informatico, addiviene alla conclusione non condivisibile secondo cui una volta soddisfatti i requisiti di registrazione come imposti dalla normativa all'epoca vigente, i soggetti di cui al primo comma dell'art. 3 avrebbero adempiuto anche agli oneri di diligenza che la legge impone al fine di assicurare un'adeguata verifica della natura sospetta delle operazioni svolte.

Ed, invero, come precisato da questa Corte (Cass. n. 23017/2009), ai fini dell'applicazione dell'art. 3 citato, il responsabile della dipendenza deve controllare, per vero, che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l'operazione; ma si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla stessa legge - caratteristiche, entità, natura o "qualsivoglia altra circostanza" oggettivamente significativa - o ulteriormente specificati dalla Banca d'Italia.

In relazione agli elementi riferibili al cliente, occorre considerare la capacità economica e l'attività svolta, con la possibilità che la sola entità dell'operazione non possa essere elevata a sospetto se risulta che il soggetto operante sia dotato di alta capacità economica.

In tal caso si è quindi evidenziato che affinché una pluralità di operazioni, sia pure singolarmente considerate in linea con le norme vigenti, debba essere segnalata è necessario che le medesime non siano giustificate dall'attività svolta da parte della stessa persona

Tuttavia ad esonerare dalla segnalazione non può essere ritenuta sufficiente la mera conoscenza dei soggetti coinvolti e la provenienza del denaro utilizzato, occorrendo invece riscontrare una effettiva cognizione della capacità economica del soggetto coinvolto.

Richiamata tale doverosa e condivisa precisazione, e ribadito che la debita valutazione da parte dell'intermediario (organo direttivo della banca) dell'operazione segnalata, alla luce di tutti gli altri elementi a sua disposizione (art. 3, comma 2), non compete al responsabile della dipendenza bancaria (art. 3, comma 1), quest'ultimo non può giustificare la propria omissione facendo richiamo alla conoscenza personale del soggetto ed alla provenienza del denaro, dati che sono peraltro assicurati dalla registrazione nell'AUI ai sensi dell'art. 2, ma è tenuto a compiere una più ampia ed approfondita valutazione che gli impone, in presenza di elementi che denotano l'anomalia dell'operazione, un approfondimento anche in ordine all'effettiva qualità e capacità economica dell'autore delle operazioni.

Ebbene, come si rileva dalla stessa lettura del ricorso a pag. 52 e 53, l'addebito mosso alla ricorrente non è tanto quello di avere omesso di compiere le necessarie registrazioni a mente dell'art. 2, quanto invece, una volta riscontrato l'andamento anomalo del rapporto fiduciario, sulla base degli indici desumibili dal cd. Decalogo della Banca d'Italia, al quale deve attribuirsi portata determinante al fine di assicurare l'uniforme orientamento degli intermediari in vista dell'individuazione delle operazioni sospette (cfr. art. 3-bis, comma 4, della l. n. 197/1991), in presenza di un quadro oggettivo che deponeva per la natura sospetta delle operazioni, quello di avere omesso altresì di riscontrare l'effettiva capacità economica dei soggetti interessati, di cui aveva una conoscenza del tutto superficiale e fondata sulla mera assicurazione della banca presentatrice.

D'altronde non è casuale che le violazioni degli obblighi di registrazione rinvengano una loro autonoma sanzione nello stesso art. 2, illecito che non è stato contestato alla ricorrente, alla quale viene viceversa addebitata l'omessa segnalazione di operazioni sospette, evidenziandosi che il dato oggettivo costituito dall'anomalo sviluppo dei rapporti fiduciari, come confortato dagli indici di anomalia ricavabili dal menzionato Decalogo della Banca d'Italia, non era in alcun modo giustificato dalla effettiva e riscontrata capacità economica dei soggetti interessati.

4. Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 3 (commi 1 e 2) della l. n. 197/1991 e degli artt. 648-bis e ter c.p.

Si rileva che la sentenza della Corte d'Appello ha trascurato le osservazioni critiche mosse dalla M. nei motivi di appello quanto alla verifica della provenienza illecita del denaro impiegato nelle varie operazioni compiute nell'ambito dei mandati fiduciari.

Ed, infatti, richiamata la necessità che i reati presupposti che impongono la segnalazione siano esclusivamente quelli di cui agli artt. 648-bis e ter c.p., l'obbligo di segnalazione sarebbe gravato sulla ricorrente solo qualora avesse avuto il sospetto dell'estraneità dell'autore dell'operazione fiduciaria rispetto al reato a monte del riciclaggio.

