Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 5 ottobre 2018, n. 5719
Presidente: Anastasi - Estensore: Forlenza
FATTO
1.1. Con l'appello in esame, l'Associazione cittadini bresciani e veronesi per la tutela dell'ambiente ed altri, come specificamen[t]e indicati in epigrafe, impugnano la sentenza 6 aprile 2017, n. 4295, con la quale il TAR per il Lazio, sez. II-bis, ha in parte dichiarato inammissibile, in parte respinto, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso ed i motivi aggiunti, proposti rispettivamente:
- il primo, avverso una pluralità di atti, inerenti il progetto definitivo del lotto Brescia-Verona dell'Alta Velocità, ed in particolare avverso il decreto 22 febbraio 2016, con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha accertato l'ottemperanza del progetto definitivo del lotto Brescia-Verona dell'Alta Velocità alle prescrizioni imposte dal CIPE con il provvedimento di approvazione del progetto preliminare;
- i secondi, avverso una pluralità di atti, tra i quali la delibera 1° gennaio 2016, n. 22, con la quale il CIPE ha disposto la reiterazione del vincolo preordinato all'esproprio apposto con delibera n. 120/2003 (reiterato con delibera n. 21/2009), sulle aree ed immobili interessati alla realizzazione della linea di alta velocità Milano-Verona, tratta Brescia-Verona.
1.2. La sentenza impugnata ha rigettato preliminarmente una richiesta di rinvio avanzata dai ricorrenti (che, per il caso di suo mancato accoglimento, avevano eccepito l'illegittimità costituzionale degli artt. 46 e 73 c.p.a., per violazione degli artt. 24, 111 e 76 della Costituzione), affermando che "la legittimazione ad agire, la concreta lesività dei provvedimenti impugnati e l'interesse a ricorrere, sui quali i ricorrenti hanno affermato di volere ulteriormente dedurre, costituendo presupposti dell'azione sono rilevabili di ufficio e avrebbero dovuto essere, in ogni caso, trattati e provati dai ricorrenti, indipendentemente dall'eccezione di parte, e sono stati, in verità, oggetto di trattazione nella replica dei ricorrenti ex art. 73 c.p.a. e di una compiuta discussione all'udienza pubblica del 9 gennaio 2017".
Contestualmente, la sentenza ha deciso di non sollevare la proposta questione di legittimità costituzionale, stante la sua manifesta infondatezza (v. pagg. 11-14 sent.).
Tanto affermato, la sentenza - prescindendo dall'esame "delle numerose eccezioni di inammissibilità dell'intero gravame per carenza di omogeneità degli interessi azionati ... e di carenza di legittimazione attiva di alcuni ricorrenti" - ha quindi proceduto all'esame dei singoli motivi proposti, affermando, in particolare:
- i due primi motivi, con i quali si "lamenta l'illegittimità dell'intera procedura per violazione delle norme comunitarie e nazionali in materia di affidamento degli appalti" etc., devono essere dichiarati inammissibili poiché "i ricorrenti risultano, in verità, carenti di legittimazione attiva in quanto soggetti neppure astrattamente legittimati a partecipare alla potenziale gara per l'aggiudicazione dell'opera"; di conseguenza, "anche la prospettata richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia è del tutto inammissibile, poiché articolata in rapporto ad una questione irrilevante ai fini della decisione" (v. pagg. 15-17 sent.);
- le ulteriori doglianze, con le quali vengono "genericamente dedotte asserite carenze dello studio di impatto ambientale", sono infondate, in quanto articolate "senza alcuna concreta indicazione delle circostanze dalle quali desumere l'effettiva sussistenza dei vizi e delle insufficienze denunciate" ed in quanto vengono "censurati pareri connotati da un elevato grado di discrezionalità tecnica, sottratti, al di fuori dei casi di manifesta irragionevolezza o macroscopico errore, al sindacato del giudice amministrativo"; in sostanza, "a fronte di una valutazione di cui non è stata dimostrata l'illegittimità per manifesta illogicità o per travisamento dei fatti, non si presenta in sé censurabile la decisione di considerare sostanzialmente ottemperate le prescrizioni originarie e di rinviare taluni ulteriori adempimenti alla fase della progettazione esecutiva" (v. pagg. 17-22, anche con riferimento a singole prescrizioni ritenute inottemperate);
- il motivo con il quale si deduce che per l'approvazione del progetto avrebbe dovuto essere reiterata la VIA, è infondato, in quanto l'obbligo di realizzare i progetti entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di VIA è stato introdotto dal d.lgs. n. 4/2008, successivo all'approvazione del progetto preliminare dell'opera in esame (avvenuto con la delibera CIPE n. 120/2003), "di qui l'applicazione dell'art. 4, comma 1, del medesimo d.lgs. che chiarisce che ai progetti per i quali alla data di entrata in vigore del presente decreto, la VIA è in corso, con l'avvenuta presentazione del progetto e dello studio di impatto ambientale, si applicano le norme vigenti al momento dell'avvio del relativo procedimento" (pag. 22 sent.);
- i motivi con i quali si lamenta la mancata considerazione della c.d. "opzione zero" e la mancata valutazione del rapporto costi-benefici avrebbero dovuto "essere dedotti eventualmente contro la delibera CIPE n. 120/2003, con la quale l'amministrazione, esercitando il suo potere tecnico-discrezionale ha stabilito la necessità della realizzazione dell'opera ed individuato la sua ubicazione, cosicché risultano ormai inammissibili e tardive le contestazioni relative alla localizzazione dell'opera o ai suoi costi, esposte, peraltro, con considerazioni del tutto generiche, che vanno ad impingere, per di più, nelle valutazioni di merito comunque riservate alla P.A." (v. pagg. 22-23 sent.);
- il motivo con il quale si lamenta la mancata sottoposizione del progetto in via preventiva a VAS, è infondato, sia in quanto la previsione di VAS, di cui alla direttiva VAS 2001/42/CE non poteva essere imposta prima della scadenza del termine per il suo recepimento (anche a sostenerne la natura c.d. self-executing); sia in quanto la VAS è una valutazione di compatibilità ambientale relativa ai piani e ai programmi e non già ai singoli progetti, per i quali il legislatore ha invece previsto la VIA (v. pagg. 23-24 sent.);
