Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 30 agosto 2018, n. 21445
Presidente: Napoletano - Estensore: Marotta
FATTI DI CAUSA
1.1. Con sentenza n. 1243/2016 la Corte di appello di Reggio Calabria, pronunciando in sede di rinvio disposto da questa Corte con decisione n. 13646/2015 sul ricorso in riassunzione proposto da Elena S. nei confronti del Salumificio Dodaro S.p.A. e della Finanziaria industriale (Finind) F.lli Dodaro & c. s.n.c., confermava la pronuncia del Tribunale di Cosenza n. 2367/2010 che aveva accolto la domanda della S. e dichiarato inesistente il licenziamento alla medesima intimato, con la sola precisazione che le retribuzioni da corrispondersi fossero dovute solo fino al 1° marzo 2012 (data di cessazione della produzione) e che non si potesse dar luogo alla reintegra.
1.2. La Corte territoriale, sul presupposto in diritto che il trasferimento d'azienda disciplinato dall'art. 2112 c.c. potesse essere ravvisabile anche nell'ipotesi di cessione di un ramo autonomo e non necessariamente dell'intera azienda e che una cessione del singolo contratto di lavoro potesse essere configurabile solo con il consenso del lavoratore, rilevava che le mansioni della S. rientravano nella produzione trasferita dalla Finind al Salumificio Dodaro S.p.A. e che la dipendente aveva continuato a lavorare presso lo stabilimento Finind solo perché il settore ove svolgeva la propria opera, quello dell'insaccato fresco, era rimasto nel vecchio stabilimento di Castrolibero dato che quello di Spezzano non era ancora attrezzato per tale lavorazione.
Rilevava che, quand'anche il rapporto di lavoro fosse rimasto in capo alla Finind, comunque il recesso era privo di giustificato motivo oggettivo perché l'attività di produzione delle salsicce non era affatto venuta meno, semmai era passata al Salumificio Dodaro S.p.A.
2. Per la cassazione della sentenza ricorre la Dodaro S.p.A. con quattro motivi.
3. Elena S. resiste con controricorso.
4. Non sono state depositate memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, deve osservarsi che non si ravvisano profili di incompatibilità nei confronti di alcuni componenti del collegio che hanno esaminato il precedente ricorso per Cassazione nell'ambito del medesimo giudizio (sentenza n. 13646/2015).
Come hanno avuto modo di sottolineare le Sezioni unite di questa Corte, il giudizio di legittimità non si riferisce direttamente alla domanda proposta dall'attore, bensì alla decisione già assunta su tale domanda al fine di verificarne, appunto, la correttezza; pertanto, qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (v. Cass., Sez. un., 25 maggio 2013, n. 24148).
Le Sezioni unite hanno, invero, ritenuto che non sussiste la concreta possibilità che il giudice che abbia partecipato al precedente giudizio di legittimità sia meno libero di decidere o sia condizionato dalla volontà di "difendere" la precedente decisione di legittimità.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Lamenta che la corte territoriale ha condannato la Dodaro S.p.A. sebbene la parte avesse proposto la domanda nei confronti della sola società che aveva intimato il licenziamento.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte d'appello considerato che la stessa ricorrente aveva affermato di non aver mai prestato attività lavorativa presso la cessionaria bensì di aver lavorato presso la Finind.
4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2112 c.c. in relazione all'errata valutazione del trasferimento d'azienda.
5. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio poiché la Corte territoriale non avrebbe considerato che nel corso del giudizio era stato dedotto che la S. era andata in pensione sin dal gennaio 2009 e che la società era in cassa integrazione dal 2008.
6. La controricorrente preliminarmente eccepisce l'inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività.
7. L'eccezione è fondata.
L'art. 16-septies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221, intitolato "Tempo delle notificazioni" prevede espressamente che: "La disposizione dell'art. 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo".
Questa Corte ha chiarito (Cass. 22 dicembre 2017, n. 30766, Cass. 29 dicembre 2017, n. 31209) che la previsione consta di due parti. La prima estende anche alle notificazioni telematiche la regola dettata dall'art. 147 c.p.c. per cui le notificazioni non possono farsi prima delle 7 e dopo le 21. La seconda precisa che, in caso di notifiche telematiche, se la notificazione è eseguita dopo le 21 "si considera perfezionata" alle 7 del giorno dopo.
Il legislatore pertanto ha esteso la delimitazioni di orario dettate per le notificazioni effettuate tramite ufficiale giudiziario anche alle notificazioni telematiche (prima parte) ed ha trasformato quello che nell'art. 147 è un divieto di compiere materialmente l'atto in un meccanismo per cui la notificazione se viene comunque eseguita, "si considera perfezionata" solo alle 7 del giorno dopo.
È, quindi, intervenuto sul concetto di perfezionamento della notificazione stabilendo che, se effettuata in orario tra le 21 e le 7, la notifica si considera perfezionata alle 7 del mattino.
Nel fare ciò il legislatore non ha distinto la posizione del notificante da quella del destinatario della notifica. Sicché tale distinzione continuerà a valere, secondo la regola generale dettata dall'art. 3-bis l. 21 gennaio 1994, n. 53, nel senso che se il notificante ha richiesto la notifica prima delle 21 e la consegna è avvenuta dopo le 21, la notifica si è perfezionata quel giorno, in quanto rimane fermo che per lui ciò che vale è la ricevuta di accettazione della richiesta. Ma se invece egli ha richiesto la notifica dopo le 21, il perfezionamento, per espressa previsione normativa, si considera avvenuto alle 7 del giorno dopo.
Nella specie, a fronte della notifica della sentenza di appello avvenuta a mezzo pec in data 16 dicembre 2016 (v. all. n. 3 al controricorso oltre che pag. 1 del ricorso per cassazione), la notifica del ricorso per cassazione con modalità telematiche è stata chiesta dalla ricorrente l'ultimo giorno utile e cioè il 14 febbraio 2017 (martedì), ma dopo le 21 (si veda la relata di notifica telematica allegata al ricorso per cassazione attestante la richiesta di notifica in data 14 febbraio 2017 alle ore 22:50, notifica accettata dal destinatario, come da ricevuta pure allegata, alle ore 22:51).
Ai sensi di quanto sopra evidenziato, dunque, il perfezionamento di tale notifica deve considerarsi avvenuto il giorno 15 febbraio 2017, quando i termini per l'impugnazione erano già scaduti.
8. Da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
9. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
10. Va dato atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15% da distrarsi in favore degli avvocati Giuseppina Mauro e Annunziato Tenuta, antistatari.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.