Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 3 ottobre 2018, n. 5671

Presidente: Santoro - Estensore: Gambato Spisani

FATTO

Con atto 7 aprile 1978 rep. n. 36.648 racc. n. 6998 Notaro De Simone di Forlì, ivi registrato il giorno 24 aprile 1978 al n. 1670 atti pubblici, i ricorrenti appellanti hanno acquistato dalla controinteressata a titolo di compravendita, per un prezzo dichiarato di 13 milioni di vecchie lire il Castellaccio di Rocca San Casciano, situato sul terreno distinto al catasto di quel Comune alla partita 833, foglio 23, particelle 83, 84, 212, 98, 99, 132, 134, 137, 138, 139, 140, 213, 142 e foglio 32, particelle 1 e 121, vincolato quale bene culturale come da decreto del Ministro dell'istruzione del 22 novembre 1974, dato che si tratta del rudere dell'antica fortezza che dà il nome al paese (doc.ti 3 e 4 in I grado ricorrenti appellanti, decreto di vincolo ed atto di acquisto).

Nonostante ciò, e nonostante che nel corpo dell'atto (doc. 4 in I grado ricorrenti appellanti, cit. a p. 2 articolo 1) si desse atto del vincolo esistente, all'epoca la vendita non venne denunciata all'autorità statale per metterla in condizione di esercitare il proprio diritto di prelazione ai sensi dell'allora vigente art. 31 della l. 1 giugno 1939, n. 1089 (fatto non controverso in causa).

I ricorrenti appellanti hanno quindi proceduto alla denuncia solo in epoca molto posteriore, con atto fatto pervenire il giorno 13 settembre 2004 alla Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio di Ravenna, registrato il giorno successivo al prot. n. 11668 (citato nei doc.ti 9 e 10 in I grado ricorrente appellante), e ciò, a loro dire, per "togliere ogni dubbio sulla regolarizzazione formale della propria posizione proprietaria" (ricorso di I grado, p. 4 prime righe).

A fronte di ciò, la Soprintendenza, con atto 11 ottobre 2004, prot. n.12875, ha comunicato di non voler esercitare in proprio la prelazione, ritenendo l'immobile "non utilizzabile a fini istituzionali", salvo però "l'esercizio di tale diritto" nel termine di legge "da parte degli enti territoriali", così come attualmente previsto dagli artt. 61 e 62 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (doc. 9 in I grado ricorrente appellante, atto citato).

Effettivamente, il Comune intimato appellato ha quindi deciso di esercitare tale diritto, con deliberazione 8 dicembre 2004, n. 70 del consiglio comunale e conforme atto 4 marzo 2005, prot. n. 51 del Segretario comunale, il tutto motivato con una relazione che fa riferimento, in sintesi estrema, al significato storico del bene, che come si è detto dà il nome al paese, e alla possibilità di restaurarlo come "principale e importante punto di partenza e riferimento della visione progettuale di ricucitura e di messa a sistema dell'assetto urbano", nonché come elemento di un più ampio circuito di antichi castelli resi visitabili ai turisti, che si trovano nei comuni vicini e rappresentano un aspetto caratteristico di quella zona (doc.ti 1 e 2 in I grado ricorrente appellante, atto del Segretario e delibera consiliare, ove la relazione storica è l'allegato B, da cui a p. 4 la citazione).

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto contro tali atti, ritenendo in sintesi la prelazione legittimamente spettante al Comune e da esso correttamente esercitata, anche sotto il profilo del prezzo da corrispondere, fatto pari a quello indicato nell'originario atto di compravendita del 1978, pari oggi a euro 6.713,94.

