Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 19 luglio 2018, n. 35290
Presidente: Petitti - Estensore: Villoni
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Napoli ha disposto la consegna di Andrzej S. all'autorità giudiziaria polacca, che l'aveva richiesta in forza di mandato di arresto europeo processuale n. II KOP 14/13 del 30 aprile 2013 emesso dalla Corte Regionale di Koszalin per l'esecuzione dell'ordinanza di cattura n. II KP 212/04 (DS. 238/10) emessa il 3 agosto 2004 dalla Corte Distrettuale di Kolobrzeg per l'esercizio dell'azione penale in ordine ad una condotta qualificabile ai sensi della legge italiana in termini di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.).
Il 10 aprile 2018, peraltro, la stessa Corte territoriale aveva emesso sentenza di rifiuto della consegna in esito alla mancata trasmissione, più volte sollecitata e non evasa, da parte delle autorità polacche delle informazioni integrative richieste ai sensi dell'art. 16 l. n. 69 del 2005, sentenza che non essendo stata impugnata è divenuta irrevocabile.
Successivamente in data 19 aprile 2018 è pervenuta nella cancelleria della Corte napoletana l'indicazione delle fonti di prova a suo tempo sollecitata e su richiesta del P.G. distrettuale è stata avviata una nuova procedura di consegna, stavolta definita mediante pronuncia della sentenza impugnata.
Nel merito, la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti sia la condizione della doppia punibilità prevista dall'art. 7 l. n. 69 del 2005 sia gravi indizi di colpevolezza del reato ipotizzato, poggianti su dichiarazioni testimoniali e su elementi di natura documentale; ha escluso, infine, la ricorrenza di cause di rifiuto ai sensi dell'art. 18, lett. p), r) e t), della stessa l. n. 69, indicando la durata della custodia cautelare sofferta dal consegnando nell'ambito della procedura.
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore dello S., che deduce in via preliminare come la sentenza impugnata sia stata emessa nell'ambito di una procedura di consegna avviata ex officio dalla Corte territoriale, dopo che la stessa Corte napoletana, per il medesimo fatto, aveva già pronunciato sentenza di rifiuto della consegna, non solo immodificabile nei limiti di cui all'art. 130 c.p.p. ma addirittura irrevocabile ai sensi dell'art. 648 c.p.p.
Deduce, pertanto, che tale modus procedendi comporta la radicale nullità del giudizio così instaurato, non essendovi alcun motivo per ritenere che alle sentenze pronunciate ai sensi dell'art. 17 della l. n. 69 del 2005 non debba applicarsi il disposto dell'art. 649 c.p.p., specie alla luce del dettato interpretativo di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 31 maggio 2016.
Diversamente opinando, infatti, si esporrebbe il destinatario di un mandato d'arresto europeo all'arbitrio delle autorità dello Stato richiedente la consegna, il quale, semplicemente reiterando la richiesta e sistematicamente omettendo l'invio della prescritta documentazione, costringerebbe l'Autorità Giudiziaria del Paese richiesto a ripetuti giudizi contro la medesima persona sulla scorta del medesimo presupposto.
Il ricorrente deduce, inoltre, che nella specie risulta violato non solo il principio del ne bis in idem ma anche quello del ne procedeat iudex ex officio già previsto dall'art. 700, comma 1, c.p.p. in materia di estradizione - la cui disciplina generale, per pacifica giurisprudenza, deve trovare applicazione anche nelle procedure MAE - previsione che stabilisce che la Corte d'Appello procede su formale istanza, inoltrata secondo precise modalità, dello Stato estero richiedente.
Nel merito, deduce l'insussistenza del presupposto della doppia punibilità di cui all'art. 7 l. n. 69 del 2005, difettando nella fattispecie in esame il requisito dello stato d'insolvenza, situazione che osta alla configurabilità del reato di cui all'art. 641 c.p. ravvisato dalla Corte di Appello di Napoli, del quale difetta anche la condizione concernente l'intervenuta scadenza del termine di adempimento della prestazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. La peculiarità della presente procedura consiste nel fatto che la sentenza censurata è stata emessa dopo che la stessa Corte napoletana aveva già pronunciato decisione di rifiuto della consegna il giorno 10 aprile 2018 non impugnata da alcuna delle parti e divenuta quindi irrevocabile.
La riattivazione della procedura, pacificamente riferita alla medesima e originaria richiesta di consegna avanzata dalle autorità polacche, è avvenuta, infatti, dietro formale impulso del Procuratore Generale distrettuale ma non a seguito di nuova e distinta richiesta formulata dall'autorità giudiziaria dello Stato di emissione del mandato d'arresto.
Come, pertanto, correttamente rilevato dal ricorrente, non sussiste alcuna ragione di ordine testuale e/o sistematico per non applicare alle sentenze pronunciate ai sensi dell'art. 17 della l. n. 69 del 2005 il disposto dell'art. 649 c.p.p. ed il principio del ne bis in idem.
