Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 23 maggio 2018, n. 33472

Presidente: Di Stefano - Estensore: Costantini

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento del 16 ottobre 2017 il G.i.p. di Pisa, vista la richiesta del P.M. di emissione del decreto penale di condanna a carico di [omissis] per il delitto di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, omettendo di corrispondere l'assegno mensile di euro 250 mensili, fatti commessi dal 10 febbraio 2016 al febbraio 2017, ha disposto la trasmissione degli atti al P.M.

2. Il G.i.p. ha osservato che la riforma dell'art. 459 c.p.p., per mezzo dell'introduzione del comma 1-bis, ha rimesso al giudice la determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva da applicare, commisurata alla concreta situazione patrimoniale dell'imputato, non più corrispondente a quella fissa prevista dall'art. 135 c.p.

Il comma 1-bis cit. - osserva - pur facendo riferimento alla figura del giudice a cui pare assegnare il potere di determinare l'ammontare della pena pecuniaria (testualmente: «il giudice, per determinare l'ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato»), deve essere letto sistematicamente con il precedente comma 1 che, rimasto invariato, non consente al g.i.p., tale è l'interpretazione della giurisprudenza, di modificare la pena indicata dall'Ufficio requirente, venendogli concesso il solo potere di accogliere la richiesta ovvero respingerla con trasmissione degli atti al P.M.

Una diversa interpretazione realizzerebbe una non giustificata duplicità di situazioni tra una richiesta di decreto penale in cui viene richiesta la pena pecuniaria non sostituita, immodificabile, e quella con pena sostituita modificabile.

Poiché, quindi, nel caso oggetto della richiesta di decreto penale, la determinazione di euro 75 non è stata fondata su alcun accertamento di natura patrimoniale, non è possibile valutare la relativa congruità.

3. Il Procura[to]re della Repubblica di Pisa ricorre avverso detta ordinanza deducendone l'abnormità in quanto, essendo fondata su motivazione illogica e frutto di errori procedurali, ha determinato una anomala regressione del procedimento.

Sulla base di quanto enunciato nel provvedimento, ne discenderebbe la necessaria verifica delle condizioni patrimoniali a carico dell'indagato al fine di poter optare per il rito speciale previsto dagli artt. 459 e ss. c.p.p., tenuto conto, inoltre, dell'inesistenza di disposizioni che gli impongono di effettuare simili verifiche, dalla legge attribuite al giudice nella fase della valutazione della relativa determinazione del quantum.

La decisione, imponendo al P.M. una coatta verifica patrimoniale non prevista dalla norma, si presenta quale anomala ed idonea a pregiudicare la sequenza logico-cronologica degli atti processuali, oltre a compromettere l'efficienza e ragionevole durata del processo.

Ulteriore sintomo dell'abnormità del provvedimento è costituito dal non liquet determinato dalla mancata verifica patrimoniale ai fini della congruità della pena da parte del P.M. cui viene subordinata la possibilità di applicare la pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, seppure con le precisazioni che si esporranno, è inammissibile.

2. La modifica dell'art. 459, comma 1-bis, c.p.p. introdotta con l'art. 1, comma 53, l. 23 giugno 2017, n. 103, ha avuto quale precipua finalità quella di favorire l'istituto che, a seguito del ragguaglio in precedenza determinato in maniera fissa in 250 euro, aveva subìto un inevitabile arresto quanto a diffusione, con conseguente venir meno di un importante strumento deflattivo specificatamente previsto dal Legislatore.

Ciò posto, deve rilevarsi l'erroneità e conseguente violazione di legge posta in essere dal G.i.p.

Nessuna incoerenza si rileva, a differenza di quanto ipotizzato nel provvedimento che si caratterizza per una certa genericità ed astrattezza (attesa l'assenza del nominativo dell'indagato, del reato per il quale si procede, della eventuale gravità del fatto oggetto di richiesta), tra il comma 1 e 1-bis dell'art. 459 c.p.p. allorché il comma 1 prevede che sia il P.M. ad indicare la pena, mentre il comma 1-bis assegna al giudice la determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria che, proprio perché non più determinata in maniera fissa, potrà rimodulare liberamente tenendo ferma la richiesta quanto a pena detentiva indicata nella richiesta del P.M. precedente alla conversione.