Contro tale sentenza, i ricorrenti hanno proposto impugnazione, con appello che contiene i seguenti quattro motivi:

- con il primo di essi, deducono errore da parte della sentenza di I grado nella parte in cui non riconosce una presunta rinuncia ad esercitare la prelazione da parte della Soprintendenza, rinuncia che risiederebbe nella ricordata affermazione per cui il bene non era utilizzabile per i fini istituzionali di tale ufficio;

- con il secondo motivo, deducono errore da parte della sentenza di I grado nella parte in cui non ritiene che l'esercizio della prelazione fosse ormai precluso dall'intervenuto loro acquisto del bene a titolo originario per usucapione ventennale;

- con il terzo motivo, deducono ulteriore errore da parte della sentenza di I grado nella parte in cui riconosce legittimo per l'esercizio della prelazione il pagamento dell'importo originariamente pattuito come prezzo della compravendita, anziché l'importo rivalutato;

- con il quarto motivo, deducono infine la incostituzionalità per eccesso di delega delle norme sull'esercizio della prelazione da parte degli enti locali e invitano questo Giudice a sollevare la relativa questione.

Hanno resistito l'amministrazione statale, con atto 5 ottobre 2012, e memoria 25 luglio 2018 e il Comune, con atto 29 ottobre 2012, memoria 25 luglio e replica 3 settembre 2018, ed hanno chiesto che l'appello sia respinto; in particolare, il Comune ha dedotto e documentato di avere già impegnato e liquidato spese di un certo ammontare per il restauro ed il recupero della struttura (doc.ti Comune da 3 a 5, delibere relative).

Alla pubblica udienza del giorno 25 settembre 2018, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L'appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

2. Il primo motivo di appello, centrato su una presunta rinuncia alla prelazione da parte della Soprintendenza, è infondato in fatto, dato che, a semplice lettura dell'atto come riportato in premesse, si comprende come l'inutilizzabilità del bene fosse riferita ai fini istituzionali di quell'ufficio, e facesse salva in modo espresso una possibile diversa valutazione da parte degli enti locali, che poi c'è stata da parte del Comune. Anche a semplice logica, infatti, si può comprendere come un bene come quello per cui è causa possa risultare di poca o nessuna utilità per l'ufficio ministeriale che sovrintende a un sito di interesse mondiale come Ravenna, mentre possa essere di grande importanza per la piccola comunità alla quale ha dato il nome nel corso dei secoli.

3. È a sua volta infondato il secondo motivo di appello, centrato su una presunta incompatibilità fra l'esercizio della prelazione e l'acquisto a titolo originario che i ricorrenti appellanti affermano maturato a loro favore per usucapione, essendo trascorsi più di vent'anni dall'atto.

3.1. Come è noto, ai sensi degli artt. 1158 c.c. e seguenti, la proprietà di un bene, si acquista a titolo originario in forza del possesso pubblico, pacifico, continuato e non interrotto del bene stesso per un periodo variabile, nella specie ventennale, trattandosi di un bene immobile; va però puntualizzato che, nel silenzio della legge in proposito, non esiste una logica incompatibilità fra l'usucapione di un bene e l'eventuale permanenza sullo stesso di pretese altrui genericamente intese, fra le quali potrebbe rientrare anche la prelazione per cui è causa. Il problema si pone specificamente per i beni immobili, per i quali non esiste una norma analoga all'art. 1153, comma 2, c.c. per cui la proprietà di un bene mobile acquistata in buona fede da chi non sia proprietario si acquista libera da diritti altrui sulla cosa che non risultino dal titolo.

3.2. La problematica, cui ci si riferisce parlando di ammissibilità dell'usucapio libertatis, ovvero di presunta retroattività dell'usucapione, non ha trovato una compiuta analisi in giurisprudenza, al di là di decisioni come Cass., sez. II, 27 marzo 2001, n. 4412, per cui nel nostro ordinamento la usucapio libertatis non esisterebbe, ovvero Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2000, n. 8972, per cui l'usucapione avrebbe invece effetto retroattivo, e quindi le pretese altrui sul bene si estinguerebbero.

3.3. Un'analisi più approfondita viene invece dalla prassi notarile, la quale sottolinea la necessità di risolvere caso per caso l'interrogativo, avuto riguardo da un lato alle caratteristiche del possesso esercitato e dall'altra alla natura della pretesa altrui che si vorrebbe estinta: l'estinzione si verificherà tutte le volte in cui, in generale, il possesso ventennale sia stato esercitato in modo confliggente con la pretesa in esame. Si fa l'esempio di una servitù di passaggio sul fondo usucapito, che non si estingue se, nel periodo dell'usucapione, il titolare di essa ha potuto continuare a passare sul fondo interessato così come la servitù gli permette.

