Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 7 giugno 2018, n. 30401

Presidente: Davigo - Estensore: Rago

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 18 dicembre 2017, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Padova, ordinava, fra gli altri, nei confronti di C. Lorenzo, un duplice sequestro preventivo:

- il primo in funzione della confisca per equivalente ex combinato disposto degli artt. 8 - 12-bis d.lgs. n. 74/2000, di «Beni, valori e attività, intestati o comunque nella disponibilità di [...] C. Lorenzo fino all'ammontare di euro 322.793,40 (capi 16 e seguenti: art. 8 d.lgs. cit.)»;

- il secondo, in funzione della confisca per equivalente di cui al combinato disposto degli artt. 648-ter.1 (autoriciclaggio) e 648-quater c.p., di «Beni, valori, attività intestati o comunque nella disponibilità di [...] C. Lorenzo fino all'ammontare di euro 159.561,00 (capo 20: art. 648-ter.1 c.p.)».

Il capo d'incolpazione di cui al capo 20 è il seguente: «[...] C. Lorenzo [...]: Art. 81, 110 C.P. 648-ter.1 c.p. utilizzando indifferentemente le carte prepagate loro intestate ed altre di cui avevano comunque la disponibilità pur se intestate agli ignari titolari F. Mihai, D. Augustin e Bu. Alexandru, e accedendo e movimentando denaro accreditato sui conti correnti bancari dei medesimi - percepivano, trasferivano, sostituivano e successivamente impiegavano (parte in attività economiche inerenti alla società del Ba., parte in attività delittuose quali l'acquisto di sostanze stupefacenti) denaro per un totale di 159.561 euro, con modalità atte ad ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza dal delitto di cui art. 8 d.lgs. 74/2000 (emissione di fatture ed altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi) che avevano commesso/concorso a commettere.

In particolare ricevevano e poi impiegavano:

29.280 euro da Autotrasporti e Spedizioni Barone spa (con causali riferite al pagamento di nr. 3 fatture); [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 16];

26.108 euro da Immobiliare la Pietra srl (mediante 8 diverse operazioni di anticipo e saldo di nr. 2 fatture, in 7 diverse occasioni nel 2015 ed una nel 2016); [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 16];

24.400 euro da G.A. Immobiliare srl (mediante 4 diverse operazioni di accredito, avvenute nel corso del 2015, con causali riferite al pagamento di 4 diverse fatture); [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 16];

43.000 euro da Sotech Plants srl (mediante 10 diverse operazioni di accredito, avvenute nel corso del 2015, con causali riferite al pagamento di svariati acconti per 2 diverse fatture emesse nel 2014); [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 18];

3.904 euro percepiti su carta prepagata Bu. il 29.12.2015 con bonifico proveniente da Ti Tetto Servizi srl; [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 17];

16.470 euro percepiti su carta prepagata S. con bonifici del 10.09.2015, 05.11.2015, 11.11.2015 da Aprauto snc; [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 16];

14.249 euro percepiti su carta prepagata S. con bonifici del 18.11.2015, 03.12.2015, 11.12.2015, 18.12.2015, 12.01.2016 dalla ditta individuale Vego Scocco Alessandro; [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 16];

2.150 euro percepiti su carta prepagata S. con bonifico del 17.03.2016 da ditta individuale Gardin Tiziano; [Ndr: si tratta dell'importo delle emissioni di fatture inesistenti indicate e contestate ex art. 8 d.lgs. cit. nel capo sub 16];

In Vigonza (PD) tra il 01.01.2015 ed il 17.03.2016».