- i motivi con i quali si deduce la nullità ex art. 1418 c.c. dei contratti sottoscritti con i general contractor, del contratto tra questi ultimi e RFI e, di conseguenza, anche di tutta l'attività svolta da CEPA DUE, nonché di tutti i provvedimenti a valle di quelli impugnati, per contrasto con le norme imperative del Trattato CE, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e di tutte le disposizioni comunitarie e nazionali in materia di gare pubbliche, sono inammissibili "non essendo altro che la riproposizione, da ulteriore punto di vista, delle medesime doglianze già esposte nei primi motivi di ricorso in materia di violazione delle norme sulla concorrenza" (v. pagg. 24-25 sent.);
- i motivi aggiunti con i quali si sono impugnati gli atti di reiterazione del vincolo preordinato all'esproprio sono infondati, in quanto fondati sul presupposto dell'applicazione immediata del d.lgs. n. 50/2016 (che non prevede più la disciplina speciale della durata settennale del vincolo per la realizzazione delle opere strategiche), laddove tale applicazione immediata è esclusa dagli artt. 216, comma 1, e 214, comma 2, lett. f), del citato d.lgs. n. 50/2016 (v. pagg. 25-26 sent.);
- vi è difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle questioni afferenti ai danni derivanti dal vincolo preordinato all'esproprio e dalla sua reiterazione, nonché quelle in ordine ad una pretesa insufficienza delle somme stanziate (v. pag. 27 sent.);
- sono infondati i motivi con i quali si deduce la carenza di motivazione nella reiterazione del vincolo e la sua contrarietà a quanto previsto dal Primo protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (v. pagg. 27-28 sent.);
- è infondato il motivo con il quale si deduce la mancata comunicazione agli interessati dell'avvio del procedimento di reiterazione del vincolo, alla luce sia dell'art. 165, comma 7-bis, d.lgs. n. 163/2006, sia della mancata evidenziazione da parte dei ricorrenti dell'apporto partecipativo che essi avrebbero potuto fornire (v. pagg. 28-29 sent.);
- sono infondati i motivi rivolti avverso gli altri atti impugnati con i motivi aggiunti, alla luce di quanto già affermato in sede di VAS e di mancata valutazione dell'opzione zero (v. pagg. 29-30 sent.);
- infine, deve essere rigettata "la richiesta di disapplicazione della normativa in materia di infrastrutture strategiche per contrasto con i principi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo o di rinvio della relativa questione alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia (v. pagg. 30-31 sent.).
2. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando, in relazione al difetto di legittimazione attiva degli appellanti, poiché "tutti i ricorrenti sono legittimati ad agire in giudizio" (per le ragioni esposte a pagg. 25-26 app.);
b) travisamento ed errata interpretazione degli artt. 46 e 73 c.p.a.; in subordine, incostituzionalità di tali articoli per violazione degli artt. 24, 111 e 76 Cost. e della l. n. 9/2009 per eccesso di delega; ciò in quanto "il deposito delle resistenti di documenti e memorie nei termini di cui all'art. 73 c.p.a. nega ... un adeguato contraddittorio e quindi lede il diritto di difesa"; in particolare, "la lesione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa devono essere valutate in astratto non in concreto". In ogni caso, vi è piena ammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo;
c) illogicità, errata interpretazione e travisamento dell'art. 100 c.p.c., nella parte in cui è stata dichiarata la carenza di legittimazione dei ricorrenti a proporre i primi due motivi di ricorso (riproposti alle pagg. 32-38); ciò in quanto la sentenza "non ha considerato che nella fattispecie la questione non attiene all'interesse ad agire o al risultato concreto che si prefiggono i ricorrenti ma solamente alle modalità di esplicazione delle proprie difese" e non ha colto la "differenza sostanziale che sussiste tra l'interesse ad agire di un soggetto che vuole partecipare ad una gara d'appalto e l'interesse ad agire che caratterizza l'impugnazione di un atto amministrativo nel quale il risultato finale non è la partecipazione ad una gara d'appalto ma il rifacimento di un progetto chiaramente lesivo degli interessi perseguiti dai ricorrenti in I grado". In subordine, è sollevata questione di illegittimità costituzionale dell'art. 100 c.p.c., per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. e con lo Statuto dell'Unione europea;
d) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione dell'art. 185, commi 4 e 5, d.lgs. n. 163/2006, dell'art. 5 d.lgs. n. 152/2006 e delle prescrizioni contenute nel parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS n. 1767 del 17 aprile 2015 (con riferimento ai motivi terzo, quarto e quinto, riproposti alle pagg. 41-44 app.); ciò in quanto "è irragionevole e illegittimo il giudizio della Commissione speciale VIA in quanto i contenuti del progetto definitivo e quelli del giudizio di ottemperanza sono indicati da atti legislativi e aventi forza di legge", di modo che "né la Commissione speciale VIA e neppure il TAR Lazio possono sostituire il proprio giudizio di ottemperanza (o di possibile futura ottemperanza mediante il progetto esecutivo) con il giudizio già espresso a priori dal legislatore";
e) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione art. 26, comma 6, d.lgs. n. 152/2006 (con riferimento al sesto motivo di ricorso, riproposto a pagg. 49-50 app.); ciò in quanto l'obbligo di realizzare i progetti entro i cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di VIA "è applicabile in virtù dei principi generali dell'azione amministrativa";
f) omessa pronuncia sul settimo motivo di ricorso, recante violazione della direttiva n. 2004/35/CE; eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza di istruttoria (riproposto alle pagg. 50-53 app.);
g) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione dell'art. 184 d.lgs. n. 163/2006 e dell'art. 19 d.lgs. n. 190/2002 (in relazione all'ottavo motivo di ricorso, riproposto alle pagg. 54-56 app.); ciò in quanto "la localizzazione dell'opera non esaurisce la c.d. opzione zero e neppure le opzioni alternative", che devono essere comunque contenute nel provvedimento di VIA e non nei provvedimenti di localizzazione dell'opera; né la mancata impugnazione del progetto preliminare rende tardiva l'impugnazione del progetto definitivo;
h) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione della direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2001; degli artt. 3-ter, 4, 6 e 11 d.lgs. n. 152/2006 e dell'art. 161, comma 1-quater, d.lgs. n. 163/2006 (in relazione al nono motivo di ricorso, riproposto alle pagg. 58-59 app.); ciò in quanto "laddove il provvedimento amministrativo non sia ancora terminato, l'entrata in vigore di nuove disposizioni, in particolare in materia ambientale, rende necessario l'adeguamento del procedimento amministrativo alle nuove disposizioni", inoltre "lo speciale procedimento per le opere strategiche può anche prevedere l'unificazione procedimentale della VIA e della VAS ma tale procedimento deve avere tutti in contenuti (non sovrapponibili) di entrambi i procedimenti";
i) omessa pronuncia sul decimo motivo di ricorso (riproposto alle pagg. 60-63 app.), con il quale è stato dedotto violazione artt. 4, 5 e 6 della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, ratificata con l. n. 184/1977; violazione art. 3-ter d.lgs. n. 152/2006 e degli artt. 135, comma 4, lett. d), 142 e 145, comma 3, d.lgs. n. 42/2004;
l) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione art. 1418 c.c. (in relazione all'undicesimo motivo, riproposto alle pagg. 63-65 app.); ciò in quanto sussiste la legittimazione degli appellanti e, in ogni caso, "la contrarietà a norme imperative non può essere ricondotta alla categoria dell'annullabilità", poiché essa non esula dall'art. 21-septies l. n. 241/1990, che contempla la nullità anche "negli altri casi espressamente previsti dalla legge";
m) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione dell'art. 12 d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008 (in relazione al dodicesimo motivo di ricorso, riproposto alle pagg. 65-67 app.), poiché la questione di costituzionalità delle norme citate non è irrilevante ai fini della decisione;
n) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione art. 4 d.P.C.M. 27 dicembre 1988 (in relazione al tredicesimo motivo di ricorso, riproposto alle pagg. 67-69 app.); sul punto "ci si richiama a quanto già asserito in ordine alla possibilità di far valere i vizi avverso i provvedimenti impugnati e non contro la delibera CIPE del 2001";
o) travisamento dei fatti e dei presupposti, errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione dell'art. 1 d.P.R. n. 327/2001, dell'art. 206, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 e dell'art. 9, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 (in relazione al primo motivo aggiunto, riproposto a pag. 70 app.); ciò in quanto "i ricorrenti si sono limitati a sostenere che per quanto riguarda la durata del vincolo, l'abrogazione della legge obiettivo ha fatto venir meno la durata settennale del vincolo, che, al momento della sua reiterazione sarebbe stato già scaduto";
p) violazione art. 9 d.P.R. n. 37/2001, dell'art. 42 Cost., dell'art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; irragionevolezza ed illogicità della reiterazione; contraddittorietà della durata dei lavori (in relazione al secondo motivo aggiunto, riproposto alle pagg. 71-72 app.); poiché "nel nuovo testo unico sugli appalti non vi è alcuna disposizione che consenta di mantenere la durata settennale del vincolo";
q) travisamento dei fatti e dei presupposti; errata valutazione dei provvedimenti impugnati ed errata interpretazione art. 11 d.P.R. n. 327/2001 e degli artt. 7, 8, 9 e 10 l. n. 241/1990 (in relazione al quarto motivo aggiunto, riproposto alle pagg. 73-74 app.); poiché "la reiterazione del vincolo avrebbe dovuto imporre la comunicazione di avvio del procedimento agli interessati" ed inoltre "gli interessati non devono dimostrare l'utilità dell'apporto partecipativo che è in re ipsa nel caso in cui l'opera sia ancora da approvare.
Formulata una specifica richiesta istruttoria (v. pag. 74 app.), gli appellanti concludono richiedendo preliminarmente il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la verifica di conformità dell'art. 2, comma 1-ter, d.lgs. n. 163/2006, degli artt. 173 e 177 d.lgs. n. 163/2006, dell'art. 6 d.lgs. n. 190/2002 e dell'art. 13, comma 8-sexiesdecies, d.l. n. 7/2007, conv. in l. 40/2007, nella parte in cui le disposizioni citate consentono che la realizzazione delle grandi infrastrutture possa avvenire escludendo la gara pubblica e la disciplina della libera circolazione, con riferimento agli artt. 14 e 1, Protocollo 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonché agli artt. 43, 49, comma 1, 50, 56, comma 1, e 63 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché agli artt. 43, 49, comma 1, e 56, comma 1, del Trattato dell'Unione europea vigente fino al 1° dicembre 2009.
3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonché il CIPE - Comitato interministeriale per la programmazione economica, che hanno concluso per io rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza.
4. Si è altresì costituita in giudizio la società RFI - Rete ferroviaria italiana, che ha concluso per il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza.
In ogni caso, la società ripropone le eccezioni assorbite dalla sentenza impugnata (v. pagg. 19-21 memoria del 28 agosto 2017), e precisamente:
a1) inammissibilità del ricorso per difetto del requisito di omogeneità dell'interesse azionato, con riferimento alla proposizione del ricorso "collettivo" da parte di "una pletora di soggetti (oltre 60) tra loro eterogenei e che agiscono per differenti interessi";
b1) irricevibilità per tardività delle censure proposte contro il progetto preliminare;
c1) inammissibilità del ricorso per carenza di interesse attuale e concreto delle censure contro gli atti del Ministero dell'Ambiente.
La società ha altresì dedotto in ordine alla infondatezza delle questioni di legittimità comunitaria e delle questioni di legittimità costituzionale.
5. Si è costituito in giudizio anche il Consorzio CEPAV DUE, che ha concluso per il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza.
