Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 9 ottobre 2018, n. 24817
Presidente: Petitti - Estensore: Cosentino
FATTI DI CAUSA
Il prof. Claudio B. proponeva opposizione dinanzi alla corte di appello di Roma, ai sensi dell'art. 145 d.lgs. n. 385 del 1993 (T.U.B.), avverso il provvedimento n. 310 del 17 giugno 2014 con cui il Direttorio della Banca d'Italia - a seguito di accertamenti ispettivi condotti tra aprile e maggio 2013 presso la Banca Arner (Italia) s.p.a., di cui egli era stato amministratore fino al 24 aprile 2013 - gli aveva inflitto la sanzione di euro 15.500 per irregolarità consistenti in carenze nell'erogazione e nel controllo del credito da parte di componenti ed ex componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale (art. 53, comma 1, lett. b) e d) T.U.B.; Tit. IV., cap. 11, Istr. Vig. Banche - Circ. 229/99; Tit. I, cap. 1, parte quarta, Nuove disposizioni di Vig. prud.le per le banche - Circ. 263/06).
In sede di opposizione il prof. B. deduceva la violazione del termine di duecentoquaranta giorni previsto per l'ultimazione del procedimento sanzionatorio; la carenza, genericità e/o contraddittorietà della motivazione del provvedimento sanzionatorio, nonché l'errata applicazione della normativa di settore, primaria e secondaria, invocata a supporto della sanzione; la violazione e falsa applicazione degli artt. 2381 e 2392 c.c., con riferimento ai doveri di vigilanza degli amministratori non esecutivi.
La corte capitolina rigettava l'opposizione con decreto n. 5381 del 28 maggio 2015.
In particolare, quanto al primo motivo di opposizione, la corte territoriale riteneva che il termine di duecentoquaranta giorni non fosse perentorio e, comunque, non fosse stato violato, decorrendo esso - in ragione della connessione degli accertamenti a carico dei diversi esponenti aziendali della medesima banca - dalla data di presentazione delle controdeduzioni dell'ultimo soggetto incolpato. Quanto al secondo motivo di opposizione, la corte capitolina giudicava inammissibile, per genericità, la doglianza relativa al dedotto vizio di motivazione del provvedimento impugnato e infondata la doglianza relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio, negando la sussistenza della disparità di trattamento tra i diversi esponenti aziendali lamentata dall'opponente. Quanto al terzo motivo di opposizione, la corte di appello argomentava che gli artt. 2381 e 2392 c.c. non imponevano alcuna distinzione, in punto di responsabilità, tra amministratori delegati ed amministratori privi di deleghe.
Avverso il menzionato decreto il sig. B. ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di tre motivi.
La Banca d'Italia ha depositato controricorso.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 19 aprile 2018, per la quale entrambe le parti hanno depositato memorie ed il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, rubricato con riferimento al numero 3 del primo comma dell'art. 360 c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione delle disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa, con riguardo agli artt. 53, comma 1, lett. b) e d), T.U.B.; tit. IV, cap 11, Istr. Vig. Banche - Circ. 229/99; tit. I, cap. 1, parte quarta, Nuove disposizioni di Vig. Prud.le per le banche - Circ. 263/06; artt. 1, 3 e 11 l. n. 689/1981. Nel mezzo di impugnazione si svolge una duplice censura. Sotto un primo profilo si sostiene che la decisione della corte capitolina sarebbe erronea per non aver rilevato che al prof. B. non poteva essere comminata alcuna sanzione in qualità di membro del "comitato crediti". Sotto un secondo profilo il ricorrente deduce che, avendo il consiglio di amministrazione adottato le proprie deliberazioni sempre all'unanimità, il provvedimento sanzionatorio avrebbe erroneamente scisso, in modo artificioso, la posizione degli amministratori N. e A., non sanzionati, da quella degli amministratori, tra cui l'odierno ricorrente, assoggettati a sanzione.