In tal senso si era segnalata la difficoltà di acquisire notizie in ordine a tale dato, ritenendo erroneamente che non sia invece rilevante la prova dell'effettiva consumazione del reato presupposto.

Anche tale motivo deve essere disatteso, dovendosi invece dare continuità alla costante giurisprudenza di questa Corte, che ha offerto delle norme in esame un'interpretazione in chiave essenzialmente oggettiva.

Ed, infatti, al fine di ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed evitare forme di "arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge", e per assicurare la "omogeneità di comportamento del personale degli intermediari", la Banca d'Italia ha emanato delle "Istruzioni operative per l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio" (cd. decalogo). Con tali istruzioni l'Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l'altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie, in esse ricomprendendo anche l'insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, in presenza delle quali delle operazioni pur di per sé neutre, potendo dissimulare una attività di riciclaggio, vanno rapportate alla capacità economica od all'attività del cliente, ed impongono all'operatore dell'intermediario l'effettuazione di specifiche indagini per valutare, in base alle altre notizie di cui dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale.

Detta valutazione, anche se costituisce il risultato di un apprezzamento soggettivo, deve avere natura impersonale, come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa "induca a ritenere... che il denaro, i beni o le utilità... possano provenire" da delitto e, conseguentemente, la nozione di sospetto, nel quale essa si deve concretizzare per imporre l'adempimento all'obbligo di segnalazione dell'operazione, va individuata tenendo conto che la segnalazione ha la funzione di mero filtro, attraverso il quale l'Ufficio italiano dei cambi esercita sul fatto un'ulteriore attività di approfondimento, che può concludersi anche con una archiviazione in via amministrativa.

Pertanto, e con specifico riferimento ai soggetti di cui al primo comma dell'art. 3 della l. n. 197/1991, si è affermato che (cfr. Cass. n. 23017/2009), poiché il potere di valutare le segnalazioni e (se le ritenga fondate) di trasmetterle al questore spetta solo al «titolare dell'attività» (ossia all'organo direttivo della banca), il «responsabile della dipendenza» deve segnalare al suo superiore ogni operazione che lo induca a ritenere che l'oggetto di essa possa provenire da reati attinenti al riciclaggio, sulla base di elementi oggettivi riferibili all'operazione stessa o alla capacità economica e all'attività del cliente.

La segnalazione delle operazioni non è quindi subordinata alla evidenziazione dalle indagini preliminari dell'operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure alle esclusioni in base a un loro personale convincimento della estraneità delle operazioni a una attività delittuosa, ma si fonda su di un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, a essere strumento di elusione delle disposizioni dirette a prevenire e punire l'attività di riciclaggio (conf. Cass. n. 9089/2007; Cass. n. 8699/2007).

La sentenza gravata ha quindi correttamente fatto riferimento alla valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzavano le vicende di causa, e con giudizio in fatto, ha reputato che le operazioni eseguite si prestassero ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire la conversione, il trasferimento, l'occultamento, la dissimulazione, l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni provenienti da una attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, a nulla rilevando il personale convincimento del ricorrente, ovvero la mancanza di una prova dotata di elevato grado di attendibilità circa l'esistenza dei reati a monte.

5. Il quinto motivo lamenta la violazione dell'art. 11 della l. n. 689/1981 quanto alla concreta determinazione della sanzione irrogata.

Si rileva che con un motivo di appello si era denunciato che non si fosse tenuto conto della reale capacità economica dell'opponente nonché del fatto che non tutte le operazioni economiche erano passibili di segnalazione, ed infine dell'attiva collaborazione prestata in sede d'ispezione dell'UIC.

La Corte d'Appello ha disatteso le doglianze reputando congrua la quantificazione della sanzione in una percentuale del 25% del valore delle operazioni sospette, ma in tal modo avrebbe omesso di prendere in considerazione tutti gli indici che l'art. 11 della l. n. 689/1981 impone di valutare ai fini della commisurazione della sanzione.

Rileva la Corte che nelle more del presente giudizio è intervenuto il d.lgs. n. 90 del 2017 il cui art. 5 ha riscritto l'art. 58 del d.lgs. n. 231/2007 in tema di sanzioni, con la seguente formulazione:

"1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro.