Preliminarmente, il Consorzio ha eccepito l'inammissibilità dell'appello relativamente alle "censure avanzate in sede di appello avverso i provvedimenti impugnati in primo grado sulla base di atti intervenuti ... successivamente"; nonché relativamente alle censure fondate sul documento "Connettere l'Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture", allegato al DEF approvato dal Consiglio dei Ministri dell'11 aprile 2017, ed infine in quanto "gli appellanti si limitano a riproporre motivi di I grado, senza formulare alcuna specifica effettiva censura nei confronti della sentenza impugnata".
Inoltre, il Consorzio ha riproposto le eccezioni avanzate in I grado e dichiarate assorbite (v. memoria del 28 agosto 2017), e precisamente:
a2) inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per carenza di omogeneità degli interessi azionati, poiché sia il ricorso che i motivi aggiunti sono stati proposti "da una congerie eterogenea di soggetti del tutto diversi tra loro, che nulla hanno in comune quanto a situazione sostanziale legittimante l'azione e che sono accomunati soltanto da un interesse di puro fatto all'opposizione aprioristica alla realizzazione dell'opera" (il che rende inammissibile il ricorso collettivo);
b2) inammissibilità per difetto di legittimazione a ricorrere:
b2.1) con riferimento ai ricorrenti Associazione cittadini bresciani e veronesi per la tutela dell'ambiente, Comitato cittadini Calcinato, Associazione socio culturale di carattere ambientale Castelnuovo futura, Associazione Consorzio colline moreniche del Garda, Associazione Terra viva Verona, poiché "trattandosi di associazioni e comitati diversi dalle associazioni ambientaliste ... gli appellanti avrebbero dovuto dimostrare di avere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità nell'area interessata dalla realizzazione dell'opera";
b2.2) con riferimento ai signori Maristella T., Cinzia T., Guglielmo M., "perché nessuno di loro è proprietario di aree oggetto della procedura espropriativa per la realizzazione dell'opera né dalla sua cantierizzazione";
c2) inammissibilità per carenza di interesse, con riferimento a specifici atti, indicati a pagg. 66-67 memoria cit.;
d2) in via gradata: irricevibilità del ricorso per tardiva impugnazione di atti (v. pagg. 67-68 memoria cit.);
e2) inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado per violazione dei doveri di sinteticità, chiarezza e specificità degli atti ex artt. 3, comma 2, 40 e 41 c.p.a.
6. Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all'udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
7. Il Collegio ritiene preliminare, ai fini del decidere, l'esame della pluralità di eccezioni proposte sia dalla RFI - Rete ferroviaria italiana, sia dal Consorzio CEPAV DUE, poiché tali eccezioni - non esaminate e dunque assorbite dalla sentenza di I grado - sono state riproposte con le memorie di costituzione.
Tali eccezioni riguardano (ed è questo l'ordine logico-giuridico del loro esame, sempre che - ovviamente - l'accoglimento di una eccezione poziore non escluda ex se l'esame delle successive):
- in primo luogo, l'ammissibilità dell'appello in quanto tale (è di tale tipo l'eccezione con la quale il Consorzio deduce che "gli appellanti si limitano a riproporre motivi di I grado, senza formulare alcuna specifica effettiva censura nei confronti della sentenza impugnata");
- in secondo luogo, le eccezioni che investono interamente il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed i motivi aggiunti, quali sono quelle che riguardano la sussistenza delle condizioni dell'azione (anche quanto alla "omogeneità" degli interessi fatti valere per il tramite di ricorso collettivo: sub lett. a1) ed a2) dell'esposizione in fatto), ovvero quella che riguarda la violazione di doveri di sinteticità, chiarezza e specificità degli atti ex artt. 3, comma 2, 40 e 41 c.p.a. (sub lett. e2) dell'esposizione in fatto);
- in terzo luogo, le eccezioni con le quali si deduce l'insussistenza della legittimazione ad agire con specifico riguardo a taluni dei ricorrenti in I grado (sub lett. b2.1) e b2.2) dell'esposizione in fatto);
- in quarto luogo, le eccezioni con le quali si deduce l'insussistenza di interesse ad agire (anche sotto il profilo della tardività della censura) in relazione all'impugnazione di specifici atti (sub lett. b1), c1), c2) e d2) dell'esposizione in fatto;
- infine, l'eccezione con la quale il Consorzio, in sostanza, lamenta la proposizione di motivi nuovi (ovvero di nuovi profili di doglianza per motivi già proposti) con particolare riguardo alle censure fondate sul documento "Connettere l'Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture", allegato al DEF approvato dal Consiglio dei Ministri del 11 aprile 2017.
La rilevabilità d'ufficio ovvero l'esame pregiudiziale delle eccezioni che riguardano presupposti processuali (quali, ad esempio, la giurisdizione o la competenza), ovvero la sussistenza delle condizioni dell'azione in capo ad uno (o più) dei ricorrenti (sono di tale natura anche le eccezioni che riguardano l'ammissibilità del ricorso collettivo o cumulativo, risolvendosi esse in una censura in ordine alla omogeneità degli interessi per i quali si richiede uno actu tutela al giudice; ovvero l'eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, attenendo questa alla azionabilità - e dunque attualità - dell'interesse) non può essere pretermesso dal giudice (anche in considerazione della rilevabilità d'ufficio delle ipotesi innanzi descritte), in considerazione di un "pronto esame" del ricorso nel merito, se non a seguito di una attenta e prudente valutazione, la quale non può che avere esito negativo le volte in cui difetta il potere stesso del giudice di esaminare nel merito la questione sottopostagli (come nel caso di difetto di giurisdizione).
Ciò comporta che, qualora l'esame delle eccezioni dei tipi innanzi rappresentati sia ritenuto necessario dal giudice, lo stesso non può che avvenire in via preliminare, secondo un criterio di "continenza" logico-giuridica, e ciò - con particolare riguardo al grado di appello - indipendentemente dall'eventuale "graduazione" espressamente affermata dalla parte.
La c.d. domanda di esame "gradato" ovvero "condizionato" dei motivi, infatti, non può che riguardare i motivi con i quali si sottopongono al giudice di appello censure "di merito" della sentenza impugnata, non già quelli con i quali si sottopongono a tale giudice eccezioni non esaminate in I grado, tali da risolvere la causa "in rito" (in senso conforme, C.d.S., Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).