2. Con ordinanza del 21 marzo 2018, il Tribunale del riesame di Padova confermava il suddetto decreto, adducendo la seguente testuale motivazione: «1) con riguardo al sequestro preventivo per equivalente, avente ad oggetto beni, valori ed utilità fino al valore di 322.793,40 in ordine ai delitti di cui ai capi 16-19 (emissione di false fatture per operazioni inesistenti), appare fondato il rilievo svolto dalla difesa, che, pur non contestando in tal sede l'insieme delle operazioni di rilevanza penale che ne sono a fondamento, assume la non correttezza dell'ammontare complessivo ritenuto dal Pnn e dal Gip sottoponibile a confisca, dato cioè dalla somma dei totali degli importi esposti nelle false fatture (imponibile + Iva) (riguardanti i tre periodi di imposta 2013, 2014, 2015), dovendosi al contrario limitare il vincolo reale all'importo relativo all'imposta complessiva evasa, quindi l'Iva al 22%, che è pari in totale ad euro 52.015,52 (come esplicitato negli allegati ai nuovi motivi della difesa C.). La contestazione è fondata, tenuto conto che il sequestro preventivo per equivalente disciplinato dall'art. 12-bis D.lvo 74/00 ha ad oggetto unicamente il profitto (oltre che al prezzo) del reato, profitto che, nell'ipotesi dei delitti ipotizzati a carico di C., in concorso con altri, di cui all'art. 8 del D.lvo 74/00 corrisponde appunto esclusivamente all'ammontare dell'imposta evasa (vd Sez. 3, Sentenza n. 55482 del 20 luglio 2017). Come emerge, infatti, dalle ampie considerazioni di cui alla nota informativa 28.3.17 del Centro Operativo della DIA di Padova sulla quale sono fondate le valutazioni del Gip di Padova, il meccanismo ipotizzato a carico dei sodali, attraverso l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, prevedeva la restituzione dell'imponibile al destinatario della falsa fattura che provvedeva ad effettuare il bonifico nei conti e nelle carte nella disponibilità dei sodali, e il trattenimento delle sole somme relative all'Iva evasa, in quanto non successivamente versata all'Erario.

2) Con riguardo al sequestro preventivo per equivalente, avente ad oggetto beni, valori ed utilità fino al valore di 159.161 in relazione alle operazioni di autoriciclaggio contestate a C. (capo 20), la richiesta di riesame appare infondata, trattandosi dell'ammontare (in sé non contestato in tal sede) delle somme effettivamente transitate sui conti e sulle carte predette, nel periodo considerato e a partire dal quale è stata introdotta la fattispecie delittuosa di cui all'art. 648-ter.1 c.p. (1° gennaio 2015), con le modalità atte ad ostacolarne l'identificazione della provenienza dal reato di cui all'art. 8 d.lvo 74/2000; è doveroso infatti, a tal riguardo, distinguere l'oggetto di tale tipologia di confisca obbligatoria dal distinto profitto del reato presupposto (Cass. 2015/9392), avendo essa quindi correttamente ad oggetto l'interezza dei flussi finanziari transitati nei predetti conti e carte, attraverso meccanismi atti ad eluderne la tracciabilità, trattandosi delle somme nella loro interezza corrispondenti ad operazioni oggettivamente inesistenti. In definitiva, quindi, rilevato che il sequestro per il titolo di cui di cui al punto 1) va ridimensionato al valore di euro 52.015,52 e che, all'opposto, quello per il titolo di cui al punto 2) resta immutato nel valore indicato di euro 159.161, si osserva che il valore totale dell'oggetto del sequestro, pari ed euro 211.176,52, appare congruo rispetto al valore stimato del compendio immobiliare sul quale è stato eseguito, tenuto contro fra l'altro, che manca una diversa valutazione peritale ad opera di parte richiedente».

3. Contro la suddetta ordinanza, l'indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione solo ed esclusivamente contro il sequestro ex artt. 648-ter.1 - 648-quater c.p., deducendo i seguenti motivi:

3.1. inammissibilità del sequestro: la difesa, in punto di fatto, ha premesso che, nei confronti del ricorrente, era già stato ordinato il sequestro ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000. Di conseguenza, non avrebbe potuto essere disposto un nuovo sequestro, sia pure ex art. 648-quater c.p., in quanto costituiva «un illegittimo bis in idem posto che il medesimo importo risultava già vincolato in forza del sequestro operato sulla base dell'art. 12-bis d.lgs. 74/2000: quanto "auto riciclato", infatti, secondo la stessa tesi accusatoria corrispondeva esattamente al profitto del delitto tributario presupposto». La difesa, lamentava, quindi, che, sul punto, il Tribunale aveva omesso ogni qualsivoglia motivazione.