2. Salvo che il fatto costituisca reato e salvo quanto previsto dall'articolo 62, commi 1 e 5, nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 euro a 300.000 euro. La gravità della violazione è determinata anche tenuto conto:

a) dell'intensità e del grado dell'elemento soggettivo, anche avuto riguardo all'ascrivibilità, in tutto o in parte, della violazione alla carenza, all'incompletezza o alla non adeguata diffusione di prassi operative e procedure di controllo interno;

b) del grado di collaborazione con le autorità di cui all'articolo 21, comma 2, lettera a);

c) della rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto, anche avuto riguardo al valore dell'operazione e al grado della sua incoerenza rispetto alle caratteristiche del cliente e del relativo rapporto;

d) della reiterazione e diffusione dei comportamenti, anche in relazione alle dimensioni, alla complessità organizzativa e all'operatività del soggetto obbligato.

3. La medesima sanzione di cui ai commi 1 e 2 si applica al personale dei soggetti obbligati di cui all'articolo 3, comma 2 e all'articolo 3, comma 3, lettera a), tenuto alla comunicazione o alla segnalazione, ai sensi dell'articolo 36, commi 2 e 6 e responsabile, in via esclusiva o concorrente con l'ente presso cui operano, dell'omessa segnalazione di operazione sospetta.

4. Nel caso in cui le violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime producono un vantaggio economico, l'importo massimo della sanzione di cui al comma 2:

a) è elevato fino al doppio dell'ammontare del vantaggio medesimo, qualora detto vantaggio sia determinato o determinabile e, comunque, non sia inferiore a 450.000 euro;

b) è elevato fino ad un milione di euro, qualora il predetto vantaggio non sia determinato o determinabile.

5. Ai soggetti obbligati che, con una o più azioni od omissioni, commettono, anche in tempi diversi, una o più violazioni della stessa o di diverse norme previste dal presente decreto in materia di adeguata verifica della clientela e di conservazione da cui derivi, come conseguenza immediata e diretta, l'inosservanza dell'obbligo di segnalazione di operazione sospetta, si applicano unicamente le sanzioni previste dal presente articolo.

6. Ai soggetti obbligati che omettono di dare esecuzione al provvedimento di sospensione dell'operazione sospetta, disposto dalla UIF ai sensi dell'articolo 6, comma 4, lettera c), si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro".

Lo stesso d.lgs. n. 90/2017 ha introdotto anche l'art. 69 del d.lgs. n. 231/2007 il cui primo comma così recita:

"Nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all'epoca della commessa violazione, se più favorevole, ivi compresa l'applicabilità dell'istituto del pagamento in misura ridotta".

Atteso che il motivo di ricorso verte espressamente sulla determinazione quantitativa della misura, ritiene il Collegio che le norme de quibus possano essere applicate alla fattispecie, in relazione all'affermazione, anche per le sanzioni per cui è causa, del principio dell'immediata applicabilità dello ius superveniens più favorevole al trasgressore.

Nelle memorie entrambe le parti, vertendo il motivo in esame espressamente sulla determinazione della sanzione applicata, hanno evidenziato le ragioni per le quali andrebbe o meno applicata la normativa sopravvenuta, partendo comunque evidentemente dal presupposto comune secondo cui si tratterebbe di disposizione che avrebbe esteso in tale campo il principio del favor rei, riconoscendo, accanto alla regola secondo cui la successiva abrogazione della norma sanzionatoria opera anche per gli illeciti commessi in epoca anteriore, anche l'applicabilità della normativa sopravvenuta in tema di determinazione della sanzione, ove ritenuta più favorevole al trasgressore.

Nel caso in esame, facendo applicazione della previsione sanzionatoria di cui all'art. 5 della l. n. 197/1991 (e sul presupposto dell'inapplicabilità della successiva disposizione di cui all'art. 57, comma 4, del d.lgs. n. 231/2007) la sanzione era stata irrogata nella somma di euro 6.711.183,00, pari al 25% dell'ammontare delle operazioni sospette non segnalate, laddove parte ricorrente deduce che a seguito della novella del 2017 la sanzione pecuniaria applicabile oscillerebbe da un minimo edittale di euro 3.000,00 (ai sensi del primo comma dell'art. 58), sino ad un massimo di euro 300.000,00, per le ipotesi di violazioni gravi, ripetute e sistematiche, ove ricondotta la condotta sanzionata all'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 58, dovendosi però ai fini della graduazione della sanzione tenere conto anche dei criteri di cui all'art. 67 del d.lgs. n. 231/2007 (Nell'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni accessorie, previste nel presente Titolo, il Ministero dell'economia e delle finanze e le autorità di vigilanza di settore, per i profili di rispettiva competenza, considerano ogni circostanza rilevante e, in particolare, tenuto conto del fatto che il destinatario della sanzione sia una persona fisica o giuridica: a) la gravità e durata della violazione; b) il grado di responsabilità della persona fisica o giuridica; c) la capacità finanziaria della persona fisica o giuridica responsabile; d) l'entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate per effetto della violazione, nella misura in cui siano determinabili; e) l'entità del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione, nella misura in cui sia determinabile; f) il livello di cooperazione con le autorità di cui all'articolo 21, comma 2, lettera a) prestato della persona fisica o giuridica responsabile; g) l'adozione di adeguate procedure di valutazione e mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, commisurate alla natura dell'attività svolta e alle dimensioni dei soggetti obbligati; h) le precedenti violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto).