3.4. Applicando tale principio al caso concreto, si deve allora ritenere che mancano gli elementi per ritenere che il possesso ventennale, in sé non controverso, da parte dei ricorrenti appellanti sia stato esercitato in modo confliggente con la prelazione sì da estinguerla; in altri termini, costoro hanno continuato a possedere un bene soggetto a prelazione con tale caratteristica. Una incompatibilità non si può certo ravvisare, in primo luogo, con la richiesta di autorizzare una manutenzione straordinaria (doc. 5 in I grado ricorrente appellante), che potrebbe provenire in astratto anche da un non proprietario, e nulla dice su un possesso al fine di acquistare tale diritto; lo stesso va detto per la richiesta di un contributo statale (doc. 6 in I grado ricorrente appellante), che anzi presuppone trattarsi di un bene culturale. Il riconoscimento del permanere della prelazione va invece riconosciuto in positivo nell'atto di tardiva denuncia della vendita, che non avrebbe significato alcuno se non ammettendo che i ricorrenti appellanti avessero accettato la possibilità di un esercizio di essa.

4. È infondato e va respinto anche il terzo motivo, relativo al prezzo da pagare per l'esercizio della prelazione medesima, determinato nell'importo originariamente pattuito, che oggi è una somma modesta, per effetto dell'inflazione. Come già osservato dal Giudice di I grado, la questione è stata affrontata e risolta dalla Corte costituzionale nella sentenza 20 giugno 1996, n. 269, ove si osserva che si tratta della conseguenza dell'inadempimento all'obbligo di presentare una tempestiva denuncia, e quindi, si osserva qui, di un pregiudizio che l'interessato deve sopportare dato che lo avrebbe potuto evitare con l'ordinaria diligenza. I ricorrenti appellanti hanno contestato tale conclusione riferendosi alle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo 5 gennaio 2002 e 28 maggio 2002 sul c.d. caso Beyeller, lo stesso, per inciso, che diede origine alla ricordata sentenza della Corte costituzionale, ma il richiamo non è pertinente. La lettura di tali ultime due decisioni consente infatti di rilevare che il pregiudizio ritenuto ingiustificato dalla Corte discendeva non dal ritardato esercizio della prelazione astrattamente considerato, ma dalla specifica circostanza per cui, nel caso in questione, lo Stato italiano, dopo avere ricevuto tardivamente la denuncia della vendita di un importante bene culturale, per ragioni che non si conoscono, attese ancora cinque anni prima di esercitare la prelazione, lasciando l'interessato in uno stato di incertezza appunto ingiustificato. Si tratta quindi di una fattispecie essenzialmente diversa da quella per cui è causa, in cui l'esercizio è stato, dopo la denuncia, tempestivo.

5. Da ultimo, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per presunto eccesso di delega prospettata nel quarto motivo di appello. È sufficiente in proposito rilevare che l'istituto della prelazione artistica estesa agli enti locali venne introdotto con l'art. 149, comma 5, ultima parte, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, per cui "Lo Stato può rinunciare all'acquisto ai sensi dell'articolo 31 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, trasferendo alla Regione, Provincia o Comune interessati la relativa facoltà".

Non può quindi configurarsi alcun eccesso rispetto alle deleghe in materia di beni culturali contenute rispettivamente nell'art. 1 della l. 8 ottobre 1997, n. 352 e nell'art. 10 della l. 6 luglio 2002, n. 137, le quali hanno dato origine al t.u. 29 ottobre 1999, n. 490 e al successivo vigente d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e avevano ad oggetto il riordino della normativa di settore.

6. La particolarità della controversia, sulla quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato (ricorso n. 6807/2012 R.G.), lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

F. Del Giudice, B. Locoratolo

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