In ogni caso, a tutto concedere, secondo la difesa (pag. 4 del ricorso), il Tribunale aveva errato laddove aveva «confermato il sequestro preventivo per equivalente delle somme individuate come profitto del delitto di autoriciclaggio, che in realtà, erano già provento del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e pertanto risultavano al tempo stesso oggetto di sequestro finalizzato alla confisca ai sensi dell'art. 12-bis d.lgs. 74/2000 [...] nel dettaglio, dal 1° gennaio 2015 C. avrebbe "evaso" euro 159.561,00 e successivamente "auto riciclato" esattamente euro 159.561,00. Il denaro costituente il profitto dei due delitti è dunque sempre lo stesso: di conseguenza, non è ammissibile che lo si possa sequestrare/confiscare due volte»;

3.2. la violazione dell'art. 648-quater c.p.: ad avviso della difesa l'importo indicato dal Tribunale «appare notevolmente più elevato rispetto al profitto e/o al prezzo concretamente riconducibile al reato di autoriciclaggio contestato in via provvisoria». Infatti, l'importo del profitto del reato di autoriciclaggio non può che essere identico al profitto ottenuto dall'indagato nel commettere il delitto di cui all'art. 8 d.lgs. cit. pari, secondo la difesa, ad euro 28.773,30.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni di seguito indicate.

La complessa vicenda processuale, impone, però, preliminarmente, di focalizzare i principi di diritto ai quali, prima il giudice delle indagini preliminari e, poi, il Tribunale, avrebbero dovuto attenersi in relazione al sequestro preventivo finalizzato alla confisca del prodotto, profitto o prezzo del reato di autoriciclaggio.

2. Il fumus delicti.

Risulta dal decreto del giudice delle indagini preliminari - confermata, sul punto, dal Tribunale del riesame (cfr. pag. 1 ss. dell'ordinanza impugnata) e non oggetto di alcuna contestazione da parte della difesa - che i delitti di riciclaggio ed autoriciclaggio «risultano documentalmente provati e sono stati confessati, rispettivamente, dal C. e dai due bancari Z. e L. È dimostrata al di là di ogni dubbio ragionevole, in base alle dichiarazioni dei titolari, alle ammissioni degli indagati, agli esiti dell'analisi delle operazioni fatte (contestualmente) con le carte intestate a F., D. e Bu. (nonché allo S.), che dette carte fossero nella completa ed esclusiva disponibilità dei membri del sodalizio criminoso; tale dato emerge, per di più, dalle stesse intercettazioni, da cui risulta ad esempio che il Bo. (mettendosi contemporaneamente d'accordo col Ba.) faceva bonifici su tali carte. È indubbio, inoltre, che le provviste di dette carte - nonché delle carte prepagate intestate allo stesso Ba. - fossero costituite dai proventi dei delitti di emissione di false fatture commessi dai membri del sodalizio, delitti di cui erano perfettamente al corrente i due bancari. È altresì dimostrato (lo ha riferito espressamente il C., ma risulta dalle operazioni e dalla corrispondenza cronologica tra emissione di fatture, bonifici e prelievi) che lo scopo di tali meccanismi era quello di evitare l'identificazione della provenienza delle somme provento delle frodi fiscali»: in altri termini, come risulta dal capo d'incolpazione il denaro provento del reato presupposto di cui all'art. 8 d.lgs. cit. veniva trasferito, sostituito e successivamente impiegato «parte in attività economiche inerenti alla società del Ba., parte in attività delittuose quali l'acquisto di sostanze stupefacenti».

Si può, quindi, affermare che, allo stato degli atti, è configurabile, nella condotta tenuta dal ricorrente, in concorso con altre persone, il contestato reato di autoriciclaggio: infatti, il ricorrente non si limitava a trasferire il denaro proveniente dal reato presupposto in conti correnti o carte di credito al fine di ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa (art. 648-ter.1/1 c.p.) ma, successivamente, il suddetto denaro, una volta "ripulito", veniva reinvestito «parte in attività economiche inerenti alla società del Ba., parte in attività delittuose quali l'acquisto di sostanze stupefacenti»: il che consente di configurare l'ulteriore requisito materiale del reato in esame consistente nell'impiego, sostituzione, trasferimento «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» (in terminis Cass. 33074/2016, Rv. 267459; Cass. 33076/2016, Rv. 267693), quantomeno per quella parte del denaro reinvestita nella società del Ba.

3. Il quantum confiscabile.

Risulta, in modo certo, dal mero confronto fra i capi d'incolpazione relativi ai reati presupposto (art. 8 d.lgs. cit.: capi sub 16-17-18) e quello avente ad oggetto il reato di autoriciclaggio (capo sub 20), che la somma degli importi indicati nei reati presupposto (euro 159.561,00) è perfettamente corrispondente a quella indicata come somma oggetto di autoriciclaggio.

Nel caso di specie, è stato ordinato il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente: quindi, si applica l'art. 648-quater/2 c.p. ossia la confisca «per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato» di autoriciclaggio.