Il motivo va disatteso. La prima censura non coglie la ratio decidendi dell'impugnato decreto, giacché la corte territoriale ha ritenuto il prof. B. responsabile degli illeciti a lui addebitati non nella sua qualità di componente del comitato crediti ma nella sua qualità di amministratore. Il riferimento alla partecipazione del prof. B. al comitato crediti risulta funzionale a colorare la sua responsabilità come amministratore, differenziando il suo ruolo da quello degli amministratori non sanzionati, non ad indicare un titolo di responsabilità diverso dalla titolarità dell'ufficio di amministratore della banca. La seconda censura è inammissibile perché attinge direttamente il provvedimento sanzionatorio, senza confrontarsi con le argomentazioni con cui l'impugnato decreto espressamente disattende l'assunto dell'ingiustificata disparità di trattamento tra i diversi amministratori (vedi pagg. 4/5 del decreto: «ritenuto che nella fattispecie non vi sia stata alcuna disparità di trattamento, anzi una opportuna e doverosa differenziazione di posizioni e responsabilità degli organi sociali, in quanto i crediti controversi (rectius anomali), sottostanti ad operazioni sospette ai fini dell'antiriciclaggio (v. finanziamenti a favore di Elleci, Studio Revegnana e Gruppo Seregni Finigraf) erano stati deliberati da un ristretto comitato crediti della Banca Arner (di cui l'odierno ricorrente era componente) ... e che le facilitazioni creditizie erano già state concesse da detto comitato ristretto, prima ancora di arrivare in consiglio di amministrazione (e ciò spiega la "assoluzione" del presidente N. e dell'amministratore A.)»).
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente si duole dell'omesso esame dei seguenti fatti decisivi:
- il fatto che i primi tre finanziamenti alla società Elleci Immobiliare s.r.l. vennero decisi il 29 dicembre 2011, il 9 gennaio 2012 e il 24 luglio 2012, quando ancora il prof. B. non faceva parte del comitato crediti;
- il fatto che i finanziamenti deliberati dal comitato crediti in data 17 settembre 2012, quando il prof. B. faceva parte del comitato, erano stati decisi dopo il compimento di tutti i necessari accertamenti e riguardavano meri rinnovi di operazioni già anzitempo decise e deliberate dall'ex amministratore delegato dott. C., peraltro conclusesi sempre positivamente, con la restituzione del finanziamento;
- il fatto che l'erogazione del credito di 1 milione di euro al gruppo Seregni Fingraf era stata deliberata in data 11 maggio 2012 dall'ex amministratore delegato dott. C. e avallata dal comitato crediti di cui il prof. B. non faceva ancora parte.
Il motivo non può trovare accoglimento perché, per un verso, si fonda su presupposti di fatto, relativi alla delimitazione del periodo in cui l'odierno ricorrente fece parte del comitato crediti della banca, che non emergono dalla sentenza gravata e che il ricorrente deduce in sede di legittimità senza specificare, com'era suo onere, in quali atti del giudizio di merito sarebbero stati dedotti; per altro verso lamenta l'omesso esame di fatti dei quali difetta il requisito della decisività, giacché il prof. B. è stato sanzionato quale componente del consiglio di amministrazione e non quale componente del comitato crediti e, d'altra parte, già nel testo anteriore alla modifica recata dal d.l. n. 83/2012, questa Corte aveva chiarito che, per integrare il vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c., è necessaria l'omessa o insufficiente motivazione su circostanze specifiche «di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito» (così Cass. nn. 25756/2014, 24092/2013, 14973/2006).
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia promiscuamente tanto la violazione o falsa applicazione delle disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa - Sezione II, punto 1.5, Istruzioni del Servizio Rea e Proposta al direttorio - quanto l'omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione ai nn. 3 e 5 del primo comma dell'art. 360 c.p.c. In sostanza il ricorrente sostiene che, a seguito di taluni interventi correttivi posti in essere da Banca Arner al momento dell'ispezione, iniziata il 2 aprile 2013, la Banca d'Italia avrebbe dovuto riscontrare l'avvenuta eliminazione delle carenze rilevate, con conseguente emissione di provvedimento di archiviazione ai sensi delle disposizioni citate. In particolare, si precisa nel mezzo di ricorso, era stato approvato un nuovo regolamento per le procedure deliberative inerenti ad operazioni con soggetti collegati, si erano apportate modifiche al regolamento del comitato crediti ed era stata stabilita la necessaria approvazione del consiglio di amministrazione di ogni ulteriore concessione di credito; tutte circostanze trascurate dalla corte di appello.
Il motivo non può trovare accoglimento perché, quanto alla denuncia di violazione di legge, non specifica quale regola di diritto sia stata esplicitamente o implicitamente applicata dalla corte territoriale in contrasto con le norme di cui lamenta la violazione o falsa applicazione. Quanto al vizio di omesso esame di fatti decisivi, fa riferimento a fatti dei quali difetta il requisito della decisività, da intendere nei termini già sopra precisati in sede di esame del secondo motivo di ricorso. Il motivo in sostanza si connota come una riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attingono all'apprezzamento delle risultanze istruttorie motivatamente svolto dalla corte d'appello.
In definitiva il ricorso deve essere rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.
Le spese seguono la soccombenza, con declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento del raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002 da parte del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere alla Banca d'Italia le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.500, oltre euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.