Corte di cassazione
Sezione II penale
Ordinanza 1° giugno 2018, n. 30990

Presidente: Prestipino - Relatore: Pardo

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La Corte [di] appello di Catania, con sentenza in data 7 dicembre 2017, applicava nei confronti di G. Giuseppe la pena concordata dalle parti ex art. 599-bis c.p.p., in relazione al reato di cui all'art. 648-bis c.p.

Propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità.

Il ricorso è inammissibile perché proposto avverso sentenza di concordato in appello per motivi non consentiti sicché deve pronunciarsi ordinanza de plano ex art. 610 c.p.p. nuova formulazione.

Ed infatti deve essere ricordato come ai sensi del nuovo comma 5-bis dell'art. 610 c.p.p.: "... la corte dichiara senza formalità di procedura l'inammissibilità del ricorso. Allo stesso modo la corte dichiara l'inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 599-bis".

In applicazione del suddetto principio la Suprema Corte provvede a dichiarare l'inammissibilità del ricorso per cassazione, proposto avverso la sentenza pronunciata in sede di concordato in appello, con ordinanza emessa d'ufficio ed in assenza di contraddittorio.

Al proposito va sottolineata l'assenza di simmetria tra la limitazione dei motivi di ricorso avverso la sentenza di patteggiamento e la mancata previsione di motivi proponibili avverso la sentenza di cui all'art. 599-bis c.p.p., poiché il ricorso avverso la sentenza del concordato in appello, ex artt. 599-bis e 602 c.p.p., non è circondata da analoghe previsioni rispetto al patteggiamento; difatti la modifica legislativa introdotta con la l. n. 103/2017 non ha previsto per il concordato in appello alcuna ipotesi di censure ricorribili per cassazione stabilendo per esso soltanto la declaratoria di inammissibilità de plano sicché la doglianza proposta non ha fondamento nella parte in cui propone una simmetria tra sentenza ex art. 444 c.p.p. e pronuncia ex art. 599-bis c.p.p.

Deve pertanto ritenersi che le uniche doglianze proponibili siano quelle relative alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del PG sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice di appello mentre alcuno spazio può essere ammesso per doglianze attinenti motivi rinunciati.

Del resto deve ancora essere rammentato che la giurisprudenza precedente l'abrogazione del primo concordato in appello aveva già stabilito che in tema di c.d. patteggiamento in appello il giudice d'appello nell'accogliere la richiesta avanzata a norma dell'art. 599, comma 4, c.p.p. (oggi art. 599-bis c.p.p.) non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per taluna delle cause previste dall'art. 129 c.p.p. né sull'insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto a causa dell'effetto devolutivo, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi d'impugnazione, la cognizione del giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato art. 599 c.p.p. (Sez. 6, n. 35108 dell'8 maggio 2003, Rv. 226707).

Ne consegue che, anche nel caso in esame, avendo il G. rinunciato ai motivi di appello sulla responsabilità e proposto il concordato solo sulla entità della pena, non può poi proporre valido motivo di ricorso in ordine alla mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 9 luglio 2018.