3.1. Il primo problema che occorre affrontare consiste, quindi, nel verificare in cosa consista il prodotto, profitto o prezzo del reato di autoriciclaggio.

Il dato fattuale dal quale occorre partire è che il delitto di autoriciclaggio si alimenta (in tutto o in parte) con il provento del delitto presupposto.

Da qui deriva un'ovvia conseguenza sul piano giuridico: il profitto del delitto di autoriciclaggio non può coincidere con quello del reato presupposto proprio perché di quest'ultimo profitto l'agente ne ha già goduto. Quindi, il "prodotto, profitto o prezzo" del reato di autoriciclaggio non può che essere un qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto al provento del reato presupposto.

Orbene, se si tiene presente che il reato di autoriciclaggio, per essere configurabile, deve consistere nell'impiego, sostituzione, trasferimento «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto, allora diventa chiaro come il "prodotto, profitto o prezzo" del reato di autoriciclaggio confiscabile non può che consistere, appunto, nel "prodotto, profitto o prezzo" conseguito a seguito dell'impiego, sostituzione, trasferimento «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto.

Tale conclusione:

- è coerente con la ratio legis del reato di autoriciclaggio il cui obiettivo fu quello di sterilizzare il profitto conseguito con il reato presupposto e, quindi, di impedire all'agente sia di reinvestirlo nell'economia legale sia di inquinare il libero mercato ledendo l'ordine economico con l'utilizzo di risorse economiche provenienti da reati: infatti, non a caso, l'agente che abbia commesso il reato presupposto non è punibile ove, ex art. 648-ter.1/4 c.p. «il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale»;

- è in linea con il costante principio di diritto secondo il quale «in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, costituisce profitto del reato non solo il vantaggio costituito dall'incremento positivo della consistenza del patrimonio del reo, ma anche qualsiasi utilità o vantaggio, suscettibile di valutazione patrimoniale o economica, che determina un aumento della capacità di arricchimento, godimento ed utilizzazione del patrimonio del soggetto»: ex plurimis Cass. 20093/2015, Rv. 263832;

- è obbligata perché, ove si volesse far coincidere - sic et simpliciter - il profitto del reato presupposto con quello di autoriciclaggio, non vi sarebbe spazio alcuno per l'applicabilità dell'art. 648-quater c.p., proprio perché, essendo il provento del reato presupposto, a sua volta, confiscabile, non sarebbe ammissibile una duplicazione della confisca della stessa somma di denaro (o dello stesso bene). Si finirebbe, infatti, per violare il principio fondamentale secondo il quale si può sequestrare (e confiscare) solo il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale da ogni reato commesso, ma non si può duplicare la somma confiscabile perché si sanzionerebbe l'agente in assenza di un vantaggio economico (rectius: profitto) derivante dal reato di autoriciclaggio, violando così il divieto del ne bis in idem.

Alla stregua di quanto appena detto, deve, quindi, enunciarsi il seguente principio di diritto: «il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall'impiego del prodotto, del profitto o del prezzo del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative».

3.2. Tanto premesso, resta, ora da verificare quale sia il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio, ove, come nel caso di specie, il reato presupposto sia costituito dal reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8 d.lgs. 74/2000.

Relativamente al reato presupposto, il Tribunale, correttamente, ha indicato il profitto da esso ricavato «esclusivamente nell'ammontare dell'imposta evasa» e cioè in euro 52.015,52 e, a tale somma, ha limitato il suddetto sequestro, in ciò adeguandosi alla pacifica e consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale il prezzo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è, normalmente, identificabile nel compenso pattuito o riscosso per eseguire il suddetto delitto: ex plurimis Cass. 50310/2014, Rv. 261517; Cass. 43952/2016, Rv. 267925.

Infatti, secondo quanto scrive il Tribunale - senza alcuna contestazione da parte della difesa - il prezzo che il C. (insieme ad altre persone) ricavava dall'emissione delle fatture per operazioni inesistenti era stato pattuito nelle «sole somme relative all'Iva evasa in quanto non successivamente versata all'Erario» (pag. 4 ordinanza impugnata): la suddetta somma (euro 52.015,52) è stata, quindi, sottoposta a sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000 contro il quale il ricorrente non ha ritenuto di proporre ricorso per cassazione.

La somma di euro 52.015,52, costituisce, quindi, la somma che il C., successivamente, autoriciclò.

