Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 27 settembre 2018, n. 23387

Presidente: Petitti - Estensore: Criscuolo

FATTI DI CAUSA

Con atto di opposizione notificato in data 23 aprile 2012 Banca Italease s.p.a. ha proposto opposizione avverso la delibera Consob n. 18107 del 15 febbraio 2012 con la quale le era stata irrogata la sanzione amministrativa di euro 250.000,00, unitamente a Massimo F., per la violazione di cui all'art. 187-ter del t.u.f., in relazione alla condotta di manipolazione del mercato posta in essere dal F. quale amministratore delegato della banca ricorrente, e sul presupposto che la condotta illecita fosse stata posta in essere nell'interesse della società.

Dichiarato il difetto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo inizialmente adito, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162/2012, il processo era riassunto dinanzi alla Corte d'Appello di Milano.

La ricorrente nell'evidenziare che la sanzione traeva origine dalla c.d. vicenda derivati caratterizzata dalla occulta operatività della banca condotta da una ristretta cerchia di dirigenti infedeli, animati dalla finalità di arricchimento personale, che aveva determinato l'accumulo per la banca di ingenti perdite, con conseguente denuncia penale anche del F., nei cui confronti era stato introdotto anche un procedimento penale, segnalava con il primo motivo che era stata violata la previsione di cui all'art. 14 della l. n. 689/1981 in relazione all'art. 187-septies del t.u.f., in quanto doveva reputarsi che l'attività di accertamento della Consob era completa già nel 2007, allorquando la stessa aveva impugnato il bilancio del 2006 della Italease.

Pertanto la contestazione avrebbe dovuto essere effettuata nel termine di novanta giorni (all'epoca vigente) decorrente dall'ottobre 2007, in coincidenza con l'impugnazione del bilancio ora riferita.

Aggiungeva che in tale circostanza le ragioni dell'impugnativa erano costituite proprio dalla natura decettiva delle informazioni rese al mercato, così che l'opposta aveva mostrato di avere raggiunto già allora le medesime conclusioni che invece sosteneva di avere conseguito solo nel 2011.

Non poteva accogliersi la tesi secondo cui si era resa necessaria un'ulteriore attività istruttoria protrattasi peraltro per ben tre anni, non apparendo nemmeno giustificata la diversa tesi della controparte secondo cui era stato necessario attendere gli esiti delle indagini condotte sugli stessi fatti dalla Procura di Milano.

Infine, gli unici atti istruttori compiuti si riducevano alla sola audizione dei sigg. R. e M., mancando altresì nell'atto di accertamento ogni riferimento alla sentenza penale di condanna emessa nei confronti dell'ex direttore della banca Antonio F. nel gennaio del 2011.

Erano poi formulati altri quattro motivi di opposizione con i quali a vario titolo si contestava la legittimità formale del procedimento sanzionatorio all'esito del quale era stata adottata la delibera opposta, non essendo stato garantito il principio del contraddittorio e la necessaria distinzione per l'autorità emanante l'ordinanza tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie.

Si lamentava che non fosse stato possibile conoscere il contenuto della relazione dell'ufficio USA e che non era stato possibile interloquire con l'organo formalmente incaricato di irrogare la sanzione.

Si lamentava altresì la violazione del principio del ne bis in idem, posto che per i medesimi fatti il F. era stato rinviato a giudizio in sede penale, e che all'esito del processo svoltosi in tale sede il F. era stato condannato, prevedendosi altresì la condanna dell'opponente quale responsabile amministrativa, al pagamento di un'elevata sanzione pecuniaria, sicché alla fattispecie trovava applicazione il principio di specialità di cui all'art. 9 della l. n. 689/1981.

Nel merito deduceva che la banca non poteva essere reputata responsabile essendo carente un suo interesse o vantaggio in relazione alle condotte illecite addebitate al F., sostenendosi comunque che non era configurabile la fattispecie sostanziale della manipolazione dei mercati.

Si costituiva la Consob che resisteva estensivamente all'atto di opposizione, rilevando quanto alla deduzione di tardività della contestazione, questione che ancora rileva in questa sede, che alla fattispecie si applicava il termine di 180 giorni come previsto dalla riforma del 2009 dell'art. 187-septies del t.u.f.

Pertanto non era consentito al giudice sindacare la congruità del tempo impiegato per completare l'attività istruttoria prodromica all'adozione del provvedimento sanzionatorio, così che, avuto riguardo al fatto che gli accertamenti si erano conclusi solo in data 20 gennaio 2011, indubbiamente tempestiva era la contestazione effettuata in data 22 febbraio 2011.