Come pure parimenti evidenziato dal ricorrente, il precedente giurisprudenziale cui la Corte napoletana ha ancorato la propria decisione (Sez. 6, sent. n. 53 del 30 dicembre 2014, Petrescu, Rv. 261804 e conformi Sez. 6, sent. n. 27326 del 13 luglio 2010, El Moustaid, Rv. 247784; Sez. 6, sent. n. 25829 del 19 giugno 2008, Baiaram, Rv. 240327) concerneva un caso di ritardo nella trasmissione delle informazioni e della documentazione integrativa richieste di carattere endoprocedimentale, avvenuto sì oltre la scadenza temporale fissata ma comunque prima che fosse deliberata la decisione da parte della Corte territoriale.
Allo stato attuale dell'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, infatti, è dato individuare una sola situazione in cui la sentenza irrevocabile di rifiuto della consegna possa considerarsi alla stregua di una pronuncia meramente processuale ed è quella contemplata da Sez. 6, sent. n. 23277 del 1° giugno 2016, Barbu, Rv. 267296 in tema di mandato di arresto europeo c.d. esecutivo, quando venga in rilievo il motivo di rifiuto della consegna di cui all'art. 18, comma 1, lett. h), l. n. 69 del 2005 ricorrente in caso di "serio pericolo" che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti a causa delle precarie condizioni strutturali carcerarie o da sovraffollamento esistenti nel Paese dello Stato di emissione del MAE, secondo le prescrizioni anche di carattere procedimentale indicate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza 5 aprile 2016, C-404/15, Aaranyosi e C-659/15, Caldararu.
Ebbene, tale pronuncia ha espressamente affermato che l'eventuale pronuncia di rifiuto della consegna in caso di mancata trasmissione delle informazioni richieste da parte dello Stato di emissione costituisce una decisione «allo stato degli atti» che, in conformità alle indicazioni dettate dalla Corte di giustizia, deve considerare che, entro un tempo ragionevole, «lo Stato di emissione possa adottare in relazione alla persona richiesta le misure necessarie per assicurare le condizioni essenziali per la consegna stessa, ovvero il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana, sanciti dalla Carta fondamentale dell'Unione europea. Il che significa che, laddove l'autorità giudiziaria dello Stato di emissione faccia pervenire, successivamente e comunque entro un termine ragionevole, le suddette informazioni, alla luce dei parametri sopra indicati, il giudicato allo stato degli atti formatosi sul rifiuto della consegna, se rende irretrattabili le altre questioni già decise, non impedisce la pronuncia di una successiva sentenza favorevole alla consegna, in relazione ai nuovi elementi sopravvenuti sulle condizioni di futura detenzione» (Sez. 6, n. 23277/2016, Barbu, cit.).
Costituisce, pertanto, frutto di errore l'affermazione contenuta nella decisione impugnata secondo cui, ferma l'eccezione del caso appena indicato, la sentenza irrevocabile di rifiuto della consegna di cui agli artt. 6, comma 6, e 17, comma 5, l. n. 69 del 2005 possiede in via generale natura squisitamente processuale, talché il procedimento possa e debba essere riaperto nel caso in cui, come nella specie, lo Stato di emissione trasmetta i documenti o le informazioni necessarie per la decisione la cui mancata trasmissione aveva dato luogo al rifiuto della consegna.
La sentenza emessa al termine della procedura di cui all'art. 17 l. n. 69 del 2005 è, infatti, una sentenza che ai fini della sua efficacia soggiace ratione materiae alle consuete regole d'impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali penali, integrate dalla disciplina speciale prevista dall'art. 22 l. n. 69 del 2005, che del resto contempla espressi rinvii a norme ed istituti del codice di procedura penale (procedura camerale di cui all'art. 127; annullamento con rinvio di cui all'art. 627 c.p.p.).
È inoltre parimenti fondata la deduzione del ricorrente secondo cui anche nella procedura passiva di consegna a seguito di emissione di mandato d'arresto europeo vige il principio della domanda, codificato per la materia estradizionale passiva dall'art. 700, comma 1, c.p.p. - disciplina estradizionale oltre tutto espressamente applicabile ai mandati d'arresto emessi per reati commessi prima del 7 agosto 2002 - data di entrata in vigore della Decisione quadro europea, ai sensi dell'art. 40, comma 2, l. n. 69 cit.
Ovviamente in tema di mandato d'arresto europeo, la domanda è costituita da quella di consegna formulata dalla autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione e veicolata per l'appunto attraverso il mandato stesso (art. 9 l. n. 69 del 2005) e non, come verificatosi nel caso di specie, dalla richiesta del Procuratore Generale distrettuale cui non compete alcun potere d'impulso né in fase di avvio della procedura (v. ancora art. 9) né nell'ambito del sub procedimento cautelare di cui agli artt. 11, 12 e 13 della l. n. 69 del 2005 e cui incombeva l'onere di impugnare entro i termini di cui all'art. 22, comma 1, la precedente decisione di rifiuto emessa dalla Corte di Appello onde formulare, a prescindere dalla fondatezza, censure in ordine alla rilevanza della pur tardiva trasmissione delle informazioni da parte dell'autorità giudiziaria richiedente.
3. Per le ragioni che precedono la decisione impugnata deve, dunque, ritenersi viziata ab origine, dovendo di conseguenza essere annullata senza rinvio; il carattere pregiudiziale del motivo di annullamento assorbe quelli concernenti il merito della decisione stessa; non necessita alcun provvedimento de libertate risultando lo S. attualmente in stato di libertà.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, l. n. 69 del 2005.
Depositata il 24 luglio 2018.