Nel caso di specie, peraltro, talune delle eccezioni proposte "in via subordinata" da RFI (e segnatamente quella sub lett. a1) sono state altresì proposte (senza indicazione di "graduazione/subordinazione") dal Consorzio CEPAV DUE.
8. Tanto precisato, deve essere respinta l'eccezione con la quale il Consorzio appellato deduce l'inammissibilità dell'appello in quanto "gli appellanti si limitano a riproporre motivi di I grado, senza formulare alcuna specifica effettiva censura nei confronti della sentenza impugnata".
Dall'esame del ricorso in appello appare, infatti, evidente - e di tanto si è dato atto nella precedente parte espositiva in fatto - come gli appellanti abbiano fatto precedere la riproposizione di ciascun singolo motivo di ricorso (già proposto in I grado, e dichiarato inammissibile o infondato dalla sentenza impugnata ovvero, secondo la loro prospettazione, da questa non esaminato), da una esposizione critica delle proprie ragioni di dissenso in ordine al capo della decisione di I grado specificamente censurato.
Impregiudicata ogni considerazione in ordine ai motivi di appello, appare evidente come non possa censurarsi il ricorso introduttivo del presente grado di giudizio, richiedendone la declaratoria di inammissibilità, per una non riscontrata assenza di censure avverso la sentenza impugnata.
9. Il Collegio ritiene inammissibili il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed i successivi motivi aggiunti per non omogeneità delle posizione dei ricorrenti sottoscrittori "in via collettiva" di ambedue gli atti.
E ciò anche in accoglimento delle specifiche eccezioni riproposte in appello da parte di RFI (sub lett. a1) e del Consorzio CEPAV DUE (sub a2).
9.1. Questa Sezione ha già avuto modo di affrontare diffusamente le problematiche poste dal ricorso collettivo (C.d.S., sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2700), formulando considerazioni che devono ribadirsi nella presente sede.
La giurisprudenza amministrativa ha affermato che nel processo amministrativo, anche dopo la codificazione del 2010 (v. artt. 40 e ss. c.p.a.), la proposizione del ricorso collettivo rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione.
Di conseguenza, ai fini della ammissibilità del ricorso collettivo occorre che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali e cioè che le domande giudiziali siano identiche nell'oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi (C.d.S., sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 363; sez. VI, 18 luglio 1997, n. 1129; sez. IV, 14 ottobre 2004, n. 6671; sez. V, 24 agosto 2010, n. 5928).
Pertanto, la proposizione contestuale di un'impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di precisi requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo: i primi sono rappresentati dall'assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l'accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri; i secondi consistono, invece, nell'identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell'oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (C.d.S., sez. IV, 29 dicembre 2011, n. 6990).
9.2. Il Collegio ritiene di non doversi discostare dagli indirizzi giurisprudenziali innanzi esposti, pur dovendo procedere ad alcune precisazioni.
Occorre, innanzi tutto, precisare che l'affermazione secondo la quale il ricorso collettivo deve essere inteso come una "deroga" al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione, non significa che principio generale del processo amministrativo (e del processo in generale) sia l'esercizio "singolare" del diritto di azione da parte di ciascun titolare di una posizione giuridica per la quale si richiede tutela giurisdizionale.
Ed infatti, non vi sono norme che ciò prescrivono né nel codice del processo amministrativo, né nel codice di procedura civile, deponendo anzi in senso (tendenzialmente) contrario le norme in tema di connessione, presenti in ambedue i Codici (artt. 31-36, art. 40 c.p.c.; art. 70 c.p.a.).
Ciò che consente a più soggetti di agire in giudizio per il tramite di un solo strumento di vocatio - assumendo "collettivamente" la qualità di parte attorea ovvero di parte ricorrente - è la identità di posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela: in questo senso, più titolari in comunione di un diritto reale potranno agire "collettivamente" in giudizio per la tutela del loro diritto da aggressioni e/o compromissioni ovvero per il risarcimento del danno eventualmente subito, così come più titolari di un medesimo diritto di credito con un solo atto processuale potranno richiedere la condanna del debitore all'adempimento della propria obbligazione.
Tale situazione, tuttavia, più che "derogatoria" di un principio generale, costituisce una ipotesi ordinaria di esercizio del potere di azione, proiezione in sede processuale di una situazione sostanziale identica, accomunante tutti gli attori o ricorrenti.
Anzi, occorre osservare che, laddove in presenza di identiche situazioni processuali fossero scientemente imposti una pluralità di giudizi, potrebbe ricorrere, in casi limite, la violazione dei principi di correttezza e buona fede processuale nonché la violazione del principio del giusto processo.
In tal senso, è noto come la giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726; Id., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28266 e 9 aprile 2013, n. 8576; C.d.S., sez. IV, 29 novembre 2016, n. 5019), individui una violazione dei principi di correttezza e di buona fede oggettiva, che devono improntare anche le fasi dell'azione giudiziale (di cognizione e di esecuzione) per ottenere l'adempimento del credito, in attuazione del dovere inderogabile di solidarietà ex art. 2 Cost., nonché la connessa violazione del principio del giusto processo, ex artt. 111 Cost. e 6 CEDU, nelle ipotesi di pluralità di azioni giudiziarie conseguenti o al frazionamento dei distinti diritti di credito aventi tuttavia unica fonte costitutiva o alla parcellizzazione di un unico diritto di credito, con riferimento a singole "voci" del medesimo, posto che la parcellizzazione giudiziale dell'adempimento del credito incide in senso pregiudizievole o comunque peggiorativo sulla posizione del debitore, sia per il profilo del prolungamento del vincolo coattivo sia per il profilo dell'aggravio di spese e dell'onere di molteplici opposizioni.
In definitiva, nell'ambito civilistico, l'azione collettiva è per lo più proiezione di una posizione sostanziale unitaria (ovvero si giustifica/impone per ragioni di correttezza e buona fede in campo processuale); nell'ambito amministrativo, essa deriva - come meglio di seguito precisato - dal fatto che il provvedimento può contestualmente investire e ledere più soggetti.