Parte ricorrente, evidenziando quindi le sue precarie condizioni economiche, la circostanza che non abbia tratto alcun vantaggio dalle operazioni non segnalate, l'assenza di pregiudizio per i terzi, e la carenza di precedenti violazioni contestategli, invoca l'applicazione dello ius superve[n]iens di cui al menzionato art. 58, con determinazione della sanzione in maniera prossima al minimo edittale.

La difesa erariale, pur prendendo atto, come detto, del fatto che la norma di cui all'art. 69 introdotta nel 2017 è espressiva del principio del favor rei (che sinora non aveva avuto riconoscimento nel campo delle sanzioni amministrative in esame) propone tuttavia una lettura restrittiva della norma, assumendo che la retroattività della norma sanzionatoria più favorevole sia condizionata alla mancata conclusione del procedimento sanzionatorio.

Ne deriverebbe che nel caso di specie, poiché alla data di entrata in vigore dell'art. 69, la sanzione era stata già irrogata, ancorché il provvedimento sanzionatorio non fosse ancora definitivo, stante l'opposizione del trasgressore, non sarebbe possibile invocare la norma di maggior favore introdotta parimenti nel 2017.

Reputa il Collegio che gli argomenti addotti dalla difesa erariale non possano però essere condivisi.

In primo luogo depone l'elemento letterale della norma in esame, destinato ad assumere carattere prevalente ex art. 12 delle preleggi, stante l'inequivoco tenore letterale della previsione che fa riferimento in generale alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della novella, senza contenere alcun riferimento alla ricorrenza altresì del requisito della mancata adozione del provvedimento sanzionatorio.

Né può deporre in senso contrario il richiamo alla diversa previsione di cui all'art. 11 sempre delle preleggi, essendo evidente che a fronte di una norma chiaramente volta ad optare per l'applicazione del principio dell'applicazione dello ius superveniens più favorevole al trasgressore, la ratio legis è evidentemente improntata all'introduzione di norme destinate ad operare anche per il passato, sebbene nei limiti segnati dal principio del favor rei.

La tesi del Ministero non può ritenersi validamente supportata nemmeno dal richiamo alle previsioni di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 472/1997 e all'art. 23-bis del d.P.R. n. 148/1988, che pur hanno già introdotto l'applicazione del principio del favor rei alle sanzioni amministrative di diritto tributario ed in materia valutaria, atteso che entrambe le previsioni, deponendo in tal senso a favore dell'immediata applicabilità della novella anche nel procedimento in esame, prevedono che l'unico limite alla regola del favor rei è rappresentato dal fatto che il provvedimento sanzionatorio abbia acquisito il carattere della definitività, carattere che evidentemente presuppone anche che sia esaurita l'eventuale fase di impugnazione in sede giurisdizionale.

Del tutto priva di rilevanza è poi l'affermazione secondo cui l'applicazione della norma anche alle violazioni per le quali alla data di entrata in vigore della legge sia stata emessa l'ordinanza sanzionatoria, sarebbe in contrasto con la previsione secondo cui la norma de qua non prevedrebbe maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dovendosi escludere che l'eventuale riduzione delle sanzioni per effetto della norma possa incidere sulle complessive valutazioni in merito alle entrate ovvero alle uscite dello Stato, occorrendo considerare che trattandosi di procedimenti ancora in corso anche gli importi correlati alla loro definizione non assumerà il carattere della certezza se non allorquando il provvedimento che li abbia decisi abbia acquisito il carattere della definitività.

Atteso che, in ragione dell'importo della sanzione irrogata nella fattispecie e dei limiti edittali posti dalla norma sopravvenuta, si palesa con evidenza il carattere di maggior favore di quest'ultima, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano affinché provveda a rideterminare la sanzione dovuta, facendo applicazione dei criteri di commisurazione sopra riportati.

Restano pertanto assorbite le censure formulate con il motivo in esame.

6. Il giudice del rinvio come sopra designato provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, rigetta i primi quattro motivi del ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione al trattamento sanzionatorio con rinvio, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano.

P. Emanuele

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