La Corte d'Appello di Milano con la sentenza del 14 maggio 2015 accoglieva il primo motivo del ricorso della società, e per l'effetto annullava la delibera impugnata per la violazione del termine di cui al primo comma dell'art. 187-septies.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Consob sulla base di tre motivi.

Banco Popolare società cooperativa, quale incorporante l'originaria parte opponente, ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

La ricorrente ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.

La ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI IN DIRITTO

1. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata in ragione del fatto che, ancorché la stessa sentenza impugnata, nel dispositivo, avesse dato atto dell'avvenuta incorporazione dell'opponente ad opera di Banco Popolare società cooperativa, il ricorso è stato notificato ad Italease, presso il procuratore costituito in sede di merito, laddove in realtà doveva essere indirizzato alla società incorporante, tenuto conto del mutamento intervenuto anteriormente alla proposizione dell'impugnazione medesima.

La deduzione è priva di fondamento in quanto ricollegata logicamente alla tesi dell'estinzione della società incorporata, facendo riferimento alla giurisprudenza di questa Corte concernente i fenomeni di fusione avvenuti in epoca anteriore alla novella del diritto societario del 2003, per effetto della quale invece tale vicenda, lungi dal dare vita ad un'ipotesi di estinzione, attua l'unificazione mediante integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione (Cass., Sez. un., n. 2637/2006), con un'ipotesi di evoluzione-modificazione della società (Cass., Sez. un., n. 19509/2010).

Ciò esclude che l'avvenuta fusione per incorporazione possa determinare l'interruzione del processo, e quindi la necessità di una sua riassunzione nei confronti del successore, mancando a monte la stessa configurabilità di un fenomeno successorio (Cass. n. 10653/2010), con la conseguenza che a nulla rileva che la parte sia stata evocata in giudizio, per altro presso il suo precedente difensore, per il quale opererebbe in ogni caso il principio dell'ultrattività del mandato (cfr. Cass., Sez. un., n. 15295/2014), identificandola ancora con la denominazione precedente l'avvenuta incorporazione.

Ne deriva inoltre che l'avvenuta costituzione della società opponente determina la necessità di dover proseguire il giudizio, senza alcuna incidenza quanto all'individuazione del soggetto effettivamente destinatario dell'impugnazione, e senza che possa invocarsi che tale costituzione sarebbe avvenuta allorquando erano già decorsi i termini per l'impugnazione, dovendosi ribadire la corretta notificazione del ricorso.

2. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia la falsa applicazione dell'art. 187-septies, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998 (t.u.f.) nonché dell'art. 14, commi 1, 2 e 6, della l. n. 689/1981, nella parte in cui la sentenza impugnata ha censurato la decisione della Consob di non effettuare autonomi atti investigativi durante la pendenza dell'indagine che risultava avviata dalla Procura di Milano sugli stessi fatti, reputando che tale condotta si configurasse alla stregua di un'inerzia aveva avuto contezza dalla stampa della conclusione delle indagini penali.

La decisione dei giudici di appello di considerare non comprensibile l'attesa della Consob è errata in quanto, oltre a doversi negare che vi sia stata una sospensione dell'attività amministrativa sanzionatoria (avendo la Consob proseguito l'attività di esame e valutazione del materiale raccolto), la scelta compiuta risponde al principio di collaborazione tra Autorità Giudiziaria ed Autorità Amministrativa come previsto dall'art. 187-decies del t.u.f., che giustificava l'attesa dei risultati delle più penetranti indagini compiute dalla prima, anche al fine di non intralciare la stessa.

Trattasi altresì di condotta ispirata ai principi di imparzialità e buon andamento della P.A. come sanciti dall'art. 97 Cost., occorrendo avere riguardo anche al principio di proporzionalità che impone all'amministrazione di adottare la soluzione più idonea ed adeguata, laddove non sia disponibile altro strumento egualmente efficace, sicché nella fattispecie la soluzione prescelta assicurava il maggior risultato conseguibile.