9.3. Alla luce di quanto esposto, appare evidente come il ricorso "collettivo" non solo non costituisca una ipotesi "derogatoria" del normale regime processuale, ma anzi, ricorrendo i presupposti innanzi indicati, rappresenti lo strumento "ordinario" (se non "necessitato") di instaurazione del rapporto processuale.
È in questo contesto che la giurisprudenza amministrativa (condivisibilmente) indica, ai fini dell'ammissibilità del ricorso collettivo, "identità di situazioni sostanziali e processuali", individuando tale identità nella circostanza che le domande giudiziali siano identiche nell'oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi.
9.3.1. Più precisamente, ciò comporta:
- per un verso, la "identità" della posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela in giudizio, intendendosi per "identità" non già la astratta appartenenza della posizione in concreto considerata ad una delle due species tutelate dal nostro ordinamento giuridico, quanto la riconducibilità di tutte le posizioni (in particolare, di interesse legittimo) alla medesima tipologia posta dall'atto di esercizio del medesimo potere amministrativo;
- per altro verso, la "identità" del tipo di pronuncia richiesto al giudice;
- per altro verso ancora, la "identità" degli atti impugnati, nel senso che tutti gli atti oggetto di impugnazione siano "comuni" a tutti i ricorrenti, cioè siano tutti (e ciascuno di essi) egualmente lesivi di "identiche" posizioni di interesse legittimo. Ed infatti, se l'identità delle posizioni giuridiche soggettive deve essere ricercata nel "tipo" di potere esercitato, ad identità (così definita) di posizioni non può che corrispondere, specularmente, "identità" di atti impugnati;
- infine, la identità dei motivi di censura rivolti avverso gli atti impugnati, che rappresenta una evidente conseguenza di quanto ora esposto, e cioè della relazione intercorrente tra atto illegittimo e situazione giuridica posta dall'esercizio del potere e da questo, nel concreto esercizio, illegittimamente lesa.
L'identità di posizione giuridica sostanziale, per la quale si richiede la tutela giurisdizionale (costituita, nel giudizio amministrativo di legittimità, dalla posizione di interesse legittimo), è data dalla identità del momento genetico, rappresentato dall'atto di esercizio del potere amministrativo (C.d.S., sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4644), di modo che tutti gli interessi legittimi che sorgono per effetto dell'esercizio del potere possono richiedere tutela attraverso lo stesso (ed unico) strumento processuale, ferma la necessaria presenza degli altri requisiti richiesti, il che - lo si ribadisce - comporta identità del provvedimento richiesto al giudice, identità degli atti lesivi impugnati e medesimi motivi di ricorso.
Ed infatti l'eventuale esistenza di atti non lesivi della sfera giuridica di tutti i ricorrenti ovvero di motivi di doglianza non comuni a tutti, costituisce evidente dimostrazione della presenza di diversificazione delle posizioni giuridiche sostanziali per le quali ciascuno di essi chiede tutela in giudizio.
Ciò vale anche per i soggetti titolari di interessi collettivi o diffusi (nella accezione fornita a tale due distinte categorie con le sentenze di questa Sezione 18 novembre 2013, n. 5451 e 9 gennaio 2014, n. 36, cui si rinvia), i quali ben possono proporre ricorso collettivo unitamente a singoli titolari di interessi legittimi, nella misura in cui sia tale ultimo interesse, sia i precedenti, risultino egualmente lesi dal medesimo o dai medesimi atti di esercizio del potere amministravo; in definitiva, nei casi in cui ricorrano per soggetti singoli ed enti tutte le condizioni innanzi esposte.
9.3.2. Alla luce del quadro argomentativo sin qui esposto, non può essere riconosciuta rilevanza alla "finalità ulteriore" perseguita per il tramite dell'annullamento dell'atto impugnato (ad esempio, nel caso di un atto espropriativo, la riaffermazione del diritto di proprietà ovvero del diritto del titolare di diritto reale parziale o dell'affittuario del fondo).
Infatti, ciò che costituisce oggetto del giudizio amministrativo è la posizione sostanziale di interesse legittimo che sorge per effetto dell'atto di esercizio del potere, non già la posizione giuridica eventualmente preesistente e che non costituisce oggetto del giudizio, ma semmai, il "bene della vita" (o, meglio, il "bene" tout court, in lettura "espansiva" dell'art. 810 c.c.: c.d. lato interno dell'interesse legittimo) che, per il tramite del giudizio (e, segnatamente, dell'annullamento dell'atto), si intende recuperare o conseguire (per le distinzioni, v. C.d.S., sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4644 e 18 novembre 2013, n. 5451).
Diversamente considerando, per un verso risulta difficile elaborare un canone unitario sul quale fondare l'ammissibilità del ricorso collettivo (essendo del tutto evidente anche solo la diversa conformazione degli interessi legittimi pretensivi rispetto agli oppositivi), per altro verso, si rende la posizione giuridica preesistente oggetto centrale del giudizio e della tutela, con ciò paradossalmente alimentando dubbi (già risalentemente avanzati) sulla stessa "sostanzialità" della posizione giuridica di interesse legittimo, oltre che sulla ragionevolezza dei criteri di distinzione/attribuzione di giurisdizione, ex art. 103 Cost. e art. 7 c.p.a.
Proprio in conformità a quanto ora esposto, si è potuto affermare (C.d.S., sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2873), al fine di riconoscere in un caso di specie l'ammissibilità del ricorso collettivo, che "l'identità delle situazioni sostanziali fatte valere dalle ricorrenti si correla alla comune lesione che le stesse assumono di aver subito nelle facoltà partecipative di cui sono titolari, restando sullo sfondo la diversità delle situazioni di fatto in cui si trovano, insuscettibile in quanto tale di palesare profili di conflittualità tra i rispettivi interessi, quale elemento eventualmente ostativo alla proposizione da parte loro del ricorso collettivo in esame".