Se, quindi, il giudice riterrà che la pena ragguagliata dal P.M. non si conformi ai criteri di cui alla citata disposizione, potrà provvedere ad effettuare la modifica dell'importo, fermo restando l'intangibilità della pena detentiva per come determinata dal P.M. nella sua richiesta, la cui eventuale ritenuta incongruenza potrà fondare il rigetto della richiesta di decreto.

La asserita impossibilità per il G.i.p. di modificare la pena, infatti, anche sulla base della precedente giurisprudenza della Corte, attiene esclusivamente alla pena detentiva, non anche alla valutazione del relativo ragguaglio che espressamente è autorizzato proprio dalla norma la cui valenza in ordine agli ampliati poteri del G.i.p. si vorrebbe circoscrivere.

Né tanto risulta entrare in conflitto con quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 447 del 1990, che si è espressa in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 460, comma 2, c.p.p. proprio riconoscendo al giudice un potere di controllo completo sulla richiesta di decreto penale del pubblico ministero, potendo respingerla nel caso di non ritenuta adeguatezza della pena (Sez. 6, n. 6663 del 1° dicembre 2015, dep. 2016, PM in proc. R., Rv. 266111).

Venuta meno la conversione determinata in misura fissa in euro 250 ex art. 135 c.p., norma non più direttamente ed integralmente applicabile quanto a disciplina del decreto penale di condanna, è evidente che l'art. 459, comma 1-bis, c.p.p. realizza una coerente disciplina dell'istituto, consentendo al G.i.p. di operare una rimodulazione dell'importo della pena giornaliera ragguagliata se la situazione patrimoniale risulta giustificarlo, ferma restando la intangibilità della pena detentiva indicata dal P.M. (pena detentiva preliminare al ragguaglio), che il g.i.p. può ridurre motivatamente senza porre in essere violazione alcuna, il cui operato è conforme alla lettera ed all'interpretazione sopra fornita dell'art. 459, comma 1-bis, c.p.p.

3. Diverso è il problema circa la dedotta abnormità del provvedimento.

Poiché, secondo ormai pacifica giurisprudenza, il ricorso per cassazione avverso il rigetto della richiesta di decreto penale di condanna è ammissibile solo in caso di abnormità dell'atto, configurabile allorché la decisione si fondi, non su profili di legittimità del rito o di idoneità ed adeguatezza della pena con riferimento al caso concreto, ma su generiche ragioni di opportunità concernenti la natura dell'istituto e la sua efficacia. In tal senso si è espressa questa Corte nello scrutinio di una fattispecie in cui ha escluso l'abnormità dell'ordinanza di rigetto con la quale il g.i.p. aveva ritenuto l'inadeguatezza della pena pecuniaria a sanzionare la condotta di omesso versamento delle somme dovute dall'imputato al coniuge a titolo di mantenimento, in quanto indicativa della propensione di questi all'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie (Sez. 6, n. 23829 del 12 maggio 2016, P.M. in proc. C, Rv. 267272).

Come sopra rilevato, il G.i.p. ha errato nell'interpretazione dell'art. 459, comma 1-bis, c.p.p. che gli attribuisce la possibilità di modulare l'importo giornaliero, fissato solo nel minimo ad euro 75, tenendo in debita considerazione la condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare.

Seppure il giudice non si sia espresso in ordine a tale possibilità richiedendo accertamenti patrimoniali non pertinenti, dovendosi fondare il giudizio sulle risultanze processuali di cui si dispone, parallelamente a quanto avviene con l'utilizzo dei poteri discrezionali di cui agli artt. 132 e ss. c.p. (in tal senso deponendo la stretta connessione alla disciplina del ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.), tale violazione, proprio perché comunque collegata all'ambito dei poteri astrattamente riconosciuti al giudice delle indagini preliminari in sede di valutazione dell'adeguatezza della sanzione penale, non assume i caratteri della abnormità (Sez. un., n. 20569 del 18 gennaio 2018, PM in proc. Ksouri, Rv. 272715), circostanza che impedisce la proposizione dell'impugnazione avverso il provvedimento impugnato, con conseguente inammissibilità del relativo ricorso proposto dal P.M.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Depositata il 18 luglio 2018.