Il terzo motivo denuncia la falsa applicazione dell'art. 187-septies del t.u.f. e dell'art. 14 della l. n. 689/1981, laddove la sentenza gravata, nella parte finale, ha affermato che anche a voler aderire alla prospettazione più favorevole alla posizione della Consob, ed a ritenere quindi funzionale alle indagini l'acquisizione dei documenti in possesso della Procura in data 15 dicembre 2009, ha ritenuto che fosse adeguato uno spatium deliberandi di un anno, con la conseguenza che una volta ritenuto che il termine per il completamento dell'accertamento fosse quello del dicembre 2010, non poteva affermarsi la tardività della contestazione avvenuta in data 22 febbraio 2011, essendosi trascurato che la legge assegna un ulteriore protrattasi per l'intero 2009, nonché nella parte in cui ha mosso critiche alla determinazione dell'Ufficio Insider Trading di procedere all'audizione di Massimo M. solo nel maggio del 2010, ancorché questi avesse presentato degli esposti già nei mesi di luglio e dicembre del 2007, ed infine in relazione all'acquisizione solo nel gennaio del 2011 delle motivazioni della sentenza penale di condanna di Antonio F.

Si sostiene che in tal modo il giudice di merito avrebbe valutato a posteriori l'utilità dei singoli atti acquisitivi compiuti dalla Consob, sindacando, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, le modalità di svolgimento dell'attività istruttoria, essendo dato, viceversa, contestare solo l'abnormità delle stesse.

In tal modo il giudizio della Corte d'Appello si è sostituito a quello non surrogabile dell'autorità procedente.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 187-decies del t.u.f. e degli artt. 14 della l. n. 689/1981 e 97, comma 2, Cost.

Sostiene la ricorrente che l'indagine della Consob era stata avviata in data 15 febbraio 2008, allorquando era in corso anche attività di indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano.

Dopo avere inizialmente richiesto uno scambio di informazioni all'ufficio requirente, l'autorità procedente non ha compiuto altri atti di indagine, con la sola eccezione dell'audizione del dott. R. nella seconda metà del 2008, ritenendo che fosse opportuno attendere gli esiti dell'attività di indagine penale, anche al fine di evitare la sovrapposizione con la più efficace e penetrante attività della Procura.

Nelle more però l'Ufficio Insider Trading ha continuato a valutare il materiale fino a quel momento acquisito, rivolgendosi di nuovo alla Procura solo a fine del 2009, quando termine di 180 giorni dall'accertamento, entro il quale deve essere notificata la contestazione.

2.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato l'intimata, pur evidenziando che la sentenza impugnata aveva reputato assorbente il primo motivo di opposizione, con la conseguente declaratoria di decadenza dall'esercizio della potestà sanzionatoria, sicché ogni diversa questione concernente il merito dell'opposizione dovrebbe essere esaminata in sede di eventuale giudizio di rinvio, reputa che vi sia la possibilità di affrontare la questione pregiudiziale, già sollevata con i motivi di opposizione, concernente la violazione degli artt. 185 e 187-ter del t.u.f. in relazione all'art. 9 della l. n. 689/1981.

Assume la società che per i medesimi fatti oggetto di contestazione in sede amministrativa, era stato avviato un processo penale in danno di F. Massimo, al quale aveva preso parte come responsabile civile anche l'opponente.

Tale processo, conclusosi con la sentenza di questa Corte in sede penale che aveva confermato la condanna dell'imputato, cassando con rinvio la sentenza di appello solo in relazione alla confisca, ha avuto ad oggetto i medesimi fatti per i quali si procede in questa sede, con la conseguenza che dovrebbe trovare applicazione la previsione di cui all'art. 9 della l. n. 689/1981 che sancisce il principio di specialità, dovendosi quindi individuare ai fini dell'applicazione la norma che offre i maggiori connotati di specialità.

Ne consegue che avendo la banca già subito una condanna in sede penale, e presentandosi la fattispecie penale come quella maggiormente specifica, non è possibile dar seguito anche alla procedura di irrogazione della sanzione amministrativa.

Il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato denuncia invece la violazione dell'art. 649 c.p.p., alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dall'applicazione dell'art. 6 della CEDU, dell'art. 4 del Protocollo aggiuntivo CEDU n. 7, come interpretato dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens del 2014.

Si evidenzia che attesa l'identità dei fatti oggetto del procedimento amministrativo e di quello penale, l'intervenuta condanna in sede penale della società è ostativa alla prosecuzione del presente procedimento, pena la violazione del principio del ne bis in idem, e ciò alla luce del fatto che la fattispecie sanzionatoria di cui all'art. 187-ter del t.u.f., sebbene formalmente qualificata come amministrativa, in realtà ha natura sostanziale penale secondo i criteri dettati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

3. I tre motivi del ricorso principale che nel complesso investono la correttezza della decisione dei giudici di merito di reputare tardiva la notificazione della contestazione, presentano indubbi elementi di connessione e vanno pertanto congiuntamente esaminati, dovendosi però pervenire al loro rigetto.