Ora, alla stregua del principio di diritto enunciato al precedente § 3.1., è del tutto evidente che il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non può essere fatto coincidere con quello stesso profitto e/o prezzo ricavato dal reato presupposto e, certamente, quella somma - già sottoposta a sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000 - non può nuovamente essere sottoposta a sequestro, seppure per altro titolo, proprio perché quella somma non può essere considerata come il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio.

Il Tribunale ha respinto la censura della difesa - confermando, quindi, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 648-quater c.p. - sostenendo che si trattava «dell'ammontare (in sé non contestato in tal sede) delle somme effettivamente transitate sui conti e sulle carte predette, nel periodo considerato e a partire dal quale è stata introdotta la fattispecie delittuosa di cui all'art. 648-ter.1 c.p. (1° gennaio 2015), con le modalità atte ad ostacolarne l'identificazione della provenienza dal reato di cui all'art. 8 d.lvo 74/2000» sicché la confisca doveva avere «ad oggetto l'interezza dei flussi finanziari transitati nei predetti conti e carte, attraverso meccanismi atti ad eluderne la tracciabilità, trattandosi delle somme nella loro interezza corrispondenti ad operazioni oggettivamente inesistenti».

Quindi, secondo la suddetta tesi, al ricorrente dovrebbe essere sequestrata (e confiscata) due volte la somma di euro 52.015,52 ossia il profitto conseguito dal reato presupposto: una prima volta in quanto profitto del reato presupposto; una seconda volta per il solo fatto che quella somma fu, successivamente, autoriciclata.

Il sequestro (e la confisca) per equivalente dovrebbe, pertanto, essere eseguito su beni per un valore complessivo di euro 104.031,04 (euro 52.015,52 x 2), nonostante, alla fin fine, il profitto ricavato dal ricorrente da tutto il suddetto meccanismo (emissione di fatture inesistenti e autoriciclaggio del profitto ricavato dal primo reato) sia di euro 52.015,52.

Sono evidenti, però, nel suddetto argomentare, i molteplici errori di diritto in cui il Tribunale è incorso e cioè:

a) l'avere confuso e sovrapposto, facendoli coincidere, il profitto del reato presupposto con quello di autoriciclaggio;

b) l'avere ritenuto i meccanismi posti in essere dall'indagato atti ad eludere la tracciabilità del suddetto denaro, di per sé sufficiente a configurare il delitto di autoriciclaggio, non considerando che l'art. 648-ter.1/1 c.p. prevede, come elementi materiali del reato, non solo una condotta che ostacoli «concretamente l'identificazione» del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del reato presupposto ma anche e, soprattutto, che i suddetti beni siano impiegati, sostituiti, trasferiti «in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative». In altri termini, il Tribunale ha confuso ed assimilato - facendole coincidere - la condotta materiale del delitto di riciclaggio di cui all'art. 648-bis c.p. con quella di autoriciclaggio che, invece, richiede, oltre alla condotta ostacolativa dell'identificazione della provenienza dei beni, anche un quid pluris costituito dal reimpiego in attività lato sensu lucrative di quei beni;

c) non avere considerato che, secondo quanto risulta sia dalla motivazione dell'ordinanza del giudice delle indagini preliminari sia dallo stesso capo d'incolpazione sub 20), il prezzo del reato presupposto (art. 8 d.lgs. cit.) era stato impiegato «parte in attività economiche inerenti alla società del Ba., parte in attività delittuose quali l'acquisto di sostanze stupefacenti»: quindi, oggetto di un eventuale sequestro finalizzato alla confisca di cui all'art. 648-ter c.p., poteva essere solo ed esclusivamente "il prodotto, il profitto o il prezzo" ricavati dal reinvestimento di quella parte del denaro proveniente dal reato presupposto nelle "attività economiche inerenti alla società del Ba.". Al contrario, l'altra parte del prezzo del reato presupposto reinvestito in attività illecita (acquisto di stupefacente) resta sequestrabile ad altro titolo.

4. In conclusione, l'ordinanza impugnata dev'essere annullata e gli atti trasmessi nuovamente al Tribunale del riesame che, in sede di rinvio, adeguandosi ai principi di diritto supra enunciati, verificherà se e quale profitto il ricorrente abbia ricavato dal reimpiego del prezzo del delitto presupposto nelle "attività economiche inerenti alla società del Ba.", e, quindi, ove la suddetta verifica abbia esito positivo, limiterà il sequestro ex art. 648-quater c.p. solo al suddetto profitto.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova - sezione per il riesame delle misure cautelari reali - per nuovo esame.

Depositata il 5 luglio 2018.