9.4. A quanto sinora esposto, occorre ancora aggiungere che - nell'ipotesi in cui il ricorso collettivo, in presenza verificata degli altri presupposti di ammissibilità innanzi indicati - preveda sia (come è necessario) motivi comuni a tutti i ricorrenti (rivolti avverso gli stessi atti e dunque riconducibili ad una medesima posizione sostanziale), sia motivi riferibili solo ad alcuni di essi, il ricorso proposto non può tuttavia essere considerato totalmente inammissibile, dovendosi invece limitare la declaratoria di inammissibilità solo ai motivi non comuni.
Come questa Sezione ha già avuto modo di affermare (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36), con considerazioni condivise ed alle quali si rinvia, il principio di conservazione ed effettività degli atti giuridici che, nel caso di specie, costituisce affermazione del diritto alla tutela giurisdizionale, espressamente sancito, in termini di inviolabilità, dall'art. 24 Cost., deve essere tenuto presente e costituire criterio prevalente da applicarsi in sede processuale.
Difatti, come affermato dalla Corte costituzionale (sent. 2 febbraio 1982, n. 18), il diritto alla tutela giurisdizionale va annoverato "fra quelli inviolabili dell'uomo, che la Costituzione garantisce all'art. 2" (sent. n. 98 del 1965), e che non esita ora ad ascrivere tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio.
Ciò comporta, a tutta evidenza, che l'interpretazione della natura dell'azione e del contenuto della domanda devono essere effettuate dal giudice secondo un criterio di apprezzamento che necessariamente tenda a salvaguardare, per quanto possibile, l'accesso al giudizio ed alla sua definizione con decisione nel merito, e, dunque, nel caso del giudizio amministrativo di annullamento, di accesso alla pronuncia che possa (sussistendone i presupposti) assicurare la tutela avverso gli atti della pubblica amministrazione.
Una interpretazione restrittiva o irragionevolmente formalistica, per un verso si traduce in un vulnus per l'inviolabile diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. (ribadito anche dall'art. 13 CEDU); per altro verso, finisce con il costituire, essa stessa, una limitazione di tale diritto, in quanto più specificamente rivolto alla tutela avverso gli atti della Pubblica Amministrazione.
Ovviamente, ciò che il giudice - nel bilanciamento di interpretazioni in ordine al contenuto dell'atto introduttivo del giudizio - deve assicurare non è il "risultato utile" invocato dalla parte che agisce in giudizio, ma solo il diritto della stessa, sussistendone i presupposti e le condizioni, a ricevere una pronuncia di merito.
D'altra parte, ciò non significa che il giudicante debba in ogni caso tendere alla "salvezza" del ricorso. È, infatti, del tutto evidente che - a fronte del diritto alla tutela giurisdizionale, al quale pure deve essere assicurata prevalenza nei termini innanzi esposti - sussistono altri valori costituzionali e diritti costituzionalmente tutelati, cui occorre prestare la debita considerazione.
In primo luogo, occorre ricordare il diritto di difesa della parte evocata in giudizio, che deve potersi estrinsecare in relazione ad una res deducta in iudicio tale da garantirne sia la possibilità stessa di difesa (mediante il rispetto delle forme di evocazione in giudizio); sia (perché tale diritto abbia consistenza), l'effettività di una difesa conseguente ad una chiara individuazione del thema decidendum.
In secondo luogo (e con particolare riferimento al giudizio amministrativo), occorre tener presente anche l'interesse pubblico alla stabilizzazione degli effetti dell'esercizio del potere amministrativo, cui si riconnette (e si giustifica costituzionalmente) la previsione di termini decadenziali per l'impugnazione di atti amministrativi.
Al contrario, con riferimento ai motivi del ricorso collettivo, e fermo quanto innanzi già affermato, appare diverso dal caso innanzi rappresentato quello in cui non vi sono "motivi comuni" a tutti i ricorrenti, ma uno o più di questi ultimi fonda il proprio ricorso esclusivamente su motivi riferibili solo a sé. In questo caso - non potendo il giudice prescegliere a quale dei ricorrenti accordare tutela - non potrà che dichiararsi l'integrale inammissibilità del gravame.
10.1. Nel caso di specie, i ricorrenti in I grado (con il ricorso instaurativo del giudizio e con il ricorso per motivi aggiunti) sono rappresentati (secondo quanto dagli stessi affermato: v. pagg. 25-26 app.):
- da associazioni locali aventi per statuto "la solidarietà sociale, la difesa del territorio e dell'ambiente in cui gli associati vivono" (Associazione cittadini bresciani e veronesi, Comitato cittadini Calcinato, associazione Castelnuovo Futura, associazione Colline Moreniche del Garda ed altri);
- da associazioni nazionali riconosciute volte alla tutela dell'ambiente (Legambiente);
- da associazioni nazionali aventi ad oggetto della propria attività "la tutela generale della salute dei cittadini" (Medicina democratica);
- da parlamentari che "hanno tutti provveduto ad istituire il proprio domicilio parlamentare territoriale presso un locale sito nel Comune di Calcinato";
- da soggetti che sono proprietari di aree interessate dal procedimento espropriativo (Congregazione dei poveri servi della Divina Provvidenza, Casa buoni fanciulli, Istituto Don Calabria, società agricola Armea, P. Dario, C. Laura ed altri);
- da soggetti che svolgono attività commerciali in zona e che "sono direttamente lesi dal progetto" (hotel Olioso e ristorante Il Frassino).
A fronte di ciò, oggetto di impugnazione sono (sinteticamente):
- atti, inerenti il progetto definitivo del lotto Brescia-Verona dell'Alta Velocità, ed in particolare avverso il decreto 22 febbraio 2016, con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha accertato l'ottemperanza del progetto definitivo del lotto Brescia-Verona dell'Alta Velocità alle prescrizioni imposte dal CIPE con il provvedimento di approvazione del progetto preliminare;
- una pluralità di atti, tra i quali la delibera 1° gennaio 2016, n. 22, con la quale il CIPE ha disposto la reiterazione del vincolo preordinato all'esproprio apposto con delibera n. 120/2003 (reiterato con delibera n. 21/2009), sulle aree ed immobili interessati alla realizzazione della linea di alta velocità Milano-Verona, tratta Brescia-Verona.