In punto di diritto occorre ricordare che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 5395/07, hanno enunciato il principio secondo cui per la Consob il termine per la contestazione dell'illecito decorre dal momento in cui la stessa risulti "in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tener conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti ai suddetti organi assegnati". Tale principio è stato ripreso dalla giurisprudenza di questa Sezione, con la precisazione che "il momento dell'accertamento - in relazione al quale collocare il dies a quo del termine previsto dalla l. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi di tale violazione non coincide con quello in cui viene acquisito il "fatto" nella sua materialità da parte dell'autorità cui è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta autorità abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell'esistenza della violazione segnalata, ovvero in quello in cui il tempo decorso non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione" (Cass. n. 3043/2009) e che, mentre la relazione dell'indagine deve essere redatta dagli uffici della Consob ed esaminata dalla Commissione nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, "occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa" (Cass. n. 25836/2011; Cass. n. 1065/2014; Cass. n. 8204/2016).

Sebbene il giudice non possa, ai fini dell'individuazione della decorrenza del termine di contestazione dell'illecito amministrativo, sostituirsi all'amministrazione nel valutare l'opportunità di atti istruttori collegati ad altri e compiuti senza apprezzabile intervallo temporale (così Cass. n. 16642/2005) tuttavia le valutazioni relative alla congruità del tempo impiegato nelle indagini necessarie per pervenire all'accertamento dell'illecito si risolvono in giudizi di fatto non sindacabili in sede di legittimità, se adeguatamente motivati (Cass. n. 9311/2007), il che impone che il giudice di merito, a fronte di circostanziate doglianze con cui l'opponente denunci l'ingiustificata dilatazione dei tempi di contestazione, deve specificamente motivare sulle ragioni che lo inducono a giudicare tali tempi ragionevoli e congrui; in sostanza, il giudice di merito deve compiere un'indagine puntuale per determinare il tempo ragionevolmente necessario all'autorità per giungere alla contestazione dell'illecito, specialmente quando i tempi dell'indagine siano stati particolarmente ampi, le violazioni contestate si siano esaurite in un arco cronologico ristretto, la struttura dell'indagine si sia caratterizzata per la presenza di prolungati intervalli di inattività.

In relazione a fattispecie ancora sottoposta alla previgente disciplina dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., questa Corte ha poi affermato che (Cass. n. 8687/2016) in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l'attività di intermediazione finanziaria, il momento dell'accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto ed alle date delle operazioni, tanto più ove la violazione sia riferibile ad un tempo ben determinato e circoscritto, pervenendo alla cassazione della decisione impugnata che, senza illustrarne le ragioni, aveva ritenuto la liceità della sanzione nonostante fossero decorsi oltre tre anni e mezzo dai fatti, per i quali la Consob aveva compiuto gli ultimi atti di indagine a distanza di oltre due anni dalla prima valutazione del materiale acquisito.

Orbene posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, si rileva che la sentenza impugnata, richiamando espressamente quanto affermato da Cass., Sez. un., n. 5395/2007, ha ribadito che la discrezionalità, che pur deve essere riconosciuta all'amministrazione nella individuazione del tempo necessario per completare la fase delle indagini, non può tramutarsi nella concessione di una sorta di arbitrio, dovendo la sua azione, anche in tale campo, essere ispirata all'esigenza di assicurare una ragionevole tempestività nel doveroso bilanciamento tra le esigenze dell'amministrazione e l'interesse della parte indagata a non vedere procrastinata in maniera irragionevole la propria sorte.

La sentenza, dopo avere evidenziato che non era stata adeguatamente contrastata la deduzione dell'opponente secondo cui la sanzione oggetto di opposizione concerneva i medesimi fatti oggetto del procedimento penale che vedeva come imputato il F., ha in ogni caso reputato che potesse giustificarsi la necessità per l'Autorità di compiere ulteriori atti di indagine, ancorché il quadro conoscitivo non partisse da zero, fruendo già di un patrimonio di conoscenze niente affatto embrionali né approssimative che avevano già permesso a Consob di impugnare il bilancio dell'anno 2006 di Italease.

Tuttavia, pur ammettendo la necessità di un supplemento di indagine, ha reputato che fosse del tutto eccessivo il protrarsi dell'istruttoria per tre anni, tenuto conto dell'episodica frammentarietà degli atti istruttori, e senza che potesse invocarsi la sola complessità della vicenda da scrutinare.