10.2. Orbene, pur effettuando una valutazione della pluralità delle posizioni giuridiche delle quali i soggetti ricorrenti in I grado risultano (ove risultano) portatori secondo i criteri prudenziali esposti in precedenza (sub 9.4), il Collegio non rileva, nel caso di specie, la sussistenza dei requisiti di "identità di situazioni sostanziali e processuali" (come illustrati sub 9.3).
Risulta, infatti, presente una estrema eterogeneità degli atti impugnati a fronte delle posizioni giuridiche soggettive delle quali i ricorrenti assumono essere titolari, di modo che, stante la pluralità di "relazioni incrociate" tra situazioni soggettive ed atti impugnati non appare possibile nemmeno effettuare una parziale salvezza dei ricorsi proposti in I grado con riferimento solo a taluni motivi di ricorso comuni a tutti, previa declaratoria di inammissibilità dei ricorsi o per difetto di legittimazione attiva di alcuni ricorrenti, o di inammissibilità di singoli motivi proposti.
Ed infatti, a titolo meramente esplicativo e non esaustivo, occorre rilevare che:
- nel caso delle associazioni portatrici di interessi collettivi o diffusi, di rilevanza locale o nazionale (ed in disparte ogni valutazione della sussistenza, caso per caso, della loro legittimazione ad agire), non appare sussistente alcuna posizione giuridica del tipo delle quali esse possono essere riconosciute titolari, con riferimento agli atti riguardanti il procedimento espropriativo ovvero con riferimento agli atti riguardanti le procedure di affidamento dei lavori;
- nel caso dei soggetti titolari di diritto di proprietà di immobili interessati dalla procedura espropriativa, analoghe considerazioni vanno svolte circa gli atti relativi alla procedura di affidamento lavori;
- nel caso dei parlamentari indicati, la mera istituzione di un "domicilio parlamentare territoriale" in un Comune interessato dalla realizzazione dell'opera pubblica in oggetto, non fonda la sussistenza di una loro posizione giuridica soggettiva tutelabile innanzi al giudice amministrativo (in disparte ogni considerazione in ordine alla persistenza - ove si dia per ammessa la sussistenza del titolo - di legittimazione ed interesse ad agire);
- nel caso di soggetti titolari di interessi commerciali, non sussiste posizione giuridica soggettiva in relazione ad atti di affidamento lavori e della procedura espropriativa.
E ciò, come si è già detto, a prescindere dall'esame caso per caso (anche in ragione delle ulteriori eccezioni riproposte) della effettiva sussistenza della legittimazione attiva ovvero della sussistenza (o persistenza) dell'interesse ad agire in capo a ciascuno dei singoli ricorrenti.
10.3. In definitiva, la complessità stessa dell'operazione della quale il Collegio dovrebbe gravarsi (e precisamente: dapprima esaminare la sussistenza stessa del titolo e poi la sua "identità" in relazione al potere esercitato, quindi esaminare l'identità degli atti impugnati, poi ancora, in relazione a questi ultimi ed alla identità di posizione per la quale si richiede tutela, verificare i motivi di ricorso effettivamente comuni) è di per sé evidente sintomo della insussistenza dei presupposti per la proposizione del ricorso collettivo.
Né deve obliarsi che la complessità di inquadramento dello stesso thema decidendum, derivante dalla eterogeneità delle posizioni soggettive coinvolte (ove effettivamente esistenti) e degli atti impugnati, si risolve, al di là del limite di ragionevolezza, in una compressione del diritto di difesa delle parti evocate in giudizio, diritto altrettanto inviolabile e costituzionalmente garantito quanto il diritto alla tutela giurisdizionale.
Da quanto sin qui esposto, consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado e del ricorso per motivi aggiunti.
11. L'intervenuta riforma della sentenza impugnata e la conseguente decisione "in rito" del giudizio di I grado, nei sensi innanzi prospettati, escludono che il Collegio, pur giudice di ultima istanza, debba disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, così come richiesto, con riferimento a talune questioni, a pag. 75 del ricorso in appello.
Così come non può essere disposto il rinvio di una questione di illegittimità costituzionale di una norma alla Corte costituzionale, laddove la definizione "in rito" del giudizio rende la questione prospettata priva di rilevanza ai fini della decisione del medesimo, allo stesso modo perché una questione possa essere sottoposta al (necessitato) giudizio della Corte di giustizia dell'Unione europea occorre che la pregiudiziale conformità delle norme "denunciate" come non conformi ad una o più delle fonti e norme dell'Unione abbia rilevanza ai fini della definizione del giudizio innanzi al giudice nazionale.
Il che è escluso, laddove il giudizio si sia risolto (come nel caso di specie) "in rito", per il tramite di una pronuncia di inammissibilità del suo ricorso instaurativo.
Come ricordato dalla stessa Corte di giustizia (sez. IV, 18 luglio 2013, causa C-136/12), dal rapporto tra il secondo ed il terzo comma dell'art. 267 TFUE deriva che i giudici dispongono "del potere di stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto dell'Unione onde consentire loro di decidere" e non sono pertanto "tenuti a sottoporre una questione di interpretazione del diritto dell'Unione sollevata dinanzi ad essi se questa non è rilevante, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull'esito della controversia".
Ciò in quanto (Corte di giustizia, sez. III, 27 febbraio 2014, causa C-470/12) "la ragion d'essere del rinvio pregiudiziale ... non è la formulazione di opinioni consultive su questioni generiche o ipotetiche, ma il bisogno inerente all'effettiva soluzione di un contenzioso".
12. In conclusione, in accoglimento delle eccezioni formulate (e come innanzi precisate) dalle parti appellate RFI e Consorzio CEPAV DUE, deve essere riformata la sentenza impugnata e, per l'effetto, il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il ricorso per motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili.
Tanto esime il Collegio dall'esaminare sia ogni altra eccezione riproposta, sia i motivi di appello.
Stante la particolare natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le par[t]i spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Associazione cittadini bresciani e veronesi per la tutela dell'ambiente ed altri, come in epigrafe indicati (n. 5163/2017 r.g.), in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il ricorso per motivi aggiunti.
Compensa tra le parti spese ed onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.