In tal senso appariva non giustificabile la tesi dell'opposta, secondo cui l'inerzia protrattasi per tutto il 2009 era motivata dalla necessità di attendere gli esiti delle indagini penali, nella pretesa attuazione dell'art. 187-decies.

Ed, invero, non può ravvisarsi un principio che imponga la sospensione dell'attività amministrativa in pendenza delle indagini penali, e ciò alla luce della stessa configurazione del sistema che contempla l'applicazione congiunta delle sanzioni penali ed amministrative, ove ricorrano le condizioni di entrambi gli illeciti.

Ha poi esaminato lo specifico punto dell'audizione del dott. M., rilevando che la stessa era avvenuta solo nel maggio del 2010, benché questi fosse autore di esposti alla Procura risalenti ai mesi di luglio e dicembre del 2007, come del pari non si palesava idonea a legittimare la protrazione dei termini per la definizione dell'attività istruttoria l'acquisizione delle motivazioni della sentenza penale di condanna di Antonio F., atteso che nessun interesse era stato manifestato dalla Consob per la posizione di tale soggetto, come emergeva dalla mancata sollecitazione di informazioni in occasione delle audizioni del presidente della Banca, dott. R. (nel giugno del 2008) e del M. (nel maggio del 2010).

Ha quindi concluso nel senso che, anche a voler accedere alla tesi più favorevole alla Consob, nel senso di configurare come adeguato uno spatium deliberandi di un anno tra l'acquisizione dei documenti in possesso dell'autorità giudiziaria penale (15 dicembre 2009) e la loro valutazione sino al dicembre 2010, il riscontro circa l'applicazione del termine decadenziale di 180 giorni sarebbe in ogni caso negativo per l'opposta.

Così riassunte le motivazioni della sentenza gravata, deve reputarsi che gli accertamenti compiuti, che evidentemente rappresentano delle valutazioni in fatto e come tali insuscettibili di sindacato in questa sede, sono stati svolti nei limiti segnati dai precedenti sopra richiamati, atteso che, senza con questo intendere contestare la discrezionalità dell'organo amministrativo, il giudice di merito ha voluto piuttosto rilevare l'inosservanza del tempo ragionevolmente necessario per giungere alla completa conoscenza dell'illecito, segnalando come fosse del tutto ingiustificata l'inerzia per l'anno 2009, sol perché si assumeva la necessità di attendere gli esiti delle indagini penali, e come fossero nella sostanza, in parte, del tutto tardivi ed, in altra parte, superflui alcuni atti istruttori avvenuti nel 2010 e nel 2011 (audizione del M. effettuata a distanza di quasi tre anni dalla presentazione degli esposti del 2007, e verifica degli esiti di un processo penale nei confronti di un soggetto per il quale le precedenti audizioni avevano denotato il sostanziale disinteresse della ricorrente).

La valutazione di assenza di ragionevolezza della protrazione dei tempi dell'attività istruttoria, con il compimento di atti dei quali non si evidenziava in alcun modo l'inerenza alle finalità di indagine, come denotato dalla stessa pregressa attività di accertamento, è stata espressamente ed argomentatamente illustrata dalla Corte distrettuale.

Deve pertanto reputarsi che nella sentenza gravata il giudice di merito abbia pienamente assolto al compito al quale è chiamato, e cioè di verificare, quanto al rispetto della previsione di cui all'art. 187-septies t.u.f., secondo le particolarità del singolo caso e indipendentemente dalle date di deposito della relazione ispettiva ovvero di acquisizione degli elementi conoscitivi, il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto e quindi avrebbe dovuto essere tradotta in accertamento, tempo dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione.

La collocazione cronologica dei fatti su cui si fonda la contestazione, tutti risalenti ad epoca anteriore al 2007, imponeva di verificare se il protrarsi dell'attività istruttoria fosse effettivamente correlata alla complessità degli accertamenti da compiere, essendosi per converso ritenuto, con apprezzamento che non è suscettibile di rivisitazione in questa sede, che il protrarsi di tale fase per circa tre anni, e con un'inerzia perdurata per l'intero anno 2009, non consentiva all'autorità di controllo di poter spostare in avanti nel tempo la data di compimento dell'accertamento, essendo ciò non più corrispondente all'esercizio di discrezionalità, ma piuttosto espressione di un'attività irragionevole in quanto priva di adeguata motivazione, soprattutto laddove il tempo impiegato per le indagini risultava particolarmente ampio a fronte di operazioni da collocare in un ambito cronologicamente ben definito.

Quanto poi alla dedotta violazione dell'art. 187-decies, in relazione alla corretta applicazione dei rapporti tra autorità amministrativa ed autorità giudiziaria, pur dovendosi tenere conto del principio di collaborazione che regge i rapporti tra le stesse, ed in disparte il carattere apodittico dell'affermazione secondo cui durante il periodo di assoluta inerzia dell'autorità amministrativa, sarebbe continuata l'attività di studio e valutazione degli atti sino a quel momento acquisiti, la tesi della ricorrente mira nella sostanza ad affermare un vero e proprio principio di subalternità della Consob rispetto all'attività del giudice penale, che le imporrebbe di astenersi dal compiere qualsiasi attività istruttoria in pendenza di un procedimento penale e ciò in contrasto con quanto invece emerge dallo stesso articolo in esame che, nel contemplare uno scambio di informazioni, presuppone evidentemente che le due attività di indagine debbano o comunque possano svolgersi in parallelo, fruendo ognuna del bagaglio di conoscenza acquisito dall'altra.

La tesi secondo cui, al fine di non intralciare l'attività dell'autorità giudiziaria penale, la Consob sarebbe tenuta ad astenersi dall'istruire il procedimento amministrativo, pone di fatto una regola di pregiudizialità tra gli accertamenti amministrativi e quelli penali, e ciò in contraddizione con la regola di sistema che prevede che nel caso in cui ricorrano i presupposti, debbano applicarsi in maniera concorrente la sanzione penale e quella amministrativa (sia pure nei limiti posti dall'applicazione del principio del ne bis in idem, nel caso in cui la sanzione amministrativa in base ai c.d. criteri Engel, abbia natura sostanziale penale) e soprattutto con quanto previsto dall'art. 187-duodecies del t.u.f., il quale espressamente dispone che "Il procedimento amministrativo di accertamento e il procedimento di opposizione di cui all'articolo 187-septies non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione".

Il riferimento alla nozione di procedimento penale, denota chiaramente che lo svolgimento delle indagini preliminari, non consente di sospendere l'attività istruttoria dell'autorità amministrativa, di modo che, in assenza della deduzione di una specifica situazione che giustifichi l'attesa degli esiti delle indagini penali, non è censurabile l'affermazione della Corte distrettuale che ha negato che il solo richiamo al principio di collaborazione potesse legittimare una stasi di un intero anno da parte della Consob.

Quanto alla censura di cui al terzo motivo, occorre in primo luogo rilevare che le considerazioni svolte dalla Corte d'Appello circa il fatto che potrebbe ritenersi giustificata la richiesta di informazioni all'autorità penale del dicembre del 2009, assumendo poi che sarebbe congruo un termine di un anno tra la loro acquisizione e la valutazione, appaiono evidentemente svolte ad abundantiam, avendo in precedenza la sentenza già espresso il convincimento che fosse già colpevole l'inerzia protrattasi per tutto il 2009, e ciò nell'evidente convincimento che l'attività di accertamento idonea a giustificare l'emissione dell'ordinanza fosse già esaurita in epoca anteriore, essendosi appunto ritenuto che a far data dall'iniziale acquisizione delle informazioni nel 2007, non fossero emersi nuovi elementi istruttori, e che la Consob non aveva ritenuto di acquisirli (avendo motivato sulla irrilevanza a tali fini dell'audizione del M. e della acquisizione della sentenza penale riguardante il F.).

Tuttavia, alla luce del complessivo ragionamento svolto in sentenza, deve ritenersi che la Corte d'Appello nel riferire del termine di un anno dall'acquisizione delle informazioni dal giudice penale, ed avendo altresì aggiunto che al febbraio del 2011 era maturato il termine decadenziale, abbia in realtà affermato che entro l'anno doveva ritenersi necessario anche effettuare la contestazione, e non già il solo accertamento.

Pertanto, anche tale motivo deve essere rigettato previa correzione parziale della motivazione della sentenza, nel senso che il termine annuale dal dicembre del 2009, laddove si parla di valutazione, deve intendersi come riferito sia alla definizione dell'accertamento che all'inoltro della contestazione.

4. Il rigetto del ricorso principale determina poi l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e condanna la ricorrente principale al rimborso delle spese che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, comma 17, l. n. 228/2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.

A. Massari

Il codice dei contratti pubblici

Maggioli, 2024

P. Dubolino, F. Costa

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La Tribuna, 2024

G. Basile

Schemi di diritto commerciale

Neldiritto, 2024